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La questione dell’attore

Nel documento N CANONE PER IL TEATRO ARABO U (pagine 113-117)

8. IL TEATRO DE QĀLABU-NĀ L-MASRAḤĪ

8.5. Q UALITÀ E SPECIFICITÀ DEL CANONE TEATRALE ARABO

8.5.3. La questione dell’attore

Si è già accenntato al tema dell’attore, adesso cercheremo di capire come T.Ḥ. intenda il lavoro dell’attore e a cosa si rifersica quando parla di quegli “artisti”

che sono alla base del nuovo canone: narrratore, muqallid e panegirista, che sono performers, e in fondo i tipi di attore del nuovo canone.

Egli nega che il canone arabo possa annoverare attori come quelli comune-mente presenti nei teatri europei, o come anche in quelli egiziani e arabi.

Iniziamo, dunque, con la pars destruens, seguendo T.Ḥ. nel processo di de-costruzione dell’attore comunemente inteso:

Il muqallid è diverso dall’attore (mumaṯṯil). L’attore si camuffa (yata-qammuṣu) nel personaggio, mentre il lavoro del muqallid è il rovescio del camuffamento (taqammuṣ).249

Un primo dato che acquisiamo è dunque semplice: l’attore si traveste e si trucca, si rende irriconoscibile nella sua identità propria. Questo non sembra dire granché ma se sommato a quanto aggiunge poco dopo si chiarisce meglio qual sia il suo scopo:

247 Cfr. Ibidem.

248Ibi, M.K., vol. III, p.889, II.

249Ibi, M.K., vol. III, p. 889, I.

Poiché l’attore, quand’anche fosse dei più grandi e famosi, è prigioniero del suo metodo (uslūb) – sì da recitare sempre allo stesso modo, dipen-dendo dalle peculiarità vocali, recitative e di presenza scenica, che lo de-finiscono e lo fissano in una identità artistica rigida – tale rigidità si im-pone anche al pubblico.250

L’attore ha acquisito un metodo, una tecnica e la esegue. Cerca di superare la fissità delle sue interpretazioni utilizzando dei travestimenti, ma di fatto non genera interpretazioni nuove. Cambiano i dialoghi, mutano le scene e i costumi, ma la sua recitazione è sempre uguale. In breve, l’attore comunemente inteso è semplicemente un “professionista” che esegue un lavoro, ma non è un artista.

L’artista invece – e qui inizia la pars costruens – non ha bisogno di ausilî, egli crea da sé, gli basta il corpo e la voce. Il muqallid di cui parla T.Ḥ. è questo, un’artista che interpreta il personaggio attraverso il solo corpo e la sola voce.

Il muqallid non ha bisogno di ingannare il pubblico facendo credere di essere altro da sé con costumi o con il trucco, egli mostra il personaggio, che è altro da sé, nella verità di sé stesso. In altre parole, il muqallid, l’attore vero, è un “simbolo”, ha una sua identità specifica eppure è in grado di manifestare un altro da sé.

Proprio nell’essenza simbolica dell’attore si può trovare il senso vero del ter-mine muqallid. Una domanda da porsi infatti è perché T.Ḥ. non abbia scelto l’altro termine più forte che indica l’attore, mumaṯṯil (participio attivo maṯṯala, «impersona-re», «mettere in scena»). Vi sono diverse ragioni.

Certamente una prima ragione pregnante sta nella comune radice di mumaṯṯil e tamṯīl («rappresentazione», maṣdar, “nome verbale” di maṯṯala, «rappresentare»), termine, come abbiamo già visto, stigmatizzato da T.Ḥ. Maṯṯala inoltre esprime il senso della raffigurazione, della riproduzione, ha a che fare con la somiglianza este-riore. Connesso all’attività dell’attore è infatti il verbo taqammaṣa, che significa «ca-muffarsi» o «travestirsi»251, ma T.Ḥ. ribadisce più volte che il lavoro del muqallid è il rovescio del cammuffamento252.

Muqallid invece deriva dal verbo qallada, che significa «imitare», indicando con ciò una somiglianza, senza la pretesa di stabilire un’identità perfetta con ciò che si imita. Ciò che T.Ḥ. propone non è una raffigurazione esteriore (copia, miṯāl) dei

250Ibidem.

251 Un altro significato di questo verbo infatti è trasmigrare in un corpo.

252 «L’attore si camuffa (yataqammuṣu) nel personaggio, mentre il lavoro del muqallid è il rovescio del camuffamento (taqammuṣ)», Qālabu-nā, M.K., vol. III, p. 889, I.

personaggi presenti nelle opere teatrali, ma la verità intima (contrapposta all’inganno) del personaggio a cui si vuole dar vita. Taqlīd, a differenza di tamṯīl, in-fatti è «imitazione»253.

Il termine muqallid permette, quindi, a T.Ḥ. di concentrare il senso della so-miglianza profonda tra l’attore e il personaggio senza per questo concludere ad una loro confusione. Per questo motivo il canone prevede che tutti gli attori, già sulla scena all’inzio della performance, si presentino con il loro vero nome ed enuncino chiaramente quali personaggi impersoneranno: è un’esigenza di “chiarezza” iscritta nella cultura araba sin dall’antichità254.

Muqallid, inoltre, nel caso del lavoro dell’attore permette di mantenere il gio-co simboligio-co che il teatro richiede:

Egli entra nei suoi personaggi e, ad un tempo, se ne tiene a distanza. In-fatti, egli si trova, effettivamente, tra noi con la sua vera personalità, con i suoi vestiti abituali e con il suo vero nome. Egli tiene una misteriosa bac-chetta magica e prende a dire: «Io sono tal dei tali, ma adesso vi mostrerò chi è Amleto. Prestate bene attenzione!»255

In questa duplicità simbolica sta il vero lavoro dell’attore, il cardine della sua attività creatrice e la magia del teatro. Anche gli astanti sono catturati dentro questo feno-meno di creazione artistica. Il vero centro del teatro per T.Ḥ. risiede proprio qui, in questa attività creatrice dell’attore e dello spettatore:

Egli è simile ad uno scultore, ad un pittore, o ad un disegnatore, che, e-seguendo il suo lavoro, in nostra presenza dentro il suo laboratorio, ci permette di vedere come la pasta nelle sue mani prende forma, o come i colori vengono disposti armonicamente, o come le linee fanno apparire le forme. È un meraviglioso e delizioso lavoro. Si immagini, per esempio, un Leonardo da Vinci intento a ritrarre in nostra presenza l’enigmatico sorriso della Monnalisa! Noi seguiamo la sua mano: dinnanzi a noi essa si muove vivacemente per far apparire i lineamenti del volto e per rendere visibili i tratti interiori. […] E noi, mentre lo osserviamo modellare e cre-are il personaggio, vediamo che anche noi nel nostro intimo partecipiamo di quella forza creatrice e siamo elevati sul piano di una visione purificata [della realtà].256

253 Voce «qalada», in R. Traini, Vocabolario Arabo-Italiano, IPO, Roma 1993.

254 «Nella cultura araba classica, il racconto mimetico, dove l’autore si cancella per cedere la parola a degli esseri fittizi, non è ammesso, o più esattamente non è ammesso senza riserva: si provava il biso-gno di attirare l’attenzione sull’artificio che presiede alla sua nascita, come se il lettore, senza questo avvertimento, non potesse rendersi conto da sé di avere a che fare con una finzione», A. Kilito, Op.

cit., p. 6

255Qālabu-nā, M.K., vol. III, p. 889, I.

256Ibidem.

Però sono tre i performers del canone arabo, oltre al muqallid vi sono anche il narra-tore e il panegirista. Questi ultimi due compaiono spesso, ma T.Ḥ. non spende molte parole per descriverne bene le caratteristiche. Il narratore ha una funzione più che altro didascalica, introduce, spiega, ricostruisce lo spazio e il tempo della messa in scena. Il panegirista è chiamato in causa raramente, e costituisce più che altro una fi-gura a latere.

La terna riassume, a mio parere, il ventaglio completo delle macro-aree di e-sercizio del lavoro dell’attore-muqallid. L’attore del canone arabo sarà un muqallid-narratore-panegirista. Senza dubbio però la figura del muqallid riassume e concentra in sé le altre due. Non è un caso infatti che ne Qālabu-nā la descrizione dell’attività del muqallid occupi la gran parte dello spazio dedicato al lavoro dell’attore.

Questi «tre» riassumono in sé tutto il teatro del canone arabo, in questo senso T.Ḥ. parla di «teatro concentrato» (masraḥ murakkaz)257.

Funge da corollario a queste note il rapporto che il lavoro dell’attore (e il tea-tro in genere) intrattiene con le altre arti. In particolare sono due i passaggi in cui si parla delle arti:

Questa è un’arte pura, che si fonda sul semplice talento naturale e che non necessita di aiuti da parte di altre arti.258

È un arte “concentrata” (murakkaz). In tre soli artisti si concentra tutta la potenza espressiva e creativa.259

Il teatro nella visione di T.Ḥ. non costituisce una “sintesi delle arti”, esso mantenuto nella sua purezza e semplicità è solo arte teatrale. Tuttavia, il lavoro arti-stico dell’attore, esso è capace di essere una sintesi delle arti. Al teatro in sé non serve la pittura, la scultura, ecc., tuttavia nella purezza della creazione artistica esso è arte

“totale”. Infatti, l’attore è come uno scultore, o come un pittore che crea la sua opera d’arte.

È significativo, in questo senso, che una delle opere successive di T.Ḥ., Hārūn ar-Rašīd wa-Hārūn ar-Rašīd260 (1969), sia dedicata all’improvvisazione.

L’attenzione di T.Ḥ. si era decisamente spostata sul lavoro dell’attore, sulla cui liber-tà espressiva e creativa verte la possibililiber-tà di abbattere il muro che separa attore e

257Ibi, M.K., vol. III, p. 890, I.

258Ibi, M.K., vol. III, p. 888, II.

259Ibi, M.K., vol. III, p. 890, I.

260 La pièce è contenuta nel libro A. al-Rā‘ī, Tawfīq al-Ḥakīm. Fannā nal-furya… wa-fannān al-fikr, Dār al-Ḥilāl, Cairo 1969.

spettatore261.

***

A margine di questa trattazione, aggiungiamo solo una nota su un aspetto in-teressante: la “questione dell’attrice”. T.Ḥ. per la creazione del canone teatrale arabo si appella alle arti performative primitive del popolo arabo, per le quali, la donna non era usuale si esibisse. Egli però pur nel recupero delle arti “primitive” arabe introdu-ce la presenza di performers donne:

Da parte mia, ho aggiunto la muqallidātiyya, cioè la presenza di un’attrice (muqallida [f. di muqallid]) per le parti femminili.262

Questa scelta appare dettata, da un lato, dall’impossibilità di cancellare l’esistente, le donne infatti già da tempo recitavano nei teatri arabi e non se ne vedeva il motivo di escluderle. Dall’altro, se uno dei criteri su cui si basa il nuovo canone è la verità e l’esclusione dell’inganno (compresa l’esclusione del trucco ecc.), allora le parti femminili devono necessariamente essere messe in scena da attrici.

Nel documento N CANONE PER IL TEATRO ARABO U (pagine 113-117)