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LA SEMANTICA ATTUALISTA: LA REALTÀ CHE CI È DATA

CHE COS’È UN MONDO POSSIBILE?

3. MONDI POSSIBILI, ONTOLOGIA E METAFISICA: UN BAROCCO MONDIALIZZATO

3.1. LA SEMANTICA ATTUALISTA: LA REALTÀ CHE CI È DATA

Prima di concedere senza indugi diritto d’esistenza ad una pluralità di mondi, è bene fare qualche breve considerazione sull’attualismo che, pur rinunciando alla scelta del Migliore, offre il modello ontologico contemporaneo maggiormente economico e condiviso: è alquanto comune accettare la presenza di una frontiera spesso invalicabile tra fatto e finzione che impedisca di confondere realtà intersoggettiva e fantasticherie private, allo stesso modo la maggior parte delle persone dotate di buon senso opporrebbe qualche resistenza all’idea che, per giustificare la contingenza radicale di ciò che accade o la nostra attitudine modale, si rivendichi – seguendo David Lewis – l’esistenza di una pluralità di mondi, o, per darsi ragione delle incongruenze del mondo, si debba far ricorso – come fa Gombrowicz – a infiniti livelli di realtà in conflitto tra loro. Credere nell’esistenza di un solo mondo senza rinunciare all’intuizione che le cose potrebbero stare altrimenti da come si presentano a noi non appare infatti poi così difficile: è sufficiente pensare che uno stato di cose realizzato, ovvero

concreto, avrebbe potuto in linea di principio presentare caratteristiche diverse;

questa situazione alternativa presenta però uno statuto ontologico differente: il mondo da essa rappresentato è astratto, in altre parole ha la qualità di una speculazione compiuta contro i fatti del mondo reale. Tale posizione dunque sembrerebbe offrire tutti i vantaggi provenienti dal regno delle possibilità per l’analisi di concetti come contingenza e necessità, evitando al contempo la postulazione di un dio in grado di scegliere ciò che è bene e farlo pervenire all’esistenza. I mondi possibili non sono altro che condizioni descrittive formulate nell’unico mondo reale partendo dall’idea che le proprietà esibite dagli oggetti non siano necessarie, nonostante il fatto che essi siano necessariamente ciò che sono: Sesto non ha controparti buone, pur avendo la possibilità di non essere malvagio sotto determinate condizioni controfattuali. Un’ontologia che concede esistenza a un unico mondo, senza rinunciare all’utilità euristica dei mondi possibili per l’analisi della modalità, viene definita attualista: le condizioni immaginarie che, sotto determinati aspetti, differiscono da quelle del solo mondo attuale costituiscono i mondi possibili.1 Sebbene a questa tesi siano riconducibili le posizioni di autori contemporanei molto diversi, tra cui si possono ricordare Wittgenstein, Carnap, Stalnaker, Plantiga, van Inwagen e Armstrong, per la grande influenza esercitata su filosofi e teorici della letteratura e la chiarezza con cui le sue idee sono espresse, ci soffermeremo sul pensiero di Saul Kripke. Nel suo ormai classico Nome e Necessità, pubblicato una prima volta nel 1972 e

1 Cfr. Saul Kripke, Semantical Consideration on Modal Logic, in «Acta Philosophica Fennica», 16,

1963, pp. 83-94, ora in Farhang Zabeeh, E. D. Klemke e Arthur Jacobson, Readings in Semantics, Urbana, University of Illinois Press, 1974, pp. 803-814. Secondo la struttura modello di Kripke, nella triade ordinata (G, K, R) K indica l’insieme di tutti i mondi possibili, G il mondo base per la struttura modello, in cui G K, e R la relazione riflessiva su K e G. In modo informale Kripke suggerisce di concepire l’insieme K come composto da G, il mondo reale, e un’infinità di mondi

H, varianti possibili che differiscono sotto qualche aspetto da quello reale. Per disambiguare la

terminologia di Kripke, Williamson suggerisce di interpretare la struttura modello come una triade <W, R, w0>, dove W è l’insieme dei mondi, R è la relazione di possibilità relativa (o accessibilità) e w0 è il mondo attuale, che appartiene a W: posto w0 R w*, un’affermazione vera in

w0 risulta possibile in w*. Se letto secondo la motivazione fornita dallo stesso Kripke, l’intera

struttura modello si presenta come una teoria metafisica concernente la struttura della realtà modale. Un modello che designa un mondo come attuale è centrato (pointed) e tanto la relazione di accessibilità quanto la nozione di necessità metafisica rimangono relative alla sua prospettiva: in tal caso, sostenere, ad esempio, che una verità è necessaria equivale a dire che è vera in tutti i mondi possibili accessibili a partire da w0 (cfr. T. Williamson, Modal Logics as Metaphysics, cit., pp.

84-92). Esistono comunque altre teorie che attribuiscono ai mondi possibili uno statuto ontologico meno impegnativo e diverso da quello del mondo reale; un precedente può essere riscontrato in Rudolf Carnap, Significato e necessità, Firenze, La Nuova Italia, 1976 [1956], p. 22: «Una classe di proposizioni in S1 contenente, per ogni proposizione atomica, o la proposizione

stessa o la sua negazione, ma non entrambe, e nessun’altra proposizione, prende il nome di

descrizione di stato in S1, in quanto, ovviamente, fornisce una descrizione completa di uno stato

possibile dell’universo di individui, rispetto a tutte le proprietà e relazioni espresse dai predicati del sistema. Così, le descrizioni di stato rappresentano quelli che Leibniz chiamava i mondi possibili e Wittgenstein i possibili stati di cose».

successivamente nel 1980, egli giudica naïf l’idea che esistano più mondi in cui l’identità degli oggetti possa essere fornita da un’analisi qualitativa degli stessi che consiste nel porli in rapporto di controparte per mezzo di una relazione di somiglianza per “scoprire” in tal modo quali proprietà siano fondamentali al fine di una loro identificazione attraverso i mondi, distinguendole da quelle che non lo sono:

Un mondo possibile è dato dalle condizioni descrittive che ad esso associamo. Che cosa intendiamo dicendo: “In qualche mondo possibile io non avrei tenuto oggi questa lezione”? Semplicemente immaginiamo la situazione in cui io avrei deciso di non tenere questa lezione o avrei deciso di tenerla in qualche altro giorno. Ovviamente non immaginiamo tutto ciò che è vero o falso, ma solo quello che è pertinente al fatto che io tenga la lezione; in teoria però bisogna che tutto sia deciso per poter dare una descrizione totale del mondo. Non possiamo veramente immaginarcelo se non in parte: ecco dunque un “mondo possibile”. […] I “mondi possibili” sono stipulati, non scoperti con potenti telescopi.1

Il mondo esistente, dove ci troviamo a vivere, è soltanto uno: tale modello, sebbene non ne differisca quantitativamente, si discosta comunque da quello leibniziano per quanto riguarda origine e natura dei mondi possibili. Innanzitutto il loro artefice non è di origine divina, bensì un qualsiasi essere in grado di immaginare una situazione controfattuale e formularla in forma condizionale: l’intero impianto monadologico non ha più alcun senso, tanto che, da parti di una complessa cosmologia, i mondi possibili diventano semplici strumenti di calcolo. In secondo luogo la loro estensione è molto più limitata ed evanescente rispetto a quelli di Leibniz: se anche i mondi possibili posti al di sotto della sommità del barocco «palazzo dei destini» differivano tra loro per grado di perfezione, l’incompletezza di quelli a cui pensa l’attualista è molto diversa. La loro è un’estensione funzionale: vengono stipulati attraverso il codice linguistico mutando, in base a ciò che in quel momento riteniamo pertinente al problema in esame, determinati aspetti di una descrizione del mondo reale.2 È lo stesso

1 Saul Kripke, Nome e necessità, Torino, Bollati Boringhieri, 1982-19992, p. 46.

2 Pur rimanendo all’interno dell’attualismo l’estensione dei mondi possibili può variare. Se quelli

di Kripke si limitano alla stipulazione momentanea, sono quindi brandelli funzionali di mondi, Adams e Stalnaker definiscono un mondo possibile o «mondo-storia» come un «un insieme massimale consistente di proposizioni» in cui le proposizioni non vanno concepite come atti linguistici effettivi, ma come «oggetti potenziali di atti linguistici e di atteggiamenti proposizionali». Secondo la pratica comune, infatti, un enunciato in un dato linguaggio esprime una proposizione (da cui dipende il suo valore semantico): come sostiene Stalnaker, potrebbe anche non essere umanamente possibile esprimere tutte queste proposizioni, ma questo limite «non dovrebbe avere alcun effetto restrittivo sulla gamma dei potenziali oggetti degli atteggiamenti proposizionali»: tale posizione riguardo ai possibilia è più vicina alla visione di Leibniz di quanto lo sia quella di Kripke, poiché le proposizioni di Stalnaker e Adams assomigliano più alle essenze non realizzate, ma che nondimeno presentano tutte «qualche inclinazione all’esistenza», a cui pensava Leibniz che alle stipulazioni controfattuali di Kripke, il

Kripke nell’Introduzione all’edizione del 1980 del suo Nome e necessità a criticare l’utilizzo del termine ‘mondo’ per indicare tale processo: espressioni come «possibile stato (o storia) del mondo» o «situazione controfattuale» avrebbero evitato molti fraintendimenti.1 Lanciamo due dadi: il risultato ottenuto sommando le due facce superiori è il mondo reale, tutte le altre potenziali combinazioni rappresentano eventi alternativi a quello che si è verificato. Sono questi i mondi possibili non attualizzati, i quali non fanno parte della realtà a cui apparteniamo, ma risultano interessanti quando ci interroghiamo riguardo ai differenti gradi di probabilità con cui avrebbero potuto avverarsi: nel caso dei dadi può apparire irrilevante, ma, ad esempio, quando uno storico deve domandarsi la ragione di determinati fatti non può non ricorrere a scenari alternativi per comprendere la probabilità degli eventi che si sono manifestati. Così come sarebbe folle definire ‘mondo’ il casuale risultato di due variabili, non si è giustificati a farlo in casi più complessi: la differenza tra i due è di tipo quantitativo, non qualitativo. «I “mondi possibili” non sono nient’altro che i minimondi della probabilità studiata a scuola, ingranditi»:2 anche un’intera storia del mondo controfattuale non avrebbe diverso statuto rispetto alle alternative del coup de dés. Essa, però, non solo non sarebbe immaginabile e formulabile poiché la struttura non sarebbe in grado di supportare tale livello di complessità, ma soprattutto non avrebbe alcun senso: i mondi possibili sono soltanto pratici strumenti di calcolo, nel momento in cui la formalizzazione diviene eccessivamente estesa, essi divengono inutili.

Dal modello ontologico offerto dalla semantica attualista ha origine l’immagine, proposta da Kripke, del modo in cui viene determinato il riferimento: il ricorso ai mondi possibili è utile a comprendere come i nomi si riferiscano alle cose. Prima di proseguire risulta tuttavia opportuno far chiarezza sul significato di alcune nozioni. Si possono distinguere due diversi tipi di modalità: de dicto e de re. La prima riguarda solamente le condizioni di verità della proposizione nella sua globalità: si potrebbe immaginare una situazione in cui quella determinata proposizione è vera o falsa. Nel caso della modalità de re, invece, si instaura un nesso attributivo tra la proposizione e il suo referente. Per esempio, sebbene ‘Fosforo’ venga descritto come ‘la stella della sera’ e ‘Espero’ come ‘la stella del mattino’ e sia quindi possibile immaginare de dicto un mondo

quale manifesta non di rado dei dubbi sulla natura delle proposizioni e sul loro rapporto con gli enunciati. Ciononostante Stalnaker rimane comunque attualista, poiché sostiene che credere che vi siano «potenziali oggetti degli atteggiamenti proposizionali» non implica l’accettare nella «propria ontologia tutti quegli universi che sono i modi in cui le cose avrebbero potuto essere». Cfr. Robert Merrihew Adams, Theories of Actuality, in «Noûs», 8, 1974, pp. 211-231; Robert Stalnaker, Possible Worlds, in «Noûs», 10, 1976, pp. 65-75 [trad. it. Mondi possibili, in Achille Carlo Varzi (a cura di), Metafisica. Classici contemporanei, Roma-Bari, Laterza, 2008-20182, pp. 292-303];

G. W. Leibniz, Il nuovo sistema. XVI: Verità prime, possibilità ed esistenza, cit., p. 479; S. Kripke, Nome

e necessità, cit., pp. 24-25.

1 Cfr. S. Kripke, Nome e necessità, cit., p. 20. 2 Ivi, p. 22.

in cui ‘Espero’ e ‘Fosforo’ sono pianeti differenti, se ‘Espero’ e ‘Fosforo’ sono due nomi del pianeta Venere, continueranno a riferirsi de re allo stesso oggetto anche in tutti gli altri mondi possibili. Non è infatti possibile affermare che una cosa è diversa da se stessa: questo tipo di identità è una necessità metafisica.1 Si veda la seguente proposizione:

(1) Napoleone vinse a Waterloo.

Se interpretata secondo la modalità de re essa è palesemente falsa poiché sfrutta un referente del mondo attuale rovesciandone alcune proprietà; se interpretata secondo la modalità de dicto essa può invece assumere valori differenti in base al mondo a cui si applica il riferimento: sarebbe senza dubbio possibile il fatto che Napoleone non avesse perso a Waterloo.

In alcuni casi, come in quello sopra citato di Venere, si riscontrano, tuttavia, alcune difficoltà. Se da una parte prendiamo in considerazione ‘la stella della sera = la stella del mattino’, l’identità anziché necessaria appare piuttosto contingente: è ben possibile immaginare un mondo in cui sia falsa; se, dall’altra, ‘Espero = Fosforo’ appare contingente soltanto perché non è a priori, ma come abbiamo visto, se ‘Espero’ e ‘Fosforo’ si riferiscono allo stesso pianeta, l’identità non può essere contingente: è infatti necessario che Venere sia identico a Venere. Per sciogliere tale paradosso Kripke sviluppa una nuova immagine della designazione che contempla una differenza logica – quindi non solo grammaticale – tra i nomi propri (e di genere naturale) e le descrizioni, una differenza che coinvolge la nozione di necessità. Per fare ciò, il primo passo è scindere la nozione di conoscenza a priori e di necessità. Infatti, nell’empirismo moderno, di cui Rudolf Carnap è stato il principale esponente, i concetti di necessità metafisica e conoscenza a priori coincidono, anche se, a ben vedere, i due appartengono a domini differenti. Come fa notare Kripke, il secondo è un concetto epistemologico, ovvero riguardante una modalità di conoscenza nella quale si suppone che una cosa possa essere nota indipendentemente dall’esperienza o che non esiga alcuna dimostrazione. Necessità e contingenza sono invece nozioni metafisiche che riguardano l’eventualità o meno di un oggetto di essere diverso da com’è: una proposizione è necessaria se e solo se è vera in tutti i mondi possibili, altrimenti attesta una verità contingente. Se le conoscenze a

priori o a posteriori hanno a che fare col modo in cui arriviamo a conoscere il mondo, i

concetti modali riguardano come il mondo è e come potrebbe essere. I due concetti, dunque, non si implicano né si escludono a vicenda: una verità a priori non è detto sia per forza necessaria e una verità necessaria può non essere a priori.2 «Si

1 Cfr. Achille Carlo Varzi, Parole, oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica, Roma, Carocci, 2001, pp.

71-75.

2 Cfr. S. Kripke, Nome e necessità, cit., pp. 37-41. Non è qui il luogo per ampliare la discussione,

ma va ricordato che, sebbene la distinzione tra livello epistemico e metafisico sia stata ampiamente accettata, sono state avanzate varie obiezioni all’esistenza di verità necessarie a

potrebbe benissimo scoprire l’essenza empiricamente»:1 ad esempio, ammesso che fosse possibile costruire un sistema formale sufficientemente espressivo da fornire una procedura di decisione per la dimostrazione di una particolare verità matematica, essa sarebbe necessaria, ma non a priori.2 In tal modo possiamo dire che l’impossibilità di sapere a priori che ‘Espero’ è identico ‘Fosforo’ – in quanto nomi diversi del pianeta Venere, come ‘Marco’ e ‘Tullio’ lo sono dell’oratore Cicerone – non implica la contingenza dell’identità. A fornire l’appoggio a tale concezione sono una posizione realista e una teoria identitaria di tipo essenzialista: gli oggetti possiedono proprietà essenziali, conoscibili attraverso l’esperienza ma indipendenti dal nostro modo di rappresentarle, le quali, in quanto tali, non possono essere giudicate contingenti ai fini della determinazione dell’identità. Passando dalle entità matematiche a quelle fisiche, Kripke sostiene che le proprietà essenziali da mantenere affinché un oggetto sia necessariamente se stesso e non un altro, sono origine e sostanza.3 Mentre è facile immaginare la medesima persona come ricca o povera, intelligente o stupida, sarà più difficile ammettere che i suoi genitori possano non essere quelli che sono. La stessa cosa varrà per un oggetto: non c’è bisogno di conoscere il materiale di cui è fatto perché risulti problematico accettare che possa essere costituito di una diversa sostanza mantenendosi comunque il medesimo. Per sostenere una tesi che affermi l’identità dello stesso oggetto o della stessa persona ritenendo contingenti origine e sostanza, si dovrebbe percorrere a ritroso la storia dell’intero universo: solo in tal modo si potrebbe rompere la catena di filiazione e discendenza della materia nel corso del tempo. Persuasi o meno della necessità di queste proprietà,4 difficilmente si può sostenere che non siano conoscibili mediante l’esperienza.

Le uniche verità necessarie e a priori, dunque analitiche, sono quelle nate da una stipulazione.5 La nozione di «designatore rigido» appartiene a quest’ultima categoria:

posteriori e a quella di verità contingenti a priori. Ci limitiamo a citare due tra i primi contributi

dedicati a tale argomento: George W. Finch, Are There Necessary A Posteriori Truths?, in «Philosophical Studies», 30, 1976, pp. 243-247 e Keith Donnellan, The Contingent A Priori and

Rigid Designators, in «Midwest Studies in Philosophy», 2, 1977, pp. 12-27.

1 Ivi, cit., p. 106.

2 Dire, ad esempio, che vi sono dei controesempi alla congettura di Goldbach non dice nulla

sulla sua necessità: qualunque sia il suo valore di verità, vera o falsa che sia, esso le appartiene necessariamente. Secondo l’argomentazione di Kripke, la nozione di possibilità di cui ci serviamo in questi casi è epistemica, non metafisica: dire che oggi potremmo scoprire che la congettura di Goldbach è falsa, o che in passato avremmo potuto scoprire che Espero non è Fosforo, significa semplicemente dire che la negazione della congettura di Goldbach è compatibile con ciò che sappiamo e che la negazione dell’identità ‘Espero = Fosforo’ era compatibile con quello che sapevamo prima di scoprire che sono entrambi nomi attribuiti a Venere. Cfr. ivi, pp. 39-41.

3 Cfr. ivi, p. 109-110 n. 56 e 133-134.

4 Il realismo modale di Lewis che verrà presentato in Libro I, par. 3.2, ad esempio, non accetterà

tali proprietà come necessarie.

chiameremo qualcosa un designatore rigido se in ogni mondo possibile esso designa lo stesso oggetto, e designatore non rigido o accidentale se non è così. Ovviamente non richiediamo che gli oggetti esistano in tutti i mondi possibili. […] Quando consideriamo una proprietà come essenziale di un oggetto, intendiamo normalmente che essa è vera di quell’oggetto in ciascun caso in cui esso sarebbe esistito. Un designatore rigido di un esistente necessario può dirsi fortemente rigido.1 È attraverso la designazione rigida che possiamo riferirci al medesimo oggetto che appare con caratteristiche di volta in volta differenti in situazioni controfattuali. A differenza di filosofi come Lewis, infatti, per Kripke l’identità tra controparti non passa attraverso una somiglianza qualitativa intrinseca ai due referenti,2 ma avviene attraverso la stipulazione di un riferimento: possiamo dire che un determinato oggetto, in un mondo possibile diverso da quello attuale, non avrebbe esibito le medesime qualità solamente in virtù del fatto che ci riferiamo ad esso utilizzando il riferimento formulato nel mondo attuale come

designatore rigido. Già nell’esempio (1) abbiamo visto come una proposizione può

essere falsa de re, mentre può essere vera de dicto in qualche mondo possibile. Prendiamo una proposizione di natura lievemente differente:

(2) La nonna di Ludovico non ha figli.

La proposizione è chiaramente falsa secondo la modalità de re, ma, per certi aspetti appare falsa anche de dicto: una nonna per definizione deve avere sia figli che nipoti. L’affermazione, dunque, appare vagamente autocontraddittoria: non esiste un mondo possibile in grado di avverare tale affermazione. Non accade così se interpretiamo la perifrasi ‘la nonna di Ludovico’ in qualità di designatore

rigido – il che può essere fatto aggiungendo esplicitamente o implicitamente

l’aggettivo ‘attuale’ alla descrizione. La designazione avviene fissando il riferimento ‘la nonna di Ludovico’ per mezzo di una qualità che presenta nel nostro mondo – ovvero quella di essere la madre della madre (o del padre) del nipote di nome Ludovico – che potrebbe non presentarsi in un altro mondo possibile. In tal caso un mondo in cui l’entità designata come ‘la nonna di Ludovico’ (o ‘l’attuale nonna di Ludovico’) non abbia figli è ipotizzabile come possibile? Ovviamente sì e non è molto difficile farlo, visto che una persona può benissimo non avere figli. Occorre a tal fine fare attenzione a non confondere

designazione – vale a dire l’atto di fissare il riferimento – e significato.3 Una volta fissato il riferimento esso rimane il medesimo in tutti i mondi possibili stipulabili: esso è alla base dell’identificazione. Altro discorso vale per il significato, il quale si modifica al variare del mondo di riferimento. Nel caso dell’affermazione (2) il

1 Ivi, p. 50.

2 Cfr. Libro I, par. 3.2. 3 Cfr. ivi, pp. 56-57.

significato dell’entità designata come ‘la nonna di Ludovico’ sarà diverso se si riferisce rispettivamente a mondi in cui ha avuto o non ha avuto figli: una persona circondata da figli e nipoti è ben diversa da una che non li ha ed è difficile immaginare che, per determinati aspetti, le si possa descrivere allo stesso modo.