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RELATIVISMO CONCETTUALE I: TUTTI I MONDI SONO ATTUAL

CHE COS’È UN MONDO POSSIBILE?

3. MONDI POSSIBILI, ONTOLOGIA E METAFISICA: UN BAROCCO MONDIALIZZATO

3.4. RELATIVISMO CONCETTUALE I: TUTTI I MONDI SONO ATTUAL

L’essenza non è essenziale, e la sostanza non è sostanziale.

Nelson Goodman Mi appariva chiaro che la vita e il mondo adesso era come se dipendessero da me: mi sarei sparato e il mondo non ci sarebbe stato più, almeno per me. A tacere poi che forse anche nella realtà non ci sarebbe stato più nulla per nessuno dopo di me, e che tutto il mondo, non appena si fosse spenta la mia coscienza, sarebbe svanito subito come un fantasma, […] perché forse tutto questo mondo e tutti questi uomini altro non sono che me solo.1

Queste sono le riflessioni che portano l’uomo ridicolo, scettico protagonista di un breve racconto di Fëdor Dostoevskij, a suicidarsi: stanco di essere indifferente a tutto se non al dolore, decide di farla finita, di compiere quel gesto che a lungo aveva rimandato… Un dejà vu, di qui si è già passati, ma da tempo passeggiamo nel giardino dei sentieri che si biforcano: gli incroci si somigliano, forse sono gli stessi, prendiamo ora un’altra strada.

Non è la prima volta che ci troviamo di fronte al problema dello scettico: chi o cosa assicura che il mondo reale corrisponda all’immagine che si ha di esso? Da una parte, nonostante le cose in sé ci appaiano talvolta irraggiungibili, questa tendenza è contrastata da una forte intuizione, la quale ci suggerisce che il mondo in cui viviamo non dipenda in alcun modo dal nostro modo di rappresentarlo: la nostra usuale concezione della verità prevede infatti una corrispondenza tra la rappresentazione mentale e l’oggetto nel mondo. Dall’altra, oggetti e persone, assieme a tutte le qualità che li distinguono e caratterizzano, sono rappresentazioni impressionate nella pellicola della nostra mente – esse dipendono da noi, senza di noi non esisterebbero. Allo scettico è possibile comunque obiettare che, pur avendo a che fare solamente con rappresentazioni, si potrebbe considerare un oggetto come se fosse rappresentativamente indipendente qualora avesse una proprietà intrinseca evidente, ovvero comune ad ogni descrizione, che risulterebbe meglio espressa da una versione piuttosto che da un’altra; nell’impossibilità di decidere quale di queste versioni sia la migliore, lo spazio vuoto tra le cose e le loro rappresentazioni pare destinato a non essere mai colmato. È chiaro che la versione migliore sarebbe, in questo caso, quella in cui l’essenza dell’oggetto reale viene espressa univocamente senza aggiunte, scarti o deviazioni, dove esso si presenta come un dato puramente materiale che, secondo la formula platonica, si lascia «saldamente afferrare con le mani».2 In altre parole, la versione migliore sarebbe la più neutra possibile; ma si può ottenere tale grado zero, ovvero un a priori integrale da cui osservare il

1 F. Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo, cit., p. 17. 2 Platone, Teeteto, 155e, in Tutte le opere, vol. I, cit., p. 403.

fenomeno senza preconcetti? Otto Neurath, filosofo molto lontano nel tempo e nel concetto da qualsiasi tendenza relativista di stampo postmoderno, sembra rispondere negativamente:

Non esiste tabula rasa. Siamo come marinai che devono ristrutturare la loro nave in mare aperto, mai in grado di demolirla in porto e di ricostruirla con i migliori materiali. Solo gli elementi metafisici possono scomparire senza lasciare traccia. In un modo o nell’altro come componenti della nave rimangono sempre vaghi miscugli linguistici. Se la vaghezza diminuisce in un punto, può ben aumentare in un altro.1

In altre parole, Neurath ci sta dicendo che ogni nostra affermazione verrà considerata corretta in base ad una struttura di riferimento o complesso sistema di credenze, che può essere sicuramente modificato, adeguandosi al mutare del tempo e della cultura, ma non potrà mai essere completamente sostituito o abbandonato. Il fatto che questa struttura epistemica si evolva nel tempo autorizza a chiedersi se sia possibile l’esistenza simultanea di differenti sistemi, ovvero se il conosciuto e il conoscibile siano differenziabili non solo da un punto di vista cronologico, ma anche diatopico, come una serie di organizzazioni parallele e separate l’una dall’altra. Di fronte a un simile panorama sono possibili due atteggiamenti. Se si ritiene che, malgrado tutte queste difficoltà, esista un unico mondo di riferimento per le rappresentazioni prodotte da tali sistemi di coordinate, che questi possano essere in qualche modo così confrontati l’uno all’altro e che, di conseguenza, possa essere indicata – almeno in linea di principio – una versione in grado di esprimere il mondo in termini migliori rispetto ad altri, allora si è propensi ad aderire a una qualche forma di realismo metafisico. Se, invece, si considera che non possa essere individuata una versione migliore

1 Otto Neurath, Protocol Sentences, in Alfred Jules Ayer (a cura di), Logical Positivism, New York,

The Free Press, 1959, p. 201 (trad mia). In contesto fenomenologico Gaston Bachelard esprime un concetto affatto differente quando sostiene che «la riflessione filosofica che si esercita su un pensiero scientifico lungamente elaborato necessariamente richiede che la nuova idea si integri in un corpus di idee collaudate, anche nel caso che tale corpus di idee sia costretto dalla nuova idea a un profondo rimaneggiamento (ed è quanto accade in tutte le rivoluzioni della scienza contemporanea)» (cfr. Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, Bari, Dedalo, 1975-20062, pp. 5-

6). Il più recente e conosciuto argomento modellistico (Model-Theoretic Argument) formulato da Hilary Putnam conduce a conclusioni simili. Secondo Putnam, infatti, la risoluzione dell’apparente contraddizione a cui conduce il teorema di Löwenheim-Skolem ha forti implicazioni non solo per la logica formale, ma anche per la disputa metafisica riguardante il realismo al centro della filosofia del linguaggio, poiché essa rende evidente come la nozione di verità sia sempre dipendente dalla teoria, anche se viene percepita come indipendente. In sintesi, per Putnam non vi è modo, dopo aver comparato due differenti mappe del mondo, di dire quale sia la migliore, poiché non vi è una terza entità neutrale con cui comparare queste due mappe. È ovviamente possibile costruire una nuova mappa organizzata in modo da poter effettuare la comparazione tra questa e le prime due, ma si rimane comunque bloccati all’interno del dominio della rappresentazione: questo terzo termine di paragone non è il cosiddetto mondo esterno (cfr. Hilary Putnam, Models and Reality, in «The Journal of Symbolic Logic», 45, 1980, 464-482).

poiché non vi è modo di comparare differenti sistemi di credenze – all’interno di ognuno dei quali il modo in cui il mondo viene rappresentato pare essere l’unico possibile – e che, dunque, le varie versioni del mondo costituiscano mondi differenti, isolati tra loro, allora si è pronti ad accettare una delle tesi centrali del relativismo concettuale. Un sostenitore di quest’ultima posizione, tuttavia, non si limita a dichiarare, come farebbe invece un difensore del

relativismo epistemico, che la preferenza a un sistema di riferimento è sempre

accordata arbitrariamente, e che, dunque, sia possibile accettare differenti teorie ugualmente giustificate senza dover per forza accogliere la presenza di più verità: se per il relativista epistemico le differenze tra versioni ammontano a questioni puramente semantiche, per il relativista concettuale si tratta di un problema metafisico vero e proprio; egli, infatti, relativizza l’ontologia stessa: le diverse strutture di riferimento o griglie concettuali non determinano soltanto come stanno le cose, bensì che cose ci sono – o possono esserci – e come stanno.1 In sintesi, il relativismo concettuale abbraccia l’idea secondo cui le teorie corrette non rappresentano vari modi di vedere il mondo, ma rappresentano mondi differenti. Pertanto, relativismo concettuale e realismo non si oppongono (solo) dal punto di vista gnoseologico-epistemologico, ma anche da quello ontologico-metafisico, in quanto divergono riguardo al numero dei mondi di riferimento. Ovviamente, differendo nel numero dei mondi di riferimento, i due saranno in disaccordo riguardo al numero di verità: data una concezione della verità come insieme coerente delle affermazioni vere, cioè riguardanti il modo in cui un mondo è, per il realista, esistendo un mondo soltanto, esisterà una sola verità, mentre per il relativista vi sono molte verità in quanto esistono molti mondi.2 Non è infatti un caso che una delle più recenti e sofisticate difese del relativismo concettuale, ovvero il saggio On the Plurality of Actual Worlds di Andrew Blais, pur non contenendo alcun riferimento al realismo modale e rifacendosi invece a Goodman e ad altri filosofi costruttivisti e anti-realisti, alluda esplicitamente nel titolo alla pluralità ontologica rivendicata da Lewis.

Il pluralismo previsto dal relativismo concettuale viene spesso descritto come variazione della verità in base al punto di vista, e proprio sulla metafora prospettivista viene incentrata la classica critica realista. Prendiamo, a titolo esemplificativo, l’accusa di contraddittorietà formulata da Donald Davidson:

La metafora dominante del relativismo concettuale, quella dei differenti punti di vista, sembra tradire un paradosso sottostante. Differenti punti di vista hanno senso solo se esiste un comune sistema di coordinate su cui disporli; tuttavia

1 Cfr. Diego Marconi, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino, Einaudi, 2007, pp. 50-63. 2 Cfr. Andrew L. Blais, On the Plurality of Actual Worlds, Amherst, University of Massachusetts

l’esistenza di un sistema comune smentisce la pretesa di una plateale incomparabilità.1

Tale immagine, sebbene efficace agli occhi del realista, presuppone l’esistenza di un’entità da osservare, della quale ogni sguardo ne coglie un aspetto. Nell’ottica del relativista, però, la critica rischia di cadere nel vuoto, o meglio si riduce a squalificare soltanto la metafora dei differenti punti di vista, non il relativismo stesso. Come scrive Blais, «una migliore metafora per gli schemi concettuali alternativi del relativismo concettuale potrebbe essere quella di sistemi di coordinate alternativi»:2 il relativista concettuale, infatti, ritiene giustificata l’ipotesi dell’esistenza di più sistemi di credenze che autorizzano versioni del mondo eterogenee e incompatibili l’una con l’altra, non quella di più sguardi che osservano da differenti prospettive il medesimo oggetto.

L’oppositore del realismo si è così difeso dalla prima obiezione sostenendo che la metafora dei punti di vista va sostituita con quella dei sistemi di coordinate alternativi, la quale, secondo Davidson, non è comunque esente da critiche. Se l’unico modo che abbiamo di sapere se qualche cosa è un linguaggio – egli sostiene – consiste nella nostra capacità di tradurlo, l’esistenza di una lingua intraducibile risulterebbe dunque indimostrabile, poiché la nostra migliore prova a sostegno del fatto che essa non sia traducibile sarebbe sostenere che non è affatto una lingua; analogamente, se l’unico modo che abbiamo di sapere se qualche cosa è uno schema concettuale consiste nella nostra capacità di comparalo con il nostro, l’esistenza di uno schema concettuale alternativo risulterebbe dunque indimostrabile, poiché la nostra migliore prova a sostegno del fatto che esso sia realmente alternativo al nostro sarebbe sostenere che non è affatto uno schema concettuale. Se esistono schemi concettuali alternativi, questi non possono essere concepiti come tali da noi. Per Davidson e i sostenitori del realismo metafisico, in altre parole, l’idea di uno schema concettuale alternativo è destinata a rimanere irrimediabilmente oscura.3

All’accusa di oscurità rivoltagli dal realista, tuttavia, il relativista potrà rispondere con la medesima carta, ovvero dichiarando che l’ipotesi realista è ugualmente oscura. È un’affermazione che ha bisogno di essere chiarita, e proprio questo sarà l’obiettivo delle pagine che seguiranno. Se, come abbiamo detto precedentemente, ogni nostra affermazione verrà sempre considerata corretta in base a una struttura di riferimento, la posizione realista, secondo cui esiste un mondo completamente indipendente dai nostri modi di rappresentarlo, sembra celare un grande enigma, che nelle parole di Nelson Goodman – filosofo attorno al cui pensiero ruoterà l’intera sezione – viene così formulato:

1 Donald Davidson, On the Very Idea of a Conceptual Scheme, in «Proceedings and Addresses of the

American Philosophical Association», 47, 1973, pp. 5-20.

2 A. L. Blais, On the Plurality of Actual Worlds, cit., p. 4. 3 Cfr. D. Davidson, On the Very Idea of a Conceptual Scheme, cit.

Se mi interrogo sul mondo, mi si può rispondere come esso è sulla base di una o più strutture di riferimento; ma se insisto che mi si dica come esso è indipendentemente da tutte queste strutture, che cosa mi si potrà rispondere?1 È piuttosto evidente che qui Goodman sta passando la dottrina realista al rasoio di Occam: secondo il credo nominalista, infatti, non esiste differenza senza qualcosa che faccia differenza, o, in questo caso, dove non si può dire nulla, non vi è

nulla. Tesi che non va affatto confusa con quella secondo cui ogni volta che si

può dire qualche cosa, vi è qualche cosa: «possiamo avere parole senza mondo ma non mondi senza parole o altri simboli».2

Secondo Goodman, dunque, un mondo è composto da tutte le verità autorizzate da una particolare struttura di riferimento, la quale ha due caratteristiche: a) non fa parte di ciò che viene descritto, bensì del sistema di descrizione stesso e b) senza di essa gli oggetti appaiono privi di qualsiasi caratteristica spaziale e temporale; la nozione di oggetto indipendente dal nostro modo di rappresentarlo appare quindi vuota.3 Queste strutture, come abbiamo visto, possono a loro volta variare e delinearsi in contrasto l’una all’altra: data una concezione della verità come insieme coerente delle affermazioni vere, esistono più insiemi di verità incompatibili tra loro e tali insiemi costituiscono una pluralità di mondi esistenti e attuali. Siamo dunque di fronte a una pluralità di

1 N. Goodman, Vedere e costruire il mondo, cit., p. 3

2 Ivi, p. 7. La comprensione di questo passaggio risulta fondamentale per non fraintendere il

pensiero di Goodman; un sostenitore della visione propria del realismo metafisico può molto facilmente considerarla quantomeno enigmatica, quando non completamente incomprensibile: un esempio abbastanza recente di tale fraintendimento può essere riscontrato in L. Doležel,

Heterocosmica. Fiction e mondi possibili, cit., p. 26 n. 41.

3 Cfr. ivi, p. 3 e 14. La nozione di struttura di riferimento qui in esame non va confusa con quella

di quadro di riferimento a cui abbiamo accennato nella sezione dedicata a Kripke, anche se ne è per certi aspetti affine. In ogni caso, quando parliamo di struttura di riferimento si intende porre maggiormente l’attenzione sulla griglia concettuale, epistemica in base alla quale vengono lette le diverse affermazioni, la quale rimane perlopiù implicita, mentre con l’idea di quadro di riferimento si intende solamente sottolineare come una determinata affermazione possa presentare valori di verità diversi a seconda dei vari contesti in – e funzioni con – cui è suscettibile d’essere utilizzata: ‘Emma Bovary esiste’ è vera nel quadro di riferimento ‘romanzo Madame

Bovary’, poiché Emma Bovary esiste nel mondo reale in quanto personaggio finzionale inventato

da Falubert, mentre l’affermazione è falsa nel quadro di riferimento ‘persone reali’, poiché non esiste in quanto persona reale indipendente dal testo di Flaubert. La distinzione chiara tra i due quadri, in questo caso, presume già molto, in particolare presuppone una cultura che accetti un certo tipo di distinzione tra fatto e finzione. Ovviamente, affinché due quadri di riferimento vengano identificati e messi in relazione, essi devono essere riconosciuti come tali da un determinato sistema, del quale quindi fanno parte. Si può dire, dunque, che i quadri siano strutture di riferimento minime e facilmente delimitabili, mentre queste ultime si presentino come degli aggregati massimi di differenti quadri di riferimento entro cui possiamo leggere gli enunciati: proprio la loro articolazione complessa rende difficile, se non impossibile, individuare i loro principi costitutivi, delimitandone così il campo, alla stregua di quanto avviene per i semplici quadri di riferimento.

mondi ben diversa da quelle fino ad ora incontrate: anche nei casi più estremi, come quello di Lewis, oggetto di discussione era lo statuto ontologico – reale- fisico o immaginario-speculativo – dei mondi possibili, ma non veniva mai messo in dubbio il fatto che il mondo attuale fosse soltanto uno. Nell’ottica di Goodman e di altri relativisti, i differenti mondi non sono visti come alternative all’unico mondo attuale, bensì come una pluralità di mondi tutti ugualmente attuali.

L’argomentazione di Goodman, tuttavia, presuppone un’inversione ontologico-gnoseologica fondamentale che va adeguatamente giustificata. Dal momento che un mondo è ciò che corrisponde a una versione vera, siccome esiste una molteplicità di versioni vere, allora esiste una molteplicità di mondi: «per Goodman – scrive Blais – la molteplicità delle verità è una premessa, non una conclusione». La premessa nominalista di Goodman – dove non si può dire

nulla, non vi è nulla – si basa sull’impossibilità di distinguere le caratteristiche del

mondo indipendenti dalla rappresentazione che ne diamo: sebbene una versione corretta e il suo mondo differiscano – «una stella non è composta di lettere» –, «non si può tracciare alcuna linea fissa tra le caratteristiche del mondo che sono dipendenti dal discorso e quelle che non lo sono».1 Le varie strutture producono una molteplicità di versioni corrette che affermano verità in contrasto tra loro, e il modo più coerente per armonizzare l’esistenza di più verità discordanti con una concezione della verità come corrispondenza consiste nell’ipotizzare che ognuna di esse abbia un diverso mondo di riferimento: «i molteplici mondi di versioni vere conflittuali sono mondi attuali, non mondi meramente possibili o non-mondi di versioni false. Così, se c’è qualche mondo attuale, ce ne sono molti».2 In sintesi, dunque, si può dire che Goodman giustifichi attraverso la tesi nominalista un’inversione ontologico-gnoseologica molto simile a quella suggerita da Immanuel Kant nella sua Critica della ragion pura: non è l’essere a spiegare la verità, bensì la verità a spiegare l’essere.3 Il problema fondamentale nell’argomentazione di Goodman è che la premessa nominalista, essendo di carattere formale e non sostanziale, non riesce a giustificare tale inversione: l’intuizione realista, secondo cui esiste un mondo su cui verificare la correttezza delle nostre affermazioni che, precedendoci, risulta da noi in qualche modo

indipendente, è fortemente radicata; nessuna argomentazione formale potrà

sostituirla. Un realista è dunque libero di rifiutare il nominalismo proposto da Goodman e, se lo fa, l’argomentazione per adottare una nuova visione filosofica che attesti la priorità della verità sull’essere viene invalidata perché circolare: accettare o meno l’inversione ontologico-gnoseologica dipende solamente dalla premessa non esplicitata secondo cui dove non si può dire nulla, non vi è nulla, la quale è stata formulata per mettere in evidenza come il realismo nasconda un grande

1 Nelson Goodman, On Starmaking, in On Mind and Other Matters, Cambridge, Harvard University

Press, 1984, p. 41 (trad. mia).

2 Id., Notes on the Well-Made World, in ivi, p. 31 (trad. mia). 3 Cfr. Libro I, par. 3.1, p. 69, n. 3.

enigma, sebbene questo, a sua volta, emerga solamente qualora il passo verso la nuova visione sia già stato compiuto. Il nucleo problematico sottostante consta nel fatto che, allorché si ammette la possibilità di una distinzione tra rappresentazione simbolica e oggetto rappresentato, come sembra sostenere lo stesso Goodman, si darà sempre la possibilità al realista metafisico di ribattere che ciò che c’è può superare di gran lunga ciò che la nostra natura ci concede di conoscere e quindi la premessa di Goodman – secondo la quale dove non si può

dire nulla, non vi è nulla – può essere agevolmente rifiutata. In sintesi, l’intuizione

sostanziale dell’esistenza di una realtà indipendente dalle nostre rappresentazioni viene sicuramente depotenziata dalla possibilità di esistenza di una molteplicità di versioni corrette, ma non viene sostituita da una molteplicità di mondi attuali a cui corrisponde una varietà di descrizioni complete e vere. Come efficacemente sintetizza Blais, infatti,

la circolarità dell’argomentazione lascia insoddisfatto l’obiettivo di spiegare perché la suddetta inversione ontologica vada accolta, e senza tale spiegazione c’è […] poca speranza di spiegare perché esiste una molteplicità di mondi attuali.1 Sebbene fallace, la strategia di Goodman per adottare l’inversione ontologico- gnoseologica, abbiamo visto, segue da vicino quella offerta da Kant nella sua

Critica alla ragion pura secondo cui, poiché la dottrina realista appare

intollerabilmente enigmatica in quanto fa da premessa essenziale per una antinomia, è necessario rifiutarla in favore di una nuova visione. A differenza di