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sembrano da soli conservare contro l’intera tradizione la lezione originaria corretta, oppure, in alternativa, rivista sul testo greco Ecco i tre casi, che discuto in calce a

ciascuno di essi:

537I mss. C e F

6, legati da ulteriore rapporto di parentela (cfr. infra la TAVOLA 8) hanno cercato di sanare il passo mutando il successivo decrevere in divertere.

C F6 Li Pr et alii

Bibl. st. I. XXV, 1

Καθόλου δὲ πολλή τίς ἐστι διαφωνία περì τούτων τῶν θεῶν

Libro I

Sed varia est de his diis opinio (va˜ia A)

I (f. 12r Pr)

vana

Il passo è inserito nel contesto di una serie di capitoli (Bibl. st. I. XXIII-XXV) in cui Diodoro parla del grande disaccordo che corre fra Greci ed Egiziani per il fatto che ciascuno dei due popoli vorrebbe attribuirsi le origini di alcune divinità e celebri personaggi mitologici (Eracle, Dioniso, Cadmo, Perseo, Io ecc.); altrettanta confusione e disomogeneità di pareri vige in merito ai nomi conferiti a queste divinità. La traduzione di Poggio è, come di consueto, piuttosto libera, ma direi che con buon margine di probabilità si può stabilire che la lezione autentica sia varia, non vana (quest’ultima forse potrebbe salvarsi solo intendendo l’agg. vanus, -a, -um nel senso di ‘incostante, volubile’, cfr. FORCELLINI, Lexicon, vol. IV, p. 912; ma tale accezione è in genere riferita a persone,

non a cose, e comunque è decisamente deterior rispetto a varius, -a, -um). Credo che vana in luogo di varia si fosse infiltrato nella tradizione già al livello dell’archetipo idiografo, per scorretta lettura del nesso ri > n (tipologia di errore tutto sommato banale e di per sé poligenetica, che però, si badi, abbiamo visto caratterizzare anche altre mende uniformemente attestate nella tradizione del testo, cfr. supra § I.7.1). L’errore può essere sfuggito alla revisione poggiana anche perché nel contesto del passo non desta eccessivo sospetto. E infatti nel ms. Pr – la cui correzione autoriale, come si è già rilevato, non è del tutto sistematica e omogenea – Poggio sembra non essersi avveduto dell’errore; tuttavia, il notabilium che egli appone a margine del codice in quel punto preciso recita proprio «varia unius dei nomina»; si può anche pensare che l’aggettivo varia nella nota si riferisca solo ai diversi nomi che vengono attribuiti alle divinità, di cui si discorre subito di seguito, e rispetto ai quali la frase «sed varia [vana?] est de his diis opinio» rappresenta un’introduzione, ma la coincidenza mi pare davvero notevole. La lezione varia, che tenderei dunque senz’altro a considerare originaria, appare quindi isolata in una sezione del ramo g della famiglia α oggi rappresentato da C F6 eLi (cui si unisce, credo fortuitamente, il ms. A, che fa parte della fam. b ed è molto scorretto, forse contaminato: legge ua˜ia con abbreviazione ondulata). Dal momento che non si può dubitare della dipendenza dei tre suddetti mss. da α, di cui essi presentano tutti gli errori caratterizzanti, si deve ipotizzare che il copista dell’esemplare a monte di C F6 e Li sia stato capace di una felice congettura, oppure che su quel manoscritto qualcuno fosse intervenuto con alcune correzioni. Si vedano gli altri due casi a seguire.538

538Anticipo, a latere, che questa lezione di C F6 eLi sarà ripresa nel § IV.3 per discutere un passo del volgarizzamento B.

C F6 Li Pr et alii

Bibl. st. III. VIII, 6

Τροφῇ δὲ χρῶνται τινὲς μὲν λαμβάνοντες τὸν γεννώμενον ἐν τοῖς ὕδασι καρπόν, ὃς αὐτοφυὴς ἀνατέλλει περί τε τὰς λίμνας καὶ τοὺς ἑλώδεις τόπους, τινὲς δὲ τῆς ἁπαλωτάτης ὕλης τοὺς ἀκρεμόνας περικλῶντες, οἷς καì τὰ σώματα σκιάζοντες περì τὰς μεσημβρίας καταψύχουσιν Libro IV

Cibis utuntur quidam herba que in aqua sua sponte circa stagnantia ac paludosa oritur loca, quidam extremitatibus tenerrimarum [tenerrimorum Li] arborum, quibus etiam

corpora ab estu meridiano circundant

IV (f. 70r Pr)

ex arborum fructibus B P2 N1

V1; arborum fructibus *Bo (Bo1 Lo) Ve + tutti i mss. β La lezione di C F6 eLi traduce perfettamente il greco τῆς ἁπαλωτάτης ὕλης τοὺς ἀκρεμόνας, mentre il resto della tradizione (con leggera variante in B P2 N1 V1, sui quali tornerò dopo) presenta una lezione accettabile ma senza dubbio deterior; non mi risultano infatti attestazioni di fructus come ‘ramo, virgulto’ e, se anche supponiamo che Poggio abbia volutamente innovato, bisogna comunque rilevare che il significato generico di ‘frutto’, ‘prodotto’ degli alberi è sì assai perspicuo come predicativo di cibis utuntur (e riprende tra l’altro il termine καρπόν, che risulta assente nel primo membro della frase latina, perché tradotto innovativamente con herba), ma lo è meno in relazione a corpora…circundant. Prescindendo per un momento dalla posizione di C F6 e Li e concentrandoci sull’analisi delle due lezioni contrapposte, inizierei con l’osservare che, se si suppone che la lezione originaria presente nell’archetipo di Poggio fosse extremitatibus tenerrimarum arborum, per arrivare a arborum fructibus attestato nel grosso della tradizione si potrebbe ipotizzare una caduta di extremitatibus tenerrimarum per omoteleuto di desinenza con arborum; si dovrebbe però anche supporre che, ai livelli alti della tradizione, a tale pericope sia stato aggiunto congetturalmente fructibus (concordato con il successivo quibus), per ovviare alla mancanza di senso prodotta dalla caduta («cibis utuntur quidam herba…quidam [ex] arborum, quibus etiam corpora ab estu meridiano circundant»). Considerato però che, come si è già osservato, fructibus recupera il greco καρπόν non tradotto nella prima parte della frase, e dal momento che Poggio è tutt’altro che alieno da traduzioni innovative e approssimative, soprattutto quando si trova in difficoltà di fronte a un passo greco che gli risulti poco chiaro, non ritengo implausibile che arborum fructibus possa rappresentare la traduzione originaria di Poggio, e che quella attestata in C F6 eLi sia una lezione ricostruita sulla base del testo greco al livello dell’antecedente comune ai tre mss.; quest’ultimo, peraltro, al di là di questi tre passi problematici che si stanno prendendo in esame separatamente, anche in altri luoghi del testo sembra in generale caratterizzato da un’indole tendente alle innovazioni (si connotano infatti come tali alcune delle lezioni illustrate sopra nella TAVOLA 7, anche se in questi casi l’innovazione è difforme dal testo greco originale). In ogni caso, dal momento che si è dimostrato in base a una serie nutrita di corruttele che i mss. C F6 Li dipendono da g e – più in alto in un ipotetico stemma – da α, non mi pare che la presenza della lezione extremitatibus tenerrimarum arborum che risulta corretta alla luce del greco (eventualmente sommata a quella appena illustrata sopra e a quella che si vedrà subito qui di seguito) possa indurre a pensare che C F6 Li rappresentino un ramo separato della tradizione derivato direttamente dall’autografo poggiano, cui si opporrebbero tutti gli altri mss. caratterizzati da lezione deterior in questo luogo e negli altri due esaminati sopra e di seguito. Credo invece sia più ragionevole supporre che l’antecedente comune ai tre mss. leggesse anch’esso arborum fructibus, e che sia stato modificato da qualcuno tramite recupero del testo greco, ovvero – se si ipotizza che la traduzione corretta originaria fosse davvero extremitatibus tenerrimarum arborum – che esso sia in qualche modo entrato in contatto con la lezione genuina dell’autografo, guastata già in p e rabberciata con l’aggiunta di fructibus, poi da lì trasmessasi all’intera tradizione. Venendo ora ai mss. B P2 N1 V1 (appartenenti ad α, esclusi da g ma reciprocamenteconnessi, cfr. infra § I.7.5.2 e la TAVOLA 16) essi recano, in aggiunta

alla lezione maggioritaria arborum fructibus, un ex iniziale. Se si suppone che extremitatibus tenerrimarum arborum sia lezione originaria poggiana, si può ipotizzare che l’ex sia un residuo del sintagma extremitatibus tenerrimarum caduto per omoteleuto, e che i quattro manoscritti rispecchino uno stadio intermedio dell’errore che forse era attestato in α, ma si dovrebbe ipotizzare che l’antecendete comune a *Bo e Ve (fra loro connessi, cfr. infra) abbia provveduto a eliminarlo, e che quest’ultima soluzione coincida, in modo indipendente, con quella adottata dal subarchetipo b (o congetturalmente da Poggio stesso nel rivedere p/p1?). In alternativa, l’ex va interpretato come

innovazione autonoma dell’antecedente a monte dei quattro mss., a partire da arborum fructibus in α; innovazione che sarebbe però non migliorativa, dal momento che utor non può essere costruito con ex + ablativo.

C F6 Li Pr et alii

Bibl. st. III. LXVI, 1-2

Τήιοι […] Τήιοι (ripetuto due volte)

IV

Teii […] Teii IV (f. 94r Pr) Teti […] Teti

I ‘Teii’ (Τήιοι) sono gli abitanti di Teo in Asia Minore (Τέως), ma nell’intera tradizione – esclusi C F6 e Li – l’etnonimo compare con forma banalizzante Teti, e ciò accade in entrambe le occorrenze, fra loro molto ravvicinate (su Pr si ha solo un rigo di distanza fra le due attestazioni). Mi pare proprio che anche in questo caso si debba escludere che la correzione sia puramente frutto di una buona congettura ope ingenii, intervenuta a monte del terzetto di manoscritti in questione, a maggior ragione perché tale popolo è citato solo qui all’interno del testo.

I tre casi appena illustrati sono senza dubbio problematici e la parzialità dei dati a