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Quegli che vogliono dar longa vita ai loro vini deono aver avertenza

a molte cose. Avvertiscano coglier l’uve che non siano accerbe, né troppo mature, e s’esse coglierannosi quando la ruggiada è risoluta463 e che l’aere sia caldo e chiaro il vin sarà durevole e poderoso. Si dee avvertire ancora di coglier l’uva sendo la luna sottera464 e in decrescimento; e s’ella si trovasse ancora in Cancro o in Leone o in Libra o in Scorpione o in Capricorno o in Acquario darebbe non poco giovamento al vino, il quale sarà ancor più di longa vita e di maggior bontà se bollirà ne’ vasi senza raspi. Hassi ancora a sapere465 che quanto meno l’uve si calcheranno466 tanto miglior e più durevole sarà il vino e se l’uve saranno prima state alquanto al sole, il vino sarà più buono, più odorifero e più durevole, onde i villani di Toscana dotti in questa arte, quando veggono l’uve mature non le dipartono del tutto dalla vite, ma torcono il sarmento467 che tiene il raspo468 di maniera che l’uva non può rice- vere più nutrimento alcuno dell’umore della vite, né le colgono fin che non le veggano alquanto appassite dal sole. Abbiano cura i pestatori dell’uva che non vi pestino insieme graspi secchi e acerbi perché corrompono il vino. Si dee avertire che ’l vino di mezzo la botte è meglio per conservare che quello d’alto, né quello da basso, onde Esiodo persuade che, quando è aperto il vaso, quel vino che è appresso al fondo e quel ch’è nel principio della botte si debba consumare, e riserbare quello di mezzo come vino più atto a tolerar l’età469. Dovete anco avvertire470 che i vini deboli si ripongano al coperto con le fine- stre rivolte all’oriente e al settentrione, ma i vini gagliardi si deono allogare471 dal occidente e meriggio472. E nello spirare de’ venti boreali si deono tramu- tare in altri vasi e questa tramutazione si dee fare a luna crescente quando sta sotterra e in dì chiaro e riposato e il vino mutato nel plenilunio diventa aceto. I vini più deboli si deono tramutare nel fine dell’autonno e i più gagliardi nel mezzo della primavera. Alcuni eccellenti iconomici vogliono che si rimova il vino dalla feccia grossa al principio di novembre, perché allora il vino per lo più ha cessato di bollire e la feccia è discesa al fondo, la quale di verno fa la

463 è risoluta: è evaporata.

464 sendo la luna sottera: con la luna nuova. 465 hassi ancora a sapere: si deve ancora sapere. 466 si calcheranno: si pesteranno.

467 il sarmento: il tralcio. 468 il raspo: il grappolo.

469 crescenzio, IV, XXXIV, Del travasar il vino e dell’aprir i dogli, c. 71v. 470 avvertire: aver cura.

471 allogare: sistemare.

472 crescenzio, IV, XXXIII, In che luogo si dee metter a star il vino accioché duri

madre473 sottile, con che si conserva meglio il vino e causa che agevolmente si schiari al tempo della primavera. Bisogna ancora, quando si tramuta il vino, avvertire che esso non si metta fin alla bocca474 del vaso accioché non soffo- candosi abbia qualche respirazione; ma nel vino pericoloso di farsi aceto ser- basi tutto il contrario475. Nei tempi caldi e ventosi non sarà male che si ponga un picciol spinillo476 appresso la spina della feccia e ch’indi si tragga un poco di vino, e questo è consiglio del dotto Pietro Crescenzio477. Avvertite ancora che lo splendore del sole e della luna non si stenda al vino quando aprite il vaso478. Il gesso gittato nel vino lo fa piccante e lo conserva lungo tempo. L’uva passa con l’arena bagnata di mosto fa il vino durevole479. Il fieno greco seccato al sole e pesto messo nel vino lo conserva. Le mandorle dolci poste nel vin negro gli danno longa vita. Il ferro e il lauro posti sopra i coverchi delle botte assicurano il vino dall’offesa de’ tuoni e folgori. Il frutto del cedro arso con la galla arrostita fanno il vin durabile480. La cenere de’ sarmenti della vite conserva ancora mirabilmente il vino481. Il medesimo effetto fa l’incenso arso gettato sopra il vino. Alcuni dicono che ’l sale arso messo nel vino vieta ch’esso non si faccia aceto. La cantina fredda diffende il vino dall’ecetosità. Il vino di vigna grassa e che fa molta feccia si dee mutare482 ad ogni modo per dargli longa vita. L’arena de’ fiumi purifica e conserva longamente il vino. Le buone cantine e buone botti son quelle che principalmente conservano buono e longo tempo il vino. E buone son le cantine che di verno calde e di state son fredde. Il mosto cotto in vaso di terra nuova insieme con alcune specierie e consumato fin alla terza parte483 se si getta nel vino lo conserva gran tempo. E se de simili secreti più ne volete, udite quel che ne dice Palladio in queste parole:

473 madre: è la membrana viscida, dovuta a muffe e microrganismi, che si forma

sulla superficie del vino.

474 alla bocca: all’orlo.

475 serbasi tutto il contrario: ci si comporta all’opposto. 476 spinillo: cannuccia.

477 crescenzio, IV, XXXIV, Del travasar il vino e dell’aprir i dogli, c. 71v. 478 Ibidem.

479 Ivi, XXXIX, In che modo si possa provedere che il vino non dia la volta, c. 72v. 480 Ivi, c. 73r.

481 tatti, Della agricoltura, II, Quali paesi produchino abbondanza di vino, e come

si debba allogare il vino con molte altre cose pertinenti alla sua conservazione, c. 62r:

«Altri mescolano col vino la cenere dei sarmenti delle viti».

482 si dee mutare: si deve travasare.

Alcuni adunque de’ Greci nel condir i vini aggiungono al vino una metà o una mezza parte di mosto cotto. Alcuni altri Greci commandano che si serbi l’ac- qua marina netta e tolta del mar quieto e puro un anno innanzi, la qual dico- no essere di questa natura, che ella in quello spazio di tempo lascia la salsug- gine e l’amarezza, e diventa dolce e odorosa: mescolano dunque col vino una ottava parte di questa acqua con una cinquantesima di gesso, e poi, passati tre giorni, diguazzano484 il vasello e promettono che non solamente danno l’età al

vino, ma anco lo splendor del colore; ma bisogna mover il vino ogni nove dì o undeci al più, percioché con lo spesso vederlo si potrà far giudicio s’egli si dee tenere o vendere. Alcuni attuffano nel doglio485 tre oncie di ragia486 secca trita

e diguazzano il doglio, e dicono che a questo modo si fanno i vini diuretici. E commandarono che ’l mosto ch’è lieve487 per le molte pioggie, il qual si potrà

conoscere al gusto, si governi in questa maniera: vogliono che si cuoca ogni mosto fin che si consumi la ventesima parte, e ciò si farà se vi si aggiugnerà una centesima di gesso. I Lacedemoni lo cocevan tanto ch’egli si consumas- se la terza parte e nel quarto anno l’accommodavano a uso di bere. Insegna- no che essendo il vino aspro si fa soave se si metteran nel doglio due bicchieri di fior di farina d’orzo insieme col vino lasciandoveli star per una ora. Alcuni altri vi metton feccia di vin dolce e alcuni altri vi aggiungono un poco di gli- ciriza488 secca e usano avendolavi tenuta lungamente col tramenar il vaso489.

E che ’l vino490 tra pochi dì si fa di perfetto odore se tu metterai nel mastello

le bacche del mirto salvatico di monte secche e peste lasciandolevi star die- ci dì, e che poi coli e usi. Inoltre secca all’ombra i fiori della vite arbustiva491

e pestili con diligenza, e scelti mettigli in un vaso nuovo, e quando tu voi ag- giugni una misura di fiori, che i Soriani chiamano chenica492, e tre mastella di

vino e impiastra di sopra il cocchiume e apri il sesto o il settimo dì e usa. Per far vino che sia dilettevole a bere dicono che si fa a questo modo: che nel vino si metta, così a stima convenevole493, finocchio e santoreggia e si diguazzino

i pinocchi494 caldi di due pine, i quali legati in una pezzetta bianca si mettano

nel doglio, e impiastrato di sopra il cocchiume e poi passati cinque dì s’usi. E che il vino di nuovo si fa vecchio se pestando insieme mandorle amare, es-

484 diguazzano: sciacquano la botte. 485 nel doglio: nella botte.

486 ragia: pece o resina. 487 lieve: leggero, annacquato. 488 gliciriza: liquirizia.

489 col tramenar il vaso: rimescolando la botte di tanto in tanto. 490 e che ’l vino: dicono che il vino.

491 vite arbustiva: è la vite che cresce appoggiandosi a un albero.

492 chenica: la chenice è una unità di misura greca, il cui valore variava da luogo

a luogo. La chenice attica valeva 1,08 litri e corrispondeva alla razione giornaliera di grano per un uomo.

493 a stima convenevole: valutando ad occhio la quantità opportuna. 494 si diguazzino i pinocchi: si mescolino i pinoli.

sendo gomma495 di pino, fien greco tanto dell’uno quanto dell’altro, ne mette-

rai per ogni anfora un bicchiero, e si fanno anco grandi. E se tu sentirai ch’e- gli si voglia guastare, piglia aloe, mirra e crocomagna496 a egual misura e pe-

sta, e ridotti in polvere mescola con mèle497 e mettine un bicchier per anfora.

Per far che ’l vino d’uno anno paia di molto tempo498 pesta insieme un’oncia

di meliloto, tre di gliciriza e altretante di nardo celtico499 e due oncie di aloe

patico e in cinquanta sestari metti sei cucchiari della predetta confezzione500 e

fa che ’l doglio stia al fumo. Affermano ch’el vin fosco501 diventa bianco se vi

[si] mette dentro la farina di fava o l’albume di tre uova ben sbattuto, e che il dì seguente si trova chiaro, e che se vi si mette anco dentro la pece africana si può mutar il dì medesimo. E dicono che anco le viti hanno questa natura, che se la bianca o la nera si riduce in cenere e si metta nel vino, lo fa del suo colo- re, cioè che la nera lo fa nero e la bianca bianco, con questa ragion però, che si metta la misura d’un moggio di cenere di sermento abbruciato nel doglio che tenga dieci anfore, e tenuto tre dì a quello modo, si cuopra e s’inloti502, e che

passati quaranta dì si truova il vin bianco (se si sarà voluto così) o nero. Affer- mano anco ch’el vino morbido503 si fa forte se vi si mettono le foglie o le radi-

ci dell’altea, cioè dello ibisco, o il suo tronco tenero cotto, o gesso, o due sco- delle di ceci, o tre pillole504 di cipresso, o le foglie del bosso quante si può pi-

gliar con una mano, o il seme dell’appio505, o la cenere de’ sermenti assotti-

gliata ben dal fuoco; e ch’el vino in quel dì medesimo si fa d’agro limpido e buono se tu pesti insieme dieci granella di pepe e venti pistacchi con un poco di vino mettendoli in sei sestari di vino e lasciando riposar, e che poi si coli e si usi. Inoltre che di feccioso506 si fa chiaro se tu metterai in un sestario di vino

sette noccioli di pino diguazzando507 bene e lasciando poi riposare un poco, e

poi si coli e si bea. Inoltre che si fa bianco e gli si dà sapor di vin vecchio (la

495 gomma: resina.

496 crocomagna: crocomagma, una mistura aromatica molto pregiata fatta di zaffe-

rano, pece, rose, mirra e gomma: cfr. dioscoride, I, XXVI, Del crocomagma, pp. 55-

56; Dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nella medicina, chirurgia, veterina-

ria, farmacia, chimica, storia naturale, fisica e astronomia che traggono origine dal greco compilato da Bonavilla Aquilino coll’assistenza del professore di lingua greca abate D. Marco Aurelio Marchi, Napoli, Stamperia della Societa Filomatica, presso R.

Marotta e Vanspandoch, 1822, t. I, sub vocem.

497 con mèle: con miele.

498 paia di molto tempo: sembri invecchiato. 499 dioscoride, I, VII, Del nardo, p. 27. 500 confezzione: mistura.

501 vin fosco: vino nero. 502 s’inloti: si copra di fango. 503 morbido: leggero, poco alcolico.

504 pillole: sono le pigne, dette anche galbule. 505 appio: è il sedano selvatico (Apium graveolens). 506 feccioso: torbido.

qual cosa si dice che fu insegnata agli uomini di Creta dall’oracolo d’Apollino Pizio) se si pestano quattro oncie di squinanto508, quattro d’aloe patico, una on-

cia di mastice perfetto, una oncia di cassia fistola509, una oncia di pepe, mezza

oncia di spiga indica510, una oncia di mirra, una oncia d’incenso maschio non

rancio, e ridotte in polvere si crivellino511, e poi quando il mosto bollirà, spiu-

ma512 e getta via tutte quelle granella d’uva che vengono a galla per lo bolli-

re. E allora metti in dieci anfore di vino tre sestari italiani di gesso trito e cri- vellato, tramutando prima in altre vasella la quarta parte del vino da condire e aggiugnivi poi il gesso, e diguazza forte nel doglio il vino per due dì con una canna verde che abbia le radici. E poi il quarto dì metti pian piano quatro cuc- chiai de le predette polveri in dieci anfore di vino, e poi sopragiugnivi, sì come s’è detto sopra, la quarta parte del vino che tu avevi serbato in altre vasella, e riempi el doglio, e diguazza di nuovo accioché tutto il corpo del mosto pren- da la forza e il vigore delle spezierie che vi sono, e poi cuopre e impiastra el cocchiume lasciando un picciolo foro per lo quale respiri il vino che bolle. Ma passato i quaranta giorni chiudi il predetto spiraglio, e poi usa il vino come più ti piacerà. Ma oltre a tutte le altre cose ricordati di aver cura a questo, che ogni volta che si muove513 il vino tu faccia muoverlo da qualche fanciullo sen-

za barba514, o da chi sia casto. L’impiastro che si fa al doglio debbe esser non

di gesso ma di cenere di sermenti. Si dice anco che ’l vino che fa pro’515 allo

stomaco e che vale contra la peste si fa a questo modo. Metti in una metrèta516

di buon mosto, innanzi ch’ella bolla, otto oncie d’assenzo pesto involto in una pezza di panno di lino, e passati quaranta dì cavala fuori e travasa il predetto vino in vasi minori, e usa. Ora di questo mese coloro che costumano di medi- car il vino col gesso lo condiscono levata la prima schiuma del mosto bollen- te. Ma se il vino fosse naturalmente leggiero e di sapore acquidoso517 basterà

mettere in cento bogonci di vino due sestari di gesso. Ma se egli nasce saldo e potente sarà bastante la mesura della metà delle predette cose518.

508 squinanto: è una grande graminacea detta anche fieno dei cammelli (Cymbopo-

gon schoenanthus).

509 cassia fistola: è una leguminosa dai fiori gialli usata in erboristeria soprattutto

come lassativo.

510 spiga indica: detta anche spigonardo è una varietà di lavanda usata in profume-

ria (Lavandula dentata).

511 si crivellino: si passino al setaccio. 512 spiuma: togli la schiuma.

513 si muove: si rimescola.

514 senza barba: imberbe, cioè non ancora arrivato alla pubertà. 515 che fa pro’: che giova.

516 metrèta: qui indica un recipiente con la capacità di una metrèta (unità di misura

antica, il cui valore variava tra i 34 e i 39 litri).

517 acquidoso: acquoso.

518 paLLadio, XI, Ottobre, XIV, Quelle cose che hanno detto i Greci o altri del con-

dir il vino e di curarlo, cc. 72r-73v. crescenzio, IV, XLI, In che modo si faccia nero il