L’idea di scrivere la pièce, concepita da Eduardo nel 1953 e «rimasta
vent’anni in un cassetto senza lasciarsi contaminare dalla polvere»130
, si concretizzò
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Ivi, p. 93.
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il 19 dicembre 1973, quando la commedia debuttò in anteprima, per poi essere rappresentata in prima mondiale il 21 dicembre presso il Teatro fiorentino La Pergola, dove fu accolta molto positivamente. Con il Maestro nel ruolo del protagonista e alla regia; il figlio Luca - nascosto dietro lo pseudonimo Dalla Porta - nei panni dell’antagonista Furio La Spina e aiuto regista; le scene di Alfonso La Fera; i custumi di Mino Maccari e le musiche di Roberto De Simone; al successo della messinscena contribuirono la bravura di attori quali Marilù Prati (Secondo studente e Cucurullo); Patrizia D’Alessandro (Terzo studente e Bonaria); Isa Danieli (Cantante di strada e Piciocca); Franco Angrisano (Girolamo e Professor Nero); Nunzia Fumo (Amneris e Contessa Maria delle Grazie Filippetti Ullèra); Gennaro Palumbo (Stanislao, Don Ciccuzza e Primo ritardatario); Angelica Ippolito (Gigliola) e molti altri ancora.
Se a Firenze la commedia riscosse un favore di cui andar fieri, fu però alla seconda tappa romana presso il Teatro Eliseo - a partire dall’11 gennaio 1974 - che si manifestò appieno l’affettuoso calore con cui il pubblico omaggiava l’artista partenopeo: ogni replica registrò un clamoroso tutto esaurito con ben dodici giorni di anticipo e inesauribili file al botteghino. D’altronde a testimoniare la fortuna dell’opera è sufficiente la proverbialità con cui il titolo è entrato a far parte della
A dare per primo notizia del testo che l’autore andava meditando fu Raul Radice in un articolo apparso sul settimanale milanese «Europeo» del 22 gennaio 1953. Riflettendo sull’intempestività dell’opera, Luigi Compagnone ipotizza – dalle colonne del numero del 22 dicembre 1973 del «Corriere della Sera» – che a trattenere l’autore dal darle forma drammaturgica possa essere stato l’«inconscio pudore di una prova per molti aspetti «autobiografica»». Prosegue infatti il giornalista: «Che le commedie di Eduardo rivelino spesso l’intimo dello scrittore-attore è risaputo. [...] Ma ne Gli esami non finiscono mai l’autobiografismo s’infittisce abbracciando un arco di tempo ampio e significativo – mezzo secolo – per raccontare le vicissitudini di Guglielmo Speranza, brandelli di vita messi ad asciugare al sole avaro che filtra in un vicolo. [...] La confessione è spontanea e totale». In realtà la ragione di questo ritardo è un’altra, come dichiarò lo stesso De Filippo in un’intervista concessa a Giorgio Prosperi nel febbraio del 1974: «Il soggetto era pericoloso. Vi si rappresentava una famiglia senza tanti complimenti, in modo negativo, e allora la morale era ancora chiusa, i gusti non erano evoluti come adesso». [G. Prosperi, Sette domande a Eduardo, in «Il Tempo», Roma, 17 febbraio 1974. L’articolo è citato in A. Barsotti, Eduardo drammaturgo (fra mondo del teatro e teatro del mondo), Bulzoni, Roma, 1988, p. 491].
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lingua d’uso131
, dimostrazione di come De Filippo abbia realmente creato, attraverso la figura e la vicenda del protagonista, un simbolo dell’umanità intera.
Eduardo dovette però interrompere le rappresentazioni romane quando, novello Molière, le prime avvisaglie di un malfunzionamento cardiaco lo colsero proprio mentre interpretava il ruolo del malato immaginario Guglielmo Speranza. Sarà lui stesso a raccontarlo a Renzo Tian in un’intervista del 28 febbraio 1974:
Mi è successo almeno tre volte, sempre mentre stavo recitando. Era come una brevissima perdita di coscienza – forse tre o quattro secondi – che seguiva uno sbadiglio. L’ultima volta [...] devo avere avuto il mancamento proprio mentre [l’attore che impersona il prete] si nascondeva [dietro la poltrona] e nel momento di tornare in me la prima cosa che ho sentito è stata la sua voce che chiamava “Don Guglielmo...”. Non riuscivo a raccapezzarmi, perciò invece di rispondere come vuole il copione “Chi è”, devo aver detto un paio di volte “Che vuoi? Che vuoi?” come si risponde ad un intruso, quando si esce da un sogno132.
Ma non passarono venti giorni dall’intervento chirurgico che l’autore- interprete tornava a calcare le assi del palcoscenico su cui si era spesa la sua intera esistenza - ciò che costituisce, a parer nostro, la più autentica e struggente dichiarazione d’amore per il proprio mestiere e che, esprimendo al meglio la ferrea volontà di dar tutto al proprio pubblico, scaccia via in blocco le accuse di misantropia stancamente rivolte a Eduardo soprattutto negli ultimi anni della sua carriera.
La commedia tornò quindi ad animare le scene italiane già nell’anno successivo, ospitata dal Teatro San Ferdinando di Napoli prima, e poi di nuovo dall’Eliseo a Roma, finché, nel 1976, ne apparve persino un’edizione televisiva. I principali interpreti restarono sostanzialmente gli stessi dell’esordio fiorentino
131Titolo che, schivando con destrezza le sabbie mobili dell’astratta letterarietà, sa cogliere nel segno
e imprimersi nella mente di spettatori e lettori con quell’incisività propria della battuta; tanto che scrive Anna Barsotti: «L’attore che è dentro il drammaturgo gli fa sempre scegliere titoli-battuta, i quali non a caso penetrano nella memoria collettiva, trasformandosi in detti proverbiali, in formule quasi magiche». [In Eduardo:affabulazione e silenzi, in Sabato domenica e lunedì. Eduardo De Filippo, teatro vita copione e palcoscenico, Atti del Convegno di Studi svoltosi presso l’Università di Roma “La Sapienza” nelle giornate comprese tra il 27 e il 29 ottobre 2001, a cura di Silvia Ortolani, Bulzoni, Roma, 2008, p. 163].
132R. Tian, Auguri Eduardo, in «Il Messaggero», 28 febbraio 1974. Il brano è citato dalla Barsotti
nella Nota storico-critica a Gli esami non finiscono mai, contenuta in Cantata dei giorni dispari, vol. III, Einaudi, Torino, 2006, p. 516.
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(Stanislao, Amneris e Piciocca vennero però rappresentati rispettivamente da Gino Maringola, Linda Moretti e Marisa Laurito), ma ciascun attore rivestì un solo ruolo: le doppie parti furono infatti eliminate. A sostituire Luca De Filippo come aiuto regista fu Anna Maria Campolonghi e di costumi e scenografia si occupò Raimonda Gaetani.
Ulteriore motivo di orgoglio fu l’approdo dell’opera presso il Teatro Vachtangov della lontana Mosca, nel 1977.