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3. CRISI COMPETITIVA? LA RICERCA DEL BELLO TRAMITE QUALITÀ,

3.5 LA VERA QUALITÀ RISIEDE NELLE EMOZIONI

L’eccellenza turistica Italiana, dove questa si esprime al massimo livello, è un mix di grande fascino: la cultura intesa più come contesto urbano di socializzazione (caratteristica dei territori minori e piccoli borghi) piuttosto che semplicemente come quantità di opere d’arte; la qualità della cucina e del cibo; lo stile di vita che trova nella piazza il suo luogo esemplare; i prodotti emozionali del Made in Italy; il paesaggio e la varietà delle situazioni che si possono incontrare e vivere.

Questo mix non è facile da riprodurre, ma è anche un mix che fa presto a smontarsi quando ad esempio, i trasporti e altri fattori minano alle fondamenta il vissuto reale dei nostri ospiti. Se è vero che un turista sembra vivere in una bolla alimentata dalle suggestioni del territorio e dalle emozioni che lo motivano alla visita, basta però poco a rovinarla. Ecco perché “fare turismo” di qualità è qualcosa di ben più complicato del dare mere informazioni sulla storia del territorio, ma è un processo che deve per forza relazionarsi con la vita vera dello stesso.

Oggi “fare vacanza” è sempre meno un’attività di sightseeing, un vedere le cose, lo scattare foto, il dire “ci sono stato”; è sempre più una domanda di “experience”, di coinvolgimento emotivo e d’investimento nella crescita personale. Possiamo immaginare dunque l’esperienza di viaggio come una successione senza soluzione di continuità di molti fattori, moltiplicati per la loro

51 valenza emotiva e ciascuno di essi porta con sé una somma di emozioni, di percezioni o semplicemente di sensazioni dello star bene o dello star male. Lavorare sull’accoglienza turistica e dunque sulle emozioni che da essa possono scaturire, non è mai stato un vero obiettivo della policy turistica, la quale ha sempre preferito lavorare su promozione, comunicazione, eventi occupandosi insomma della domanda anziché dell’offerta territoriale. Ma emozioni e percezioni si ritrovano poi nell’esperienza concreta di chi soggiorna.

I grandi numeri del turismo contemporaneo impongono una riflessione sul concetto di qualità nell’offerta turistica. Si tratta infatti di un concetto di grande importanza, da cui dipendono scelte cruciali e strategiche per il futuro del turismo. La riflessione è inoltre imposta dalla necessità di fare chiarezza su di un termine molto utilizzato, sia nei documenti ufficiali e scientifici che nella comunicazione divulgativa, con significati diversi o contradditori, spesso senza far riferimento ad una precisa definizione.

Dal punto di vista dell’offerta, la qualità nel turismo può essere definita come ricerca di standard elevati nella ricettività, nell’accoglienza oltre che nella facilità di accesso e fruizione del territorio. La qualità va ricercata soprattutto negli standard di sicurezza e di minimizzazioni dei rischi reali o percepiti dal visitatore. Mentre dal punto di vista della domanda la qualità nel turismo è, o dovrebbe essere, tutt’altra cosa. Si tratta infatti, di una qualità collegata alla intensità di emozioni e al valore dell’esperienza in quanto turisti. Definiamo questa qualità come "emozionale" (Daidola, 2004).

Il concetto di "qualità emozionale" non va confuso con quello di "qualità percepita" dal turista che, salvo eccezioni, si limita ad una valutazione della qualità dell’offerta vista dal lato della domanda. La qualità percepita dipende infatti da un marketing che, da disciplina al servizio del consumatore, è diventato strumento per influenzare il consumatore. Secondo Daidola (2004) anche la Customer Satisfaction, che dovrebbe essere una tecnica per studiare la soddisfazione del consumatore, è diventata più che altro uno strumento per valutare l’effetto delle influenze esercitate sul consumatore.

52 La qualità emozionale, a differenza della qualità dell’offerta percepita, per sua natura è difficilmente misurabile. Misurare l’intensità delle emozioni che si provano di fronte ad un tramonto fra i picchi dolomitici o partecipare alla vendemmi nella campagna toscana, è certamente molto più difficile rispetto al valutare la qualità dei servizi offerti da una struttura alberghiera oda un Bed & Breakfast.

Non ci sono però dubbi circa l’importanza della qualità emozionale, senza la quale viene meno l’essenza di fare del turismo.

La qualità emozionale è insomma la "vera" qualità. Essa è legata ai canoni della cultura occidentale, ossia alla voglia di conoscere e di godere realtà diverse e, al tempo stesso, alla voglia di fuggire dalla propria realtà. Le componenti della qualità emozionale, ossia la voglia di conoscere e la voglia di fuggire, comportano entrambe fatica, preparazione, dedizione, sacrifici, accettazione dell’imprevisto e rischi di vario genere. Se ne deduce, che sono proprie della qualità emozionale molte componenti che la qualità dell’offerta considera negative e cerca quindi di eliminare. Di qui la difficoltà, per non dire l’impossibilità, di "cumulare" le due qualità in un unico progetto turistico. Certo non è sempre così. Vi sono infatti casi in cui la qualità aziendale persegue obiettivi che non contrastano con quelli della qualità emozionale: si pensi ad esempio alle vacanze relax o di convalescenza e al turismo termale. Si tratta di modi di vivere la vacanza che non hanno nulla a che fare con il turismo che si pone obiettivi di qualità emozionale (Daidola, 2004).

Un discorso a parte va fatto per i sempre più numerosi parchi divertimenti a tema, che rappresentano realizzazioni di progetti i quali, tramite la qualità aziendale, perseguono finalità ludiche che hanno anche una componente emozionale. Deve essere chiaro che si tratta di emozioni costruite che non hanno nulla a che vedere con quelle del turismo emozionale sopra descritto, semmai ne sono dei surrogati. Manca infatti un rapporto vero del turista con l’ambiente naturale e/o con le culture locali, essenziali nel turismo emozionale. Si deve però dire che anche i parchi divertimenti, come il turismo termale e le vacanze relax, rappresentano iniziative turistiche che, fatti salvi problemi di

53 sostenibilità e di destinazione del territorio, non cozzano contro gli obiettivi del turismo che persegue la qualità emozionale. Secondo Daidola (2004), la

qualità emozionale nell’esperienza turistica sta diventando sempre più merce

rara e le principali ragioni di tale rarità si possono riassumere nei seguenti fattori:

 Il mondo sta perdendo le diversità e di conseguenza le destinazioni turistiche risultano sempre più prive di caratteristiche di originalità;  La tecnologia e lo sviluppo economico rendono più difficile scoprire

ambienti incontaminati e culture diverse dalla propria, soprattutto se il tempo del viaggio è limitato;

 L’aumento del numero di turisti alla ricerca della qualità emozionale influisce negativamente sull’esperienza personale del viaggiatore e può creare problemi di sostenibilità nei confronti dell’ambiente e delle culture locali.

La logica di un viaggio alla ricerca della "qualità emozionale" contraddistingueva già i grandi viaggiatori all’epoca del Grand Tour. Per concludere questo capitolo, vi lascio alla descrizione delle emozioni che proprio Goethe provò visitando per la prima volta Napoli:

“Oggi mi son dato alla pazza gioia, dedicando tutto il mio tempo a queste incomparabili bellezze. Si ha un bel dire, raccontare, dipingere; ma esse sono al disopra di ogni descrizione. La spiaggia, il golfo, le insenature del mare, il Vesuvio, la città, i sobborghi, i castelli, le ville! Questa sera ci siamo recati alla Grotta di Posillipo, nel momento in cui il sole, passa con i suoi raggi alla parte opposta. Ho perdonato a tutti quelli che perdono la testa per questa città e mi sono ricordato con tenerezza di mio padre, che aveva conservato un'impressione incancellabile proprio degli oggetti da me visti oggi per la prima volta”. 35

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Capitolo 4

4. PARTNERSHIP COLLABORATIVE E APPROCCIO

CLLD (COMMUNITY LED LOCAL DEVELOPMENT)

COME SOLUZIONE PROGETTUALE AL DECLINO DEI

PICCOLI TERRITORI.

Se il concetto di qualità, intesa come valore basilare di una fruizione turistica d’eccellenza, viene applicato agli elementi caratterizzanti l’offerta di un territorio, esso non può non riguardare anche con quale approccio la governance turistica si relaziona con il territorio e con la comunità che lo abita. L’applicazione del concetto di valenza del Capitale Sociale al turismo e al territorio, già descritto nel primo capitolo, è abbastanza recente e purtroppo sono ancora limitati gli studi legati al ruolo giocato dal capitale sociale per lo sviluppo locale delle destinazioni turistiche. La visione che accomuna tali studi è tuttavia la capacità del capitale sociale di influenzare la partecipazione della comunità nello sviluppo turistico di un determinato territorio. Il turismo si trasforma quindi in un elemento innovativo, potenzialmente in grado di rafforzare la ricchezza immateriale e il senso di appartenenza di una comunità al suo territorio. Per raggiungere questo scopo è però necessaria, un’attenta e costante interazione con la comunità locale, per rafforzarne il senso di appartenenza al territorio, favorendone nel contempo anche l’interazione con gli altri settori dell’economia locale.

In coerenza con quanto detto finora, nei piccoli territori si evidenzia quindi, in un quadro istituzionale e politico, la necessità di “fare sistema” al fine di superare la, purtroppo diffusa, connotazione settoriale del turismo e di restituirlo ad una vocazione multidimensionale in grado di coinvolgere l’intero territorio e la popolazione che lo abita. Obiettivo primo è dunque la necessità di far capire ai residenti il vantaggio, anche economico, che potrebbe derivare dalla costituzione di un “patto sociale territoriale” atto a promuovere e a

55 migliorare qualitativamente l’accoglienza e dunque la permanenza del turista consumatore sul territorio.

Le élite locali dei piccoli territori, devono dunque individuare il capitale sociale disponibile in grado di definire, non solo un’offerta turistica differenziata ed integrata nei valori autoctoni locali, ma anche nuove linee strategiche di accoglienza, orientate sempre più al nuovo stile di consumo turistico basato sulle relazioni, sullo scambio e sulla condivisione dell’esperienza. Si ha quindi la necessita di: politiche di gestione integrata delle risorse naturali e culturali (con forme sinergiche pubblico-privato) e dell’attivazione di politiche bottom-

up per riorganizzare l’accoglienza turistica secondo i nuovi canoni imposti dalla

domanda senza però andare a snaturalizzare le identità locali. Si tratta in definitiva di immaginare uno sviluppo turistico sostenibile dei territori cosiddetti “minori” che sappiano proporre al turista viaggiatore un’esperienza unica e speciale, in forte contatto con la comunità locale e con le peculiarità che la caratterizza.

4.1 REINGEGNERIZZARE LA GOVERNANCE TURISTICA

La politica di decentralizzazione della governance turistica, che vede nelle Regioni e altri Enti Locali (soprattutto Province e Comuni), i suoi principali protagonisti, ha il compito di reingegnerizzare la governance turistica, con modelli organizzativi basati sulla partnership tra pubblico e privato attraverso un regime di regolazione competitiva definito Sistema Turistico Locale (STL). In ambito italiano, molte regioni promuovendo il nuovo modello interorganizzativo in sostituzione delle APT – EPT e puntando sulle capacità collaborative dei comuni e delle imprese operanti nell’incoming, hanno abbandonato la formula dell’ente pubblico con le connesse rigidità burocratiche a favore di un’originale azienda collettiva pubblico-privata che abbia la capacità di promuovere e vendere l’area di destinazione come un tutt’uno, conciliando gli aspetti corporate con quelli community based (Costa, 2008).

56 Pertanto, l’STL a differenza dell’abolita APT, non ha come finalità strategica la promozione, ma la sua vocazione principale sarà la programmazione dello sviluppo territoriale con la finalità di superare quello status di dipendenza degli attori locali dagli intermediari e organizzatori della domanda (Tour Operator) dato che, quando il sistema turistico domina dall’esterno l’offerta turistica, le comunità locali, nei casi limite, possono diventare minoranze di servizio e subire svantaggi di vario tipo (inquinamento, smaltimento rifiuti, stereotipizzazione dell’immagine).

Questo nuovo approccio di sistema individua nella cultura dell’accoglienza, cioè nelle competenze organizzative e relazionali delle comunità locali, nella

riflessività identitaria, il collante sociale per un’offerta unitaria, coerente,

distintiva rispetto alla concorrenza e distribuita lungo le reti territoriali e reti comunicative appositamente ingegnerizzate dagli attori locali per conoscere e attrarre direttamente i segmenti della domanda così da generare un Piano di Sviluppo effettivamente partecipato e condiviso, in cui la strategia triennale è accompagnata da risultati verificati annualmente.

4.2 TERRITORIO OSPITALE COME COMUNITÀ AUTOCENTRATA

Le politiche di promo-commercializzazione del turismo locale si inseriscono in un nuovo scenario caratterizzato dal post turismo di massa. Le nuove organizzazioni turistiche territoriali (STL-DMO) sono le forme organizzative rappresentative di un’azienda collettiva che opera ai margini del profit e del no profit e gestisce le risorse materiali e immateriali che contraddistinguono una

destinazione ospitale come rete integrata di servizi, realizzata non “per” i

turisti, ma “con” i turisti. Dato che gestire e vendere prodotti turistici di tipo esperienziale, attraverso la collaborazione innovativa e competitiva non è sicuramente facile, gli stakeholder facenti parte di un network territoriale, devono mostrarsi proattivi, collaborare tra di loro e comunicare direttamente con i loro clienti attraverso forme di aggregazione territoriale interorganizzative, orientate ad una collaborazione innovativa.

57 Secondo Costa (2008), quest’aggregazione sistemica di un territorio ospitale può essere definita neo comunità autocentrata, dato che:

 Sono le idee e i valori a guidare il nuovo business del turismo, sulla base di un progetto di sviluppo bottom-up che ha come obiettivo il benessere di residenti e visitors.

 I locali devono sentirsi parte attiva di un progetto turistico territoriale e non come minoranza di servizio dipendente da operatori esterni (come spesso avviene gli spersonalizzati pacchetti all inclusive). I locali devono farsi promotori di una sostenibile autenticità reinventata con nuove proposte.

 L’aggregazione nasce per selezione orizzontale degli attori locali, i quali vengono scelti in base alla capacità di generare relazioni connettive e di saper promuove e commercializzare congiuntamente l’area di destinazione.

La reingegnerizzazione del territorio turistico come comunità autocentrata, deve dunque andare a caratterizzare gli spazi intermedi tra cultura locale, cultura turistica e cultura importata da flussi turistici regolati.

4.3 LE PARTNERSHIP COLLABORATIVE E IL DEFICIT DI PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA

Partendo dal presupposto che non può esistere un’organizzazione turistica territoriale (STL, DMO o APT) senza che essa non svolga un ruolo politico di legittimazione democratica; la sua funzione operativa, non è quella di risolvere problemi di partecipazione politica su scala locale, ma quella economica di avviare e facilitare processi di integrazione con l’inclusione di attori locali orientati all’innovazione.

La partnership collaborativa richiede che operatori privati, amministratori pubblici e camere di commercio abbiano il tempo necessario per sviluppare

58 relazioni e fiducia sull’innovazione, creando le basi per vere e utili partnership collaborative. I modelli di partnership collaborativa bottom-up sono improntati su un modello occidentale dato che, per esempio destinazioni turistiche asiatiche in via di sviluppo sono caratterizzate da una programmazione operata in modalità Top down, da élite che cooptano e gerarchizzano in funzione di un coordinamento delle attività economiche, che non mira né ad un consenso informato né partecipativo della comunità.

La letteratura economica e sociologica, evidenzia la convenienza di progettare uno sviluppo turistico partecipato dal basso e condiviso sia da attori profit che non profit, andando a valorizzare e incoraggiare la partnership collaborativa tra enti pubblici, tra pubblici e privati e tra privati.

Ma come si fa a trasformare gli attori in gioco da individualisti a collaborativi e quindi rendere una comunità consapevole e proattiva?

Il tutto parte dalla necessità di un’analisi socio-territoriale, affinché ogni attore locale concepisca il proprio posizionamento strategico all’interno di una comunità che vuole essere ospitale. L’organizzazione turistica territoriale è infatti la conseguenza di una volontà socialmente diffusa, volta a realizzare un’integrazione delle risorse turistiche effettivamente consapevole e partecipata. Secondo Costa (2008), il processo cognitivo per un’analisi socio- territoriale è costituito dai seguenti elementi:

 Tratteggiare le caratteristiche dell’autovalutazione comunitaria per progettare e gestire l’accoglienza in un territorio con i residente e i visitatori, in quanto la programmazione turistica è anche uno strumento per comprendere quali siano gli impatti del turismo sulle comunità locali per far convergere le opinioni su una strategia comune di sviluppo locale: non c’è collaborazione senza auto-valutazione comunitaria.  Riflettere sul concetto di collaborazione innovativa e competitiva, allo

scopo di abbandonare la frammentazione individualistica costituita da attori chiusi nei loro interessi ristretti.

59  Evidenziare i vantaggi della collaborazione competitiva e innovativa affinché i privati partecipino attivamente al network turistico territoriale.  Individuare le competenze del facilitatore dei processi aggregativi,

intero come manager della conoscenza, che può essere il leader del comitato promotore del progetto turistico territoriale in grado di supportare l’azione degli stakeholder promotori di una determinata idee progettuale.

In tal modo, si struttura un percorso che inizia con l’autovalutazione comunitaria e finisce con la progettazione congiunta degli attori locali, per dar vita a partnership collaborative.

L’autovalutazione comunitaria è una riflessione allargata alla comunità (direttamente o indirettamente coinvolta nell’economia turistica locale), affinché venga messa al corrente riguardo il ruolo strategico giocato dal settore turistico e i vantaggi e opportunità legate allo sviluppo di determinate strategie di promo-commercializzazione turistica. L’autovalutazione comunitaria è quindi una ricognizione socio-territoriale per suscitare e affermare alcune idee- guida su cui far convergere interessi e ideali.

Oggigiorno infatti, avere un approccio collaborativo con la comunità è assolutamente essenziale data la sempre più stretta interdipendenza tra servizi ricreativi-culturali dei residenti e quelli offerti al “residente temporaneo”. Non è più possibile concepire una “destinazione per turisti” come enclave, separata dalle interrelazioni che sono alla base di una determinata comunità; dato che, come specificato precedentemente, il “turista smart” non vuol essere più osservatore, ma vivere una destinazione turistica, la popolazione locale è essa stessa nel suo complesso attraente o repulsiva con se stessa o nei confronti di potenziali visitatori. Questa interdipendenza può costituire sicuramente un fattore di successo per la destinazione che si vuol progettare e gestire.

60 Con l’autovalutazione, costruttiva e veritiera dello stile di vita della popolazione locale, intesa come risorsa turistica, si pone l’opportunità di far emergere nei residenti le precondizioni a rendere una destinazione realmente ospitale ed accogliente, e le motivazioni, favorevoli o contrarie, per l’adozione di partnership collaborative e di un modello interorganizzativo che spinga verso una promo-commercializzazione “consenziente” dei prodotti esperienziali autoctoni.

4.4 IN COSA CONSISTE ESATTAMENTE L’APPROCCIO CLLD (COMMUNITY LED LOCAL DEVELOPMENT)?

Secondo la Commissione Europea, lo sviluppo locale di tipo partecipativo è uno strumento specifico da utilizzare a livello sub regionale unitamente ad altre misure di sostegno allo sviluppo a livello locale. Tale strumento può mobilitare e coinvolgere le organizzazioni e le comunità locali affinché contribuiscano al conseguimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, alla promozione della coesione territoriale e al raggiungimento di obiettivi politici specifici.

Per sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) si intende una singola metodologia relativa allo sviluppo locale di tipo partecipativo per i Fondi

Strutturali e di Investimento Europei (ESI) che:

 Focalizzi l’attenzione su aree sub regionali specifiche;

 Sia di tipo partecipativo, con il coinvolgimento di gruppi di azione locale costituiti da rappresentanti degli interessi socioeconomici locali pubblici e privati;

 Sia implementata tramite strategie di sviluppo locale concepite prendendo in considerazione le potenzialità e le esigenze locali;  Includa caratteristiche innovative nel contesto locale come la creazione

61 Il CLLD è un approccio che richiede tempo e sforzi, tuttavia, con investimenti finanziari relativamente modesti, esso può avere un impatto notevole sulla vita delle persone e generare nuove idee nonché l’impegno comune per tradurle in pratica.

Nello specifico, l’approccio CLLD si pone di raggiungere i seguenti obiettivi:  Incoraggiare le comunità locali a sviluppare approcci dal basso

integrati;

 Sviluppare le capacità comunitarie e stimolare l’innovazione l’imprenditorialità e la capacità di cambiamento incoraggiando la valorizzazione e l’individuazione di potenzialità non sfruttate nelle comunità e nei territori;

 Supportare la governance a più livelli indicando alle comunità locali il percorso da seguire per partecipare appieno all’implementazione degli obiettivi dell’Unione Europea in tutte le aree.

 Rafforzare la cooperazione e lo scambio di esperienze tra i principali soggetti interessati;

 Contribuire a concentrare ed economizzare gli sforzi delle reti (ed evitare la duplicazione dei lavori) per comprendere le possibili forme e funzioni del CLLD (ad esempio, attraverso sondaggi comuni);

 Produrre strumenti pratici e orientamenti volti ad assistere le RRN (Reti Rurali Nazionali) ed altri soggetti interessati nell’attuazione del CLLD;  Articolare i fabbisogni e le lacune informative al fine di informare il

processo di elaborazione delle linee direttrici sul CLLD ed altri documenti strategici.

Per il periodo di programmazione 2014-2020, il CLLD quindi continuerà ad