PRODUTTIVITÀ E STANDARD DI VITA: CONFRONTO TRA PAESI IN VIA DI SVILUPPO E PAESI SVILUPPAT
2. La relazione tra produttività e povertà nei Paesi in via di sviluppo
In letteratura, raramente la produttività viene studiata in relazione alla povertà; infatti, solitamente quest’ultima viene analizzata più specificatamente in relazione alla crescita economica poiché si ritiene che la produttività sia già contenuta implicitamente in essa. Inoltre, non vi è sempre la disponibilità di dati affidabili e di qualità sulla produttività confrontabili tra i diversi Paesi, in special modo per i Paesi in via di sviluppo.
Alcuni studiosi, comunque, si sono concentrati sul tema produttività/povertà realizzando studi in diversi contesti che vanno tutti nella direzione di mostrare un rapporto tra la crescita della produttività e la diminuzione della povertà; tra questi ricordiamo:
- Datt G., Ravallion M., 1988 – India, su dati dal 1958 al 1994: in questa analisi si evidenzia una riduzione di povertà grazie ad un incremento della produttività in agricoltura attraverso più alti salari e prezzi più bassi; - Fluet C., Lefebvre P., 1987 – Canada, su dati dal 1965 al 1980: in questo
lavoro si rileva come circa metà dei guadagni in produttività si sia trasformata in prezzi più bassi e in una riduzione dell’incidenza di povertà; - Hayes K. J., Slottje D. J., Nieswiadomy M. L., Wolff E. N., 1994 – Stati
Uniti, su dati dal 1948 al 1990: in questo studio si evidenzia una relazione tra produttività e povertà di tipo bi-direzionale;
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- Sharpe A., 2004. Paesi in via di sviluppo, su dati dal 1970 al 1998: in questa analisi si rileva una relazione tra la crescita di produttività e la riduzione dell’incidenza di povertà.
Proprio a partire dai risultati e dalle riflessioni di quest’ultimo studio realizzato nell’ambito del “Centre for the study of living standards” in Canada che molto si occupa anche di studi sulla produttività, ci si propone di proseguire l’analisi sulla relazione tra produttività e povertà nei Paesi in via di sviluppo, anche utilizzando dati più recenti.
2.1 I dati
Volendo concentrare l’analisi sulla vasta area geografica dei cosiddetti Paesi in via di Sviluppo, si è dovuto procedere ad una ricognizione delle banche dati utilizzabili che contenessero indicatori sulla produttività e sulla povertà confrontabili tra di loro e disponibili per un periodo sufficientemente lungo.
Per quanto riguarda l’indicatore di povertà, è sembrato logico ricorrere ai dati della Banca Mondiale che definisce povero colui che si trova al di sotto della soglia di 1$ al giorno o 2$ al giorno (in parità di potere d’acquisto); sono disponibili sia il tasso di povertà e le variazioni di esso nel corso degli anni che l’incidenza di povertà.
La produttività del lavoro esprime la resa del fattore produttivo lavoro e può essere ricavata seguendo diverse metodologie di calcolo: l’unico dato disponibile per tutti i Paesi presi in considerazione è quello fornito dalla banca dati Penn World Tables 6.2 dell’Università della Pennsylvania1 che fornisce il Real GDP chain per workers cioè la produttività del lavoro calcolata come rapporto tra il GDP e le persone occupate. Si tratta di un metodo abbastanza diffuso per calcolare la produttività del lavoro anche se nei dibattiti metodologici in atto2 si è d’accordo sul fatto che non sia sempre la misura migliore; il prodotto interno lordo, infatti, è generalmente considerato l’indicatore chiave di un’economia ed è la misura di
1 Il Center for International Comparisons at the University of Pennsylvania fornisce questo
database che è diventato un punto di riferimento importante per tutti i ricercatori in quanto ricco di variabili per molti Paesi nel mondo. Nel Penn World Tables 6.2 (ultima versione disponibile dei dati) si trovano informazioni sui Conti Nazionali in parità di potere d’acquisto per 188 Paesi dal 1950 al 2004, elemento fondamentale per le analisi di lungo periodo.
2 Il dibattito sulla misurazione della produttività è ampio: esistono diverse misure di
produttività ed esse dipendono dagli scopi della misurazione e dalla disponibilità dei dati; inoltre, esiste il problema della definizione e della stima degli aggregati che le compongono, soprattutto per i confronti internazionali. Tra gli altri, Colombo L., Coltro G., 2001.
output più abitualmente usata, anche se, per le misure di produttività a livello di industria, si preferisce utilizzare il valore aggiunto in quanto è l’aggregato che consente di apprezzare la crescita del sistema economico in termini di nuovi beni e servizi messi a disposizione della comunità per impieghi finali3. Anche il manuale dell’OECD sulla produttività [OECD, 2001] distingue le misure di produttività del lavoro tra quelle basate sul valore aggiunto e quelle basate sulla produzione lorda o totale (gross output) e avverte sul fatto che le due misure potrebbero dare indicazioni non conformi: per l’output di solito è preferibile usare il valore aggiunto.
Anche per l’aggregato di input il discorso è complesso: a livello metodologico si concorda sul fatto che per quantificare il lavoro sia meglio usare il monte ore lavorate, piuttosto che gli occupati. In quest’ultimo caso, infatti, si sottende l’ipotesi di considerare un numero medio di ore lavorative costante per singolo occupato. Va da sé che alcuni elementi, per esempio, un allargamento dei contratti di lavoro a tempo parziale, possono condurre a scostamenti nell’esattezza dei calcoli: per tale ragione si provvede allora a trasformare i dati riferiti a contratti di part-time in cosiddette unità di lavoro a tempo pieno (ULA), spostando il computo su queste grandezze e non sul numero effettivo di persone occupate. Anche questo elemento non è però completamente privo di errori: così, infatti, si trascurano ulteriori fattori quali le modifiche negli orari di lavoro introdotte dai contratti di lavoro, le ore straordinarie lavorate o le assenze dei lavoratori nell’arco di tempo considerato. Si preferisce, dunque, quando i dati a disposizione lo consentono, riferirsi al volume di lavoro computato in un anno solare dal relativo sistema economico espresso in ore lavorate [OECD, 2001].
Nell’analisi effettuata, pur sapendo che la misura di produttività Real GDP chain per workers non è la migliore per i motivi metodologici appena sintetizzati, si è comunque utilizzata perché si avevano a disposizione dati per ben 50 Paesi (12 appartenenti all’Asia, 20 all’Africa e 18 all’America Latina) e per un periodo piuttosto lungo che va dal 1970 al 20044.
2.2 L’analisi e i risultati ottenuti
L’obiettivo dell’analisi è di capire se sia possibile individuare una relazione tra la produttività e la povertà, posto che la letteratura è concorde sulla relazione tra crescita economica (reddito pro capite) e povertà e sullo stretto legame che esiste tra produttività e reddito pro capite [Weil D. N., 2007].
3 Inoltre, alcune poste necessarie per il passaggio dal valore aggiunto al PIL (in particolare,
i servizi finanziari indirettamente imputati) vengono ad oggi calcolati solo per l’intera economia.
4 Alcuni Paesi sono stati esclusi in quanto mancavano i dati per parecchi anni; tutti i Paesi
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Le variabili considerate sono state distinte tra quelle che individuano la variazione dei fenomeni nel tempo e quelle di livello; per prima cosa si è proceduto ad una loro ispezione grafica.
Grafico 1 – Tasso di crescita della produttività del lavoro e tasso di variazione di povertà (soglia di 2 $ al giorno) nei Paesi in Via di sviluppo, 1970 – 2004.
Fonte: elaborazioni su dati World Bank e Penn World
Nel grafico 1, sull’asse delle ordinate abbiamo i punti percentuali di variazione del tasso di povertà sulla soglia di 2$ al giorno e sull’asse delle ascisse si trova la crescita media della produttività del lavoro. Già ad una prima analisi, si evince che i dati dei Paesi in via di sviluppo sembrano avere un andamento lineare di tipo inverso e ciò è confermato anche dai grafici realizzati con le altre variabili prese in considerazione (soglia di 1$ al giorno; livello di produttività e incidenza di povertà per le due soglie).
A questo punto, supportati dall’ispezione grafica, si è proceduto alla semplice analisi di regressione lineare per capire l’intensità della relazione.
L’analisi effettivamente conferma ciò che veniva intuito a livello grafico e cioè si può affermare che esiste una certa relazione tra le variabili prese in considerazione; nelle successive tabelle (tab. 1 e 2) troviamo i coefficienti R2 che,
come noto, sono una misura dell’adattamento del modello e misurano la proporzione di varianza totale di Y che può essere spiegata da X [Koop G., 2001, pp. 55]. Analizzandoli, vediamo che essi sono generalmente più alti se ci si riferisce alla misura di povertà basata sulla soglia dei 2$ al giorno. Ciò è spiegabile dal fatto che per questa misura di povertà le variazioni negli anni sono più
significative: la quota di coloro, invece, che sono al di sotto della soglia più bassa (1$ al giorno) rimane più o meno stabile nel tempo.
Tabella 1 – Coefficienti R2 tra crescita della produttività del lavoro e variazioni del tasso di povertà (1970 – 2004).
1$ a day poverty measure
Asia America latina Africa Paesi in via di sviluppo
0,197 0,328 0,582 0,596
2 $ a day poverty measure
Asia America latina Africa Paesi in via di sviluppo
0,481 0,479 0,794 0,726
Fonte: elaborazione su dati World Bank e Penn World
Tabella 2 – Coefficienti R2 tra i livelli di produttività del lavoro e l’incidenza di povertà – 2004.
1$ a day poverty measure
Asia America latina Africa Paesi in via di sviluppo
0,188 0,339 0,628 0,515
2 $ a day poverty measure
Asia America latina Africa Paesi in via di sviluppo
0,436 0,439 0,801 0,727
Fonte: elaborazione su dati World Bank e Penn World
Nella tabella 1 sono riportati i coefficienti dell’analisi svolta sugli indicatori di variazione: qui si rileva una relazione tra produttività e povertà nei Paesi in via di sviluppo presi nel complesso, più forte in Africa, più debole in America Latina e Asia. Nella tabella 2 sono riportati i coefficienti R2 tra le variabili di livello della
produttività e l’incidenza di povertà in un dato anno (l’anno più recente disponibile è il 2004): sembra esserci una certa relazione anche in questo caso, con un’accentuazione maggiore per il continente africano.
Da queste primissime evidenze, dunque, sembra lecito affermare che la produttività e la povertà siano legate in misura inversa nel senso che ad un aumento della produttività corrisponda una diminuzione della povertà. In verità, la relazione presenta una diversa intensità nei differenti Paesi: è più forte e significativa nelle aree geografiche più povere, in particolare nel continente africano.
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