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CAPITOLO 4. COLTIVARE LA LINGUA DIDATTICA DELL’ITALIANO L

4.3. Tecniche dell’ascolto attivo ed empatico

Marianella Sclavi, nello splendido libro di cui è autrice “L’arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte”, ripete, alla fine di ogni capitolo, le sette regole dell’arte di ascoltare:

1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.

2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.

3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.

4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico.

5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze.

6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.

7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo vien da sé.188

Il primo punto si ricollega direttamente a quanto sostenuto nel paragrafo precedente, per due motivi: dal un lato, invita a non avere fretta di arrivare a delle conclusioni, proprio come, nel paragrafo riguardante la programmazione didattica, si è presentata la “fretta” e l’eccessiva compressione di argomenti complessi in un tempo ristretto come un forte limite all’apprendimento; dall’altro lato, utilizza un termine, “ricerca”, molto caro a tutte le metodologie che ruotano intorno all’istruzione non-formale e comunicativa. Il processo di apprendimento è innanzitutto un processo di ricerca, di esplorazione in gruppo e di sperimentazione. Non un processo di distribuzione di conoscenze certe e assodate.

Il secondo punto richiama l’ottica etnocentrista con cui molte volte, spesso inconsciamente, ci poniamo e osserviamo l’Altro. Le cornici culturali implicite, che ci

188 M. SCLAVI, L’arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte,

portano a ragionare e reagire in un determinato modo, si esplicitano quando siamo portati a confrontarci con il diverso, con chi quelle cornici esplicite non le possiede. Questo ci da l’opportunità di renderci conto di tutta una serie di presupposti culturali che guidano il nostro agire in società. Entrando in comunicazione con l’Altro, ci confrontiamo con un punto di vista diverso dal nostro, che ci offre una base di osservazione della realtà diversa dalla panoramica in cui siamo calati normalmente. Imparare ad osservare la realtà e ad osservarci con un altro punto di vista, ci arricchisce, poiché ci consente di vederci da un’altra angolatura, scoprendo caratteristiche dell’Io e della società in cui viviamo prima nascoste, perché talmente implicite da divenire invisibili.

Abbandonare il proprio punto di vista non è certo un compito facile, chiede di sperimentarsi in un approccio nuovo, di avvicinarsi ai problemi in un’altra ottica e di stravolgere l’inevitabile assegnazione di senso giusto/sbagliato. Il terzo punto ci guida verso questo sforzo, nel partire dal presupposto che l’altro ha ragione, anche se obiettivamente fatichiamo moltissimo a comprendere prima e giustificare poi le sue riflessioni e le sue azioni.

Non solo, poiché nel caso in cui, nonostante i nostri sforzi, non riuscissimo a comprenderne il punto di vista, non dovremmo rassegnarci e abbandonarci all’impossibilità di un dialogo interculturale troppo complicato, bensì dovremmo avere l’umiltà di chiedergli di mostrarci la sua visione delle cose, di spiegarcela con pazienza, come si fa con i bambini.

Il quarto punto svela il mondo delle emozioni e le eleva a “strumenti conoscitivi fondamentali” qualora fossimo esperti nel comprendere il loro linguaggio.

Le emozioni sono assolutamente escluse come oggetto di studio da qualsiasi percorso scolastico. Ciò che più si avvicina all’indagine emotiva sono i testi dei licei artistici in cui si analizzano le conseguenze che l’emozione genera a livello estetico-muscolare al fine di saperle meglio cogliere e rappresentare. In campo di comprensione emotiva siamo assolutamente ignoranti, basandoci solo sull’autoapprendimento.

L’emozione non è la conseguenza diretta dell’osservazione di un fenomeno, “non ci informa su cosa guardiamo”, ma su come guardiamo. La maggior parte di noi, invece, interpreta l’emozione come un dato di fatto, un effetto incontrollabile che deriva direttamente da un input esterno oggettivo e immodificabile.

Un buon ascoltatore deve esplorare i campi che smuovono le sue certezze, che gli provocano fastidio e irritazione, perché faglie tra placche tettoniche differenti, ovvero

fra la nostra cultura e quella dell’Altro. Il quinto punto ci invita a non fuggire quando si presentano questi segnali marginali e fastidiosi, ma fare un passo avanti, entrare nel conflitto ed esplorare le diversità. Agendo in questo modo, il fastidio e l’irritazione andranno via via scemando e saranno sostituiti da nuove sensazioni positive, di curiosità e avvicinamento al diverso che oramai non spaventa.

Una delle storie più significative ed efficaci riguardanti l’arte di ascoltare è quella di quel giudice saggio di fronte al quale furono portati i due litiganti. Il giudice ascolta il primo litigante con grande concentrazione e attenzione e “Hai ragione”, gli dice. Poi ascolta il secondo e “Hai ragione”, dice anche a lui. Si alza uno del pubblico: “Eccellenza, non possono aver ragione entrambi!”. Il giudice ci pensa sopra un attimo e poi, serafico: “Hai ragione anche tu!”.189

Sesto punto: “un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione” e affronta le incomprensioni e le contraddizioni come occasioni per una gestione creativa del conflitto.

Il conflitto nasce in seguito alla contraddizione degli obiettivi: il raggiungimento del mio obiettivo impedisce il raggiungimento del tuo, e viceversa. Bloccati in questa situazione non si vede altra fuoriuscita se non la prevaricazione e l’utilizzo di una forza, più o meno violento, o un compromesso che porti entrambi alla parziale soddisfazione dei propri obiettivi di partenza.

Imparare a gestire i conflitti creativamente costituisce una pratica completamente diversa da quella in voga da secoli nella nostra società occidentale e applicata tutt’oggi in campo giuridico: vince A, vince B o si dividono, più o meno equamente, la posta in gioco. Gestire i conflitti creativamente significa prima di tutto esplorare le motivazioni profonde di entrambe le parti e, partendo dal presupposto che non c’è chi ha ragione e chi ha torto, dedicarsi all’immaginazione di possibili scenari concreti e realizzabili in cui la contraddizione di partenza venga superata e il conflitto trasceso.

Per concludere, a proposito dell’ultimo punto: “chi ride con humour, ride prima di tutto di sé stesso, della propria precedente rigidità, di essersi lasciato catturare da uno, ritenuto l’unico esistente, dei molti modi possibili di inquadrare gli eventi”190. La scuola di italiano per migranti è una palestra, un universo di mondi possibili, nel quale esercitarci a sorreggere, comprendere e rispettare tutte le differenti emozioni che i ragazzi condividono, ponendosi con orecchie e occhi di chi sa ascoltare.

189 Ivi, p. 9 190