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Voi sapete ch’io son dottore e non poeta, né manco vorrei esser, poi che

veggio la poesia oggidì povera, ignuda e sconsolata andarsene piangendo la morte della semenza de’ Mecenati antichi, che già la solevano tener sulle gal- le318; pur con tutto questo non ha gran tempo ch’io mi trovai un giorno di san Martino nella mia cantina, là dove, come si suol fare senza nota di riprensio- ne319, gustai ben venti sorti di vino. E mentre stavo vagheggiando la chiarezza d’un vin Tribiano, il pensiero guidandomi da una cosa chiara nell’altra, mi presentò alla mente la chiara luce di due begli occhi d’una gentil donna romana, che per nome CHIARA s’addimanda320, onde io subito fattomi portar da scri- vere, appoggiato ad una gran botte con la mente in CHIARA fiamma accesa, scrissi questi pochi versi321.

Voi ch’ascoltate in rime gli alti effetti de la mia CHIARA, alma e divina luce, che tanto innalza i miei dolci concetti, non vi fia meraviglia se per duce

ho un cieco322 e s’omai fuor de’ suoi diletti

questa mia età viril non si conduce,

315 Cfr. la risposta a Francesco Scaglia, Dell’amicizia c’ha il vino con la poesia

nelle Risposte, c. 138r: «Ennio non scrivea mai bene le cose di guerra se non quando avea ben bevuto».

316 di ridente: di satirico.

317 a coroborazione: a conferma, a sostegno. 318 tener sulle galle: tenere in pregio, onorare.

319 senza nota di riprensione: senza per questo dover essere rimproverato. 320 s’addimanda: si chiama.

321 A una donna chiamata Chiara Taegio allude in una lettera burlesca del 24 feb-

braio 1561 (o 1560) a Guido Borromeo: Biblioteca Trivulziana, Fondo Belgioioso, cart. 191, n. 295, in cui scrive di aver ceduto all’amico «ogni mia gioia, ogni mia conten- tezza, il proprio core e la CHIARA luce degl’occhi miei». Possibile che la donna in questione sia una cortigiana. Si tratta qui di un poemetto in 22 ottave.

ch’Amor, con questa CHIARA e ardente face mi sforza, e tanto può quanto a lui piace. Quando mi volgo, Amor, al tuo bel seggio e le bellezze pellegrine e nove

de la mia CHIARA e vaga luce veggio, dai raggi suoi tanta dolcezza piove che fuor che lei altro d’amar non cheggio, né invidio il nettar de l’eterno Giove: ogni altra luce allor m’esce dal core e sol ivi con lei soggiorna Amore. In CHIARA luce del veder mio oggietto il signor mio323 tempra gli strali e ’l foco

che ’n me fa ardendo sì felice effetto che, tutto che324 mi strugga a poco a poco

et arda il cor ne l’amoroso affetto, pur gira Amor ogni mia doglia in giuoco, e tanto è il dolce che nel foco sento che non è ben ch’agguagli il mio tormento. Quando per gli occhi al mio profondo core passa la vaga e CHIARA luce mia restan le membra mie senza vigore, e in parte la scacciata alma s’invia u’ parimente si languisce e more e scorge la vendetta che desia. Così l’amante si trasforma spesso e vivendo in altrui more in se stesso. Spesso saluto la vermiglia aurora coronata di rose in Orïente,

che ’l ciel col suo bel crin illustra e dora: quando veggio apparir la luce ardente degli occhi di colei che m’innamora e dolci fa i pensier de la mia mente, allor (con vostra pace) dico, o dèi: l’Aurora cede al sol degli occhi miei. Chi crederebbe? E pur son cose vere. Il dì che la mia luce alma e serena scese qua giù da le celesti sfere

323 signor mio: Amore. 324 tutto che: benché.

Vener lasciò la sua isoletta amena325

per star tra noi con le lascive schiere dei pargoletti amor, che seco mena, e l’aura risonò per l’aria chiara:

CHIARA, CHIARA è la dea che ’l ciel rischiara. Quando non veggio la mia CHIARA luce Amor mi guida in solitario loco

e da questa passion girando in quella326

or piango, or rido, or gelo, or son di foco. Talor mia luce in nube et or in bella fontana adumbro, e seco parlo e giuoco et a sì dolce error ritorno spesso

poi che trovo il mio ben fuor di me stesso. Fuor di me stesso in CHIARA luce vivo del mio lume gentil sereno e vago e di mia antica libertà son privo. Questa luce di cui tanto m’appago anch’ella vive in me, et io l’avvivo (mercé d’Amor) con la mia propria imago, così mia luce è meco et io con lei,

né da sì dolce essiglio uscir vorrei. Se gira in me mia CHARA luce Amore penso del suo bel lume essere indegno e dei cocenti rai tempro l’ardore

col freddo del timor ch’in lei sia sdegno. Quando non veggio poi l’almo splendore, ove ha il suo foco Amor, ove ha il suo regno, tutto sfavillo e men verrei327 s’alquanto

non temprassi la fiamma col gran pianto. Se pace ho con il sol ch’al cor mio splende CHIARA è la gioia mia, dolce è l’affetto, e dolce è il foco onde ’l desio s’accende. Poscia in dolor si cangia il mio diletto se la mia fede inganno o torto offende. Quando poi cessa l’uno e l’altro effetto io temo e spero, e sciolto in servitute Amor mi tien fra ’l danno e la salute.

325 la sua isoletta amena: Cipro. 326 in quella: cioè nella melanconia. 327 men verrei: verrei meno.

Io mi ricordo che già ne l’uscire fuori del Gange328 Febo il salutai

quando del mio bel sol vidi apparire la luce, ch’or mi face tragger guai; quello le stelle e questo fe’ sparire lui con più CHIARA luce de’ suoi rai; quel può solo far chiar questo emisfero, e questo illustra il mondo e il mio pensiero. CHIARA mia luce di dolcezza piena, del raggio tuo, come da fonte rivo, nasce la gioia mia, nasce la pena. Pena soave, ond’io gioioso vivo, vita sopra ’l mortal corso serena, solo di te penso, ragiono e scrivo, né la mia penna altro soggetto vuole. Felice è chi si scalda a sì bel sole. Nel dipartir de la mia CHIARA vista al cor mio nasce un tenebroso orrore, fremono i venti e il mar e ’l ciel s’attrista; ma nel tornar del vivo mio splendore il perduto vigor l’alma raquista: torna la speme mia, fugge ’l timore, ride la terra e ’l ciel si rasserena e ogni cosa è di gioia e d’amor piena. CHIARA è la forza del mio onesto amore, chiara è l’idea, onde a ben far s’impara, chiara è la speme mia, chiaro è ’l timore, chiara è la gioia, e la mia doglia è chiara, chiara è la vita mia, chiaro è ’l mio ardore, ma senza la gentil mia luce e cara

s’oscura il tutto, e fra cimerie grotte329

parmi d’aver una perpetua notte. Perpetua notte agli occhi miei saria se non fosse quel lume il lor oggietto che da la CHIARA mia luce s’invia330:

questo rischiara il mio oscuro intelletto, questo l’innalza al ciel, questo il desvia dal cieco volgo e da ogni vil concetto,

328 fuori del Gange: cioè all’alba. 329 cimerie grotte: grotte oscure. 330 s’invia: proviene.

talché da lui io risconosco il tutto ché per me son quasi un terreno asciutto. Al lampeggiar de la mia luce ardente moro e rinasco, e son nova Fenice, e tanto è il ben ch’allor l’anima sente ch’a dirlo, anzi a pensar di lui non lice: in quella Amor sì al mio desir consente che d’ogn’altro il mio stato è più felice. S’adunque un sguardo sì gran gioia adduce, deh torna spesso a me, CHIARA mia luce. CHIARA mia luce, ove trastulla Amore, ove s’apre il sentier ch’al Ciel mi scorge, nel moverti ver me sento ch’al core un piacer novo e inusitato sorge, e la virtù d’un subito splendore tanto diletto entro de l’alma porge che ringrazio per te, luce mia CHIARA, la vita, che per altro non m’è cara. Da poi che CHIARA luce il mio intelletto alluma331, un campo di battaglia è ’l core:

ivi ’l dolor combatte col diletto e la speme guerreggia col timore, e al foco de’ sospir ch’esce dal petto degli occhi miei s’oppone il tristo umore: tra ’l senso e la ragion guerra è infinita e lite con la morte ha la mia vita. La vita mia non ha mai fermo stato, or m’alza al ciel Fortuna, ora m’atterra, ora tranquillo ho ’l mare, or l’ho turbato, or vivo son, or l’ultima ora serra

lo viver mio qua giù sì travagliato, or pace ho col mio sol, or sono in guerra, or ne l’abisso, ora nel ciel mi pone, ora mi scioglie Amor, or m’ha prigione. I ceppi, le prigioni e le catene,

le dure leggi e la mia fera sorte, rischio d’onor332, tema d’acerbe pene,

danno, vergogna, e ’l dubitar di morte,

331 alluma: accende.

il vedermi tradita ogni mia spene et esser l’ore al mio soccorso corte spento non hanno del mio foco dramma333

ché più CHIARA che mai è la mia fiamma. In CHIARA fiamma ho sì mie voglie accese che quando i pesci andran su per le piante e saran l’acque in cima ai monti ascese e che ’l ciel non avrà più stella errante334

onde il giorno si causi335, l’anno e ’l mese

allor non amerò mie luci sante ché Natura et Amor potrian ben poco se potesse morir sì ardente foco. Or veggio ben che temerario sono seguir con rozzo stil lodi sì chiare, però del troppo ardir chiedo perdono: sol mi resta pregar voi Parche avare che vi degniate far cortese dono di longa vita a le mie luci care

bench’elle senza voi vivran per sempre sendo create di celesti tempre336.