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La rete del regime fascista in Spagna

Le destre spagnole tra conservatorismo, tentativi golpisti e la rete transnazionale fascista

3.1 La rete del regime fascista in Spagna

I legami del fascismo con la Spagna risalgono agli inizi degli anni Venti quando fu costruita una rete (network) transnazionale -un insieme di reti con base in diversi paesi europei ed extraeuropei- che operasse a livello globale per diffondere gli ideali del movimento fondato da Mussolini. La rete italo-spagnola divenne nel corso degli anni Venti e Trenta un elemento importante del network transnazionale fascista, le cui caratteristiche possono essere individuate nel fascismo come rivoluzione spirituale, economica e come politica nazionale, che oltrepassa i confini nazionali; nella sua vocazione internazionalista come aspetto cruciale della natura del fenomeno fascista. Tale rete era composta da tre livelli: il primo livello era costituito da una serie di legami personali, fondamentali nei primi passi della rete, da uomini che in senso stretto non possiamo definire fascisti come gli spagnoli Alberto Martín Artajo, José Antonio de Sangróniz e Alfredo Kindelán; il secondo dalle organinizzazioni politiche quali il

Partito nazionale fascista (PNF) e la Falange Española (FE); il terzo livello da persone

che facevano parte delle istituzioni, come funzionari, diplomatici, politici.

Con l’ascesa al potere di Mussolini nell’ottobre del 1922 il fascismo ben presto divenne un punto di riferimento per i gruppi fascisti in Europa. Nel 1922, in Spagna, si conosceva poco del fascismo e le informazioni giungevano attraverso gli articoli dei corrispondenti spagnoli in Italia, i canali diplomatici e la diffusione di riviste italiane, pubblicate da attivi membri delle nostre comunità nel paese iberico. Le uniche eccezioni erano: La Camisa negra, un settimanale che ebbe vita breve, un solo numero, e La

Traza, un gruppo filofascista di Barcellona. Nata nella primavera del 1923

quest’organizzazione visse solo tre anni fino al 1926, quando scomparì ufficialmente. Le aspirazioni di questi piccoli gruppi che volevano instaurare in Spagna un regime

fascista furono frustrate dalla dittatura di Primo de Rivera che, nonostante il re presentasse il suo primo ministro come il “mio Mussolini”, non fu una dittatura fascista o fascistizzata ma un regime autoritario e conservatore come hanno dimostrato gli storici che si sono occupati di questo periodo (Ismael Saz, Gustavo Palomares Lerma, José Luis Goméz-Navarro).218

L’interesse di Mussolini per la Spagna dipendeva dalla ricerca del regime di nuovi alleati in campo internazionale allo scopo di aumentare il suo prestigio. La posizione geopolitica del paese latino nel Mediterraneo occidentale ne faceva una pedina importante nello scacchiero europeo in funzione antifrancese e in misura minore antibritannica e per questa ragione divenne uno degli obiettivi della politica estera fascista, una politica espansionista e imperiale. Un’alleanza con la Spagna poteva essere utile anche ai fini dell’espansione dell’ideologia fascista.

L’alzamiento militare, capeggiata da Primo de Rivera nel settembre 1923 rappresentò un’occasione per la strategia mussoliniana. Sia il dittatore sia Alfonso XIII erano degli ammitatori del regime come dimostrato dalle dichiarazioni di entrambi durante la loro visita a Roma nel novembre del 1923.

I nuovi rapporti bilaterali tra i due paesi permisero lo sviluppo di una rete che si sarebbe rafforzata progressivamente nel decennio successivo e che era formata oltre che da membri appartenenti alla comunità italiana anche da esponenti del governo sia italiano sia spagnolo. I rapporti tra questi soggetti erano di natura personale e fungevano da strumento per la diffusione dell’ideologia fascista in Spagna.

I rapporti italo-spagnoli in realtà non andarono oltre le belle parole e gli slogan fiammeggianti e non produssero risultati politici concreti.

La penetrazione dell’ideologia fascista fu favorita dalla colonia italiana in Spagna che, grazie a istituzioni come i Fasci Italiani all’Estero, la Casa degli Italiani e l’Istituto

Dante Alighieri, cercò di far crescere l’influenza italiana nel paese latino.219

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218 I. Saz, Mussolini contra…, op. cit., 1986, G. Palomares Lerma, Mussolini y Primo de Rivera: política

exterior de dos dictatores, Madrid, EUDEMA, 1989, G. Gómez-Navarro, El régimen de Primo de Rivera, Madrid, Cátedra, 1991.

219 R. Domínguez Méndez, Los Fasci Italianos en España, in «Pasado y Memoria, Revista de Historia

Nei primi anni Venti gli italiani in Spagna erano quasi 5.000, di cui 2.000 vivevano - secondo le stime del Consolato italiano- a Barcellona220. La presenza italiana in territorio spagnolo, a differenza di altri paesi, era costituita da persone appartenenti alle classi benestanti, che svolgevano attività commerciali e industriali, attratte dal nazionalismo e dal messaggio di ordine e di controllo fascista e interessate a espandere l’influenza italiana in ogni campo: politico, economico e culturale. Il primo passo per diffondere il fascismo nella società spagnola fu la fondazione dei Fasci Italiani

all’Estero, promotori dell’ideologia fascista nei diversi paesi in cui c’era una presenza

italiana.221

Secondo l’art. 1 dello Statuto dei Fasci all’Estero,

I Fasci all’Estero sono l’organizzazione degli Italiani residenti all’Estero, che hanno eletto a norma della loro vita privata e civile l’obbedienza al Duce e la Legge del Fascismo e intendono raccogliere intorno al segno del Littorio le colonie di italiani viventi in un paese straniero.222

Nonostante il testo risalga al 1928, quando già da lungo tempo, l’istituzione era stata dotata di una struttura legislativa ed amministrativa finalizzata alla definizione del ruolo dei Fasci all’estero, esso costituisce una buona sintesi di quello che l’organizzazione rappresentava fin dalla sua nascita. Come scrive Luca De Caprariis la loro creazione fu incoraggiata dalla grande espansione dello squadrismo nel 1920-1921. Da questa data i

Fasci iniziarono a sorgere quasi ovunque spontaneamente. Le prime cellule erano

formate da ex combattenti e da qualche intellettuale e giornalista.223 Il regime, una volta consolidato il suo potere, decise di porre queste organizzazioni nate fuori dai confini nazionali sotto il controllo governativo. I motivi che spinsero il duce a prendere questa decisione furono essenzialmente tre: il potenziale propagandistico che i Fasci potevano esercitare nei paesi ospitanti sulla comunità italiana e sulle società in cui si sviluppavano, la necessità di definire la loro funzione politica e il controllo delle azioni degli iscritti.

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220 Archivio Storico Ministero degli Affari Esteri (ASMAE), Affari politici, 1919-1930, busta 1587,

fasciscolo 7276, Lebrecht, console d’Italia a Barcellona, a Mussolini, 4-12-1922.

221 L. De Caprariis, Fascism for export? The rise and the eclipse of the Fasci Italiani all’Estero, in

«Journal of Contemporary History», 35, n° 2, 2000, pp. 151-83.

222 Il testo dello Statuto si può consultare in ASMAE, Segreteria Generale dei Fasci residenti all’Estero,

Statuto dei Fasci all’Estero, Roma, 1928.

223 L. De Caprariis, I Fasci italiani all’estero, in E. Franzina, M. Sanfilippo (a cura di), Il Fascismo e gli

La necessità di una proiezione e di una legittimazione sia in patria sia all’estero spinse Mussolini a proporre una nuova immagine del fascismo che cancellasse l’idea di un movimento irregolare di audaci, arditi e di facinorosi. Considerato solo mero strumento di difesa contro il comunismo, il fascismo era ritenuto un fenomeno transitorio destinato a scomparire una volta esaurita la funzione di argine all’espansione del bolscevismo. Il primo tentativo per regolamentare i Fasci all’estero fu la nomina di una commissione che portò alla nascita di una Segreteria Generale dei Fasci all’estero con a capo, a partire dall’aprile del 1923, Giuseppe Bastianini, uno dei membri della commissione. In un’intervista al quotidiano brasiliano, Fanfulla, Bastianini affermava che

l’azione specifica, svolta dai Fasci, è stata di strenua e instancabile italianità cercando di controbattere da una parte la propaganda denigratrice e dall’altra di diffondere tutte quelle idee e principii che potessero sempre più avvalorare la nostra causa, aprendo gli occhi delle popolazioni straniere su quelli che erano e sono i postulati politici nazionali del Fascismo.

Nelle sue dichiarazioni al giornale sulle difficoltà incontrate nella fondazione dei Fasci

all’estero Bastianini sosteneva che:

Vi sono state delle difficoltà, perché qualcuno affermava che all’estero non si sentiva alcun bisogno, né per la protezione delle Colonie, né per la rappresentanza morale del “bel paese” della presenza di associazioni fasciste, ma è stato dimostrato dai fatti che il Fascismo: 1° Non aveva niente in comune con i programmi di tutte le altre associazioni, avendo un programma ed uno spirito propri. 2° invece di disgregare, armonizzare tutte le energie italiane in un saldo organismo. 3° era il solo mezzo efficace ed autorizzato per distruggere le fantasie e le eresie sul fascismo. Uno degli intoppi più grandi per la costruzione dei Fasci all’Estero è stata la scelta delle persone che dovevano dirigerli. Si stabilì in definitiva che ognuno di quelli che chiedevano di capitanare e creare un fascio, dovesse indicare alla segreteria generale del Partito le referenze in Italia. [...] A non meno di 100 persone è stata rifiutata la autorizzazione a presiedere e a occuparsi di Fascismo. Ecco non ci curiamo che i Fasci abbiano scarsi iscritti purché gli iscritti siano puri e seri e all’altezza della missione da compiere.

L’articolo terminava con la descrizione della loro struttura organizzativa:

Ogni fascio ha costruito i suoi gruppi di competenza con particolare riferimento ai problemi che interessano la nazione dove essi vivono e l’Italia. Vi sono gruppi di competenza politica, commerciale, industriale, economica, i quali ogni fine mese inviano alla segreteria generale una relazione. Ogni volta che ricevo queste relazioni le passo al Presidente del Consiglio, in maniera che egli veda le necessità delle

Colonie. [...] I Fasci all’Estero si trovano in questa condizione: possono garantire ad ogni italiano che si reca all’estero la assistenza cordiale.224

Per non inimicarsi i governi stranieri, lo Statuto affermava:

I fascisti all’estero debbono obbedire ai seguenti comandamenti:

1. I fascisti che sono all’estero debbono essere ossequienti alle leggi del paese che li ospita. Devono dare esempio quotidiano di questo ossequio alle leggi, e dare se necessario, tale esempio agli stessi cittadini.

2. Non partecipare a quella che è la politica interna dei paesi dove i fascisti sono ospitati. 3. Non suscitare dissidi all’interno delle colonie ma piuttosto sanarli, all’ombra del littorio.225

Un cambiamento di rotta si verificò nel 1926, quando si affermò la supremazia dello Stato sul Partito Nazionale Fascista (PNF) e Farinacci, fino ad allora segretario del partito, fu costretto da Mussolini a dimettersi. Come afferma Emilio Gentile la funzione del PNF mutò e «did not elaborate the political will of the regime, but was the instrument to carry it out».226

Mussolini era cosciente che rispetto ai paesi europei e agli Stati Uniti, «Italian communities could not be used to disrupt the political system of their host countries».227 La nuova politica prevedeva l’identificazione tra il fascismo e la nazione per cui Il

Legonario il 1° gennaio 1927 affermava che: «come all’interno, così ormai anche

all’estero, il fascista si confonde con il buono italiano, anche se non tesserato».228 A gennaio 1927 il duce affidava a Cornelio Di Marzio e a Luigi Freddi la riorganizzazione dei Fasci all’Estero. I contrasti tra i due finirono per indebolire l’organizzazione. Il punto di maggior frizione era dato dalla decisione di Di Marzio di avere il pieno controllo delle attività dei Fasci all’Estero e dalla nuova politica migratoria di Dino Grandi. Soppresso il Commissariato generale per l’emigrazione sostituito dalla Direzione generale degli italiani all’estero, ebbe inizio un processo che portò gli organi di partito all’estero all’interno della sfera del Ministero degli Affari Esteri. Tale processo si concluse nel 1929 e la nuova Direzione venne affidata a Piero !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

224 Fanfulla, 17-3-1923, Il Fascismo all’estero. Un’intervista con Bastianini. 225 Vedi nota 238.

226 E. Gentile, The Problem of the Party in Italian Fascism, in «Journal of Contemporary History», vol.

19, n°1, January 1984, pp. 251-274.

227 L. De Caprariis, Fascism for Export?, op. cit., p. 175.

228Comunicato della Segreteria generale dei Fasci all’estero, 1927, in «Il Legionario», organo degli

Parini. Sempre nello stesso anno Mussolini stilò un nuovo statuto per i Fasci, che dipesero dalle strutture consolari. Il punto V del nuovo statuto affermava che bisognava: «Rispettare rappresentanti dell’Italia all’estero e obbedire alle loro direttive e istruzioni».229

Il ruolo dei Fasci Italiani all’Estero si limitò alla sola attività di propaganada e di diffusione degli ideali fascisti. A tal proposito De Caprariis parla di:

Una vasta epurazione … [che] contribuì a «normalizzare» il fascismo all’estero [e] che, da quel momento come una chiesa» si apriva «a tutti i fedeli». Nel 1929, al termine della campagna di riordino, si contavano 583 sezioni regolarmente costituite con circa 124 mila iscritti. Nel contempo, il carattere militante del movimento si andò stemperando in un più generico richiamo al fascismo quale forza di rigenerazione patriottica e nazionale, tutto incentrato sulla figura del duce».230

Nel 1936 i Fasci tornarono sotto il controllo di Bastianini, Segretario del Ministero degli Affari Esteri, che due anni dopo ne impose la smobilitazione ad Attilio De Cicco, nuovo direttore al posto di Parini. Due fattori contribuirono alla loro liquidazione politica: la loro struttura instabile e le considerazioni geopolitiche che sconsigliarono Mussolini dal fare affidamento sui Fasci all’Estero.

Ritornando alla Spagna l’attività dei Fasci nel paese iniziò nel 1925. Il primo fascio fu quello di Barcellona (maggio 1924), cui seguirono quello di Las Palmas (giugno 1924), di Vigo (luglio 1924), di Madrid (maggio 1925) di Cadiz, Sevilla,Valencia, Palma de Maiorca (giugno 1926). La caratterististica di questi Fasci rispetto a quelli sorti in altri paesi era che i suoi membri appartenevano alla borghesia medio-alta, poco incline a scendere in piazza, a differenza di quanto era avvenuto a Parigi, dove Nicola Bonservizi, fondatore del fascio nella capitale francese morì in uno scontro diretto contro gli antifascisti italiani.231 Il proliferare di queste organizzazioni durante la dittatura di Primo de Rivera fu favorito dai consolati italiani presenti sul territorio spagnolo, fattori chiave per la loro creazione. Prima di avere una sede propria, i Fasci si riunivano nella sede consolare. La rete dei consolati italiani in Spagna nel 1930 era !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

229 Il testo dello Statuto si può consultare in ASMAE, Segreteria Generale dei Fasci residenti all’Estero,

Statuto dei Fasci all’Estero, Roma, 1929.

230 L. De Caprariis, I Fasci italiani all’estero, op. cit., p. 18.

231 D. Fabiano, La Lega per la tutela degli interessi nazionali e le origini dei Fasci all’estero (1920-

formata da sei province: Madrid, Barcelona, Valencia, Sevilla, Bilbao e Santa Cruz de Tenerife.

Gli anni Trenta rappresentarono un periodo opportuno per cambiare la strategia verso le comunità emigrate, intensificando il proselitismo per aumentare gli alcòliti del fascismo tra popolazione locale.

Tra i fasci sorti in Spagna durante la dittatura primoriverista quello di Barcellona fu il

fascio più rappresentativo e il più potente. Nella città catalana risiedeva la maggior parte

degli italiani stabilitasi nel paese latino e fu la sede prescelta, dopo l’avvento della Repubblica, dell’antifascismo italiano (nel 1932 vi stabilì una sezione del Partito socialista, l’anno successivo quella del Partito repubblicano. Gran parte degli anarchici vi si trasferì da Parigi).

I “nuovi emigrati” antifascisti con le loro attività incominciarono a erodere la posizione di privilegio che il fascismo aveva tra gli italiani. Era nota l’attività di spionaggio svolta dal consolato. Nel 1931 un rapporto delle autorità spagnole sui movimenti e le attivtà sovversive delle persone e delle organizzazioni a Barcellona informava che:

Elementos antifascistas de Barcelona aseguran que [Cesare Gullino,] ha hecho subvencionar a los requetes y que está en contactos con ellos. Está positivamente comprobado que los requetes -organización perfeccionada y militarizada- están en contacto permanente con los grupos fascistas e italianos.232

Guariglia, l’ambasciatore italiano a Madrid, scriveva a Parini, direttore della Direzione degli Italiani all’estero (DIE), del timore della comunità italiana di scontrarsi direttamente con gli antifascisti, invitandolo a far vegetare i fasci.233

Ridimensionato il ruolo ufficiale e propagandistico svolto dai fasci, nel 1934 si affidò ai CAUR (Comitati d’Azione per l’universalità di Roma), gruppi formati dalla popolazione autoctona dei vari Stati, il compito di diffondere gli ideali fascisti. La loro attività di proselitismo era supervisionata dal delegato dei fasci. Secondo Marco Cuzzi, l’interesse italiano per la Spagna di Eugenio Coselchi, creatore dei CAUR, aumentò a tal punto da considerarla il secondo paese per importanza strategica. Se l’attività del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

232 La citazione è tratta da R. Domínguez Méndez, Los fasci italianos en Espagna. Aproximación al

conocimiento de sus grupos y actividades, in « Pasado y Memoria. Revista de Historia Contemporánea», n° 11, 2012, p. 130, nota 41. Cesare Gullino, era corrispondente del Corriere della Sera e dell’Agenzia Stefani, vicerettore della Casa degli Italiani a Madrid, presidente del Centro scambi culturali italo- spagnoli e presidente dell’associazione della stampa estera.

CAUR spagnolo non fu assai rilevante e la politica sull’attività dei fasci cambiò per evitare accuse di intromissione da parte dei governi, la nuova tattica del fascismo in politica estera privilegiò i contatti con i movimenti locali affini alla sua ideologia, lasciando in secondo piano le comunità italiane.234