mettendo a sistema dati strettamente filologici con le testimonianze desumibili
dall’epistolario dell’umanista circa la genesi della traduzione, e proponendo una
soluzione al problema che nel complesso può giudicarsi accettabile, per quanto forse
bisognosa di ulteriori verifiche. Per quanto concerne il testo latino di riferimento, i due
studiosi francesi hanno assunto come base il ms. della BNF di Parigi lat. 5689 (= P
1),
controllandone «les leçons significatives» sul Vat. lat. 1812 (= V
2), e alcune
«problematiques» sul Vat. lat. 1811 (= V
1), appartenente alla seconda famiglia di
Bertrac; i risultati di questi sondaggi consentono, secondo Marcotte e Cohen-Skalli, di
confermare la validità almeno della prima famiglia di Bertrac.
109Il contributo è basato
su un energico rifiuto dell’ipotesi secondo cui Poggio avrebbe avuto a disposizione un
ottimo manoscritto perduto, il fantomatico p da collocarsi in posizione stemmatica
assai rilevante; esclusa con fermezza questa possibilità, l’articolo muove a dimostrare
che l’umanista svolse il lavoro di traduzione contaminando manoscritti tutt’ora noti,
appartenenti ai piani bassi della tradizione.
110Nucleo fondamentale dell’articolo è la
107B. Eck, Notice preposta a DIODORE DE SICILE II (ed. Eck), pp. LXV-LXVIII. 108COHEN-SKALLI –MARCOTTE 2015.
109Ivi, p. 69.
110Si tratta con tutta evidenza, direi, di uno sviluppo della soluzione al problema proposta in nuce già nel 1993 da Pierre Bertrac, il quale, come si è visto sopra, aveva sì preso in considerazione l’ipotesi dell’esistenza di un optimus p, ma l’aveva poi rifiutata, opponendovi quella della contaminazione di almeno tre manoscritti (sulla cui identificazione forniva però solo qualche possibile suggerimento). Sorprende dunque il fatto che i due studiosi francesi abbiano incluso anche e anzi soprattutto Bertrac fra i sostenitori della teoria dell’unico manoscritto perduto p, oggetto precipuo della loro confutazione. Cohen-Skalli e Marcotte sembrano infatti aver inteso che Bertrac avesse accettato sia l’ipotesi di p, sia quella della contaminazione: quest’ultima si configurerebbe cioè nei termini di un uso sussidiario di tre manoscritti in aggiunta al ms. base p. I due studiosi riassumono infatti così la posizione del loro predecessore: «le schéme se complique ainsi: Poggio aurait suivi p, t o u t e n c o n t a m i n a n t s o n t e x t e p a r p l u s i e u r s a u t r e s s o u r c e s, qu’il s’agit de déterminer». Le poche pagine di Bertrac mi paiono invece molto chiare e non mi sembra possa esserci dubbio circa il fatto che egli considerasse le due ipotesi come in reciproca opposizione, alternative l’una all’altra, non sovrapponibili; e, fra le due, egli risolveva per la seconda. D’altronde, si è visto che Bernard Eck nel 2003 decise di non dare rilievo alle lezioni della versione poggiana proprio in ragione del fatto che essa era stata assai verosimilmente
proposta – frutto di un’intuizione di Aude Cohen-Skalli – di individuare la fonte greca
principale di Poggio nell’attuale ms. Vat. gr. 995 (siglato O),
111codice databile al 1427.
Appartenuto al già menzionato Cristoforo Garatone, che probabilmente lo portò in
Italia da Costantinopoli nel 1428 (cfr. l’Introduzione), il manoscritto entrò poi nella
biblioteca di Niccolò V, che al momento di commissionare la traduzione potrebbe
averlo consegnato all’umanista. O è caratterizzato dalla particolarità di collocarsi
all’incrocio fra la famiglia di L (= Laur. Plut. 70.1) e quella di D (= Neapolitanus suppl.
gr. 4).
112Richard Laqueur e Pierre Bertrac hanno infatti dimostrato che il codice è
frutto della contaminazione di due antigrafi usati alternatamente a scopo sussidiario:
113esso è infatti stato esemplato sul ms. Laur. 70.34 (< famiglia L, versione definita
«expurgé» da Bertrac, in quanto epurata di alcune sezioni mitologiche, ritenute
menzognere)
114dall’inizio a I. V, 3, da I. XXIX, 6 a I. XCVI, 1, per tutto il libro II e
per il III solo fino a III. LV, 8. Le parti mancanti nel Laur. 70.34 sono state integrate
dal copista del Vat. gr. 995 sull’Ambrosiano F 110 sup. (< famiglia D),
115da cui dunque
sono stati desunti i passi da I.VI, 1 a I. XXIX, 6 e da III. LV, 8 a V. LXXXIV, 1 (fino a
κατέσχεν: qui si interrompono infatti D e i suoi discendenti).
116Il quinto libro presenta
una situazione particolare: da V. I. a V. XLVI, 2 il copista del Vat. gr. 995 (O)
sembrerebbe aver usato in modo congiunto il Laur. 70.34 e il ms. ambrosiano, senza
che si possa determinare quale sia stata la fonte principale; a V. XLVI, 2 i mss. della
famiglia L però si arrestano, dunque da lì alla fine O segue unicamente l’ambrosiano
(fino a κατέσχεν, V. LXXXIV, 1). Aude Cohen-Skalli offre nell’articolo una sessantina
di esempi che dimostrerebbero la discendenza della traduzione di Poggio da O,
concentrandosi soprattutto sul V libro, l’unico collazionato interamente poiché, come
si è visto, gode di una situazione particolare, in quanto è ‘contaminato’ fino a V. XLVI,
2, mentre nel seguito le lezioni desunte da L spariscono.
117Degli esempi illustrati solo
pochi possono a rigore ritenersi significativi, poiché nella maggior parte dei casi citati
il testo di Poggio si dimostra sì in accordo con O, ma la concordanza si verifica su
lezioni corrette, condivise peraltro da almeno altri due o tre manoscritti-capostipite
greci. Tuttavia, in sette casi la concordanza avviene effettivamente in errore ed è
dunque significativa, anche se l’errore non è singularis di O, bensì condiviso con il
capostipite della famiglia cui appartiene il modello seguito in quel punto da O (il Laur.
70.34 < L, o l’Ambrosiano sup. 110 < D): ma ad essere indicativa è, comunque, proprio
condotta sulla base di una contaminazione fra più manoscritti greci, che erano da ricercarsi fra i mss. apografi dei quattro principali capostipiti; nel concludere citava, giustamente, quanto già suggerito da Bertrac. Il fraintendimento della posizione di Bertrac non toglie in ogni caso valore a quanto di nuovo il contributo di Marcotte e Cohen-Skalli apporta alla conoscenza delle fonti greche di Poggio.
111Ivi, pp. 79-86; descrizione del codice e alcune considerazioni in merito alla cronologia a pp. 82-85. 112Cfr. lo stemma di Bertrac riprodotto in fondo alla tesi, dopo l’Appendice 3.
113Cfr. DIODORE DE SICILE I (ed. Bertrac), pp. XCV-VI e BERTRAC 1993 (recensione a LAQUEUR 1992), pp. 211-13.
114Ivi, pp. LXXXI-II. 115Ivi, pp. LXXXII- III. 116Ivi, pp. LXXVIII-IX.