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Quanti sono i lavoratori della conoscenza?

La consistenza quantitativa dei lavoratori ad alta qualificazione può essere utilizzata come misura della diffusione/importanza dei knowledge worker?

I problemi di confini richiamati in sede introduttiva si riverberano in valutazioni quantitative del peso dei lavoratori della conoscenza che divergono non poco, anche in dipendenza della differente definizione di questo aggregato proteiforme, non-ché delle date di pubblicazione degli studi, che risentono di un panorama in rapida evoluzione. Così, agli inizi degli anni novanta, Peter Drucker considerava i lavo-ratori della conoscenza una minoranza, ancorché trainante, nel mondo del lavoro (Drucker, 1994), e Jeremy Rifkin (2006) collocava al 20% della popolazione attiva i lavoratori ad alta qualificazione – con una assai più ristretta lite cosmopolita che é gestiva la nuova economia delle alte tecnologie beneficiandone in termini di ricchez-za e potere. Anche altri tentativi di quantificazione utilizricchez-zano come base la distri-buzione degli occupati per gruppi professionali: tra gli altri il citato lavoro di Butera “innalza le quote” dei lavoratori della conoscenza, riferite al 2005, a valori tra il 40 e il 50% (con l’Italia al 41%, la Francia al 43%, la Germania al 48%, il Regno Unito al 52%, la Spagna la 33,3%, ma con gli Stati Uniti fermi al 38,7%);43 Emilio Reyneri, considerando l’occupazione giovanile – cioè le nuove leve del lavoro come una proxy della domanda di lavoro – valuta la percentuale di posizioni elevate (professionisti e tecnici) a non più del 20-23% in Italia e Spagna, contro il 30-34% in Francia e Ger-mania (Reyneri, 2007).

42 Dati Censis su fonti ISTAT.

Con la categoria di classe creativa l’economista americano Richard Florida indica un complesso di figure operanti in una vasta gamma di settori (scienza e ingegneria, architettura e design, arte, musica e spettacolo fino alle professioni più creative nei campi del diritto, del commercio, della finanza, della sanità). Florida e il suo gruppo di ricercatori offrono anche i criteri per “quantificare” la consistenza della classe creativa, con percentuali oscillanti tra il 13% di Italia e Portogallo e il 30% degli Stati Uniti (Florida, 2003). Nel rapporto denominato L’Italia nell’era creativa (Tinagli - Florida, 2005), i criteri di misurazione dell’indice di creatività sono applicati alle città capoluogo di provincia italiane. Lo studio muove dal modello delle cosiddette 3T (Talento, Tecnologia, Tolleranza), definendo un set di indicatori volti ad ottene-re un indice ottene-relativo a ciascuna delle tottene-re componenti, a loro volta convergenti nella definizione di un indice sintetico (appunto, l’indice di creatività). Non ci si soffer-merà in questa sede sui problemi legati a questa metodologia, già ampiamente evi-denziati in molte sedi e parzialmente accolti dalla stessa autrice. È in ogni caso utile fornire uno sguardo al posizionamento di Torino in questi indici: l’indice di Talento vede la città al 19° posto (ben piazzata sul versante della disponibilità di ricercatori, è “trainata” in basso dalla relativamente contenuta incidenza della “classe creativa” sulla popolazione);44 l’indice relativo alla Tecnologia vede Torino al 3° posto, quello di Tolleranza al 17° posto, in virtù dell’apertura nei confronti del mondo omoses-suale, ma anche dei ritardi sull’integrazione degli stranieri. L’indice complessivo, che combina le tre T, vede Torino al 7° posto, dietro Roma, Milano, Bologna, Trie-ste, Firenze e Genova; in pratica, le principali città del Centro-Nord.

Anche uno studio dell’Università Bocconi (2004), denominato “scena creativa”, ha elaborato un modello comparativo tra le città italiane (limitato, in questo caso, ai soli capoluoghi regionali) basato sulle tre T, ma con indicatori differenti da quelli usati dal Creativity Group. In particolare, secondo i risultati di questa ricerca, Tori-no sarebbe la seconda città italiana per inTori-novazione (rapporto brevetti città/brevetti Italia), al terzo posto per indice high-tech (HT città/HT Italia), bohemien,45 talento (laureati città/laureati Italia), melting pot (stranieri città/stranieri Italia) e al 4° posto per presenza gay. È interessante inoltre osservare il posizionamento nell’ambito del modello che i ricercatori hanno definito delle due S, relativo a numero e incidenza delle imprese high symbolic (editoria, consulenza economica e legale, architettura, pubblicità, cinema, radio & TV, cultura) e dello spettacolo. Per numero d’addetti, l’indicatore HS pone Torino al 3° posto, dietro Milano e Roma. Al tempo stesso occorre rilevare che la città, almeno al confronto di altre realtà urbane (Firenze, Bologna, Napoli, Genova, ecc.), appare poco “specializzata” nei settori ad elevato contenuto simbolico/immateriale. Per quanto discutibili per metodologia e indicato-44 Ultima tra le grandi città, in una classifica che vede Roma in testa (24,62%) e città come Messina, Reggio Cala-bria, L’Aquila, Cosenza e Catanzaro nei primi 25 posti.

45 Corrisponde alla categoria “Arts, design, entertainment, sports and media” utilizzata per la classificazione delle attività economiche dall’U.S. Census Bureau.

ri utilizzati, queste ricerche evidenziano alcune prerogative del contesto torinese che probabilmente “centrano” il bersaglio. I dati confermano che la transizione terziaria e post-fordista della città ha generato una crescita dell’importanza di questi settori, più dinamica nell’area dei servizi tecnologici e terziari, meno evidente nelle attività che interessano in modo specifico l’area della cultura e dell’entertainment.

Altre indagini prediligono viceversa utilizzare il criterio degli occupati nei settori knowledge intensive (si è già riferito della difficoltà e divergenze nei criteri di scel-ta dei medesimi): è il caso dell’OECD, della European Commission che elabora lo scoreboard dell’innovazione e di altri analoghi rapporti. Nelle graduatorie compilate attraverso questi criteri, di norma, Torino e il Piemonte occupano posizioni di verti-ce nel panorama nazionale (OECD, 2002; Regional Innovation Scoreboard, 2006), in virtù della buona concentrazione delle cosiddette funzioni superiori, caratterizzate da elevata qualificazione e livello decisionale in settori ad alto contenuto tecnologi-co, di ricerca o di servizi. Proprio l’elevata concentrazione di tali funzioni, secondo quanto proposto da alcuni autori (Berta - Pichierri, 2007) è in qualche misura quali-ficante dell’idea stessa di città. Una recente ricerca sulle politiche urbane ha calcolato il tasso di concentrazione e la dinamica di queste funzioni negli ultimi dieci anni nelle città italiane. In questa graduatoria Torino rappresenta, sia per consistenza numerica sia per grado di specializzazione, il terzo polo italiano.

PESO % ADDETTI ALLE FUNZIONI SUPERIORI VARIAZIONE % ADDETTI ALLE FUNZIONI SUPERIORI VARIAZIONE % TOTALE ADDETTI (1991-2001) ITALIA 16,5 43,2 8,0 AREE URBANE 19,9 42,6 8,7 di cui Milano 30,3 37,5 8,1 di cui Roma 27,8 47,5 15,5 di cui Torino 22,3 34,6 1,2 di cui Bologna 21,9 40,0 5,2 di cui Firenze 21,0 27,6 4,2 di cui Genova 20,1 25,5 0,4 di cui Verona 19,8 55,0 16,8 di cui Napoli 19,6 36,4 5,1 di cui Brescia 18,5 70,1 18,1 di cui Palermo 18,3 25,7 -0,5

FONTEPolitiche economiche e per la competitività di città e di reti urbane nella futura programmazione co-munitaria in regioni OB2, ricerca a cura di M. Cremaschi, 2006,Istituto rierche e interventi sociali di Prato

TAB.30 INCIDENZA DEGLI ADDETTI ALLE FUNZIONI METROPOLITANE SUPERIORI NELLE AREE

In sostanza, l’individuazione quantitativa di un campo dei lavoratori della cono-scenza appare tutt’altro che scontata. Non si procederà in questa sede a fornire ulte-riori misure: le circa 400.000 posizioni di lavoro qualificato della provincia di Torino sono infatti aggregabili secondo criteri più o meno restrittivi, accorpando settori, incrociando qualifiche e attività, sulla base della definizione adottata. È importante richiamare in questo senso alcune delle considerazioni proposte in sede introduttiva rispetto alla molteplicità delle forme d’impiego, dei modi di stare sul mercato, delle dimensioni culturali che differenziano il mondo del knowledge working. Nel set-tore industriale torinese sono impiegati circa 90.000 lavoratori qualificati; di questi, basandoci sulle indicazioni fornite dalle ricerche empiriche citate in precedenza, si può stimare che circa 30.000 costituiscono l’ lite cognitiva specializzata che opera é nell’area dell’innovazione industriale, in rapporto più o meno strutturato con i con-sulenti e i fornitori di servizi avanzati alla produzione. Questo mondo, per valori professionali e interessi di gruppo, è probabilmente assai distante dai lavoratori della conoscenza del settore pubblico, dell’istruzione e della sanità, che a livello provin-ciale si compone di 50.000 posizioni dirigenziali o altamente specializzate (inclusi i 10.000 medici iscritti all’Ordine). A sua volta, nel campo dei servizi culturali e creativi, a livello provinciale opera una popolazione stimabile in circa 40.000 addetti (CCIAA - CNA, 2005), tra i quali si può ipotizzare una larga presenza di lavoratori della conoscenza; questo mondo, che pure presenta contiguità con il settore pubblico e talvolta opera nelle filiere dei business tradizionali, per stile di vita e valori pro-fessionali ha caratteristiche non assimilabili, per esempio, a quelli che troveremmo facilmente indagando tra i 25.000 tecnici e professionisti del settore bancario e assi-curativo.