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Mussolini e la Spagna. Da Primo de Rivera alla Seconda Repubblica 1923-1936

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Indice

Introduzione 4

Capitolo Primo

L’Europa tra le due guerre mondiali: il quadro internazionale 10

1.1 La Società delle Nazioni 13

1.2.1 Alla ricerca di un nuovo ordine internazionale (1919-1929) 18

1.2.2 L’Italia e la Società delle Nazioni (1919-1929) 18

1.2.3 La Spagna e la Società delle Nazioni (1919-1929) 32

2.1 Verso la catastrofe (1930-1936) 38

2.1.1 L’Italia e la Società delle Nazioni (1930-1936) 40

2.1.2 La Spagna e la Società delle Nazioni (1930-1936) 46

Capitolo Secondo

I rapporti tra Roma e Madrid 54

2.1 Mussolini e Primo de Rivera 62

2.2 Mussolini e la Repubblica spagnola 78

Capitolo terzo

Le destre spagnole tra conservatorismo, tentativi golpisti

e la rete transnazionale fascista 96

3.1 La rete del regime fascista in Spagna 96

3.2 Mussolini e le destre spagnole 103

3.3 Il tentativo di fascistizzare la Catalogna 133

Capitolo Quarto

L’alzamiento del 1936 137

4.1. Il ruolo dei civili nella preparazione dell’alzamiento militar del 1936 137

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4.1.2 Ernesto Carpi 145

4.2 Mussolini e i preparativi del golpe 149

Conclusioni 160

Fonti 164

Bibliografia 166

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Introduzione

Guariglia, ora vi dirò io cosa accade in Ispagna. Il tono era scherzoso, ma la pretesa di saperne altrettanto o più di me, che venivo da Madrid, non meno sicura. Io lo stavo ad ascoltare, e poi, quando aveva finito, cercavo di rettificare idee e fatti che, a volte, erano sbagliati o inesistenti, giacché le informazioni e i giudizi, ai quali egli troppo spesso credeva, provenivano quasi sempre da dilettanti o da agenti interessati che si mandavano all’estero per sapere quella verità che i diplomatici erano ritenuti incapaci di scoprire o di comprendere.

R. Guariglia, Ricordi, 1922-1946

Il presente progetto di ricerca persegue l’obiettivo di approfondire le relazioni bilaterali tra Spagna e Italia nel periodo tra le due guerre mondiali e di analizzare l’ipotesi di un intervento fascista nella fase di preparazione del golpe militare del luglio 1936. Gli anni che vanno dal 1923 al luglio 1936 sono un periodo ricco di trasformazioni per i due paesi. La Marcia su Roma dell’ottobre del 1922 spiana la strada all’avvento del fascismo. Mussolini inizia così la trasformazione dello Stato liberale in stato totalitario, un’impresa che non gli riuscì completamente per la presenza di diversi fattori: la presenza del sovrano, Capo dello Stato, e dello Statuto albertino, profondamente modificato ma pur sempre vigente, il ruolo della Chiesa, la mancata realizzazione dell’unitarietà dell’indirizzo politico generale, il mancato funzionamento dei principi dello Stato corporativo. Lo Stato fascista può pertanto definirsi un totalitarismo zoppo, imperfetto.1

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1 Cfr. S. Merlini, Il governo costituzionale, in R. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato italiano

dall’Unità ad oggi, Roma, Donzelli, 1995, pp. 40-49, e G. Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, Bologna, il Mulino, 2018.

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Il caso spagnolo per alcuni aspetti presenta delle analogie con quello italiano. Entrambi i paesi affrontano una crisi di sistema e una crisi di regime. Negli anni tra la fine del primo conflitto mondiale e la prima metà degli anni Venti sia in Spagna sia in Italia assistiamo a una crisi di regime e di sistema allo stesso tempo: la crisi dello Stato liberale. Nella Spagna del 1923 un classico pronunciamiento impedì una soluzione democratica alla crisi strutturale del sistema della Restauración, troncando la debole ripresa del dinamismo parlamentare.2 In Italia, un anno prima, la Marcia su Roma aveva aperto la strada all’ascesa di Mussolini al potere.

La soluzione alla crisi dello Stato che attanagliava i paesi europei all’indomani della fine della Grande guerra sembrava essere l’istaurazione di regimi distanti dai valori liberali. Solo la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Cecoslovacchia e i paesi del Nord Europa uscirono dalla crisi mantenendo dei regimi democratici, mentre la parte centro-orientale e meridionale del continente virava verso regimi autoritari. Nel caso spagnolo, una dittatura militare a vocazione autoritaria - caratterizzata da due fasi, un Direttorio militare (1923-1925) cui seguì un Direttorio civile (1925-1930) - aveva il compito di dare al paese una nuova e stabile forma istituzionale. L’ascesa al potere di Mussolini si realizzò, invece, in modo diverso, senza l’aiuto dell’Esercito che non svolse un ruolo se non quello di semplice spettatore.

Il colpo di Stato in Spagna del 13 settembre 1923 ebbe le prime pagine dei giornali italiani: il Corriere della Sera, il giorno successivo in prima pagina dava notizia di quanto accaduto in Spagna col titolo «Un pronunciamiento militare in Spagna. Il generale De Rivera assume il potere a Barcellona», mentre nelle pagine interne pubblicava la dichiarazione del generale, a un collaboratore dell’Agenzia Havas, sul carattere della portata del movimento:

Il movimento tende all’epurazione della politica per renderla onesta di imporre una più rigorosa applicazione della legge, vuol mettere fine allo sperpero finanziario ed assicurare la protezione del lavoro, vuol ottenere che vengano accertate rapidamente senza parzialità le responsabilità del disastro marocchino.

Se il movimento trionferà, verrà instaurata una nuova politica che reprimerà vigorosamente le gesta dei comunisti, dei rivoluzionari e dei separatisti. Nel dominio della politica internazionale intendiamo di fare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

2 C. Adagio, Chiesa e Nazione in Spagna. La dittatura di Primo de Rivera (1923-1930), Milano, Edizioni

Unicopli, 2004, p. 75.

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una politica di pace e di mantenere relazioni di amicizia con tutti i paesi esteri. Nessuna idea imperialista è in noi.3

Fin dal primo momento i giornali italiani compararono i due regimi, basti considerare l’Avanti che titolava: «La dittatura militare in Spagna. La Marcia su Madrid». Nella sua analisi il giornalista affermava che:

Esautorare il Parlamento dei suoi diritti è diventato uno scherzetto abituale. Abbiamo avuto una fioritura di rivoluzioni fasciste [...] in Italia, in Grecia, in Bulgaria ed ora nella tradizionalista Spagna. Il colpo di mano militare non è giunto improvviso. Da tempo se ne parlava. La sua vittoria è stata facilitata nell’incontro della volontà dei circoli militari con quelli della Corona.

Da Parigi invece il corrispondente del giornale socialista parlava di una complicità del re con i golpisti e di una similitudine tra il Governo di García Prieto e il Governo Facta.4 Se in molti giornali si riscontravano delle affinità tra il movimento in Spagna e la «rivoluzione fascista in Italia», la stampa vicina al fascismo ne sottolineva invece la differenza:

la rivoluzione italiana partì dalle radici stesse della vita nazionale, fu uno scrollarsi potente e decisivo della Nazione tutta, della Nazione viva ma impastoiata dalle tessiture dei grossi maneggioni della bassa politica da villaggio. La rivoluzione spagnola è un tentativo di un solo gruppo di cittadini illuminati, finchè si voglia, ma minoranza tutt’ora, malgrado l’estendersi dei somaten. Il grosso della popolazione appare freddo, indifferente, distratto, scettico. Qui è la differenza sostanziale fra i due movimenti.5

Anche Primo de Rivera ben presto prese le distanze dal fascismo e in una dichiarazione al quotidiano barcellonese, La Vanguardia, affermava:

el fascismo no es precisamente nuestro Somatén, y yo creo a éste más adecuado órgano social, más concreto en su misión y más adaptable a nuestro carácter. ... El proceso de la evolución o de la revolución no ha sido igual en Italia y en España.6

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3 Il Corriere della Sera, 14-9-1923, Un pronunciamiento militare in Spagna. Il generale De Rivera

assume il potere a Barcellona, p. 1 e p. 5.

4 L’Avanti, 15-9-1923, La dittatura militare in Spagna, p. 1. 5 L’Impero, 21-9-1923, Colpi di punta. Spagna e Italia, p. 4.

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Elemento comune a due regimi fu la stabilizzazione dei rapporti con il Vaticano: in Italia essa fu raggiunta con la firma dei Patti Lateranesi del 1929, mentre in Spagna il rafforzamento trovò attuazione attraverso una serie di concessioni fatte alla Chiesa in materia di educazione e di istruzione. Alla fine degli anni Venti la riforma universitaria e le proteste studentesche contribuirono a mettere in crisi definitivamente la dittatura primoriverista. Esse assieme alla crisi economica e alla mancata soluzione degli atavici problemi che affligevano la Spagna portarono alla caduta del regime nel gennaio del 1930.

Il periodo che va dal pronunciamiento del 1923 alle dimissioni del dittatore il 30 gennaio fu sempre caratterizzato da una certa ambiguità e dall’alternarsi di distinguo che, come diceva il generale, dipendevano dal «nuestro carácter» (il carattere spagnolo), e dalla differenza della sua dittatura che non voleva essere totalitaria. Così il tentativo di fascistizzare la Spagna non si realizzò né durante il regime di Primo de Rivera né nel periodo repubblicano, quando i contatti del regime con le destre controrivoluzionarie sono frequenti. La controrivoluzione antirepubblicana dice Eduardo Gonzáles Calleja «comenzó a adquirir consistencia cuando, en sus múltiples discursos, logró a identificar a la República con la revolución».7

Negli anni Trenta la Repubblica, che rappresentava il cambiamento e la modernità, voleva dire riforme democratiche per alcuni, rivoluzione per altri. I partiti di destra considerarono il regime repubblicano come una patologia sociale, dovuta alla crisi del parlamentarismo liberale che la dittatura di Primo de Rivera non aveva risolto. Questo modo di intendere la Repubblica spinse le destre a condannare senza fare distinzioni i termini “repubblica”, “rivoluzione”, “democrazia” e a combatterne l’essenza riformista. In questo quadro va inserita la continua e costante attività del regime fascista contro la Seconda Repubblica.

Il presente lavoro è suddiviso in quattro capitoli. Ritenendo che l’atteggiamento di Mussolini verso la Spagna sia strettamente connesso con la sua visione della politica estera, intesa come politica di potenza che lega insieme mire imperialiste con fattori ideologici, nel primo capitolo ho esaminato la politica societaria dei due paesi, un aspetto che condiziona le loro scelta di campo all’interno del sistema internazionale ma !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

7 E. Gonzáles Calleja, Contrarrevolucionarios. Radicalización de las derechas durante la Segunda

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anche le loro relazioni bilaterali. Il loro atteggiamento nei confronti della Società delle Nazioni è diverso come l’analisi di tale politica evidenzia.

Per Primo de Rivera l’istituzione ginevrina è uno strumento utile per il raggiungimento dei propri interessi nazionali, mentre per Governi repubblicani diventa la spina dorsale della loro politica estera. Mussolini invece verso l’organizzazione internazionale assume un atteggiamento ora favorevole a Ginevra ora di diffidenza e di netto contrasto con la Società delle Nazioni.

Il secondo capitolo è dedicato allo sviluppo delle relazioni bilaterali italo-spagnole. Anche qui come nel primo capitolo ho distinto gli anni Venti dagli anni Trenta in funzione del cambio di regime verificatosi in Spagna. Tra il 1923 e il 1930 i rapporti tra Roma e Madrid, pur tra attestati di stima reciproca e la firma di qualche accordo, sono condizionati dall’interesse dei due regimi per politica interna. Sia Primo che Mussolini hanno la necesssità di rafforzarsi al loro interno. Se l’operazione alla fine degli anni Venti può dirsi riuscita per il regime fascista, per la dittatura spagnola la conclusione del decennio coincide con la sua fine. Primo de Rivera, incapace di risolvere i problemi della Spagna è costretto a dimettersi nel gennaio del 1930. Il paese affronta una seconda crisi di regime e di sistema che sfocerà nella caduta della monarchia e porterà alla proclamazione della Repubblica.

Le relazioni tra l’Italia e la Spagna cambiano. Mussolini, che con i suoi Aforismi dimostra la sua avversione verso il nuovo regime, inizia a tramare contro la giovane democrazia spagnola.

Il terzo è dedicato al consolidamento di quella rete che il fascismo costruì in Spagna negli anni Venti per diffondere la sua ideologia e che aveva trovato in Primo de Rivera, il suo livello istituzionale. Con la caduta della dittatura i nuovi interlocutori di Roma nella rete furono le destre spagnole, soprattutto alcuni leader di queste.

Il quarto capitolo affronta il tema del ruolo dei cospiratori civili nell’alzamiento del 18 luglio 1936. L’attenzione è posta su due figure - Pedro Sáinz Rodríguez ed Ernesto Carpi - che furono attori importanti della rete fascista nel paese latino. Monarchico alfonsino il primo e uomo di collegamento del regime il secondo sono anelli di quella rete che ci permettono di avanzare delle ipotesi sul ruolo di Mussolini nei preparativi del golpe. A questa domanda cercheremo di dare una risposta nelle pagine che seguono.

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Su quest’ultimo tema il lavoro più importante, punto di riferimento valido all’approccio metodologico sull’atteggiamento di Mussolini verso la Seconda Repubblica, è lo studio di Ismael Saz (1986). Negli ultimi anni la storiografia si è arricchita dei contributi di Morten Heiberg (2004, 2006) e di Viñas (2013) per quanto riguarda i rapporti di Roma con Madrid, e di quelli di Eduardo Gonzáles Calleja sulle destre spagnole (2011).

La storiografia internazionale e soprattutto quella spagnola sono state utili per la ricostruzione dei rapporti bilaterali e per la politica societaria, tuttavia anche le fonti memorialistiche di diplomatici e uomini politici, italiani e spagnoli hanno fornito un contributo allo svolgimento del presente lavoro.

Le emeroteche digitali della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea, e della Biblioteca Nazionale Centrale (Roma), della Biblioteca Nacional de España (Madrid) e della Bibliotèque Nationale de France (Paris) sono state d’aiuto per il reperimento della stampa nazionale e internazionale d’epoca .

La realizzazione di questa tesi non sarebbe stata completa se non avessi utilizzato fonti d’archivio, trovate presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma (Segreteria particolare del duce e Ministero dell’Interno), l’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e la Fundación Universitaria Española di Madrid, dove ho consultato il fondo Pedro Sáinz Rodríguez.

Il presente lavoro, che ricostruisce la storia dei rapporti tra l’Italia fascista e la Spagna, tra il regime e le destre controrivoluzionarie spagnole, il ruolo di Mussolini durante la preparazione del golpe del 18 luglio 1936, rappresenta un primo passo verso un’indagine più ampia. Si tratta senza dubbio di un punto di partenza perché nel futuro si possano fare ricerche sopra un problema che non è stato indagato ancora a sufficienza. Questa ricerca vuole pertanto essere un piccolo contributo per ulteriori studi approfonditi sul ruolo di Mussolini nella fase preparatoria del golpe del 18 luglio.

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Capitolo primo

L’Europa tra le due guerre mondiali: il quadro internazionale

Se osserviamo la carta geografica dell’Europa all’indomani della prima guerra mondiale ci appare formata da «Stati e popoli vecchi», ma allo stesso tempo un continente «nuovissimo».8 L’Europa - disegnata a Parigi dai trattati di pace del 1919 - è completamente diversa dall’Europa prebellica. Il vecchio equilibrio tra le potenze europee si era sgretolato di fronte a una guerra lunga e disastrosa e dagli imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria) dall’impero zarista (travolto dalla rivoluzione comunista) dall’impero ottomano (il grande malato del continente, che alcuni anni prima dello scoppio del conflitto mondiale, aveva ridotto i suoi territori in Europa a vantaggio dei suoi vicini, i paesi balcanici) erano nate nuove entità statali. La nuova mappa geografica, adesso, si arricchiva di altri Stati, che sorgevano sulle macerie di altri più grandi, come la Repubblica austriaca e l’Ungheria, la Germania o la Polonia, ritornata ad essere uno stato indipendente, la Cecoslovacchia, nata dall’unione della Boemia e della Slovacchia. Agli occhi di Masaryk l’Europa appariva come «laboratorio posto su un immenso cimitero»9 da cui nascevano, soprattutto nella parte centro-orientale, nuovi stati repubblicano-democratici, che come sostiene Hobsbawm, erano edificati «sulle rovine dei vecchi imperi, altrettanto «multinazionali» delle vecchie “prigioni delle nazioni” che avevano sostituito».10 Essi, infatti, furono minati dall’interno dal nazionalismo che ostacolò il loro consolidamento, rivelandoli «più repressiv[i] e meno rispettos[i] dei diritti delle diverse componenti al loro interno».11

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8 M. Mazower, Dark Continent: Europe’s Twenties Century, London, Allen Lane – The Penguin Press,

1998, traduzione italiana, Id., Le Ombre dell’Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo, Milano, Garzanti, 2000, p. 9.

9 La citazione di Masaryk, primo presidente della Cecoslovacchia, è tratta da M. Baumont, La Faillite de

la paix, 1918-1939, 2e édition, Paris, Presses Universitaires de France, 1946, p. 8.

10 E. J. Hobsbawm, Nations and Nationalism since 1780. Program, Myth, Reality, Cambridge, Cambridge

University Press, 1999, traduzione italiana Id., Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà, Torino, Einaudi, 1991, p. 157.

11 G. Hermet, Histoire des nations et du nationalisme en Europe, Paris, Éditions du Seuil, 1996,

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La democrazia sembrava essere vincente in quasi tutto il continente, ma la sua vittoria fu breve, perché ben presto molti paesi si trasformarono in regimi autoritari (Ungheria, Spagna, Portogallo e Polonia), mentre altri in stati totalitari (Italia, Germania e l’Unione Sovietica). Se escludiamo l’impero zarista, dove si costruì lo Stato socialista, la svolta dei rimanenti paesi rappresentò una virata a destra: tutti erano affascinati dal fascismo italiano.

Le cause di questa trasformazione dipesero in parte da motivi interni alle singole nazioni in parte dal timore che le classi dirigenti, liberali e conservatrici, ebbero del pericolo bolscevico. L’internazionalismo di Lenin, con l’esportazione in tutto il mondo del sogno di una società comunitaria emancipata dai bisogni e liberata dallo sfruttamento delle classi dominanti faceva paura a quel ceto politico che governava paesi con grandi diseguaglianze sociali. Tra il 1918 e il 1921 si propagò in Europa un’ondata di lotte operaie, accompagnate da rivendicazioni sindacali e aspirazioni rivoluzionarie - il biennio rosso - che mise a dura prova i governi liberali. La soluzione trovata dai singoli paesi dipese dalla capacità delle classi dirigenti di contenere le pressioni del movimento operaio. Se in Gran Bretagna e in Francia, le maggiori potenze vincitrici, si riuscì a dare una risposta alle richieste dei lavoratori, in Germania, Ungheria, paesi vinti, le tensioni sociali si sommarono ai traumi della sconfitta e al cambiamento di regime.

Il 18 gennaio 1919 a Parigi, si inaugurò la Conferenza di pace, che doveva affrontare alcuni nodi centrali per il futuro assetto dell’Europa come il tema della ricostruzione dei singoli stati devastati dal conflitto mondiale e la creazione di un nuovo ordine internazionale.

Sul riassetto dell’Europa e del mondo i vincitori avevano visioni contrastanti tra di loro. Alla vecchia politica di potenza, più attenta alle esigenze e al consolidamento di sistemi imperiali dei singoli stati europei, infatti, si opponeva l’internazionalismo wilsoniano, frutto di una cultura riformatrice e di gruppi di pressione europei ed americani. I

quattordici punti di Wilson, codificando elementi di novità come il principio

democratico, l’autodeterminazione dei popoli, l’open diplomacy contrapposta alla vecchia diplomazia segreta, la libertà dei mari e il libero commercio rappresentarono «il

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primo documento di politica estera di un’America diventata superpotenza».12 Se l’aiuto statunitense alla Triplice Intesa, nel 1917, era stato fondamentale per la vittoria sugli imperi centrali e i loro alleati, gli Stati Uniti, tuttavia, non erano pronti a esercitare quel ruolo di arbitro nelle eventuali contese tra gli europei. L’internazionalismo wilsoniano, che tanto successo aveva avuto in Europa, in patria non diede frutti: la mancata ratifica dei trattati di pace da parte del Congresso e il rifiuto di far parte della nascente Società (o Lega) delle Nazioni furono la conseguenza di una tendenza “isolazionista”, che favorì la ripresa di una lettura eurocentrica del mondo da parte dei vincitori europei rendendo fragile il nuovo ordine internazionale.13 Ben presto Gran Bretagna e Francia divennero gli “arbitri” della nuova organizzazione internazionale, tanto da far apparire il mondo ancora eurocentrico.

I trattati di pace dal canto loro non risolsero né i problemi delle riparazioni di guerra e dei confini né il conflitto tra le diverse e confliggenti istanze nazionali, anzi acuirono il malcontento in Germania, in Ungheria e in Italia, dove andava affermandosi il mito della vittoria mutilata, alimentata dal desiderio dei nazionalisti e dei fascisti di una revisione dei trattati. Cancellando solo in parte le ragioni della guerra, i trattati non riuscirono a rafforzare quel nuovo ordine internazionale che il conflitto aveva reso ancora più indispensabile.

Gli anni Venti rappresentarono un periodo di stabilità che, nel tentativo di risolvere alcuni problemi come la ricostruzione economica del continente europeo, favorì una nuova cooperazione internazionale grazie alla quale maturarono accordi sia sul piano economico (Piano Dawes) sia su quello politico (Patto di Locarno e piano Briand per l’Unione federale europea). Furono anni caratterizzati dal problema delle riparazioni e dei debiti interalleati da un lato e della ricerca della sicurezza dall’altro.

L’Europa aveva bisogno di stabilità per la sua ricostruzione e di appianare i contrasti lasciati dalla guerra. Le tendenze alla continuità con le politiche dei decenni prebellici, caratterizzati dall’imperialismo e dal nazionalismo, impedivano un efficace sviluppo delle strutture del nuovo ordine internazionale, che negli anni Venti avrebbe visto l’alternarsi di successi e fallimenti. Nell’ottobre 1924 i tentativi di rafforzare la nascente !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

12 G. Mammarella, Destini incrociati. Europa e Stati Uniti nel XX secolo, Roma-Bari, Laterza, 2000, p.

34.

13 Se consideriamo i cospicui investimenti finanziari degli Stati Uniti nella ricostruzione postbellica

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Società delle Nazioni col Protocollo di Ginevra su sicurezza, disarmo e arbitrato, fallirono per il disinteresse inglese e italiano; mentre il Piano Dawes rappresentò una prima soluzione al problema delle riparazioni tedesche con pagamenti che furono scaglionati nel tempo grazie al sostegno del mondo finanziario americano, che intervenne sull’economia tedesca con ingenti prestiti, creando le condizioni necessarie perché l’anno successivo si firmasse un accordo tra la Germania e le potenze dell’Intesa per la definizione dei confini occidentali tedeschi: il trattato di Locarno (1925).

Si avviava così una nuova fase nelle relazioni internazionali, che faceva nascere la speranza per una pace duratura. Lo “spirito di Locarno” favorì a sua volta un altro accordo, il Patto Briand-Kellog (1928), che prevedeva l’illegittimità del ricorso alla guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali.

Il tema delle riparazioni fu affrontato definitivamente nel 1929-30 col Piano Young che ne fissò l’ammontare e la durata, e rappresentò il riconoscimento americano dell’interdipendenza esistente tra le riparazioni e i debiti alleati. Questa fase dei rapporti internazionali entrò in crisi con la Grande Depressione del 1929 che, scoppiata negli Stati Uniti, si propagò in seguito in Europa e nel resto del mondo.

Negli anni Trenta il sistema internazionale entrò in una fase di instabilità. Le cause di questo mutamento vanno ricercate nelle conseguenze determinata dal crollo della borsa di New York, nell’affermazione e nel consolidamento dei totalitarismi (fascismo, nazismo e comunismo) e infine nel fallimento del sistema di sicurezza collettiva manifestatosi con l’occupazione giapponese della Manciuria nel 1931 e con l’aggressione dell’Italia all’Etiopia nel 1935. L’incapacità di risolvere questi problemi, infatti, finì per indebolire l’affidabilità dell’organismo ginevrino.

1.1 La Società delle Nazioni

La Società (o Lega) delle Nazioni nacque il 10 gennaio 1920, data in cui entrava in vigore il Trattato di Versailles di cui il Patto societario era parte integrante. Il suo compito era di risolvere pacificamente le future controversie tra gli Stati e rispondere al desiderio di pace. Walters, segretario della Lega scrive a tal proposito:

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At the time of the Armistice of November 1918, the great mass of opinion, in belligerent and neutral countries alike, was passionately convinced that a League of Nations must be set up without delay in order to make war impossible for the future.14

Per gli stati del “vecchio” continente la Lega doveva poi assicurare l’assetto europeo, sancito dai trattati di pace, e “controllare” la Germania con uno strumento idoneo e riconosciuto in campo internazionale.

La necessità di affidare a un organismo sovranazionale la risoluzione pacifica dei conflitti tra gli Stati trova le sue radici in Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua) di Immanuel Kant del 1795, in cui il filosofo tedesco proponeva un ordinamento giuridico per evitare una «guerra futura».15 Nell’Ottocento, vari furono gli sforzi per abolire la guerra e ognuno di essi influenzò la futura Società delle Nazioni. Walters nella sua opera del 1952 li raggruppa in quattro grandi linee: l’internazionalismo, il Concerto europeo, il pacifismo e il diritto internazionale. Tutti i tentativi per eliminare la guerra e le sue cause furono messi alla prova nel 1899 nella prima Conferenza dell’Aia, promossa dallo zar Nicola II e sostenuta da un movimento diplomatico internazionale pacifista. Nonostante l’incontro tra le grandi potenze terminò con un nulla di fatto per quanto riguarda un accordo sulla limitazione delle armi, la proposta dello zar fu accolta con entusiasmo da coloro che s’impegnavano, in gruppi o associazioni, per il mantenimento della pace e la lotta contro la guerra. I principali risultati raggiunti in quest’occasione furono una Convenzione per la risoluzione dei conflitti internazionali e la costituzione di una Corte permanente d’Arbitrato. La seconda Conferenza dell’Aia (1907) ampliò le basi del moderno diritto bellico e ratificò la Convenzione che istituiva la Corte permanente di Arbitrato. Prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, nonostante i progressi fatti nel campo delle relazioni e delle riunioni internazionali (nascita di uffici internazionali, che si occupavano di questioni amministrative, di società internazionali private in ogni campo dell’attività umana, e riconoscimento dell’utilità di ricorrere all’arbitraggio da parte dei governi) le grandi potenze rifiutavano l’obbligo di incontrarsi per discutere delle situazioni critiche che periodicamente si presentavano sulla scena internazionale. La politica fino al 1914 non si occupò di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

14 F. P. Walters, A History of the League of Nations, London-New-York-Toronto, Oxford University Pres,

1952, vol. 1, p. 4.

15 I. Kant, Zum ewigen Frieden, Königsberg, Friedrich Nicolovius, 1795, traduzione italiana, I. Kant, Per

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concentrare i propri sforzi per organizzare la pace e nessuna proposta radicale di riorganizzazione dell’attività diplomatica entrò a far parte del suo programma. L’opinione prevalente durante i quattro anni della guerra si fondava sulla convinzione che per prevenire la guerra bisognava ricorrere alla forza di tutti gli Stati amanti della pace. Nasceva così un nuovo movimento che non era pacifista ma ispirato dall’odio per la guerra. Si trattava di un movimento che spontaneamente e separatamente cresceva sia negli Stati impegnati nel conflitto che in quelli neutrali.

L’idea di un’organizzazione internazionale che salvaguardasse la pace mondiale guadagnava sostenitori e fece la sua apparizione anche nei discorsi di politici come Grey e Cecil in Gran Bretagna, Wilson e Cabot Lodge negli Stati Uniti. La rielezione alla Casa Bianca (1916) consacrò Wilson leader del movimento non solo in patria ma in tutto il mondo. A favore della pace si espressero il papa Benedetto XV il cui invito ai belligeranti di porre fine alla guerra cadde nel nuovo e i leader della Rivoluzione d’Ottobre - Lenin e Trotsky - che invitavano tutti i lavoratori del mondo a non continuare più la guerra.

Tra il 1914 e 1919 apparvero numerosi progetti per l’istituzione e il funzionamento di una Lega delle Nazioni, redatti soprattutto da gruppi privati o da singoli individui. Questi lavori influenzarono le decisioni dei governi. Tra questi bisogna ricordare il progetto della socialista Fabian Society che prevedeva alcuni aspetti che sarebbero stati poi incorporati nel Covenant della futura Società delle Nazioni.

Prevista nei Quattordici punti, la creazione di un organismo internazionale che garantisse la pace fu accettata dalla Conferenza di Parigi. Il 25 gennaio 1919 durante i lavori della sessione plenaria si approvò all’unanimità una risoluzione che prevedeva l’inserimento del «Patto della Società delle Nazioni» come parte integrante dei trattati di pace. A tale scopo fu nominata una Commissione speciale, presieduta dello stesso Wilson, e composta da quattordici Stati il cui compito era quello di redigere la convenzione e la carta fondativa dell’organizzazione: lo statuto (o Covenant).

All’art. 1 si stabiliva chi potesse essere Stato membro dell’organizzazione individuando tre categorie di stati: gli Stati membri firmatari dei trattati del 1919-1920 di parte alleata (Italia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Cina, Belgio, Portogallo, Panama, Brasile); tredici altri Stati, neutrali durante la guerra, che aderirono al patto nei due mesi

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successivi alla sua entrata in vigore (a questa categoria appartiene la Spagna, che non partecipò alla Grande guerra) e ogni Stato indipendente che avesse accettato gli obblighi internazionali derivanti dal patto, e ammesso dall’Assemblea con una maggioranza di due terzi. I paesi vinti furono provvisoriamente esclusi così come l’Unione Sovietica. Organi della Società erano l’Assemblea generale, il Consiglio e il Segretariato permanente come prevedeva l’art. 2, mentre gli articoli 3-6 stabilivano le funzioni dei tre organi. Se l’Assemblea generale rappresentava l’organo plenario, il luogo in cui gli Stati erano rappresentati paritariamente (ogni Stato aveva un voto); il Consiglio che - fin dalla sua prima riunione si considerò un «single united body, responsible to the world as a whole, and capable of speaking and acting indipendently of the attitude or policy of the individual governments of which it was composed» - era un organo ristretto, formato dai membri permanenti e dai membri eletti a rotazione dall’Assemblea; 16

mentre il Segretariato era l’organo amministrativo dell’organizzazione che controllava e dirigeva tutta l’attività della Società delle Nazioni.

La sede dell’istituzione era Ginevra (art. 7). Il Covenant prevedeva inoltre l’impegno a ridurre gli armamenti al livello più basso possibile, a scambiarsi informazioni franche e complete sulla materia del disarmo (artt. 8-9) e il rispetto dell’integrità territoriale e dell’indipendenza di ogni Stato membro e l’aiuto dell’organismo societario in caso di aggressione (art.10).

Compito della Lega delle Nazioni era il mantenimento della pace grazie all’uso di misure preventive quali l’arbitrato, la mediazione, l’intervento del Consiglio, le sentenze della Corte internazionale permanente di giustizia (artt. 11-14), Nel caso di violazioni non risolte pacificamente si ricorreva a una serie di sanzioni economiche, commerciali o all’uso della forza (artt. 15-16). Altre misure previste riguardavano la protezione di uno Stato membro contro uno Stato non membro (art. 17), l’impegno a non stipulare trattati segreti (art. 18), la revisione dei trattati divenuti inattuali o inapplicabili (art. 19), l’abrogazione di ogni trattato incompatibile con lo statuto (art. 20), la validità della dottrina Monroe (art. 21), l’istituzione dei mandati per quei territori che hanno cessato di trovarsi sotto la sovranità degli Stati che prima li governavano, e che sono abitati da popoli non ancora in grado di reggersi da sé, nelle difficili condizioni del mondo moderno (art. 22). Alla Lega era affidato il compito di regolare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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tutti quei campi delle relazioni internazionali i cui problemi superavano i confini nazionali (finanza, commercio, trasporti, salute, droga, prostituzione: art. 23), la gestione delle Agenzie, nate prima della guerra come l’Unione postale universale (art. 24), di promuovere l’attività della Croce Rossa (art. 25) e infine di proporre modifiche allo statuto (art. 26).17

L’entrata in vigore del Patto della Società delle Nazioni, il 10 gennaio 1920, doveva rappresentare la nascita di una nuova era delle relazioni internazionali. L’organizzazione, ente internazionale con fini politici generali, doveva garantire il mantenimento della pace inteso come rispetto dell’ordine internazionale politico e territoriale sancito dai trattati di pace.

Tra le principali novità introdotte da questo accordo vanno ricordate: l’istituzione di un organismo sovranazionale che avrebbe dovuto trasformare radicalmente la Comunità internazionale e costituire il presupposto di un governo mondiale; la struttura dell’ente, formato da tre organi principali, l’Assemblea plenaria, il Consiglio e il Segretariato; l’art. 10 del Covenant secondo il quale i Membri della Società si impegnano a

rispettare, e a proteggere contro ogni aggressione esterna, l’integrità territoriale e l’attuale indipendenza politica di tutti i Membri della Società.

Le attese di un nuovo ordine internazionale, basato sul rispetto del diritto, sulla cooperazione internazionale e sulla capacità di risolvere i conflitti evitando il ricorso alla guerra, furono in larga misura disattese come dimostrano i numerosi conflitti divampati nel periodo tra le due guerre mondiali. Dal punto di vista politico la Lega delle Nazioni si dimostrò un’istituzione fragile e fin dalla sua nascita presentò alcune criticità. Tra le contraddizioni principali si devono ricordare l’esclusione iniziale dei paesi vinti e della Russia, la posizione defilata del Giappone, poco interessato ai problemi europei, e la mancata ratifica del Trattato di Versailles e del Patto della Società delle Nazioni da parte degli Stati Uniti. L’organizzazione rimase pertanto ostaggio delle rivalità delle potenze europee. La tradizionale politica di potenza che aveva caratterizzato i rapporti nel vecchio continente non fu spazzata via dall’open

diplomacy wilsoniana, anzi continuò a essere il leitmotiv di tutte le Cancellerie. Questa

visione dei rapporti tra gli Stati, condizionando la vita societaria, porterà al fallimento

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dell’organismo ginevrino, che sarà condannato all’irrilevanza per la mancanza di mezzi militari ed economici a sostegno dell’applicazione delle sanzioni.

La vita della Lega dalla sua nascita alla sua conclusione (1946) può essere distinta in quattro fasi: la prima legata alla sua formazione, la seconda alla stabilità, la terza al conflitto e la quarta alla sconfitta. Le prime due fasi coprono gli anni Venti, periodo in cui l’organismo societario cercò di risolvere i problemi posti sul tappeto dal primo dopoguerra; mentre le ultime due (anni Trenta) mostrarono come esso non fu capace di dare una soluzione condivisa alle varie questioni che la comunità internazionale dovette affrontare.

1.2 Alla ricerca di un nuovo ordine internazionale

All’indomani della fine della Prima guerra mondiale gli Stati vincitori cercarono di dare vita a un nuovo ordine internazionale che superasse il vecchio equilibrio di potenza, causa dello scoppio del conflitto. A tale scopo, come abbiamo visto fu creata la Lega delle Nazioni.

In questo paragrafo, che coprirà l’arco cronologico che va dalla Conferenza di Pace di Parigi allo scoppio della Grande Crisi (1919-1929), analizzeremo l’attività delle Società delle Nazioni attraverso le politiche dell’Italia e della Spagna in seno all’organismo ginevrino.

1.2.1 L’Italia e la Società delle Nazioni (1919-1929)

L’atteggiamento italiano di fronte alla Società delle Nazioni fu, inizialmente, dominato dall’incertezza. A condizionare l’azione politica del paese dobbiamo ricordare la disparità di vedute tra Roma e Washington sul Patto di Londra (problema nodale era il non-riconoscimento americano di quanto previsto nel 1915 tra Inghilterra, Francia e Italia), e l’indecisione, la confusione, le spaccature e i contrasti tra i dirigenti italiani. L’Italia, tuttavia, partecipò all’elaborazione del Patto con un suo progetto - l’Atto

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governativa per il dopoguerra, divenendone una convinta e decisa sostenitrice. A spingere il nostro paese a una tale metamorfosi vi era l’esigenza di sicurezza e «la necessità di mantenere un dialogo intenso con gli Stati Uniti».18 Il progetto italiano, presentato alla Conferenza di pace da Vittorio Emanuele Orlando e Vittorio Scajola affrontava numerose questioni: la sua ossatura era costituita dall’aspetto politico della Società delle Nazioni a cui si aggiungevano «l’indipendenza degli Stati, la loro integrità territoriale e la loro sicurezza», problemi relativi agli aspetti economici come «la libertà degli scambi, del commercio e il libero accesso di tutti gli stati alle materie prime». Il disegno italiano non ebbe influenza sulla stesura del Covenant perché si adottò come base un progetto anglo-americano19 e perché non fu sostenuto a sufficienza dalla stessa

delegazione italiana che tuttavia intervenne con decisione su due punti: a) l’abolizione della circoscrizione obbligatoria, b) il rifiuto dei mandati societari sul Trentino e Trieste.

Tra le forti resistenze e l’opposizione nei confronti della nascente organizzazione ricordiamo gli interventi di Luigi Einaudi e di Mussolini. Sul Corriere della Sera del 5 gennaio 1918 il politico ed economista liberale scriveva:

I più, quando discorrono di “Società delle Nazioni”, pensano ad una specie di perpetua alleanza o confederazione di Stati, la quale abbia per iscopo di mantenere la concordia fra gli Stati associati, difenderli contro le aggressioni straniere e raggiungere alcuni scopi comuni di incivilimento materiale e morale. Tutti implicitamente ammettono che gli Stati alleati o confederati debbono rimanere pienamente sovrani ed indipendenti; che non si debba costituire un vero superstato fornito di una sovranità diretta sui cittadini dei vari stati, con diritto di stabilire imposte proprie, mantenere un esercito super-nazionale, distinto dagli eserciti nazionali, padrone di una amministrazione sua diversa dalle amministrazioni nazionali [pertanto] gli sforzi fatti per creare una società di nazioni, rimaste sovrane, servirebbero solo a creare il nulla, l’impensabile, ad aumentare ed invelenire le ragioni di discordia e di guerra.20

L’atteggiamento di Mussolini nei confronti della Società delle Nazioni dipese invece dalla mancanza di «un programma ben definito e coerente» e dalla considerazione che la Lega fosse «un organismo inutile e forse un pericolo da cui guardarsi con !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

18 E. Costa Bona-L. Tosi, L’Italia e la sicurezza collettiva. Dalla Società delle Nazioni alle Nazioni Unite,

Perugia, Morlacchi Editore, 2007, p. 18.

19 Per una dettagliata analisi dei progetti inglese, francese cfr. F. P. Walters, A History … , op. cit., pp.

27-30.

20 Junius (pseudonimo di L. Einaudi), La Società delle Nazioni è un ideale possibile? in «Corriere della

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attenzione».21

Su Il Popolo d’Italia del 16 febbraio 1919, con riguardo all’organismo ginevrino, scrive:

Si deve evitare che la Società delle Nazioni sia o divenga una specie di premio di assicurazione per le nazioni ricche, arrivate, opulenti che non hanno più niente da conquistare nel mondo e hanno soltanto da conservare quello che hanno conquistato. Nella Società delle Nazioni i soci devono essere sul piede dell’uguaglianza giuridica ed economica; se ci saranno nazioni «borghesi» e nazioni «proletarie» la sodalità e la solidarietà fra di loro non potrà durare eternamente [...]. La Società delle Nazioni non può pretendere di fissare per l’eternità le posizioni odierne, non può soffocare, per favorire la staticità nella quale tendono ad adagiarsi i popoli arrivati, il dinamismo di quelli che vogliono arrivare. Deve conciliare questi elementi.22

E in piazza San Sepolcro (Milano, 23 marzo 1919), a proposito della futura organizzazione internazionale, Mussolini arringava i presenti dicendo:

Riaffermo qui in questo ordine del giorno, il “postulato societario della Società delle Nazioni”. È nostro in fin dei conti, ma intendiamoci: se la Società delle Nazioni deve essere una solenne “fregata” da parte delle nazioni ricche contro le nazioni proletarie per fissare ed eternare quelle che possono essere le condizioni attuali dell’equilibrio mondiale, guardiamoci bene negli occhi. Io comprendo perfettamente che le nazioni arrivate possano stabilire questi premî d’assicurazione della loro opulenza e posizione attuale di dominio. Ma questo non è idealismo; è tornaconto e interesse.23

Mentre In tema di politica estera su Il Popolo del 3 luglio 1920 sosteneva:

Il fascismo non crede alla vitalità e ai principi che ispirano la cosiddetta Società delle Nazioni. In questa società le nazioni non sono affatto su di un piede di eguaglianza. È una specie di santa alleanza delle nazioni plutocratiche di gruppo franco-anglo-sassone per garantirsi -malgrado inevitabili urti di interesse- lo sfruttamento della massima parte del mondo.24

L’atteggiamento del duce, per diciassette anni fino al dicembre 1937, anno in cui l’Italia abbandona l’organismo ginevrino, oscilla tra momenti di collaborazione e di netta contrapposizione.

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21 E. Costa Bona-L. Tosi, op. cit., p. 26.

22 B. Mussolini, Opera omnia, (a cura di E. e D. Susmel), Firenze, La Fenice, 1953,vol. XII, pp. 229-30. 23 B. Mussolini, Opera omnia, op. cit., vol. XII, pp. 322- 23.

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Tra le voci a sostegno dell’ente societario vanno ricordate quelle di Vittorio Scajola, Tommaso Tittoni, Guglielmo Imperiali. Anche Vittorio Emanuele Orlando, presidente del Consiglio guardava alla futura Società delle Nazioni come «la chiave di volta di ogni futuro tentativo di dare sicurezza al continente europeo».25

La divergenza di opinioni sull’organizzazione ginevrina dipendeva dalla profonda diffidenza italiana verso un organismo sovranazionale, dalla tradizionale conduzione della diplomazia italiana, fatta di accordi segreti, dalla convinzione che la Società delle Nazioni non potesse garantire quel principio di universalità che doveva caratterizzarla. Nonostante le molte perplessità, dovute soprattutto all’impossibilità di coniugare gli interessi nazionali (le sue aspirazioni territoriali) con la politica societaria, l’Italia decise di approvare il Patto e di ratificarlo in un clima di diffidenza.26 A spingere l’Italia a

considerare con sospetto la Lega delle Nazioni c’erano due elementi importanti: la precarietà della situazione politica interna, dominata dai temi economici e sociali e una linea politica poco chiara.

L’adesione all’organismo ginevrino prevedeva l’istituzione di un apposito ufficio, l’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni, istituito l’8 settembre 1919 e posto alle dipendenze del Segretariato Generale del Ministero degli Affari esteri (R. D. 19-9-1920, n. 1468).

Tra il 1919 e il 1922 la collaborazione tra Roma e Ginevra fu attiva in molte occasioni, anche se i problemi di politica interna spesso relegavano in secondo piano la politica internazionale. Tale situazione, legata alla contingente situazione interna, non impedì al governo italiano di svolgere anche un ruolo attivo. La necessità di risolvere i problemi sociali ed economici italiani del dopoguerra, che richiedevano un periodo di pace a livello internazionale, e la considerazione che la Società delle Nazioni rappresentava un’ottima opportunità per mantenere buoni rapporti con la Francia e la Gran Bretagna costituirono le motivazioni della partecipazione italiana all’organismo societario.

In questo periodo l’Italia a Ginevra svolse una duplice azione: rafforzare la sicurezza collettiva ma anche modificare i trattati secondo l’art. 19 dello statuto societario (l’Assemblea può, periodicamente, invitare i Membri della Società a procedere a un

nuovo esame dei trattati divenuti inapplicabili, come delle situazioni internazionali il cui mantenimento potrebbe mettere in pericolo la pace). Ben presto i Governi italiani si

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25 Per la citazione cfr. E. Costa Bona-L. Tosi, op. cit., p. 18.

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accorsero che il nuovo organismo internazionale nasceva volto più alla conservazione e alla stabilità della realtà esistente che non al cambiamento. La prassi societaria, infatti, si dimostrò essere sempre più conservatrice e per l’Italia fu difficile realizzare le sue aspirazioni di revisione. 27

A pochi mesi dalla sua nascita, la Società delle Nazioni dovette affrontare la sua prima crisi internazionale: il conflitto tra la Svezia e la Finlandia per il possesso delle isole Aaland (estate 1920). Nella disputa finnico-svedese l’Italia non svolse un ruolo decisivo ma si limitò a partecipare ai lavori dell’Assemblea e del Consiglio.

Nell’autunno del 1920 il nostro paese fu coinvolto nella soluzione della delimitazione delle frontiere orientali della Polonia (il conflitto polacco-lituano, settembre-ottobre 1920), promettendo di inviare un contingente da aggiungersi a quelli promessi da altri paesi. Una soluzione al problema fu trovata nel 1923 da parte della Conferenza degli ambasciatori e non dalla Società delle Nazioni.

Un ruolo italiano, indiretto ma non incisivo, riguarda la questione dell’Alta Slesia. La regione contesa tra la Polonia e la Germania fu oggetto di un plebiscito che stabilì con oltre il 50% dei voti che il territorio slesiano andasse alla Repubblica tedesca. I polacchi, temendo un accordo tra la Gran Bretagna e l’Italia, considerate filo-tedesche, insorsero tra il 2 e il 3 maggio. Negli scontri tra gli insorti e il contingente multinazionale, presente sul territorio e composto da inglesi, francesi e italiani, morirono 23 soldati italiani. Nonostante la morte dei nostri connazionali aveva suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica italiana e degli ambienti governativi il conte Carlo Sforza, ministro degli Esteri del V governo Giolitti, il 23 maggio 1921 presentò agli alleati una proposta di soluzione del problema in cui si prevedeva che alla Polonia sarebbero andati «le due zone, in cui i polacchi erano in prevalenza, e buona parte della zona industriale, compresa fra le prime due».28 Considerata sfavorevole dalle potenze occidentali, la decisione fu rimessa alla volontà inappellabile della Società delle Nazioni, che decise di assegnare un terzo del territorio conteso alla Polonia. Su questa decisione, accolta dalla Polonia, influì indubbiamente la proposta del conte Sforza.29 Sempre nell’autunno del 1920 la Società delle Nazioni affrontò delle tematiche che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

27 E. Costa Bona-L. Tosi, L’Italia e la sicurezza collettiva, op. cit., pp. 291-292. 28 F. Tommasini, La resurrezione della Polonia, Milano 1925, pag. 177.

29 A. Gionfrida, Missioni e addetti militari italiani in Polonia (1919-1923) - Le fonti archivistiche

dell'Ufficio Storico - Roma, Stato Maggiore dell’Esercito - Ufficio Storico, p. 92 in http://www.esercito.difesa.it/storia/Ufficio-Storico-SME/Documents/E-11.pdf .

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riguardavano da vicino gli interessi italiani sia da punto divista politico -l’ammissione dell’Albania alla Società delle Nazioni e il risanamento economico-finanziario della Repubblica austriaca- sia da quello economico -l’utilizzo e lo sfruttamento delle materie prime da parte dei paesi che ne erano privi-.

Sull’ammissione dello stato albanese gli interventi dei rappresentanti italiani in Consiglio e in Assemblea (Imperiali e Scajola) dimostrarono come l’Italia sostenesse l’ingresso dell’Albania nella Lega.30Per quanto riguarda l’Austria e il suo risanamento economico e finanziario, l’Italia preferiva fosse realizzato dalla Società delle Nazioni. La maggiore preoccupazione italiana era un’eventuale annessione alla Germania, timore condiviso con la Francia e la Cecoslovacchia che a loro volta temevano che la Repubblica austriaca finisse sotto il predominio e la supremazia italiana. Nel febbraio 1921 il Comitato economico-finanziario della Lega proponeva la nomina di una Commissione che si sarebbe stabilita a Vienna alle dipendenze dello stesso Comitato. La Commissione preparò tre protocolli che furono firmati il 4 ottobre 1922 sul rispetto dell’indipendenza, della sovranità territoriale austriaca e sull’integrità delle frontiere; sulle garanzie offerte da Gran Bretagna, Francia e Italia (e in minor misura dalla Cecoslovacchia, dalla Svizzera e da altri Stati); sugli obblighi assunti dalla stessa Austria. Al nostro paese venne data la presidenza del Comitato di controllo della finanza austriaca, il cui potere era più formale che sostanziale.

Il tema delle importazioni delle materie prime da parte di paesi che ne erano privi e dell’approvvigionamento a prezzi equi fu un altro problema che la Lega dovette affrontare nell’autunno del 1920. Sull’argomento le richieste di Roma a Ginevra riguardavano la funzione di garante che l’organismo societario doveva assumere nella distribuzione delle materie prime necessarie a far partire il processo di ricostruzione industriale di quei paesi in cui quelle scarseggiavano. Gli argomenti a favore di questa tesi erano il perseguimento di una politica di solidarietà e collaborazione internazionale e la necessità di eliminare la discriminazione dei prezzi. Nonostante una partecipazione attiva, l’Italia non vide soddisfatte le sue richieste come dimostra l’insuccesso del «rapporto sulla questione delle materie prime e delle derrate alimentari» (Ginevra, 1922), cui aveva contribuito l’economista Corrado Gini, che non incontrò tuttavia il sostegno di altri stati membri.

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30 Gli interventi si possono leggere in G. Bruccoleri (a cura di), L’opera dei delegati italiani nella Società

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La vita societaria nei suoi primi anni fu costellata da numerosi conflitti. La loro soluzione non sempre fu trovata in seno all’organismo ginevrino come avvenne con la guerra greco-turca (1919-1922). Le grandi potenze -Gran Bretagna e Francia con l’Italia «obediently following their lead»-,31 ritennero che la questione dovesse rimanere nelle loro mani e rifiutarono quelle proposte che auspicavano una soluzione societaria. L’Italia intervenne in modo più incisivo sulla questione nel giugno del 1921 quando il proprio delegato, Imperiali, espresse i suoi dubbi sulla Commissione d’inchiesta concernente la deportazione di donne e bambini in Turchia e nei paesi limitrofi. La posizione italiana era favorevole a un maggiore coinvolgimento degli Stati membri nelle decisioni politiche che avrebbero posto fine alle deportazioni.

La Conferenza di Genova (aprile 1922) sui problemi economici del dopoguerra e sulla ricostruzione dell’Europa vide, per la prima volta, la partecipazione della Germania e della Russia, paesi esclusi dalla Società delle Nazioni. La proposta italiana di un supporto tecnico (una partecipazione di rappresentanti di organizzazioni tecniche societarie e di membri del personale del Segretariato) da parte della Società delle Nazioni alla Conferenza fu accolta dal presidente Hymans a nome del Consiglio.32 Sul piano tecnico la Conferenza ottenne buoni risultati e incaricò la Lega a dare una soluzioni ad alcune questioni economiche, finanziarie, sanitarie, di comunicazione, di transito e delle minoranze.

Fino alla Marcia su Roma la posizione italiana sostiene Walters si caratterizzò per l’intervento su temi che riguardavano direttamente il nostro paese: «Imperiali, a retired diplomatist, never appeared to take any serious interest in the work of the Council unless his own country were directly concerned».33

Con l’avvento al potere di Mussolini nell’ottobre 1922 l’atteggiamento italiano verso la Società delle Nazioni muta. Alcuni mesi prima, su Il Popolo d’Italia, aveva attaccato Carlo Schanzer, ministro degli Affari Esteri del II governo Facta, definendolo «un wilsoniano, un entusiasta della Società delle Nazioni» che «aveva alienato alla Società delle Nazioni l’autonomia della politica estera italiana».34 A settembre la politica estera

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31 F. P. Walters, op. cit., p. 215.

32 Per il testo della richiesta italiana e la risposta del Consiglio della S. d. N. cfr. Societé des Nations,

Journal officiel mai 1922, p. 384.

33 F. P. Walters, op. cit., p.139.

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di Schanzer è messa sotto accusa ancora una volta e considerata fallimentare, per cui Mussolini dalle colonne de Il Popolo chiede le dimissioni del ministro.35

La politica estera fascista improntata a un acceso nazionalismo spesso fu in contrasto e in opposizione con l’organismo ginevrino, tanto che il rapporto tra il duce e l’organizzazione non sempre fu idilliaco. Il principio della sovranità nazionale, tanto caro al fascismo, strideva con quello di sicurezza collettiva come era inteso dall’art. 11 del Covenant (Ogni guerra o minaccia di guerra, che tocchi direttamente o

indirettamente uno dei Membri della Società, è considerata fin d’ora come materia interessante l’intera Società, e questa provvederà nei modi più opportuni ed efficaci per salvaguardare la pace fra le Nazioni. Nel caso che tale emergenza si verificasse, il Segretario generale convocherà immediatamente il Consiglio, a richiesta di uno qualunque dei Membri della Società. Si dichiara del pari che ciascuno dei Membri della Società potrà in via amichevole richiamare l’attenzione dell’Assemblea o del Consiglio su qualsiasi circostanza concernente le relazioni internazionali, che minacci di turbare la pace o la buona armonia fra le Nazioni, dalla quale la pace dipende). Per

Mussolini ogni crisi sorta tra gli Stati doveva essere risolta dagli interessati senza l’intervento della Società delle Nazioni. La preferenza per gli accordi bilaterali su temi specifici invece di patti multilaterali su questioni generali lo spinse, nell’agosto 1923, ad occupare l’isola di Corfù come misura temporanea in attesa delle riparazioni della Grecia dopo l’uccisione del generale Enrico Tellini e di altri italiani in missione sul confine greco-albanese.

Corfù rappresentò un segno di discontinuità con la politica fino ad allora seguita. Fu «la tipica manifestazione della politica estera di Mussolini» (Moscati), «un gesto di intimidazione» (Carocci), «volontà di sopraffazione» (Di Nolfo), «un episodio dell’avventurosa politica fascista» (Salvatorelli), «la volontà si salire al ruolo di grande potenza» (Rumi).36

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35 Ivi, pp. 401-403.

36 R. Moscati, Gli esordi della politica estera fascista. Il periodo Contarini. Corfù, in A. Torre et al., La

politica estera italiana dal 1914 al 1943, Roma, ERI, 1963, pp. 84-87. G. Carocci, La politica estera dell’Italia fascista 1925-1928, Bari, Laterza, 1969. E. Di Nolfo, Mussolini e la politica estera italiana 1919-1933, Padova, CEDAM, 1960, pp. 81-89. L. Salvatorelli, Il fascismo nella politica internazionale, Modena-Roma Guanda, 1946, p. 72. G. Rumi, Alle origini della politica estera fascista (1918-1933), Bari, Laterza, 1968, p. 257.

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Sostenendo l’incompetenza della Società delle Nazioni a risolvere la vertenza tra l’Italia e la Grecia per «motivi di ordine nazionale»37 e che la sua soluzione in ambito societario rappresenterebbe

un precedente tale che vincolerebbe per l’avvenire gli stati a deferire ad un organo internazionale ogni e qualsiasi gelosissima questione che intacchi l’onore e il prestigio nazionale, instaurando così una procedura di cui fin’ora non si ebbe esempio,38

Mussolini minaccia l’uscita dell’Italia dall’istituzione ginevrina:

qualora consiglio non ritenesse di accogliere tale nostro punto di vista pregiudiziale di principio e che prescinde perciò dalle circostanze di fatto della vertenza italo-greca, l’Italia non potendo assolutamente adattarsi ad una posizione così lesiva del suo prestigio e dei suoi supremi interessi nazionali sarà costretta suo malgrado a ritirarsi dalla Società delle Nazioni.39

L’avvertimento del duce se attuato rischiava di isolare l’Italia dal contesto internazionale se non addirittura porla fuori di esso, mentre la permanenza nella Lega sarebbe potuta essere utile al paese per soddisfare le sue aspirazioni grazie a una revisione dei trattati. La contrapposizione tra queste due ipotesi spinge a pensare che si trattasse piuttosto di un tentativo di saggiare l’atteggiamento della Francia e della Gran Bretagna. La minaccia ebbe l’effetto desiderato e la vertenza italo-greca rimase di competenza della Conferenza degli Ambasciatori. Cosa spinse le due grandi potenze ad appoggiare la richiesta italiana? Guariglia nei suoi Ricordi avanza una sua ipotesi:

forse la sensazione di trovarsi di fronte ad un uomo politico anormale, le cui reazioni era assai difficile prevedere, fu uno dei principali motivo che indussero Inghilterra e Francia a cercare una transazione che salvaguardasse il prestigio di Mussolini e non spingesse l’Italia verso nuove avventure.40

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37 Le ragioni della richiesta italiana sono enunciate nel telegramma che Romano Avezzana, ambasciatore

italiano a Parigi, invia a Mussolini il 3 settembre 1923: l) l’«occupazione Corfù non costituisce atto di guerra»; 2) inammissibilità dell’«arbitraggio Società Nazioni in questioni toccanti prestigio e sovranità nazionali. Una diversa interpretazione del Patto avrebbe conferito Società Nazioni gli attributi di un superstato»; 3) «che trattavasi di Governo [quello greco] non ancora riconosciuto e praticamente sotto stato di accusa»; 4) «la questione era già stata deferita alla Conferenza Ambasciatori», in Documenti diplomatici italiani (d’ora in poi DDI), Settima Serie, Vol. II, Roma, 3-9-1923, Romano Avezzana a Mussolini, T. 6668/2129, Roma, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, 1955, p. 172.

38 DDI, Settima Serie, Vol. II, Roma 3-9-1923, Mussolini a Salandra, Romano Avezzana, Della Torretta,

T. 3000, Roma, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, 1955, pp. 170.

39 DDI, Settima Serie, Vol. II, Roma 3-9-1923, Mussolini a Salandra, Romano Avezzana, … , T. 3016,

Roma, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, 1955,p. 173.

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L’episodio di Corfù fu sbandierato dal regime come un successo italiano contro il «duetto franco-inglese [e] i suoi satelliti».41 Fu «il primo esempio di sfida all’autorità della Società delle Nazioni, in violazione dello statuto e in tacita attuazione della regola nazionalistica secondo cui gli impegni internazionali e le autorità internazionali si rispettano solo finchè fanno comodo».42

Convinto sostenitore dell’esistenza di una gerarchia fra le nazioni e che l’universalità della Società delle Nazioni fosse un errore politico, la sua visione dei rapporti internazionali contrastava con alcuni principi basilari dell’organizzazione ginevrina: il principio di uguaglianza di voto per gli Stati membri e il mantenimento della pace, che tarpava le ali ai suoi desideri espansionistici. Il fascismo però non poteva ignorare la Lega e pertanto si sforzò di sfruttare i vantaggi che, di volta in volta, potevano derivare all’Italia cercando di ridurre gli eventuali svantaggi.

La diffidenza italiana verso l’organismo ginevrino provocò una diffidenza verso il nostro paese che si accentuò soprattutto dopo l’ascesa al potere di Mussolini. La dinamicità che il duce voleva imprimere alla sua politica estera spesso si scontrava con le decisioni prese a Ginevra. I timori dell’istituzione ginevrina si rafforzavano ogni qualvolta si parlava di revisione dei trattati: sia l’Italia liberale che quella fascista desideravano vedere soddisfatte quelle pretese territoriali che la Conferenza di Parigi non aveva saputo risolvere. La differenza tra i due regimi (liberale e fascista) è data dal disprezzo del fascismo verso la democrazia e verso ogni forma di internazionalismo. Egidio Reale nel suo libro La Politique fasciste et la Societé des Nations ritiene che nell’ottobre 1922 la politica internazionale e societaria di Mussolini fosse priva di un programma organico e che oscillasse tra solidarietà e collaborazione con l’istituzione ginevrina e il nazionalismo più esasperato.43 La mancanza di un programma ben definito nei primi anni di governo (1922-1925) permise a Salvatore Contarini, Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri, di condurre una politica estera in continuità con i precedenti governi liberali.

La maggior parte della storiografia (Salvemini, Di Nolfo, Moscati, Rumi, De Felice) considera “il periodo Contarini” come un periodo di tregua tra Mussolini e la diplomazia. Mario Luciolli in Palazzo Chigi: anni roventi a proposito di Contarini e del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

41 B. Mussolini, Opera omnia, op. cit., 1959, vol. XX, p. 108.

42 L. Salvatorelli- G. Mirra, Storia d’Italia nel periodo fascista, Milano, Mondadori, 1972, vol. I, p. 296. 43 E. Reale, La Politique Fasciste et la Societé de Nations, Paris, Pedone, 1932, p. 1.

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duce afferma: «non riuscì [a farne] un buon diplomatico». L’autore prosegue dicendo che il Segretario generale dopo aver costatato la debolezza di Mussolini, «leone» quando arringava la folla, «pecora» nelle discussioni con i diplomatici,

si sforzò di limitare i contatti diretti tra Mussolini e i diplomatici stranieri […]. Per spiegare ai suoi collaboratori questa tattica [trovò] una formula pittoresca: «Mussolini dobbiamo adoperarlo come il sangue di San Gennaro, farlo vedere una volta l’anno e soltanto da lontano».44

La vertenza italo-greca evidenziò i contrasti tra Contarini, «organizzatore della politica estera liberale imposta al fascismo»45, e Mussolini che culminarono con l’uscita di scena del Segretario generale nel 1925.

Il 1923 fu l’anno in cui l’Italia partecipò attivamente, in ambito societario, alle ultime fasi del risanamento economico e finanziario dell’Austria (processo iniziatosi nel 1920) e a quello dell’Ungheria.

La riunione del Consiglio della Lega a Roma (9-13 dicembre 1924) offrì l’opportunità di incontri ad alto livello più informali e privi dell’ufficialità delle visite di Stato. L’anno successivo l’attività dell’organismo ginevrino fu condizionata da due eventi importanti: l’insuccesso del Protocollo di Ginevra e la preparazione della Conferenza di Locarno. Nel primo caso il ruolo svolto dall’Italia fu all’inizio defilato, secondo Salvemini i delegati italiani erano favorevoli a «far naufragare i negoziati», per tramutarsi poi in entusiasmo con Scajola che definì il Protocollo, «una pietra miliare sulla via conducente ad una maggiore giustizia internazionale nell’organizzazione della pace».46 L’insuccesso di questo accordo (ratificato solo da pochi paesi tra cui la Francia) diede vita alla Conferenza di Locarno. In questa occasione vennero firmati una serie di trattati e convenzioni; il più importante fu il Patto renano, che riconosceva i confini tra Germania, Francia e Belgio stabiliti a Versailles.

Con gli Accordi di Locarno si diede vita a un “direttorio” delle grandi potenze (Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia) che si riunivano in privato, i «Locarno tea-parties», per discutere di problemi che riguardavano gli Accordi stessi ma anche questioni più generali di competenza della Società delle Nazioni. Nonostante le riserve !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

44 M. Luciolli, Palazzo Chigi: anni roventi. Ricordi di vita diplomatica italiana dal 1933 al 1938,

Firenze, Le Lettere, 2011, p. 56.

45 Legatus (Roberto Cantalupo), Vita diplomatica di Salvatore Contarini (Italia, Inghilterra e Russia),

Roma, Sestante, 1947, p. 119.

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espresse nei confronti dei patti, Mussolini li firmò per il timore di essere escluso dalle grandi potenze, sottolineando nel suo discorso al Senato sulla politica estera del 28 maggio 1926 come

il non sottoscrivere il patto di Locarno sarebbe stato un errore colossale. Intanto, ci saremmo estraniati da un patto fondamentale, che impegna le nazioni potenti d’Europa. In secondo luogo, saremmo rimasti isolati da questa grande combinazione. In terzo luogo, avremmo perduto l’occasione di metterci, in una circostanza memorabile, sullo stesso piano dell’impero inglese.47

Dal 1926 in poi la politica internazionale del regime fascista si caratterizzò per una certa discontinuità rispetto alla precedente politica liberale. A renderla evidente contribuì pure la nomina di Dino Grandi a Sottosegretario di Stato al Ministero degli Esteri. Sono gli anni della «fascistizzazione morbida», ossia della trasformazione della diplomazia in un apparato di consenso, che portò all’abolizione della figura del Segretario generale, considerato dal duce, un diaframma tra il ministro e il ministero degli Affari Esteri. Sul piano legislativo con la legge del 2 giugno 1927 si prevedeva l’accesso alla carriera diplomatica, senza concorso per un numero limitato di posti, a una settantina di funzionari di fede fascista, i cosiddetti “ventottisti”.

A Locarno si pose anche la questione dell’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni. L’atteggiamento italiano fu favorevole alla richiesta tedesca di far parte dell’organismo ginevrino come si può dedurre dai telegrammi del duce a Della Torretta, ambasciatore a Londra, a Summonte, incaricato d’affari a Parigi; e ad Attolico, vicepresidente italiano della Società delle Nazioni.48

Le questioni economiche a metà anni Venti evidenziarono lo stretto legame tra economia e politica da un lato e mantenimento della pace dall’altro. Così nel 1927 si svolse a Ginevra la Conferenza economica mondiale che secondo Scajola, delegato a Ginevra, doveva occuparsi all’enunciazione di principi generali di politica economica e lasciare ai singoli paesi la soluzione del particolare. La posizione italiana cercava di evitare che in campo economico si esercitasse un monopolio da parte dell’istituzione ginevrina.

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47 B. Mussolini, Opera omnia, op. cit., vol. XXII, 1957, p. 149.

48 Cfr. DDI, Settima Serie, Vol. III, Roma, 29 marzo 1925, Mussolini a Della Torretta e Summonte, T.

Gab. UU. 235, Roma, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, 19 p. 504; Ivi, Ginevra, 11 maggio 1925, Attolico a Mussolini, L. r., p. 562.

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