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Per la fortuna di Diodoro Siculo fra XV e XVI secolo: la traduzione latina di Poggio Bracciolini e i primi volgarizzamenti : con un saggio di edizione critica dei testi volgari

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(1)

Corso di Dottorato di ricerca

in Italianistica

ciclo XXXII

Tesi di Ricerca

Per la fortuna di Diodoro Siculo fra XV e XVI secolo:

la traduzione latina di Poggio Bracciolini e i primi volgarizzamenti.

Con un saggio di edizione critica dei testi volgari

SSD: L-FIL-LET/13

Coordinatore del Dottorato

ch. prof. Tiziano Zanato

Supervisore

ch. prof. Riccardo Drusi

Dottorando

Cecilia Sideri

Matricola

956296

(2)

INDICE

INTRODUZIONE 4

1. Preliminari 6

2. La riscoperta di Diodoro in occidente e le prime traduzioni latine 12

3. I volgarizzamenti 16

3.1 Il volgarizzamento A 16

3.2 Il volgarizzamento B 18

3.3 Gli altri volgarizzamenti 19

4. Nota preliminare 23

CAPITOLO I: LA TRADUZIONE LATINA DI POGGIO BRACCIOLINI 25

I.1 Il contesto 27

I.2 Status quaestionis: gli studi sul rapporto con la tradizione greca 30

I.3

Elenco dei testimoni e sigle 39

I.3.1 Manoscritti 39

I.3.2 Edizioni a stampa 41

I.3.3 Schede dei manoscritti 43

I.4

Gli esordi e i primi sviluppi della tradizione: tracce nell’epistolario poggiano 122 I.5 Un codice di rilievo: il ms. Garret 105 della Princeton University Library 127

I.5.1 I notabilia autografi 130

I.6

L’apparato di notabilia: un progetto d’autore e il suo riflesso nella tradizione 135 I.7 Le linee della tradizione: risultati del sondaggio testuale 139 I.7.1 L’archetipo della tradizione: un idiografo con correzioni autografe? 140

I.7.2 Le famiglie ‘α’ e ‘β’ 147

I.7.3 Le varianti delle famiglie a e b 166

I.7.4 Ipotesi per un processo di revisione 183

I.7.5 I rapporti interni alla famiglia α 186

I.7.5.1Il gruppoγ 187

I mss. C F6 Li 193

I mss. C e F6 198

La princeps *Bo e il ms. Ve 201

La tradizione a stampa e i suoi descripti 205

I.7.5.2I manoscritti B N1 P2 V1 217

I.7.5.3Una proposta di stemma per la famiglia a 224 I.7.6 I rapporti interni alla famiglia b: resoconto dei sondaggi effettuati 225

I.7.6.1Il raggruppamento di Pr 226

I.7.6.2I manoscritti non afferenti al gruppo di Pr 232 I mss. Barbb Car F

1 F2 F5 e M 234

I manoscritti Be F4 Urb (+ Ge) 237

I manoscritti Ch2 N2 Ott S 239

I manoscritti P1 e Barba 241

I manoscritti Gl e Bo2 241

I manoscritti A H 242

I manoscritti Cas T V6 243

(3)

CAPITOLO II: COLLAZIONE FRA I DUE VOLGARIZZAMENTI E IL TESTO DI POGGIO 247 II.1 I risultati della collazione fra testo latino e volgarizzamenti 249

CAPITOLO III: IL VOLGARIZZAMENTO A 259

III.1 La fonte latina 260

III.2 Una fonte secondaria per il volgarizzamento A: la pista fiorentina e ‘landiniana’ 264

III.2.1 Il manoscritto Riccardiano 138 265

III.2.2 Il volgarizzamento A e il ms. Ricc.138 274

III.3 Conclusioni provvisorie 287

III.4 Appunti sui modi della traduzione 300

III.5 Appendice al capitolo III 318

CAPITOLO IV: IL VOLGARIZZAMENTO B 325

IV.1 Il volgarizzamento B e il manoscritto Trotti 301 326 IV.2 Il ms. Trotti 301: una finestra sullo scrittoio del traduttore? 331 IV.3 La fonte latina del volgarizzamento B: indagini all’interno della famiglia a 337

IV.4 Alcune conclusioni 358

IV.5 I modi della traduzione 360

IV.5.1 Il lessico e le glosse marginali 376

IV.6 Il volgarizzamento B fra il manoscritto Trotti 301 e l’edizione Giuntina 382

IV.6.1 Descrizione degli esemplari a stampa 383

IV.6.1.1 La princeps giuntina del 1526 (= *G): descrizione 383 IV.6.1.2 Schede delle edizioni successive (descriptae): *Giol1 e *Giol2 384

IV.6.2 Il rapporto fra Tr e *G 386

IV.6.2.1 Dati testuali ‘congiuntivi’ 386

IV.6.2.2 Alcune ipotesi di lavoro 389

IV.6.2.3 Ipotesi conclusive 403

IV.6.2.4 Il testo in tipografia 408

NOTA AL TESTO A 413

1. I testimoni del volgarizzamento A 415

2. Rapporti fra i testimoni 418

2.1Errori di F separativi rispetto a Y 418

2. 2 Errori separativi di Y rispetto a F 422

2. 3 Errori congiuntivi di F e Y 426

3. Y2: Tracce di un copista attivo 436

3. 1 Y2: Un probabile ricorso al testo latino 442

4. Conclusioni 446

5. Schedatura degli interventi di Y2 450

(4)

6.1 Grafia 465

6.2 Fonetica 467

6.3 Morfologia 473

6.4 Note di sintassi 478

7. Criteri di edizione del volgarizzamento A (Manoscritto Magl. XXIII 46 della BNCF) 481

8. Criteri delle note di commento 484

NOTA AL TESTO B 486

1. Il manoscritto unico Trotti 301 487

2. Errori del ms. Trotti 301 e interventi necessari sul testo 491

3. Criteri di edizione del manoscritto Trotti 301 493

4. Criteri delle note di commento 496

5. Notalinguistica al testo B: il manoscritto Trotti 301 497

5.1 Fonetica 499

5.2 Morfologia 506

5.3 Note di sintassi 511

6. Trascrizione delle glosse e delle varianti lessicali del ms. Trotti 301 514

SAGGIO DI EDIZIONE DEI TESTI CON COMMENTO 525

Libro I (testi a fronte) 527

Libro II (testi a fronte) 682

APPENDICI 871

Appendice 1 873

1. Analisi paleografica dei notabilia e delle correzioni autografe nel ms. Garret 105 873 2. Schedatura delle correzioni autografe 881

3. Tavole dell’Appendice 1 885

Appendice 2 894

Appendice 3 897

(5)
(6)
(7)

1. PRELIMINARI

La presente tesi verte sui primi due volgarizzamenti quattro-cinquecenteschi noti

della Biblioteca storica di Diodoro Siculo di Agira (90-30 a. C. c.ca), entrambi anonimi, e

sulla versione latina di Poggio Bracciolini (1449), da cui i volgarizzamenti furono

tradotti. Se colti con sguardo unitario, insieme all’originale greco collocato a monte, i

tre testi costituiscono una rete assai complessa, il cui studio sinottico permette di

ricostruire un importante capitolo della fortuna di cui l’opera diodorea godette fra

Umanesimo e Rinascimento.

Concepita come una storia universale dal carattere enciclopedico, abbracciante

un arco cronologico compreso fra l’età mitica della guerra di Troia e la

contemporaneità dell’autore,

1

la Biblioteca storica era originariamente composta da

quaranta libri, di cui però solo quindici (I-V e XI-XX) sono pervenuti nella loro

interezza sino a noi;

2

i restanti andarono dispersi forse in occasione dell’assedio di

Costantinopoli del 1204.

3

I libri che nel corso del Quattrocento suscitarono maggior

interesse in Occidente furono i primi cinque, a tematica non prettamente storica, bensì

perlopiù mitologica, geografica ed etnografica. Dopo una sezione proemiale in cui

l’autore spiega l’impianto dell’opera e chiarisce programmaticamente i propri intenti

storiografici – vale a dire dedicare due terne di libri alle vicende precedenti la guerra di

Troia e agli antichi racconti di sapore mitico, prima di procedere alla vera e propria

narrazione storica – il libro I consiste in una vasta e articolata trattazione relativa

all’Egitto: vengono descritte alcune teorie sull’origine primordiale della specie umana

in Egitto, le principali divinità locali, la conformazione geografica, la flora e la fauna

dei territori in cui scorre il Nilo e le antiche opinioni relative alle fonti e al corso di tale

fiume; nella seconda sezione si viene invece a discorrere dei primi re d’Egitto, delle

1L’evento più recente menzionato risale al 36 a. C., cfr. DIODORE DE SICILE I(ed. Bertrac), p. VIII. 2Per lo studio della tradizione dell’opera greca rimando a BERTRAC 1993(recensione a LAQUEUR 1992) e all’introduzione all’edizione critica del libro I, DIODORE DE SICILE I (ed. Bertrac), pp.

LXXVI-CXXIII. Come illustrato ivi a p. LXXVIII, all’epoca del passaggio da volumen a codex i libri della Biblioteca storica furono accorpati in gruppi di cinque; tale circostanza favorì la circolazione separata dell’opera, sicché i manoscritti contenenti la prima pentade (in tutto ventotto) e quelli che tramandano i restanti libri (in numero di trentuno) costituiscono due tradizioni a sé stanti.

3Secondo l’ipotesi tradizionale, basata sulla testimonianza fornita da Costantino Lascaris nel suo De

scriptoribus Graecis patria Siculis, la dispersione andrebbe invece ricondotta al successivo assedio del 1453: il Lascaris afferma infatti di aver visto tutti i libri di Diodoro nella biblioteca imperiale di Costantinopoli (cfr. Patrologia Graeca, vol. CLXI, coll. 917-18: «Diodorus Siculus Agyrensis, historicus […]. Historiam composuit libris quadraginta […] quorum sex a Poggio Florentino traducti circumferentur. Reliqui vix inveniuntur. Ego autem omnes eius libros vidi in bibliotheca imperatoris Constantinopolitani»). A questa affermazione prestano fede REYNOLDS –WILSON 1968 (p. 48); sono invece di diverso avviso

Pierre Bertrac, editore del libro I e studioso dell’intera tradizione dei libri superstiti, secondo cui le affermazioni del Lascaris sono «trop imprécises pour entraîner la convinction» (cfr. DIODORE DE

SICILE I[ed. Bertrac], p. CXLII, n. 184), e Paul Goukowsky, editore dei frammenti dei libri XXI-XXVI, il quale ritiene che Costantino Lascaris abbia riportato l’informazione solo per sentito dire e che in realtà la Biblioteca storica nella sua interezza fosse già andata perduta nel 1204, cfr. DIODORE DE SICILE,Fragments

(8)

leggi, delle istituzioni giudiziarie, del culto degli animali e delle consuetudini funerarie

in vigore presso gli antichi egiziani; la parte conclusiva verte su alcuni personaggi Greci

illustri per la loro dottrina (quali Orfeo, Museo, Omero, Licurgo, Solone, Platone), che

avrebbero visitato l’Egitto per conoscerne le usanze e la cultura, importandole poi in

Grecia. Il secondo libro è dedicato quasi esclusivamente al Vicino ed Estremo Oriente,

in particolare all’Assiria e all’antico regno di Babilonia; si passa in seguito a trattazioni

monografiche di gusto esotizzante relative all’India, alla Scizia, al paese delle

Amazzoni, agli Iperborei, alla penisola Arabica, per concludere con la celebre

navigazione di Giambulo. Il terzo libro è consacrato all’Africa (Egitto escluso),

descritta prima dal punto di vista geografico ed etnografico, poi sotto il profilo delle

tradizioni mitiche autoctone. Il quarto libro segna una cesura e ha per oggetto la

mitologia greca. Il quinto, infine, è il ‘libro delle isole’ («βίβλος νησιωτική», cfr. V. II,

1), mediterranee e non, di cui vengono trattate la conformazione e le popolazioni

autoctone.

Considerata, dunque, l’imponente mole di informazioni inedite e curiose raccolte

da Diodoro in questi primi cinque libri, ben si comprende l’alto grado di interesse che

essi poterono suscitare nel corso di un secolo, il Quattrocento, a vocazione

spiccatamente ‘geografica’, durante il quale gli ambienti intellettuali umanistici –

complici gli impulsi provenienti dalle prime esplorazioni dei portoghesi in Africa, poi

più avanti dalla scoperta del Nuovo continente, e gli scambi favoriti dal Concilio di

Firenze – ampliarono l’orizzonte del proprio universo conoscitivo a zone dell’ecumene

sino ad allora pressoché ignote, procendendo a un recupero e a una nuova diffusione

dei testi geografici dell’antichità.

4

La traduzione latina intrapresa da Poggio Bracciolini per volere di papa Niccolò

V copre proprio i libri inziali della Biblioteca storica, I-V; lo stesso vale per i due più

antichi volgarizzamenti italiani noti, che da essa derivano, l’uno indipendentemente

dall’altro: il primo testo volgare, che ho convenzionalmente denominato ‘A’, è

tramandato dai mss. Magl. XXIII 46 della BNC di Firenze e Marston 73 della Beinecke

Library di Yale; quanto al contenuto, esso si arresta però al libro II, tralasciando gli altri

tre vòlti in latino da Poggio; il secondo volgarizzamento, ‘B’, è conservato nel ms. unico

Trotti 301 della Biblioteca Ambrosiana di Milano e traduce tutti e cinque i primi libri

diodorei. Entrambi i testi possono essere ascritti a pieno titolo alla schiera dei

volgarizzamenti cosiddetti di ‘seconda fase’;

5

è infatti ben noto che, dopo il periodo

4Molto vasta la bibliografia in merito. Si possono citare gli importanti e numerosi volumi o contributi a cura di Sebastiano Gentile, in particolare sulla riscoperta umanistica di Tolomeo e sugli interessi geografici dell’ambiente fiorentino nel Quattrocento (GENTILE 1991; GENTILE 1992; il catalogo della

mostra Firenze e la scoperta dell’America; GENTILE 1993; GENTILE 2001; GENTILE 2003; GENTILE 2007; GENTILE 2013; GENTILE 2014; sulla fortuna di Tolomeo nei secc. XV-XVI cfr. anche GAUTIER

DALCHÉ 2009) e quelli a cura di Didier Marcotte: oltre al fondamentale volume Humanisme et culture

géographique, cfr. MARCOTTE 1992, MARCOTTE 2010, MARCOTTE 2011, MARCOTTE 2014 e COHEN

-SKALLI – MARCOTTE 2018; si veda anche il volume The History of Cartography, vol. III, Cartography in the

European Renaissance.

(9)

d’oro dei secoli XIII e XIV (prima metà), sul fare del XV secolo la prassi del

volgarizzare divenne fenomeno di secondo piano, passando alla «retroguardia»

culturale.

6

Essa venne soppiantata, nell’interesse degli umanisti, dalla ben più

prestigiosa attività di traduzione in latino del vasto repertorio di testi greci che

l’Occidente in quel giro d’anni andava via via riscoprendo, grazie all’importazione di

codici dall’Oriente.

7

Fu solo dopo la seconda metà del Quattrocento che si ebbe una

nuova significativa fioritura dei volgarizzamenti.

8

Fra questi, una categoria del tutto

particolare, in cui i nostri due testi ‘A’ e ‘B’ rientrano, consiste nelle traduzioni volgari

delle opere greche che erano tornate a circolare in Occidente a inizio secolo e che,

ormai tradotte in latino dagli umanisti, urgeva ora conquistare anche al dominio del

volgare.

9

Se si eccettuano alcuni rari casi di volgarizzamenti condotti direttamente

dall’originale greco, la trafila più comune prevedeva che sulla base di precedenti

versioni umanistiche latine si allestissero traduzioni volgari, spesso restate

nell’anonimato, talvolta recuperate o espressamente commissionate nel primo

Cinquecento da stampatori che miravano a un pubblico

curioso, ma non alfabetizzato

nelle lingue antiche e per il quale, dunque, le traduzioni latine risultavano comunque

inservibili.

10

I volgarizzamenti ‘A’ e ‘B’, cui è dedicato il cuore di questa tesi, e di cui si

propone qui un saggio di edizione commentata relativa al solo libro I di Diodoro, con

tutta evidenza si inseriscono in modo esemplare all’interno della dinamica poc’anzi

descritta. Tale circostanza pone naturalmente, a livello di metodo, una serie di problemi

operativi dettati dalla natura stessa dei testi presi in esame, ciascuno frutto di (almeno)

un doppio processo di traduzione, dal greco in latino e poi da latino in volgare.

11

Il

6DIONISOTTI 1967, p. 133.

7Cfr. almeno WEISS 1977, GUALDO ROSA 1985, MAISANO ROLLO 2002 e BERTI 2007.

8Cfr. di nuovo DIONISOTTI 1967, pp. 150-63; inoltre, GIOVANARDI 1994, pp. 450-51 e FROSINI 2014, pp. 63-72.

9Fondamentale la sintesi in TANTURLI 1988; secondo la lettura ivi proposta, l’ambiente culturale fiorentino, roccaforte umanistica entro cui erano state prodotte alcune fra le più celebri traduzioni latine delle opere greche di recente riscoperta, sul versante della cultura volgare reagì invece molto lentamente a tali novità, che spesso vennero volgarizzate in ritardo rispetto ad altri centri della penisola ben più attivi su questo fronte, quali ad esempio la Ferrara estense, su cui cfr. il quadro tracciato in TISSONI

BENVENUTI 2005.

10Queste le eccezioni a me note che siano state sinora oggetto di studio: i volgarizzamenti della Storia

romana di Cassio Dione, delle Storie vere di Luciano e di alcuni dialoghi del medesimo autore (fra cui il Lucio o l’Asino e, con ogni probabilità, il Timone), tutti tradotti da Niccolò Loeoniceno direttamente dal greco; cfr. rispettivamente GUALDO 1990, ACOCELLA 2016 (in particolare le pp. 215-75 e 344-60, testo

alle pp. 428-561), ACOCELLA 2001 e ACOCELLA 2008 (FUMAGALLI 1985 non accetta l’attribuzione del

Timone al Leoniceno e propone come autore Boiardo, ma cfr. di nuovo le argomentazioni di ACOCELLA

2016, pp. 360-73). È assai probabile che sia stato tradotto direttamente dal greco anche il De bello gotico di Procopio di Cesarea, che si deve sempre al Leoniceno, ma su cui mancano indagini adeguate (cfr. per il momento TISSONI BENVENUTI 2005,p.256 eVACCARO 2013). Inoltre, la silloge lucianea volgare

contenuta nel ms. Chig. L.VI. 215 della BAV (su cui cfr. ancoraACOCELLA 2016, pp. 35-53) contiene il volgarizzamento di ben 41 titoli lucianei (ivi compresi il Timone e le Storie vere), che attendono di essere studiati per verificarne la possibile attribuzione al Leoniceno (e, di conseguenza, la probabile derivazione diretta dal greco). Infine, altri due casi di traduzione dal greco sono il volgarizzamento delle Imaginesdi Filostrato ad opera di Demetrio Mosco (ZORZI 1997) e quello fiorentino delle Epistole dello

Pseudo-Bruto compiuto da Niccolò Angeli da Bucine (ZARRA 2018).

(10)

passo preliminare cui si è dovuto procedere è stato accertare se i volgarizzamenti

derivassero direttamente dal greco o fossero stati condotti a partire dalla traduzione

latina di Poggio, ipotesi, quest’ultima, che si prospettava sin da subito come la più

probabile, giusta le considerazioni formulate sopra. A questa prima fase della ricerca

mi ero dedicata già durante la stesura della tesi magistrale, in cui proponevo uno studio

del solo volgarizzamneto ‘B’,

12

e nel corso di alcune indagini successive, che sono

confluite nella pubblicazione di un contributo apparso nel 2016

13

e hanno costituito la

base di partenza per il mio progetto di dottorato. Nella presente tesi ho dunque deciso

di dare per acquisiti i risultati di quegli accertamenti preliminari, che hanno messo in

luce da un lato la sicura derivazione di ‘A’ e ‘B’ dal testo latino di Poggio, dall’altro la

reciproca indipendenza dei due testi:

14

mi è parso infatti poco opportuno proporre qui

una pura reduplicazione di materiali già a stampa, anche perché ad ogni modo entrambi

i dati emergeranno indirettamente, con assoluta chiarezza, dalle numerose tavole di

collazione fra ‘A’ e ‘B’ e il testo poggiano contenute nei capitoli II-IV, oltre che dalla

fascia di commento dell’edizione. Acquisito questo dato fondamentale relativo

all’ascendenza poggiana dei due volgarizzamenti, il problema metodologico successivo

è stato stabilire le modalità di approccio al testo latino del Bracciolini. È evidente che

lo studio di qualsiasi volgarizzamento non può mai prescindere dal confronto con il

testo base della traduzione, quest’ultimo considerato, fin dove possibile, nella sua realtà

storica, vale a dire nell’insieme della sua tradizione, manoscritta e a stampa,

caratterizzata da errori e varianti. Tale approccio è finalizzato non tanto a identificare

lo specifico esemplare manoscritto o l’edizione su cui lavorò il traduttore – obiettivo

che risulterebbe il più delle volte illusorio – quanto piuttosto a individuare almeno il

ramo o la famiglia della tradizione del testo base da cui il volgarizzamento dipende.

Innanzitutto, questo dato può rivelarsi molto utile e orientativo per tentare una

collocazione cronologica dei volgarizzamenti, specie se anonimi. In secondo luogo, un

confronto con il testo a monte che tenga conto dei principali errori e delle varianti che

ne caratterizzano la tradizione argina il rischio di attribuire al volgarizzatore

imprecisioni, fraintendimenti e innovazioni che non sono di sua responsabilità, ma si

giustificano invece molto bene in base alle caratteristiche testuali della famiglia di

appartenenza dell’esemplare da cui egli presumibilmente tradusse. Tenendo distinti i

due piani, sarà poi possibile valutare più correttamente le scelte versorie innovative

imputabili alla volontà del traduttore e cogliere appieno la sua dimestichezza con la

prassi del volgarizzare, gli obiettivi nel tradurre, l’orizzonte culturale. Infine, sul piano

prettamente ecdotico, un sondaggio nella tradizione del testo di base consente di

12Discussa il 23 settembre 2015 presso l’Università Cattolica di Milano, relatore prof. Giuseppe Frasso, correlatore prof. Paolo Gresti; titolo dell’elaborato: Un volgarizzamento anonimo di Diodoro Siculo: il manoscritto Trotti 301 della Biblioteca Ambrosiana di Milano.

13SIDERI 2016.

14Cfr. SIDERI 2016, pp. 126-30 (dimostrazione dell’assenza di un’interconnessione fra ‘A’ e ‘B’) e pp. 130-38 (derivazione dei due testi dal latino poggiano).

(11)

individuare con più ampio margine di probabilità quelli che, al di là di ogni ragionevole

dubbio, possono effettivamente ritenersi errori della tradizione volgare.

Per venire dunque al nostro caso specifico, il confronto fra i due volgarizzamenti

e la traduzione latina di Poggio Bracciolini si è posto sin da subito come un aspetto

molto problematico della ricerca, perché il testo ha tradizione molto ampia e manca di

un’edizione critica di riferimento; inoltre, gli studi specifici in merito sono assai pochi

e sino al 2016 non era disponibile nemmeno un censimento sistematico dei manoscritti

che lo tramandano;

15

del tutto insondato rimaneva l’aspetto puramente testuale. Di

fronte a una situazione di tal genere, due erano le strade percorribili. La prima

consisteva nel limitarsi a impiegare i pochi dati relativi alla traduzione poggiana forniti

dalle voci bibliografiche disponibili (che però in nessun caso si occupano del versante

testuale della tradizione), assumere arbitrariamente un esemplare autorevole (o

apparentemente tale) di riferimento, effettuando semmai alcuni controlli a campione

su altri testimoni, per via empirica, e focalizzare così l’attenzione solo sullo studio e

sull’edizione dei due volgarizzamenti; ovviamente però questa soluzione, esperita per

la tesi magistrale (nella quale per comodità e per limitatezza di tempi e di mezzi si era

assunto come testo-base quello della princeps stampata a Bologna nel 1472),

16

non

avrebbe consentito alcuna valutazione – nemmeno di massima – circa la possibile fonte

latina dei testi volgari, e avrebbe finito per limitare fortemente i margini stessi della

ricerca su questi ultimi, minandone alla base la solidità.

17

Ho quindi deciso di tentare

un percorso alternativo e di dedicare una parte considerevole della ricerca a un

sondaggio il più sistematico possibile, per quanto necessariamente a campione,

18

della

tradizione del testo poggiano, da svolgere in parallelo alle indagini sui volgarizzamenti,

pur consapevole che ciò avrebbe comportato un aumento significativo della

complessità e della mole dei dati da gestire, nonché un qualche rischio di dispersività

nell’economia generale della ricerca. Mi è parso però che, se buona parte (ancorché,

naturalmente, non esclusiva) della rilevanza degli studi sui volgarizzamenti di testi

antichi risiede nel contributo che essi apportano alla ricostruzione della fortuna di cui

tali opere godettero in una specifica epoca storica e in determinati ambienti culturali,

abdicare a un tentativo di indagine circa il fondamentale anello mediano della vicenda

15Queste, essenzialmente, le uniche voci bibliografiche specifiche di riferimento: DIODORE DE SICILE I (ed. Bertrac), pp. CXLIV-CXLIX;MARCOTTE 2014; COHEN-SKALLI –MARCOTTE 2015; infine, la recente voce dedicata a Diodoro nel Catalogus translationum, in cui è incluso un censimento dell’opera poggiana: MONFASANI 2016, pp. 94-105. Per uno status quaestionis dettagliato e altra bibliografia rimando

al capitolo I.

16DIODORI SICULI Historiarum Priscarum a POGGIO in Latinum traducti, Bononiae, s.e. [Baldassarre Azoguidi], 1472 (ISTC n° id00210000).

17Ad esempio, occupandomi del manoscritto Trotti 301 nella tesi magistrale, avevo constatato un alto grado di sovrapponibilità fra alcune lezioni della princeps risultate erronee al confronto con il testo greco e quelle del codice ambrosiano; in seguito, mentre allestivo il progetto di ricerca per l’ammissione al dottorato, ne avevo collazionate alcune con il ms. Vat. lat. 1812, che, lo anticipo, è l’esemplare di dedica al papa; quest’ultimo era risultato corretto in molti luoghi in cui la princeps era scorretta; tuttavia, l’impossibilità di determinare se gli errori reperiti nella princeps fossero e s c l u s i v i della tradizione a stampa, o se invece essi afferissero a un qualche raggruppamento più ampio, mi impediva di spingermi oltre la pura e semplice constatazione e di pronunciare ipotesi derivative dotate di un solido fodamento. 18Il metodo adottato è illustrato al § I.7.

(12)

testuale che, dal testo greco di Diodoro, approda ai volgarizzamenti fosse una grave

manchevolezza, che avrebbe finito per sottrarre senso alla ricerca sui testi volgari.

Inoltre, naturalmente, mi hanno spinta a tale decisione l’indubbia importanza della

versione latina di Poggio per la storia delle traduzioni umanistiche dal greco e la

consapevolezza che l’assenza di indagini specifiche su di essa (solo in piccola parte

colmata dalla recente voce del Catalogus translationum et commentariorum menzionata

sopra) costituisce effettivamente un vuoto non da poco in tale ambito di studi. Una

volta deciso, dunque, di estendere la ricerca anche alla traduzione di Poggio, come

correttivo al rischio di dispersività e di mancata coesione della tesi ho cercato di

considerare i due volgarizzamenti e la versione latina (colta nell’insieme della sua

tradizione) nel modo il più possibile unitario e globale, come una rete testuale

interconnessa, capace di raccontare un importante capitolo della fortuna di Diodoro

fra il XV e il XVI secolo. Si può avere l’impressione che, in questo modo, allo studio

della traduzione di Poggio sia riservato un ruolo solo sussidiario e strumentale, in parte

a causa della fisiologica parzialità e provvisorietà dei risultati, in parte perché

effettivamente funzionale e orientato alla ricerca sui volgarizzamenti; questa

impostazione, tuttavia, non ha impedito che emergessero dati rilevanti per la storia del

testo poggiano in sé, che godono di buona autonomia all’interno della tesi (cfr. il

corposo Capitolo I) e che comunque, seppur incompleti e certamente perfettibili,

pongono le basi per future ricerche.

L’adozione del paradigma della rete testuale ha costretto a compiere una lunga

serie di collazioni e controlli incrociati, ma ha avuto il merito di rendere ben evidente

quanto intricata, e al contempo affascinante, possa essere la selva testuale sottesa ai

volgarizzamenti quattro-cinquecenteschi di opere greche: infatti, il doppio livello di

traduzione (greco-latino e latino-volgare), che è quasi sempre loro consustanziale,

moltiplica esponenzialmente, complice anche la vocazione ‘filologica’ dell’epoca, le

possibilità di contaminazione, non tanto – o comunque non solo – interna, ma anche

e soprattutto ‘esterna’ alla tradizione del testo volgare stesso, vale a dire in termini di

utilizzo di fonti secondarie: vedremo che ciò accade nei nostri due casi, seppur con

modalità differenti e gradi di intensità diversi. Allargare lo sguardo al numero più ampio

possibile di eventuali risorse sussidiarie (se necessario risalendo indietro al testo greco

e alle sue testimonianze manoscritte) implica naturalmente che quasi a ogni passo si

aprano sentieri nuovi da percorrere, e che ogni nuovo indizio acquisito porti con sé

ulteriori nodi da sciogliere: ma, ancorché faticoso, è probabilmente il metodo più

efficace per dipanare almeno in parte la grande matassa costituita dalle traduzioni di

un testo, che altro non sono, per richiamare il noto binomio paronomastico di

Gianfranco Folena, immagine riflessa della sua tradizione.

19

Per inquadrare meglio il più ampio contesto entro cui i tre testi di cui si occupa

questa tesi furono prodotti, converrà ora fornire, in via preliminare, un prospetto

(13)

introduttivo circa le versioni latine e volgari dell’opera di Diodoro prodotte nel corso

dei secoli XV e XVI, che contribuirono a diffondere e ampliare la conoscenza di tale

autore in Occidente.

2. LA RISCOPERTA DI DIODORO IN OCCIDENTE E LE PRIME TRADUZIONI

LATINE

Pressoché ignota all’Occidente nel Medioevo, la Biblioteca storica ricominciò a

circolare a Firenze probabilmente per impulso del maestro bizantino Manuele

Crisolora, che nel 1397 venne chiamato a Firenze da Coluccio Salutati per assumere la

cattedra di greco presso lo studium cittadino e portò con sé dall’Oriente un cospicuo

numero di manoscritti.

20

Proprio in ambiente crisolorino vide la luce la primissima

traduzione latina diodorea, limitata a un excerptum del libro I: essa fu compiuta da

Leonardo Bruni entro il 1405, su esplicita richiesta del Salutati, che la inserì nel proprio

De laboribus Herculis;

21

dal momento che l’attuale ms. Laur. Plut. 70.16 della Biblioteca

Medicea Laurenziana di Firenze risulta vergato a Firenze da una mano ‘crisolorina’

22

e

mostra lezioni erronee comuni con il passo latino del De laboribus Herculis, è verosimile

che proprio su di esso Bruni abbia basato la traduzione.

23

Anche l’umanista e bibliofilo siciliano Giovanni Aurispa (1376-1459),

24

che si

20In generale, per la fortuna di Diodoro a partire dall’Antichità (di cui qui si ripercorrono solo alcune tappe cruciali relative ai secoli XV-XVI, funzionali al nostro discorso) si veda MONFASANI 2016. Sul magistero del Crisolora a Firenze cfr. almeno BERTI 1985 e BERTI 1987; STÄUBLE 1997; i contributi raccolti in MAISANO –ROLLO 2002.

21Cfr. SALUTATI, De laboribus Herculis, II, p. 569 (IV. VIII, 20): «Et ne cuncta Diodori prosequar sed ad ea que de inferno Charoneque refert veniam, subdit, ut michi transtulit vir optimus Leonardus Aretinus, utriusque lingue peritus»; segue (IV. VIII, 20-21, pp. 569-70) un estratto latino dal testo dell’agirense, corrispondente al passo I. XCVI, 2-9 dell’edizione moderna della Biblioteca storica. Il passo fu segnalato per la prima volta in ROBOTHAN 1932; cfr anche le osservazioni in MONFASANI 2016, p. 71. PERTUSI

1968 (pp. 80-81 e p. 87 e ssg.), ripreso da GENTILE 1994 (pp. 831-32 n. 60), ha messo in evidenza come l’interesse per questo passo diodoreo fosse comunque antecedente all’arrivo del Crisolora a Firenze e debba essere ricondotto a Leonzio Pilato e ai suoi legami con Boccaccio e Petrarca (quest’ultimo vi allude nella Fam. XXIV, 12, 9).

22Sul ms. cfr.DIODORE DE SICILE I (ed. Bertrac), p. LXXXVII e ROLLO 2006,p. 95; sul legame fra il ms. e l’ambiente crisolorino cfr. anche ROLLO 2011, pp. 202-04 e n. 55: in questa sede Antonio Rollo

ha avanzato alcune osservazioni in merito a un lessico greco-latino del primo Quattrocento contenuto nel codice Vat. Gr. 877, proveniente senza dubbio dall’ambiente del maestro bizantino; i lemmi in esso contenuti derivano per la maggior parte, oltre che dalle Vite di Plutarco, dai primi cinque libri della Biblioteca storica; poiché, come si è detto, il Laur. 70.16 è di mano ‘crisolorina’, Rollo ha condotto un’indagine volta a verificare la compatibilità delle lezioni attestate nel lessico con quelle di tale manoscritto, ottenendo un riscontro positivo; è molto probabile, quindi, che il laurenziano sia un prodotto dell’ambiente del maestro bizantino, ed è naturale supporre che esso possa derivare da un libro portato dal Crisolora in Italia al momento della sua chiamata a Firenze (circostanza, questa, accertata per altri manoscritti vergati in scrittura ‘crisolorina’): il fatto che il Laur. 70.16 sia apografo diretto del Vat. gr. 996 (DIODORE DE SICILE I [ed. Bertrac], p. LXXXVII), ha indotto Rollo ad avanzare l’ipotesi

che proprio quest’ultimo manoscritto abbia fatto parte dei codici di proprietà del Crisolora.

23Dunque il codice, che menzionerò ancora più volte all’interno di questa tesi, è databile sicuramente

post 1397 e ante 1405; forse, secondo COHEN-SKALLI –MARCOTTE 2015 (p. 89), anche ante 1400. Per il

legame fra il Laur. 70.16 e la traduzione del Bruni cfr. ivi anche le pp. 66 e 90; inoltre, GENTILE –

SPERANZI 2010,pp. 33-34, dove pure (p. 39, n. 141), come in ROLLO 2011, si avanza l’ipotesi che

l’antigrafo del Laur. 70.16, ossia il Vat. gr. 996, fosse di proprietà del Crisolora. 24Cfr. la voce nel DBI, BIGI 1962.

(14)

dedicò alacremente alla ricerca di codici di opere greche nel corso dei suoi due viaggi

in Oriente (1413-14 e 1421-23), recò con sé al rientro in Italia «multos libros Diodori

Siculi»,

25

forse proprio quei medesimi che risultano registrati ai numeri 370 e 538 nei

documenti che descrivono i beni passati agli eredi al momento della sua morte nel 1459

a Ferrara, dove l’Aurispa si era stabilito dal 1427.

26

Oltre a Firenze e Ferrara, un altro

centro cruciale di ricezione della Biblioteca storica fu la curia romana di Eugenio IV e poi

di Niccolò V. Proprio alla corte del primo di questi due papi mecenati giunsero infatti

i primi cinque libri diodorei, per opera del trevigiano Cristoforo Garatone, che in

occasione di alcune missioni diplomatiche in Oriente raccolse manoscritti greci e li

portò a Roma;

27

tra questi figurano ben due codici della prima pentade diodorea: sono

gli attuali Plut. 70.34 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze e il Vat. gr. 995

della Biblioteca Apostolica Vaticana.

28

Entro il terzo decennio del secolo, si erano moltiplicati i manoscritti del testo

diodoreo importati in Italia (anche quelli contenenti i libri superstiti successivi al

quinto)

29

e l’opera iniziò ad essere tradotta in latino: un ruolo fondamentale in tal senso

fu ricoperto dal progetto di traduzioni latine voluto da papa Niccolò V, che funse da

vero e proprio catalizzatore della ricezione di Diodoro in Occidente. Il pontefice

commissionò a Poggio Bracciolini la versione dei libri I-V, portata a termine nel 1449;

30

affidò poi alle cure del cremonese Iacopo da San Cassiano (presente alla corte papale

dal 1449)

i libri XI-XV

31

e, infine, a Pier Candido Decembrio la sezione XVI-XX;

32

queste ultime traduzioni rimasero però incompiute. La prima, dalla tradizione molto

travagliata, è parzialmente incompleta, a causa della morte del traduttore: in alcuni mss.

si arresta al libro XIII, in altri circa a metà del XIV (capitolo LXIV, 5); ma cfr. anche

la conclusione alla nota 35.

33

Per quanto concerne invece la versione del Decembrio,

25Così l’Aurispa in una lettera ad Ambrogio Traversari del 1424, cfr. AURISPA, Carteggio, p. 13. Nell’introduzione al volume Sabbadini afferma trattarsi molto probabilmente dei soli primi cinque libri della Biblioteca storica.

26Cfr. FRANCESCHINI 1976, pp. 123 e 160.

27Su questa figura si vedano la voce nel DBI MORO 1999 e PESCE 1974. Figlio di un militare al servizio della Serenissima, dopo una prima formazione giuridica Garatone aveva seguito i corsi di greco di Guarino Guarini a Verona; nel 1423 fu inviato per la prima volta a Costantinopoli, in qualità di cancelliere del balio veneziano Pietro Contarini. Nella capitale dell’Impero d’Oriente, Cristoforo si dette all’appassionata ricerca di codici contenenti opere classiche greche, che poi portò con sé al momento del rientro in Italia, non databile con sicurezza ma avvenuto non prima del 1428, probabilmente nel 1430 o nel 1431. Fattosi chierico ed entrato al servizio di Eugenio IV come segretario pontificio nel 1432, poi divenuto vescovo di Corone, l’umanista tornò più volte in Oriente nel corso della sua vita, per adempiere a varie missioni diplomatiche, durante le quali continuò la ricerca di codici, cfr. MERCATI

1926, pp. 106-24.

28Cfr. MERCATI 1926, pp. 114-16 e PESCE 1974, p. 65. Sul Vat. gr. 995 conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana si tornerà a più riprese.

29Cfr. MONFASANI 2016, pp. 72-74.

30Alla traduzione poggiana è dedicato l’intero capitolo I.

31Per cenni biografici su Iacopo da San Cassiano, canonico agostiniano originario di Cremona morto in data incerta ma probabilmente poco dopo il 1452, si vedano, per quanto poco aggiornate, le seguenti due voci: PALMA 1978 nel DBI e Jacobus de Sancto Cassiano Cremonensis in COSENZA 1962-, II, pp.

1801-02.

32Cfr. la voceVITI 1987 nel DBI.

33La questione relativa alla traduzione del San Cassiano, su cui non mi soffermo, è assai complessa e ancora in buona parte da districare; si vedano SANZOTTA 2007, POMARO 2010, pp. 162-64 e

(15)

essa non fu mai portata a termine dall’umanista probabilmente per via della morte del

committente Niccolò V, avvenuta nel 1455:

34

ci è infatti giunta solo parte del libro

XVI, all’interno dei manoscritti D 112 inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano (ff.

56r-80r, la traduzione arriva fino al paragrafo 49 ed è preceduta dai sommari dei libri

XVI-XX) e 628 della Biblioteca Central de Catalunya di Barcellona (ff. 154r-161v, solo

fino al paragrafo XVI. 18); nel primo manoscritto la versione è vergata da un copista

collaboratore del Decembrio, ma l’umanista vi ha aggiunto di suo pugno le ultime righe

a f. 80r; nel secondo codice è interamente autografa.

35

Spostandoci al di fuori del ‘ciclo’ di traduzioni latine voluto da Niccolò V,

anticipo qui per completezza che il ms. 138 della Biblioteca Riccardiana di Firenze

contiene una versione dei libri I-V della Biblioteca storica diversa da quella poggiana e

scritta dalla mano dell’umanista Cristoforo Landino; poiché essa si è rivelata di

importanza cruciale per il volgarizzamento A, me ne occuperò approfonditamente nel

Capitolo III, § III. 2 e III.3.

È da segnalare che anche Ferrara, che nel primo Quattrocento era stata, come si

è visto, uno fra i primi centri di ricezione dell’opera diodorea grazie all’arrivo dei libri

dell’Aurispa, dette a quanto pare il suo contributo alla circolazione latina del testo, con

una traduzione dell’illustre grecista Niccolò Leoniceno (1428-1524), di cui però,

almeno allo stato attuale delle ricerche, non sembra essere restata traccia.

36

MONFASANI 2016, pp. 105-15; cfr. anche SIDERI 2016, pp. 111-13. Segnalo che all’edizione critica della

versione cassianea sta lavorando da tempo Valerio Sanzotta. 34Cfr. POMARO 2010, in particolare le pp. 156-62.

35I due codici sono descritti in POMARO 2010, rispettivamente alle pp. 160-61 n. 19 e in appendice, pp. 167-69; il secondo è descritto anche in MONFASANI 2016, pp. 110-11; per la traduzione decembrina cfr.

ivi anche lepp. 115-21. Il manoscritto 628 della Biblioteca de Catalunya è un codice composito, legato a doppio filo a Giovanni Tortelli, bibliotecario di Niccolò V, il quale ha scritto di suo pungo – e forse egli stesso tradotto, come ipotizza MONFASANI 2016, pp. 121-25 – i titoli dei capitoli di cui si

compongono i libri XI-XX (ff. 163r-181r); sul Tortelli cfr. REGOLIOSI 1969, MANFREDI 1998,

MANFREDI 2010, p. 178 (scheda a c. di C. M. Grafinger) e pp. 180-82; in merito all’interesse del Tortelli per le traduzioni diodoree cfr. infra anche la scheda del ms. Garret 105 § I.3.3 e l’Appendice 1. Tornando al ms. 628, esso è un codice d’eccezione e pone una serie di problemi, perché contiene, prima delle due unità autografe del Tortelli e del Decembrio, anche la trascrizione ad opera di una mano umanistica (ff. 1r-149r) di una versione latina dei libri XIV e XV della Biblioteca storica, adespota e non attestata altrove, ma coincidente fino al capitolo LXIV del libro XIV con quella di Iacopo da San Cassiano; mentre POMARO 2010 non si esprime circa l’attribuzione di tale versione adespota e anzi invita ad essere molto

cauti in merito, MONFASANI 2016 (pp. 108 e 110-11) ritiene probabile che essa vada ascritta nient’altro

che al San Cassiano stesso, morto prima di poter apporre l’ultimo sigillo alla propria traduzione diodorea, che però era forse sostanzialmente conclusa: a suo avviso il Tortelli, che al committente del ‘ciclo’ diodoreo Niccolò V e a Iacopo stesso era assai vicino, potrebbe aver raccolto la parte finale della versione del San Cassiano ed essersi preoccupato di farla trascrivere nell’attuale ms. 628, assieme al poco che era stato tradotto dal Decembrio, provvedendo poi egli stesso a tradurre i titoli dei capitoli dei libri XI-XX contenuti nei ff. 163r-181r, di cui si è detto sopra.

36In un registro della biblioteca di Ercole I duca di Ferrara, che va dal 1471 al 1478, in data 20 dicembre 1477 risulta ingressato un «Libro chiamato Diodaro (sic) Siculo […] traducto per magistro Nicolò da Lunicho de Griecho in latino», cfr. BERTONI 1903, p. 130 e soprattutto TISSONI BENVENUTI 2005 pp. 255-56 e n. 43. La studiosa avanza in questa sede l’ipotesi che la versione del Leoniceno potesse riguardare i libri XVI-XVII della Biblioteca storica, che hanno per argomento le vicende del regno di Filippo di Macedonia e di Alessandro Magno. ACOCELLA 2016, p. 348 n. 34 ritiene invece che la dicitura

«de Griecho in latino» nel sopracitato registro sia un errore dello scriba indotto per automatismo dalla formula «de Griecho…»; a suo avviso, dal momento che Ercole d’Este era solito richiedere traduzioni in volgare, non in latino, si tratterebbe di una seconda registrazione del volgarizzamento diodoreo voluto

(16)

Più tarde e legate ad ambienti del tutto diversi sono, infine: la versione dei libri

XVI-XVII (vita di Filippo di Macedonia e di Alessandro Magno) ad opera del

bolognese Angelo Cospi, impressa per la prima volta nel 1516 a Vienna, con dedica

all’imperatore Massimiliano d’Asburgo;

37

la traduzione dei libri XVIII-XX, oggi

perduta, intrapresa da Giovanni Lascaris (1445-1535) per il francese Claude de Syssel,

che la utilizzò come base per un volgarizzamento in francese (su cui cfr. la prima nota

del paragrafo successivo).

38

Le traduzioni latine di Poggio, Iacopo da San Cassiano e Angelo Cospi godettero

di notevole fortuna e furono recepite come un continuum testuale, tanto che dal 1531, e

poi più sistematicamente a partire dal 1548, alcuni editori le inserirono entro un

disegno di edizione collettiva che comprendesse tutte le traduzioni latine del testo

diodoreo allora disponibili; dandole alle stampe, provvedettero a colmare le sezioni

ancora rimaste intradotte.

39

da Ercole già attestato nel medesimo registro alla data del 1471 (per questo testo volgare cfr. infra § 3.3); non sarebbe dunque mai esistita, secondo Acocella, una versione latina del Leoniceno.

37Sul Cospi cfr. la voce Angelus Cospus Bononiensis (= Angelo Cospi) in COSENZA 1962-, II, pp. 1129-30. Dal censimento non è emersa alcuna copia manoscritta di tale versione. Per un prospetto, invece, delle edizioni a stampa della traduzione cospiana edita per la prima volta a Vienna nel 1516 – due della quali videro la luce in Italia, entrambe a Venezia, una nel 1517 per i tipi di Giovanni Tacuino, l’altra nel 1518 per Giorgio Rusconi – rimando aCORTESI –FIASCHI 2008,pp.416-18.Cfr. inoltre MONFASANI 2016,

pp. 128-35.

38Sulla traduzione perduta del Lascaris cfr. MONFASANI 2016, pp. 136-37.

39In tutto le edizioni collettive sono sette (Basilea 1531, Parigi 1531, Basilea 1548, Lione 1552, Basilea 1559, Lione 1559, Basilea 1578) e nell’edizione più completa di Basilea del 1559 (ripresa pressoché identica nel 1578) arrivano a comprendere: la traduzione di quindici libri di Diodoro (I-V e XI-XX), più alcuni frammenti dei restanti venticinque libri: I-V tr. Poggio; XI-XIV.64 Iacopo da San Cassiano [ma adespota nell’edizione]; XIV.65-sino alla fine del libro XIV tr. Bernardino Rutilio; XV tr. Marcus Hopper; XVI-XVII tr. Angelo Cospi; XVIII-XX e frammenti tr. Sébastien Chateillôn; si vedano CORTESI –FIASCHI 2008, pp. 418-19 e MONFASANI 2016, pp. 86-93. Per le traduzioni cinquecentesche

di Bernardino Rutilio, Marcus Hopper e Sébastien Chateillôn, allestite appositamente per le edizioni a stampa (la prima e l’ultima per quella di Basilea del 1559, la seconda già per quella basileense del 1548), cfr. MONFASANI 2016, pp. 142-47.

(17)

3. I VOLGARIZZAMENTI

Oltre che dalle versioni latine di cui si è detto, la fortuna quattro-cinquecentesca

della Biblioteca storica è testimoniata dai numerosi volgarizzamenti prodotti fra XV e

XVI secolo in area italiana, francese,

40

tedesca

41

e anglosassone.

42

Per quanto concerne le traduzioni in volgare italiano della Biblioteca storica, una

ricerca condotta con il sussidio dei più importanti repertori settecenteschi di

volgarizzamenti

43

e

dei cataloghi delle principali biblioteche italiane ed estere ha

restituito un quadro d’insieme piuttosto ricco e variegato.

3.1 Il volgarizzamento A

Il volgarizzamento più antico che ci sia giunto (= A) traduce, come anticipiato,

solo i libri I-II della Biblioteca storica, ripartendoli però in tre libri, perché il primo era

stato diviso in due già nella versione latina di Poggio.

44

Il fatto che la traduzione sia

parziale – tre libri a fronte dei sei di Poggio – può probabilmente essere considerato

una scelta intenzionale del volgarizzatore, dal momento che i libri I-II di Diodoro sono

tutto sommato compiuti in sé stessi quanto a contenuto (il primo è interamente

dedicato alla materia egiziana, il secondo alla geografia e all’etnografia dell’Asia). Sotto

il profilo della tipologia di traduzione e delle tecniche versorie, in linea generale si può

dire che il testo A è caratterizzato da strettissima letteralità e aderenza al modello latino,

40Tre sono le traduzioni francesi, tutte del secolo XVI e prive di edizioni moderne: la prima, limitata ai libri XVIII-XX, è opera del savoiardo Claude de Seyssel, che vi attese probabilmente fra il 1507 e il 1511 traducendo da una versione latina approntata espressamente per lui da Giovanni Lascaris (cfr. supra § 2); dal censimento emerge che è contenuta nel manoscritto Fr. 712 (Fonds Français) della Bibliothèque Nazionale di Parigi, perg. del XVI sec., miniato; fu stampata a Parigi per la prima volta nel 1530 (cfr. PETTEGREE –WALSBY –WILKINSON 2007, I, p. 481). La seconda, limitata ai libri I-III, è di Antoine

Macault, che la tradusse per Francesco I, e ha alla base la versione latina di Poggio; è conservata nel ms. 721 (XIV H 9) del Musée Condé di Chantilly (cfr. il Catalogue général des manuscrits des bibliothèques publiques de France, serie Paris Bibliothèque de l’Institut, vol. III, p. 147 e KRISTELLER,Iter, III, p. 205); la princeps risale

al 1535 (cfr. ancora PETTEGREE –WALSBY –WILKINSON 2007, I, p. 481). L’ultimo volgarizzamento

francese, impresso a Parigi nel 1554, si deve al vescovo e traduttore Jaques Amyot e copre i libri XI-XVII, tradotti direttamente dal greco, e più precisamente, come ha rilevato Pierre Bertrac, limitatamente ai libri XI-XV deriva dal codice Marciano gr. 375, cfr. DIODORE DE SICILE I (ed. Bertrac), pp. CLI-LII;

si veda inoltre MONFASANI 2016, pp. 137-41. Per gli estremi della stampa parigina del 1554 valgono i

riferimenti bibliografici di cui sopra.

41È noto un solo volgarizzamento in lingua tedesca (libri I-V), dell’umanista Johannes Herold (1511-1570). Ha come punto di partenza la traduzione di Poggio Bracciolini e andò a stampa per la prima volta nel 1554 a Basilea; non ha edizione moderna. Cfr. HOFFMANN 1833, II, p. 68.

42Il milieu culturale inglese fu notoriamente assai poco incline ai volgarizzamenti di testi classici (entro la fine del Quattrocento se ne contano in tutto solo quattro); spicca dunque per la sua precocità cronologica il volgarizzamento diodoreo eseguito dal noto poeta John Skelton, precettore del futuro re Enrico VIII, sulla base della versione latina braccioliniana. Il testo volgare è conservato nel solo manoscritto 357 della biblioteca del Corpus Christi College di Cambridge; è disponibile un’edizione critica che data agli anni ’60 del secolo scorso: SKELTON, The Biblioteca Historica of Diodorus Siculus. 43Mi riferisco ai seguenti volumi: FONTANINI FONSECA DE EVORA 1726; FONTANINI ZENO 1753; PAITONI 1766-1767; ARGELATI 1767.

44L’umanista, infatti, smembrò in due il libro I, molto lungo, in corrispondenza del capitolo I. XLII dell’originale greco; tale ripartizione è giustificata dal fatto che in questo punto Diodoro dichiara di aver diviso il primo libro in due volumi, cfr. DIODORE DE SICILE I (ed. Bertrac), p. LXXXIX n. 44 e p. 24.

(18)

a tutti i livelli.

45

Esso è tramandato dai manoscritti Magliabechiano XXIII 46 della

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (= F)

46

e Marston 73 della Beinecke Library

di Yale (= Y).

47

Per i motivi esposti nella Nota al testo A, a cui rimando, si è ritenuto

opportuno basare il saggio di edizione del volgarizzamento sul testimone F, nonostante

il codice fiorentino sia tutt’altro che privo di mende. La scelta è motivata dal fatto che

il copista di Y, che comunque non va esente da sviste di trascrizione, è caratterizzato

da un’indole fortemente e palesemente ‘attiva’.

48

Sotto il profilo linguistico, il

volgarizzamento presenta in entrambi i testimoni una patina omogeneamente toscana,

con alcuni tratti del fiorentino ‘argenteo’ quattrocentesco.

49

Il testo A era noto a

Donato Gravino, che lo segnalava come tràdito dal solo Magl. XXIII 46 (= F) nel suo

Saggio d’una storia dei volgarizzamenti d’opere greche nel secolo XV, dicendolo tradotto a partire

dal latino di Poggio (circostanza che, come si è anticipato, ho verificato in S

IDERI

2016,

pp. 130-38).

50

Al volgarizzamento A è dedicato l’intero capitolo III.

45Per le tecniche versorie del volgarizzamento A cfr. il § III.4.

46Segnalato inKRISTELLER, Iter, I, p.139; per una scheda descrittiva cfr. la Nota al testo A. Si tratta di un esemplare cartaceo di modesta fattura, risalente agli anni ’50 (tardi)-’60 del XV secolo, un tempo appartenuto alla biblioteca Gaddi; è vergato da un’unica mano influenzata dall’umanistica, ma ancora di base gotica, con alcuni tratti specifici della mercantesca; i margini del ms. recano numerosi notabilia e marginalia di mano del copista, a inchiostro rossiccio, su cui tornerò al capitolo III. Segnalo che è scorretta l’indicazione in MONFASANI 2016, p. 75 e n. 63 e p. 81 n. 83, secondo cui il volgarizzamento

A – di cui vengono dati correttamente incipit ed explicit – sarebbe conservato nel ms. Magl. VII. 1192, appartenuto a Benedetto Varchi, che contiene in realtà una miscellanea di rime (cfr. FOSSI 1789, p. 102). Monfasani cita come riferimento bibliografico GALANTE 1907, in cui viene riportato un elenco di codici

magliabechiani di testi classici: secondo MONFASANI 2016 il ms. Magl. VII 1192 dovrebbe qui ricoprire

il n°63 (pp. 135-36); a tale numero corrisponde però non il Magl. VII. 1992, bensì il Magl. VII. 1197, che in effetti ai ff. 190v-191r contiene un brevissimo excerptum in latino dal libro II della traduzione poggiana della Biblioteca storica (Titolo: «Quęstio ex Diodoro Siculo ad eorum spect(ans). Etiam ratione cogruant hic pernotare placuit»; inc.: «Aegiptiorum regnum heroes paulominus XVIII annos, homines V tenuere, post deos primus regnavit Menas»; expl.: «Astiages ultimus Ęgiptiorum rex victus a Cyro imperium ex medis in Persas transivit».); da qui deriva, probabilmente, la confusione.

47KRISTELLER, V, pp. 285-86; scheda descrittiva nella Nota al testo A. Si tratta di un bel manoscritto pergamenaceo di piccolo formato, databile circa agli anni ’60-’70 del XV secolo. Di provenienza originaria sconosciuta, appartenne nel XVIII secolo alla collezione libraria del cardinal Giuseppe Renato Imperiali (1651-1737). È vergato da un’unica mano, in una scrittura mercantesca libraria di piccolo modulo, molto ordinata e posata.

48Cfr. VÀRVARO 2004, p. 582. L’analisi autoptica di Y mi ha permesso di individuare un totale di 122 interventi correttori e di integrazione testuale, eseguiti dal copista stesso in un secondo momento rispetto alla stesura complessiva del testo, su rasura o, più frequentemente, su spazio precedentemente lasciato in bianco. Per la questione rimando alla Nota al testo A. Segnalo che all’interno di questa tesi le lezioni secondarie di Y sono sempre designate dalla sigla Y2.

49Cfr. la Nota linguistica, all’interno della Nota al testo A. Anticipo qui che, pur accomunati da una patina di base sicuramente toscana, F e Y si differenziano tuttavia per un tratto anomalo in tale contesto linguistico, assente in Y (salvo due eccezioni), ma attestato con costanza in F: si tratta della chiusura del che in chi, sia pronome (per lo più soggetto, ma anche oggetto), sia congiunzione (anche composta, ad es. però chi, acciò chi), indipendentemente dalla posizione prevocalica o preconsonantica. Come ho cercato di dimostrare nella Nota linguistica, a cui rimando per una discussione più approfondita del fenonemo, tale tratto deve probabilmente essere attribuito al copista dell’archetipo comune da cui discendono F e Y.

50GRAVINO 1896, pp. 100-07. Gravino non era a conoscenza del codice di Yale; così anche TANTURLI 1988 (p. 218 n. 11), che elenca il ms. F fra i volgarizzamenti di opere greche di probabile produzione fiorentina, e TISSONI BENVENUTI 2005, p. 256 n. 44.

(19)

3.2 Il volgarizzamento B

L’altro volgarizzamento di cui si occupa questa tesi, denominato B, è

indipendente da A;

51

esso traduce tutti e cinque i primi libri di Diodoro, che risultano

però sei in totale, perché il primo libro greco è diviso in due nella versione latina di

Poggio da cui esso deriva, come si è già detto. Oltre alla materia egiziana e asiatica dei

primi due libri diodorei, viene dunque qui offerta al lettore volgare anche una vasta e

curiosa descrizione geo-etnografica dell’Africa, Egitto escluso (= Bibl. st. libro III), un

lungo compendio mitologico relativo agli eroi e ai semidei della tradizione greca (=

Bibl. st. IV) e una trattazione sulle isole, reali o fittizie (= Bibl. st. V). Dal punto di vista

delle strategie versorie, il volgarizzamento B rappresenta un universo diametralmente

opposto rispetto ad A: in termini molto generali, si può dire che il volgarizzatore

produce una traduzione libera, scorrevole e svincolata dal latino dal punto di vista sia

sintattico sia – in alcuni casi – contenutistico, circostanza che denota una certa

disinvoltura nei confronti della fedeltà al modello, non di rado sacrificata allo scopo di

conferire maggior leggibilità e fruibilità al testo.

52

Il volgarizzamento B è tràdito dal

manoscritto unico Trotti 301 della biblioteca Ambrosiana di Milano,

53

codice peculiare

perché ricco di correzioni, riscritture, varianti e glosse marginali ad opera della

medesima mano che ha vergato il corpo del testo, dunque verosimilmente un autografo

dell’anonimo volgarizzatore: allo status di questo manoscritto sono dedicati i paragrafi

1-2 del Capitolo IV. Nel manoscritto il testo è privo della sezione proemiale di Diodoro

(= Bibl. st. I – I.VI, 2, qui l’autore greco descrive i propri intenti programmatici e il

piano dell’opera) ed esordisce direttamente con l’inizio della vera e propria narrazione

(= Bibl. st. I. VI, 3). Il volgarizzamento B fu stampato a Firenze dai Giunti nel 1526,

con il titolo Delle antique historie fabulose, e riproposto pressoché identico da Giolito de’

Ferrari a Venezia nel 1542 e nel 1547;

54

il testo di queste edizioni – comprensivo anche

della parte proemiale assente nel Trotti 301 – risulta però molto rimaneggiato, frutto

di un processo di contrazione e sfrondamento testuale rispetto a ciò che leggiamo nel

51Al volgarizzamento B, che avevo studiato per la tesi magistrale, è dedicata buona parte del contributo SIDERI 2016, in particolare le pp. 121-26 e 130-63; in merito alla sua totale indipendenza da A, che

comunque emergerà con evidenza nei capitoli II-IV, si veda ivi, pp. 126-30. 52Sulle tecniche di traduzione cfr. § IV.5.

53CERUTI COGLIATI, Inventario, vol. XLVIII (= Inventario mss. Trotti), scheda n° 249; KRISTELLER, Iter, I, p. 348 (il ms. è erroneamente datato al XVII sec.); cfr. la scheda descrittiva nella Nota al testo B. Cartaceo, di modesta fattura, il Trotti 301 è scritto da un’unica mano in umanistica corsiva, a tratti trascurata; il ms. è databile con buon margine di probabilità al 1513, sulla base di una nota vergata a margine del f. 151r dall’estensore del codice, in cui viene menzionata, alla stregua di evento contemporaneo, la sanguinosa battaglia di Flodden Field combattuta fra inglesi e scozzesi il 9 settembre 1513. Per alcune considerazioni circa la datazione del codice rimando alla discussione che segue la scheda descrittiva del ms. nella Nota al testo B.

54Questi gli estremi delle tre edizioni: Diodoro Siculo delle antique historie fabulose. Nuovamente fatto vulgare et

con diligentia stampato, impresso in Firenze per i heredi di Philippo di Giunta, 1526 di ottobre (Edit 16 CNCE 17219); Diodoro Siculo delle antique historie fabulose novamente fatto volgare & con somma diligentia stampato, in Vinegia, per Gabriel Iolito di Ferrarii, 1542 (Edit 16 CNCE 17220); Diodoro Siculo delle antiche historie favolose. Novamenee [sic] con somma diligentia stampato, con la tavola, in Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, 1547 (Edit 16 CNCE 17221).

(20)

manoscritto, tanto che le due versioni risultano quasi incollazionabili; il saggio di

edizione proposto in questa sede è basato sul solo codice Trotti, ma all’interno del

Capitolo IV, interamente consacrato al volgarizzamento B, si è riservato il paragrafo 4

per un’indagine relativa ai rapporti fra la versione manoscritta e quella a stampa. Sotto

il profilo linguistico, il testo presenta una patina di base toscaneggiante, punteggiata

però da alcuni tratti che sembrerebbero rimandare a un ambito di koinè settentrionale;

55

per una valutazione complessiva rimando alla Nota linguistica al testo B.

3.3 Gli altri volgarizzamenti

All’interno di un registro della guardaroba di Ercole I d’Este che copre gli anni

1471-78, già menzionato sopra, al n° 8 risulta presente già nel 1471 «uno libro chiamato

Diodano (sic) Sichulo vulgare, in carta bona, littera corsiva, cum asse chuperte de

churame rosso cum duo azuli», senza indicazione d’autore né del numero di libri

tradotti;

56

il volgarizzamento diodoreo è elencato anche in altri due inventari

manoscritti antichi dello studio di Ercole (uno studiato da Antonia Tissoni Benvenuti,

che lo data ante 1477, l’altro pubblicato a inizio ’900 da Giulio Bertoni e risalente al

1495).

57

Sappiamo che quel volgarizzamento, di cui non si ha più notizia alcuna, doveva

essere stato espressamente richiesto dal duca, appassionato di storia antica, perché così

sembra lasciar intendere Matteo Maria Boiardo nel prologo alla sua traduzione delle

Storie di Erodoto.

58

La possibilità o meno di identificare questo volgarizzamento

estense con i testi A o B è una questione aperta e sarà discussa a suo luogo nei capitoli

III (cfr. § III.3) e IV (cfr. § IV.4);

59

ciò che qui importa notare è il forte interesse della

55Al di là dell’oscillare di forme anafonetiche e non anafonetiche del tipo o > u davanti a nasale velare (ma sappiamo che la mancanza di anafonesi è tipica anche di aree toscane extra-fiorentine), sono forme tipiche di koinè almeno le assibilazioni del tipo brusare per ‘bruciare’ – ricorrenti nel testo e nelle note a margine –, busare per ‘bucare’, caggiason per ‘cacciagione’, disasio per ‘disagio’; possono aggiungersi le forme isolate spessi (IIIa pers. sing. del cong. pres. di ‘spezzare’) e presiose, con esito assibilato del nesso -TJ- caratteristico dell’Italia settentrionale (ma anche, come è noto, dell’area toscana occidentale, Pisa e

Lucca), la forma quasi esclusiva dei possessivi soi e soe, l’uso costante di de preposizione in luogo di di; da segnalare, inoltre, che a f. 107v sdrucciolando a testo è glossato a margine alla lombarda ‘sbellissicando’, da confrontare con voci come il mantovano sblissar o ʃblisiar (CHERUBINI 1827, p. 122 e BARDINI 1964, p.

151), il bolognese sblisgar (cfr. BERTI 1869-74, p. 292) e il ferrarese-modenese sblisgare/sbelisegare (TRENTI

2008, p. 490), che significano appunto ‘scivolare’. 56Cfr. TISSONI BENVENUTI 2005, p. 255.

57Cfr. ancoraTISSONI BENVENUTI 2005, p. 255 e BERTONI 1903, pp. 129-30.

58«Prenderà adunque la Excellentia Vostra questa nova traductione al suo nome dedicata, a ciò che la lingua italica sapia avere, tra assai altre magiore, questa obligatione ancora a Vostra Celestitudine: che, come Dione e Diodoro e molti altri ystorici intesi sono da le gente nostre per opera di Vostra Signoria, così Erodoto patre de la istoria ne la vostra presentia ragionerà italiano», cito da FUMAGALLI 1998, p.

419.

59Nel suo Saggio d’una storia dei volgarizzamenti d’opere greche nel secolo XV Donato Gravino proponeva di identificare il volgarizzamento estense con quello stampato anonimo dai Giunti nel 1526 (vale a dire con il testo B, per quanto in forma rimaneggiata rispetto al codice Trotti 301, di cui il Gravino non era a conoscenza); di tale ipotesi non veniva resa però ragione alcuna, cfr. GRAVINO 1896, p. 107. TISSONI

BENVENUTI 2005 (pp. 255-56 e n. 44) suggerisce che all’altezza cronologica del 1471 i traduttori del

volgarizzamento diodoreo estense possano essere stati il vicentino Niccolò Leoniceno (su cui cfr. PELLEGRINI 2013) o il lombardo Pier Candido Decembrio (cfr. VITI 1987), entrambi attivi presso la

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