- modificare il sistema sanzionatorio recato dai decreti legislativi nn.
3M Come opportunamente rileva M. T. MOSCATELLI, Verso, op. cit. , 775 ss. , vanno esclusi
dall'ambito di applicabilità dell'articolo 23 Costo i canoni di concessione e le tariffe, poiché essi «non sarebbero inclusi nella nozione di prestazioni imposte>l, con la conseguenza che potrebbero essere interamente disciplinati dagli organi di governo provinciale e comunale. Mancherebbero in tali entrate, secondo l'A., i caratteri sostanziali propri della nozione di prestazione imposta, «ed in particolare l'assenza di quel profilo impositivo consistente nell'origine del prelievo per atto di autorità, a dal concorso della volontà del privato».
L'evoluzione del sùtema verso il fideralùmo fiscale 1 1 7
47 1 , 472 473 del 1 8 dicembre 1 99739, essendo questo strutturato sulla base di criteri penalistici, salvo il potere d'intervento regolamentare riconosciu to successivamente dalla legge n. 449 del 27 dicembre 1 997, unicamente in ordine alla riduzione delle sanzioni;
- modificare il sistema del contenzioso, incentrato, com'è noto, sulla giurisdizione delle Commissioni tributarie anche in materia di tributi 10cali40;
- eliminare o modificare in senso peggiorativo per il contribuente le agevo lazioni (esenzioni, riduzioni, detrazioni, ecc.) che sono disposte dalla legge;
- modificare in senso peggiorativo per il contribuente i termini deca denziali e prescrizionali stabiliti dalla legge41 .
I regolamenti in materia di tributi locali potranno dunque disciplinare tutti gli aspetti concernenti l'applicazione, l'accertamento e la riscossione dei medesimi, nonché gli aspetti riguardanti gli adempimenti e la semplifi cazione dei procedimenti. Naturalmente, se pure l'incidenza delle descritte limitazioni appare tale da ridurre considerevolmente la latitudine del pote re regolamentare riconosciuto agli enti locali, non può comunque discono scersi il significato di vera e propria svolta copernicana che la relativa disci plina assume oggi nel nostro ordinamento, testimoniata, a livello di topo grafia legislativa, dal fatto che il primo comma del detto art. 52 d.lgs. n. 446/97 è confluito oggi nel terzo comma dell'articolo 1 49 del t.u.o.ee.llY Ma il legislatore si è spinto anche oltre, delegando il Governo, con la legge n. 449/97, ad emanare norme volte ad istituire un'addizionale irpef (impo sta sul reddito delle persone fisiche) per i Comuni, ciò che è stato fatto con il successivo d.lgs. n. 360/98, nell'intento di garantire una copertura finan ziaria al decentramento amministrativo, cioè correlando l'atuibuzione del gettito alla devoluzione di funzioni43. La medesima legge n. 449/97 ha inoltre
39 I citati decreti legislativi, in attuazione delle deleghe contenute nell'art. 3, comma 133 della I. n. 662/96, hanno riformato il sistema delle sanzioni tributarie in materia di imposte dirette, sul valore aggiunto (d.lgs. n. 471 197) , di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consu mi e di altri tributi indiretti (d.lgs. n. 473/97), procedendo altresì alla revisione della disciplina in materia di sanzioni per violazioni di norme tributarie (d.lgs. n . 472/97) .
40 E difatti l'articolo 1 , comma 1 , letto h) del d.lgs. n. 546/92 assoggetta alla giurisdizione delle Commissioni tributarie "i tributi comunali e locali».
41 Si pensi, per esempio, ai termini decadenziali entro i quali, in forza della legge, devono
essere notificati al contribuente gli avvisi di liquidazione, gli avvisi di accertamento in rettifica o di ufficio, i provvedimenti irrgogatori di sanzioni.
42 La norma costituisce l'articolo d'apertura della parte seconda ("Ordinamento finanziario e contabile») concenente i "Principi generali in materia di finanza propria e derivata».
43 Peraltro, l'art. 28 della recentissima legge 2 1 novembre 2000 n. 342 ha provveduto ad
1 1 8 Capitolo Terzo
previsto una ulteriore compartecipazione di Comuni e Province al gettito irap, poi successivamente abolita da più recenti disposizioni di legge, come si chiarirà di qui a un momento.
Nuovo impulso al processo di decentramento fiscale e finanziario è poi stato dato con la legge n. 1 33/99 e con il d.lgs. n. 56/2000; entrambi i provvedimenti recano disposizioni
«in 1nrJ..teria di.federalismo fiscale»,
il che lascia chiaramente intendere che anche il legislatore considera cale modello come l'obiettivo (almeno tendenziale) verso cui dirigerela finanza pubblica. Il punto, come si vedrà in appresso, rimane quello di intendersi sui concetti; di compren dere, cioè, quale sia la nozione di«federalismo fisca0>
che il legislatore pensa di accogliere nelle norme di recente emanate.Ad ogni modo, circoscrivendo per il momento l'indagine alla descrizione del dato normativo, l'esame dei due provvedimenti rivela due fondamentali novità, e cioè la soppressione dei trasferimenti erariali nei confronti delle Regio
ni e la c 11 te tuale j ti tuzione di Wla comparrecipazione regionale all' iva (impo
sta sul valore
aggiunto), intorno
alla mi ura del 25% del gettito complessivodell'impo ta44.
Viene inolu-e prevista l'introduzjone nel sistema di strumenti di perequazione verticale ed orizzontalé5, con l'abolizione della compartecipazio ne di Comuni e Province al gettito irap46. Appare importante sottolineare, atribuendo ai soli Comuni il potere di variare le aliquote stabilite con l'annuale decreto del Mini stero delle finanze.
44 Per ciò che riguarda i trasferimenti, l'articolo l del decreto legislativo n. 56 del 1 8 febbraio
2000, comI: previsto dalla delega contenuta nell'articolo lO della legge n. 1 33/99, non procede ad
li lla loro abrogazionc complcra. dalmol11cmo che rimangono in vita quelli destinati a finanziare
il1lcrvcnr i nel serrorc delle calami,tà n\l.Cul'ali c quelli un. specifica de.stinazione per i quali 5lIssisra U/'I
l'ileI/a me interesse 1If/1l.i.OIlf/lcl'. Tale ull i m:l formulazione dell'an. l O cit. h:l de C<1tO qualche perple -
sità in dottrina per la sua genericità, che parrebbe in effeni contraddittoria con l'intento espresso dal legislatore delegante di sopprimere l'intero sistema di trasferimcnti erariali nei confrOnti delle
Regioni. Sul punto cfr. P. VrSCA, Commento al d. lgs. n. 56/2000, in Giorn. dir. amm. , 2000, 436 ss.
4S Degli strumenti di 'perequazione si occupa l'articolo 7 del d.lgs. n. 56/2000, che prevede
l'istituzione di un fondo perequativo nazionale nello stato di previsione del Ministero del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Inoltre, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, a ciascuna Regione è comunque corrisposta una somma pari alla differenza tra l'am montare dei trasferimenti soppressi e il gettito derivante dall'aumento dell'addizionale regionale all'irp,ef e dell'accisa sulle benzine. La quota complessiva da assegnare a ciascuna Regione viene poi determinata sulla base di una complessa espressione matcmatica contenura all'allegato A al
medesimo decreto, la quale tiene conto di numero i paramerd di carancre geografico (popolaz.io ne e dimensione della Regione), finanziario (come per esempio, la base imponibile potenziale del
tributo nelle Regioni) e socio-economico (fabbisogno della spcsa sanitaria procapirc nella Regione). 46 Naturalmente, come specificato dall'articolo I l del . I l . 56/2000, il genico irap
tratto a Comuni e Province rimane attribuito alle Regioni e comporta la necessità dj rideterminarc
L'evoluzione del sistema verso il jède1'tllismo fiscale 1 1 9
conclusione di questo
excursus,
che la soppressione della detta compartecipazio ne degli enti locali al gettito irap è stata da ultimo sostituita, secondo quanto disposto dal d.lgs. n. 56/2000, con trasferimenti erariali di pari impono.3. -IL FEDERALISMO FISCALE A COSTITUZIONE INVARIATA E LA REVISIONE COSTITU
ZIONALE IN ITINERE.
Lesame del lungo e lento processo di riforma della finanza locale con sente di trarre alcune - parziali e provvisorie - conclusioni in merito alla configurabilità del nostro attuale sistema in termini di
«federalismo fiscale».
Pur senza volere qui ripercorrere tutte le tappe del dibattito intorno alla definizione di una simile nozione (ché non è questa le sede per una simile indagine), alcune precisazioni di ordine teorico appaiono impr scindibili, se si vuole comprendere il senso delle trasfigurazioni che intere ano oggi il nostro sistema di finanza pubblica ed in specie i rapporti tra ftscalità statale e fiscalità locale.
V'è anzitutto da fare i conti con un'enorme difficoltà definitoria, dal momento che la locuzione
<ifèderalismo fiscale»
(adoperata, come si é visto nel paragrafo precedente, anche dal legislatore) non rimanda ad un istituto positivizzato in norme di diritto oggettivo, ma piuttosto ad una modello organizzativo i cui limiti ed i cui connotati sono stati espressi in dottrina, con tutte le oscillazioni e le sfumature concettuali che possono darsi47. Co m'è noto, la teoria«tradizionale»
del<ifèderalismo fiscale»
trova la sua prima formulazione negli studi del Musgrave48, che ne delineò il carattere per dir cosÌ«antilocalistico»,
nel senso che si prevedeva un modello di fiscalità per cui l'intervento statale avrebbe dovuto dispiegarsi in tutti i settori nei quali la gestione impositiva locale conduceva ad inefficienze e sperequazioni. Pa radossalmente il<ifederalismo fiscale»,
che oggi viene comunemente agitato quale strumento di«liberazione»
delle autonomie locali dal giogo dello Sta to accentratore, nasce come sistema volto al superamento del localismo e4" V. sul punto degli ostacoli di metodo per una rigorosa definizione del fenomeno C. SAC CHETTO, Federalismo fiscale tra modelli esteri e vincoli comunitari, in Riv. it. dir. p ubbl. comun. , 1 998, 649 . M. T. MOSCATELLl, Verso, op. cit., sottolinea come, proprio per la grande elasticità della sua nozione, il federalismo fiscale "è adottato, più o meno consapevolmente, a base delle più disparate istanze politiche e sociali)). P. V. RENZI E L. ROBOTI!, Autonomia impositiva degli enti locali, in Fin. loc. , 1 995, 1 328 ss., a riguardo dell a confusione concettuale intorno alla nozione di federalismo fiscale, parlano di "dibattiti sterili foa persone che non usano lo stesso vocabolario».
1 2 0 Capitolo Terzo
tendente al conseguimento dell' obiettivo di una migliore e più equa re di stribuzione delle risorse derivanti dal gettito fiscale, mediante l'intervento delle strutture centrali del Governo federale49• Può dunque affermarsi che, nella sua prima formulazione, tale teoria auspichi l'intervento statale tutte le volte che esso si renda necessario per ragioni attinenti al riequlibrio nella erogazione di servizi e beni alla collettività, alla redistribuzione della ricchezza
ed anche alla stabilizzazione della economia nazionale. Ovviamente, il primige
nio concetto risente del contesto istituzionale, economico e finanziario in cui
fu
elaboraro, cioè del facro che la teoria fu formulata in un paese - gli StatiUniti del primo dopoguerra - che era già costituito in una struttura federale e che probabllmente, neces irava di una spinta in controtendenza volta a mitigare i caratteri più propriamente localistici del sistema.
Differenti sono state invece le conclusioni teoriche cui si è giunti in
epoche diverse, in altri paesi. Non si possono discono 'cere, in altre parole,
le acquisizioni conseguite dalla teoria del
federaLizingprocess,
della quale si 'ampiamente detto nel primo capitolo; qual iasi
«federaLismo»
- e dunqueanche quello fiscale - indica null'altro che un processo in vol uzione un fenomeno dinamico, che ha un proprio punto di partenza ed un punto (tendenziale) di arrivo: ciò che consente di ricorioscere al processo un moto, una direzione, la quale è naturalmente diversa in ragione della diversità del punto di partenza. Un conto è muoversi da un ordinamento accentrato verso il riconoscimento di un maggior decentramento, altro è invece con durre un sistema già federale (quasi al punto di essere disgregato) ad un grado maggiore di compattezza.
Ne discende che, con riferimento allo specifico contesto istituzionale italiano, il problema si è sempre posto (almeno a partire dalla Costituzione repubblicana in poi) nel senso di avviare un processo di federalismo inteso come decentramento delle strutture statali. Lo si è visto nelle pagine dei primi due capitoli del presente lavoro e, pertanto, non è il caso di indugiare qui oltre su tale punto.
Tuttavia, simili considerazioni po on dare la mi Llra di come e guan ce il concetto di
«federalismo fiscalell
p s a mu tare se lo i riferi ce ad un contesto (come il no tro) il cui obierrivo tendenziale, uJ piano dei rappord finanziari tra porere centrale e poteri locali, appare oggi non tanto quello di49 Come rileva opportunamente S. DEL CORSO, Studi teorici e considerazioni sul federalismo
fiscale, inAmm. it., 1 998, 1 394 ss. , "L 'eccessiva differenziazione tra i vari statifedera/i e, aLl'interno di
essi tra i vari enti locali, determinava l'esigenza di una maggiore uniformità, soprattutto per quelle
L'evoluzione del sistema verso il federalismo fiscale 121
legittimare un intervento statale che è sempre stato preponderante50, quan to piuttosto quello di garantire a Regioni ed enti locali un terreno di auto noma governabilità delle risorse economico-finanziarie e degli strumenti di acquisizione e di utilizzo delle risorse medesime51 .
Allo stato dell' arte appare acquisito con buona dose di certezza, che nel
nostro paese gli elementi COIULU1i nelJa definizione del
«federalismo fiscale»
si possono rinveni re non tanto nel [Dodello di distribuzione della potestà
impositiva fra Stare, Regioni ed emi locali (giacché vi è su tale punto una
grande va rietà di modelJi prospettati), uanro piuttosto (e significativamente)
nell'ind ividuazione dei fini cui es o deve tendere, dal momento che se ne
discute in termini di
sistema
che non può prescindere dal perseguimento dialcuni obiettivi, che per l'appunto finiscono per costituirne la matrice defi nitoria e che possono essere così scomposti:
a) la realizzazione, anche sul piano finanziario, del principio di sussi diarietà, già introdotto nel sistema di decentramento istituzionale ed am ministrativo;
b) l'attuazione di un coerente coordinamento fra devoluzione delle fun zioni amministrative e disciplina dei mezzi finanziari necessari al loro esple tamento;
c) la responsabilizzazione degli amministratori locali, attraverso la pos sibilità di controllo, da parte della comunità locale, dei modi di utilizzo delle risorse prelevate fiscalmente, con il collegamento fra imposizione e spesa locale;
cl) conseguentemente, rispetto al punto precedente, il recupero di efficien
za, efficacia ed economicità dell' azione dei poteri pubblici, locali e centrali. A questi caratteri si accompagna la previsione (o l'auspicio) di un grado di decentramento che può essere più o meno ampio e che può connotarsi
in termini solidaristici ovvero competitivi, in senso
municipalista
ovveroregionalista.
In altre parole, mentre tutte le opinioni riconoscono la necessità di \.llla
finanza pubblica
«multilivello»52,
esse poi si differenziano sulla concreta la-5U Fino addirittura alla «sospensione del potere fiscale localf» avvenuta in seguito alla riforma
tributaria dei primi anni '70, come incisivamente ricorda F. CAPASSO, La riforma, op. cit., 1 432 1 .
5 1 Con la conseguente necessità d i prevedere idonei strumenti di tutela delle risorse i n que
stione dall'attacco che possa essere loro portato da soggetti esterni, ovvero, d<llle te e condizioni interne di stato patologico della situazione economico-finanziaria delJ'ente. Ma di cali questioni i
tratterà in maniera specifica nel quarto capitolo.
52 Lespressione è di P. V RENZI E L. ROBOTTI, L'autonomia, op. cit., 1329 55., secondo cui «il
1 22 Capitolo Terzo
ti tu dine del decentramento impositivo e sull'individuazione dei ruoli da riconoscere agli attori del decentramento medesimo. '.
Se questa è la cornice teorica nella quale inquadrare il frastagliato pro cesso di evoluzione legislativa descritto nel paragrafo che precede, non pos sono non balzare agli occhi alcuni elementi che caratterizzano il nostro
modello di
«federalismo fiscale».
Anzitutto, la frammentarietà del processodi riforma complessiva della p,a. ha certamente condizionato anche il pro cedere della legislazione in materia di finanza locale, che non può non aver
risentito dei continui
stop and go
che hanno rallentatO la marcia verso il«/ederalismo amministrativo»,
così come è c reatO c4 descriverla sopras,\tenuto conto che una delle
«sorgenti»
della riforma è comune ad enrrambi gliambiti, istituzionale-amministrativo e fin,uuiario, mmandosi deUa nota legge n. 421 /92.
In particolare, poi, il descritto rapporto di influenza appare visibile nel la correlazione fra la scansione temporale dei provvedimenti legislativi ed il loro contenuto normativo. Ad una prima fase, segnata dall'introduzione dell'ici (per l'appunto prevista nella legge 42 1 192) , ossia da un primo, timi do decentramento fiscale in direzione dei Comuni, ne è seguita una succes siva nella quale, se da un lato si è proceduto all'istituzione dell'irap, dall'al tro si è finalmente cominciato ad affrontare la questione della potestà nor mativa d'imposizione degli enti locali. Infine, con una terza tranche di prov vedimenti legislativi54, espressamente intitolati all' obiettivo del
«federalismo
fiscale»,
si è integralmente riveduta la disciplina dei trasferimenti erariali e si è nuovamente intervenuti sull'irap, spostando ulteriormente l'asse del de centramento finanziario verso le Regioni. Ne risulta un disegno distinto da linee di tendenza che non sempre hanno proceduto nella stessa direzione ed anzi hanno chiaramente dato il segno dell' andamento oscillante del di battito politico intorno al modello di finanza locale da implementare nel nostro ordinamento. Ed allora, il problema rimane quello di valutare che tipo di sistema sia stato prodotto da un simile sviluppo della disciplina positiva, in particolare raffrontando i risultati raggiunti con gli obiettivi individuati in precedenza.Ora, se la
«stella polare»
della riforma doveva certamente essere quella diriconoscere a Regioni ed enti locali una maggiore autonomia finanziaria, politico, ma piuttosto una finanza pubblica multilivello, in cui le preferenze espresse dal Governo centrale possono risultare predominanti».
53 Cfr. amp/itls supra cap. I, al par. 2.
L'evoluzione del sistema verso il federalismo fiscale 1 23
può qui affermarsi senza tema di smentita che 1'obiettivo è stato raggiunto soltanto in parte. Prescindendo - per il momento - dall'indagine circa il versante della spesa (poiché tale aspetto sarà affrontato autonomamente in appresso), per ciò che attiene all'autonomia di entrata - ed in particolare all'autonomia tributaria - residuano fondate perplessità in ordine all'ido n ità degli strumenti int rodorci per garantire a Regioni, Province e Comu ni di portare avami proprie po
l
itiche locali sulla base di una autonoma cap cità di programmazione nell'acquisizione dei mezzi finanziari(id est:
gettiti delle imposte) . Le ragioni di tale perplessità devono essere ricondotte ad un punto fondamentale, che rimane ancora quello della potestà norma tiva in tema di imposizione fiscale. Fino a che non si conferirà alle autono mie territoriali (ma il discorso riguarda soprattutto i Comuni, come si è detto in precedenza) 11 potere di intervenire a disciplinare con proprie nor me gli elementi deUa fattisp ele impositiva -ed in particolare la derermi na zione del presupposto d i mposta e della ba e imponibile - l'autonomia tributaria di tali enei porrà e plicarsi al livello certamente meno inci
dente, dell' accertamento e della risco sione d l rribu to e, naturalmente, sul piano della distribuzione del gettito dal tributo medesimo proveniente. Lau tonomia finanziaria non accompagnata da una congrua rimodulazione del rapporto tra le fonti normative in materia di imposizione tributaria si risol ve in una semplice compartecipazione al gettito del tributo, con la (tutto sommato) marginale capacità di accertamento e di riscossione dell'impo sta.
D'altronde, non può trascurarsi che gli ostacoli all' attribuzione di una simile potestà sono molteplici e si ritrovano anzitutto nel testo della nostra Costituzione.
È
noto che l'articolo 23 del testo fondamentale contiene il principio della riserva di legge in materia tributaria5\ ora, se pure tale riser va non viene comunemente interpretata come riserva di leggestatale,
è fuor di dubbio che da un lato sono tagliati fuori da qualsivoglia possibilità di potestà normativa d'imposizione proprio gli enti locali; dall'altro, le poten-55 Sul principio di legalità e sul suo rapporto con l'azione amministrativa cfr. F. SATTA, PrilJcipio cii irgllliflt tI pllbblica nmminù/l"flz;io1//J nello Stato democratico, Padova, 1 967; F. LEVI, voce Legittimità (dir. IImm.), in Ene. dir. XXlV. Milano, 1 974, 1 24 55.; R. GUASTINI, Legalità (princi pio di), in Dh: pllbbL., IX. 1 994; A. TRAVl. Giurisprudenza amministrativa e principio di legalità, in Dii: pubbL, vn. 1 995; E. SI'A NA Mu 'O. Diritto Costituzionale, Padova, 1 992, 1 67; G. U. RE. CI N • Corso di diritto Pllbblico. Bologna, 1 999, 600 55., M. S. GIANNINI, Diritto ammini
strativo, Milano, 1 970, II, 1 260 5S. Con specifico riguardo all'art. 23 della Cast. ed ai 5uoi rappor ti di derivazione dall'articolo 30 dello Statuto albertino cfr. A. BARETTONI ARLERI, Miti e realtà nei principi della contabilità pubblica, Milano, 1 986, 24; C. MORTATI. Istituzioni, op. cit., 1 1 39.
124 Capitolo Terzo
zialità di una riserva di legge, che potrebbe legittimare quale fonte anche la legge regionale, sono state di rado sfruttate dalla legislazione positiva che si è succeduta in questi ultimi anni, la quale, come si è ampiamente visto, ha