CAPITOLO 5. LA NARRAZIONE COME SCAMBIO INTERCULTURALE ED
5.2. Raccontarsi L’autobiografia come cura di sé
“A differenza dei grandi generi letterari, epica, romanzo, dramma, saggio, lirica, l’autobiografia permette l’accesso ad ogni persona in grado di scrivere. Tutti abbiamo una biografia, e anche una matita.”235
Manfred Schneider
In una scuola di italiano per migranti, l’insegnante non deve farsi intimorire dal fatto che i componenti della classe possiedano una conoscenza limitata della lingua per mezzo della quale viene richiesta la narrazione di episodi e tematiche relative al proprio vissuto e alla quotidianità nella quale sono inseriti. “Se si dà valore alla lingua nel suo aspetto comunicativo, anche con pochissime parole le persone tendono a raccontare qualcosa di sé.”236
La narrazione, intesa in questo caso nella sua forma di produzione scritta, raggiunge risultati che vanno ben oltre il semplice esercizio della chiarezza espositiva e del rispetto delle regole grammaticali:
- la narrazione scopre o riscopre vissuti, saperi, visioni del mondo che ognuno porta con sé - la narrazione facilita l'immedesimazione e l'empatia
- la narrazione relativizza il proprio vissuto iscrivendolo nella storia collettiva
- la narrazione connette e riordina gli elementi frammentari dell'esperienza facendo perdere al caos il carattere minaccioso e restituendogli una forma
- la narrazione riflette la propria relazione con il mondo
- la narrazione restituisce corpo e voce al protagonismo di tutti237
Narrarsi è una forma di comunicare profondamente e intimamente legata all’espressione del sé. Consiste in un esercizio di “ginnastica interiore”238 che permette di compiere due operazioni: una retrospezione relativa a fatti e avvenimenti passati che tornano alla memoria nel momento stesso in cui saranno articolati ed inseriti all’interno del racconto; e una nuova interpretazione di quelli, relazionati a contesti e cause che
235
D. DEMETRIO, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina Editore 1996, p. 131
236 L’apprendimento esperienziale, testo contenuto nella sezione “creare contesti di apprendimento” dal
sito di Asinitas Onlus http://www.asinitas.org/apprendimento_esperienziale.html
237 Proposte formative, testo contenuto nella sezione “la formazione” dal sito di Asinitas Onlus
http://www.asinitas.org/proposte.html
238 D. DEMETRIO, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina Editore
forniscono all’ascoltatore o al lettore un quadro chiaro delle motivazioni e delle scelte compiute dall’autore.239
Tutto questo ci pone dinnanzi all’emergere del soggetto come ricercatore di sé stesso e, quindi, come esploratore della propria storia: in una suggestiva “pedagogia della memoria” o, meglio, in un’avventura che si rivela ben presto auto formativa. Apprendere da sé stessi, ritrovare le proprie ragioni esistenziali, interrogarsi sul testo metaforico che ciascuno – adulto o bambino – lascia dietro di sé per rintracciare la propria, personalissima, trama vitale.240
Con la scrittura narrativa, autobiografica, ci si interroga su sé stessi e sui mondi di cui si fa parte. Il raccontarsi costituisce una forma libera di espressione della propria identità, non mediata da parole fornite da altri o da espressioni calate dall’alto, chiarificatrici, forse, ma al tempo stesso spersonalizzanti.
“Scriversi è darsi un volto, un’identità, una forma. L’autobiografia è processo educativo, auto educativo nel senso di formativo”241 in quanto chi scrive la propria storia, oltre a condividere tracce del proprio vissuto, intraprende un percorso riflessivo e linguistico finalizzato ad una maggiore comprensione di quanto gli è accaduto in passato e di quanto continua a vivere nel presente. Il migrante, nel raccontarsi, “porta alla luce le emozioni e il disorientamento, manifesta lo stupore delle scoperte e il cammino di costruirsi/definirsi tra il qui e l’altrove, sentendosi talvolta di nessun paese.”242
I portati autobiografici degli studenti della scuola di italiano L2 evidenziano ciò che, nonostante le diverse aree di provenienza e radici culturali, i migranti hanno in comune, ad esempio l’esperienza del viaggio e la cesura con un passato ancora vivo e attuale, e ciò che invece li differenzia e caratterizza la singolarità e l’unicità di ciascuno di loro.
Le narrazioni autobiografiche (…) permettono a ciascuno di conoscersi e di conoscere; riattivano i ricordi e propongono i progetti, portano a galla parti di sé fino a quel momento lasciate in un canto. L’attenzione alle storie degli altri e alla propria induce inoltre ciascuno a riscoprire il valore di ogni trama: fatti, ricordi, sensazioni, riti, pensieri formano il tessuto della propria identità e definiscono la singolarità preziosa di ogni cammino. 243
239 Cfr. Ivi, p. 18
240 Cfr. D. DEMETRIO e G. FAVARO, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi,
Milano, Franco Angeli 2002, p. 70
241 F. CAMBI, L’autobiografia come metodo formativo, Bari, Editori Laterza, 2002, p.16
242 D. DEMETRIO e G. FAVARO, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi,
Milano, Franco Angeli 2002, p. 140
243
Per mezzo dei racconti autobiografici prodotti e condivisi dagli alunni con l’insegnante e gli altri compagni, si attiva il processo di ricostruzione e ridefinizione identitaria, necessario a quei soggetti che, protagonisti di una scelta migratoria che incide fortemente sulla visione di se stessi e del mondo nel quale si collocano, rischiano in alcuni momenti di perdere l’orientamento del proprio Io e scadere così da un ruolo attivo di protagonisti ad un ruolo passivo dettato dallo smarrimento personale e sociale. L’autobiografia è dunque una pratica curativa e lenitiva che ben si sposa ad essere sperimentata con questi soggetti, poiché inevitabilmente più vulnerabili di altri sotto il profilo comunicativo-identitario.
È dunque un “processo ricostruttivo e interpretativo dell’io, attivo a inaugurare una nuova identità”.244 Affrontando un percorso di ri-pensamento e ri-elaborazione posteriore rispetto al vissuto, il migrante volge da una condizione di doppia assenza, già citata nei primi paragrafi, a una condizione di doppia presenza: “è presente a sé stesso in quanto ridescrittore di ciò che ha fatto, detto, incontrato (ecc.) nonché l’unico autorizzato a raccontare quanto gli è accaduto di vivere e in quanto interprete”.245
Narrarsi è portare alla luce la propria essenza nella sua forma più pura, osservandosi in profondità e relazionandosi agli eventi che hanno costituito i crocevia del nostro cammino. "La narrazione rivela il significato senza commettere l'errore di ridefinirlo"246, sosteneva Hannah Arendt247, lasciando liberi nell’interpretazione senza che nessuno possa interferire e stravolgere la nostra personale visione del mondo. Lo stesso insegnante dovrà essere abile nell’approfondire e nell’analizzare il portato degli studenti, che in molti casi sarà denso di emozioni forti, dettate dalla nostalgia di casa, dai traumi legati al passato, dall’esclusione nella società di approdo ecc., e, allo stesso tempo, non dovrà ricoprire il ruolo di arbitro e osservatore esterno, ma sarà egli stesso il primo a mettersi in gioco, a sviluppare testi autobiografici e a condividerli con il gruppo classe. Solo in questo modo si genererà una relazione paritaria che, avvertita dagli alunni, permetterà la piena e libera circolazione dei propri vissuti, senza il timore di essere ascoltati da orecchie distanti, che non partecipano e giudicano.
244
F. CAMBI, L’autobiografia come metodo formativo, Bari, Editori Laterza, 2002, p.17
245 D. DEMETRIO e G. FAVARO, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi,
Milano, Franco Angeli 2002, p. 70
246
Finestre di metodo, testo contenuto nella sezione “la formazione” dal sito di Asinitas Onlus
http://www.asinitas.org/finestre.html
247 Hannah Arendt (Linden 1906 – New York 1975), filosofa, teorica politica e storica tedesca
naturalizzata statunitense. Opere principali: Vita activa. La condizione umana, Le origini del
Abituato a eseguire ordini e consegne, relegato a un ruolo passivo a causa della scarsa conoscenza linguistica che ne limita nei primi mesi il protagonismo, il migrante è solitamente a contatto con una lingua povera, esclusivamente trasmissiva che ne fa un ricettore passivo. I fattori affettivo-emotivi scarseggiano in queste interazioni e la figura del migrante viene ben presto interpretata come ricettore passivo. Attraverso il racconto autobiografico, egli impara a sperimentare l’uso della lingua italiana per l’espressione di sensazioni, sentimenti e eventi legati alla propria persona e portatori di un grande carico emotivo. Da un lato intraprende un’esperienza autobiografica altamente formativa che genera consapevolezza di sé e del proprio “percorso sociale, interpersonale e interiore”248 che va ridefinito e ripensato; dall’altro lato inizia ad esercitarsi nell’utilizzo di una lingua non più funzionale ai soli bisogni materiali e a sbrigare faccende burocratiche, ma a raccontare di sé e a riacquistare presenza in un mondo che tende a renderlo invisibile.