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se non debba ricercarsi in ogni caso il soggetto economico del­ l'imposta, per frustrare le intestazioni di comodo di licenze commerciali

LA FRANCHIGIA NELLE IMPOSTE DIRETTE

I) persone fisiche; I enti collettivi:

3) se non debba ricercarsi in ogni caso il soggetto economico del­ l'imposta, per frustrare le intestazioni di comodo di licenze commerciali

ed il moltiplicarsi della franchigia a favore di uno stesso soggetto econo­ mico e se non sia a questo scopo necessaria una esplicita norma. 2

2. C arattere antitetico d ella fran c h ig ia e d ella discrim inazione dei red d iti in categorie. — Non è senza interesse rilevare la finalità anti­ tetica della concessione della franchigia, secondo il disposto dell’art. 13 della legge di perequazione tributaria, rispetto alla finalità della discri­ minazione dei redditi mobiliari secondo la fonte economica che li produce. Questo contrasto di finalità costituisce indubbiamente un carattere d’irra ­ zionalità della legge. Si esamini il quadro seguente, in cui le aliquote complessive d’imposta nominali sono calcolate in via approssimativa, data la differenza di aggi di riscossione e delle addizionali alle imposte

erariali da zona a zona. L’approssimazione però non sposta affatto e non inficia il ragionamento e le conclusioni. Si potrà rilevare che mentre per la discriminazione dei redditi in categorie il contribuente A'dovrebbe cor­ rispondere un’imposta maggiore di B e questi di C, per l ’intervento della franchigia l ’onere tributario in via assoluta è uguale per tutti e tre, sicché C è rimasto per questo intervento danneggiato rispetto a B e ad A e B rispetto ad A. Senza l ’intervento della franchigia, l ’aliquota media sarebbe stata per A il 25 % (6 % in più dell’aliquota effettiva), per B il 23,32 % (4,32 % in piti dell’aliquota effettiva), per C il 20,008% (1,008% in più dell’aliquota effettiva). Così il contribuente D dovrebbe corri­ spondere un’imposta maggiore del contribuente E e questi maggiore del contribuente P, ma per l ’intervento della franchigia il carico tributario si sposta in svantaggio degli ultimi due. Infatti, senza la franchigia, l ’ali­ quota inedia sarebbe stata per D il 21,50 % (4,32 % in più dell’aliquota effettiva), per E il 18,188 % (1,008 % in più dell’aliquota effettiva), per F il 14,60 % (1,008 % in più dell’aliquota effettiva). Così ancora il con­ tribuente Gf, sempre per l’intervento della franchigia vede ridotto il suo vantaggio rispetto ad A dal 7 % al 5,32%.

C o n trib u en te C at. B (2 5 % ) C at. C. 1 (18%) C at. C. 2 (4 .2 0 % ) T o ta le A liq u o ta effe ttiv a (con f r a n ­ c h ig ia ) A liq u o ta (sen za fr a n c h ig ia ) reddito netto 1.000.000 1.000.000 19% 25% A » imponibile 760.000 760.000 imposta 190.000 190.000 reddito netto 760.000 240.000 1.000.000 19% 23,32% B » imponibile 760.000 760.000 imposta 190.000 190.000 C » imponibile 760.000 240.000 1.000.000 19% 20,008% reddito netto 760.000 760.000 imposta 190.000 190.000 D » imponibile 500.000 500.000 1.000.000 17,18% 21,5% reddito netto 500.000 260.000 760.000 imposta 125.000 46.800 171.800 E » imponibile 500.000 260.000 240.000 1.000.000 17,18% 18,188% reddito netto 500.000 260.000 760.000 imposta 125.000 46.800 171.800 P » imponibile 500.000 500.000 1.000.000 13,592% 14.60% reddito netto 500.000 260.000 760.000 imposta 125.000 10.920 135.920 G » imponibile 1.000.000 1.000.000 13,68% 18% reddito netto 760.000 760.000 imposta 136.800 136.800

Se si vuole rimediare a questa irrazionalità della legge, derivante dall’antiteticità delle due citate disposizioni, e si vuole mantenere la discriminazione tra redditi di lavoro subordinato, redditi di lavoro indi- pendente e redditi misti di capitale e lavoro (con le varianti introdotte in

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questo campo), occorre accordare la franchigia o proporzionalmente ai diversi redditi mobiliari posseduti o invertendone l’ordine di detrazione; oppure differenziare la franchigia: più alta ai redditi di lavoro, più bassa ai redditi misti.

3. Modifiche che s i propongono a l sistem a della fran ch ig ia. — Il dilemma posto dianzi può essere risolto da un’unica soluzione diversa, quando si voglia mantenere l ’istituto della franchigia soltanto per l ’im­ posta complementare ed abbandonarlo per l ’imposta mobiliare, sosti­ tuendolo con la quota di reintegrazione delle energie lavorative.

La franchigia ha inteso sostituire l'esenzione del « reddito minimo » nell’imposta mobiliare e l ’esenzione del « minimo di esistenza » nell’im­ posta complementare. E poiché nella precedente legislazione un diverso livello di esenzione nelle due imposte costituiva, come avvertiva De V iti De Marco (2), una contraddizione di principio, era necessario che l ’isti­ tuto del reddito minimo fosse trasformato nel minimo di esistenza nella imposizione diretta e poi trasportato integralmente nell’imposta com­ plementare.

Abbiamo messo in evidenza l’effetto depressivo della franchigia sui redditi di lavoro nel tributo mobiliare. I sostenitori della discriminazione dei redditi di lavoro sostengono che un reddito di proprietà produce gene­ ralmente un maggior benessere economico di un ugual reddito di lavoro, perchè contro il benessere economico che deriva da quest’ultimo sta la disutilità, o costo soggettivo, del lavoro stesso. Ogni reddito di lavoro è un reddito che proviene da un consumo di attività umane. Il reddito di lavoro perciò dovrebbe essere colpito in misura più tenue di un ugual reddito di proprietà, se ogni contribuente deve fare un egual sacrificio di benessere economico e, a fortiori, se il sacrificio totale dei due dev’essere un minimum, (3).

Sono argomenti, a parer nostro, validi, che potrebbero agevolmente condurre al principio della reintegrazione delle energie lavo rative consi­ derate come spesa di produzione. Cosa sono infatti questa somma di sacrifici e questo spreco di energie — costo soggettivo — se non elementi di costo per la produzione del reddito del soggetto ? Si può considerare che il salario, o qualsiasi altro compenso al lavoro, non costituisce intera­ mente reddito netto, poiché una parte di esso, cioè quella parte considerata indispensabile a ricostituire le energie lavorative, che sole potranno fa r riprendere al lavoratore il suo ciclo produttivo, va detratta come costo di produzione. E’ reddito netto del lavoratore ciò che rimane della sua retribuzione, o meglio della controprestazione al suo lavoro, dopo che egli

ha pagato se stesso. Per produrre un reddito di lavoro si è spesa una somma di energie che va reintegrata prima di procedere alla ripartizione di ciò che rimane fra gli ulteriori bisogni del lavoratore come individuo e come facente parte della collettività organizzata. Non permettere al lavoratore di ricomporre le sue energie significa voler distruggere la sua 2 3

(2) De Viti de Marco, P r i n c i p i d i E c o n o m i a F in a n z ia r ia , ed. Einaudi, Torino, 1937, pagg. 288-289.

forza di lavoro, cioè uno dei fattori insostituibili della produzione. L’in-

comc-tax britannica opera una discriminazione in favore dei redditi di lavoro « principalmente perchè ogni reddito di lavoro è, in linguaggio contabile, un reddito proveniente da un w astin g {human) asset » (4). Non si può dare il proprio contributo alla società, se prima non si sono rein­ tegrate quelle energie di lavoro che dovranno essere reimpiegate nel processo produttivo.

La quota di reintegrazione da ammettersi in detrazione dovrà prefe­ ribilmente essere d eterm in ata con disposizione di legge e dovrà essere diversa da categoria a categoria di redditi mobiliari: massima per i redditi di lavoro subordinato, minima per i redditi misti e dovrà neces­

sariam ente tenere conto del tempo di lavoro. Potrà, per esempio, essere

commisurata in un tanto per ogni ora lavorativa o per ogni mensilità, per gli operai e gl’impiegati con prestazione d’opera subordinata; in un tanto per ogni giornata lavorativa negli a ltri casi. Se non si tenesse conto del fattore tempo si creerebbero zone di favore per i redditi stagionali od occasionali o comunque prodotti in breve lasso di tempo. Si noti che l’ammissione della quota di reintegrazione come spesa di produzione dei redditi di E. M. implica necessariamente che se ne tenga conto in ogni altra imposta che colpisce comunque redditi alla cui formazione parte­ cipa il lavoro umano. La diversità delle aliquote da categoria a categoria può essere mantenuta, ma in proporzioni più attenuate delle attuali, non tanto per attuare una ulteriore discriminazione fra le diverse categorie, quanto per compensare quella teorica (e spesso pratica) possibilità di eva­ sione da parte dei percettori di redditi misti e di redditi di lavoro indi- pendente. E’ evidente che in ta l caso verrebbe meno la ragione dell’elevata aliquota dei redditi di categoria A, che oggi fa sì che tali redditi com­ paiano di rado nei ruoli dell’imposta mobiliare e conseguentemente sfug­ gano pure a tutte le imposte subordinate. Si ritiene ancora che un tale sistema ridurrebbe fortemente il lamentato inconveniente delle intesta­ zioni di comodo delle licenze commerciali e industriali, poiché il vantaggio di questo frazionamento di reddito fra soggetti fittizi si ridurrebbe alla sola imposta complementare, per la quale rimane il pur utilissimo espe­ diente dell’accertamento induttivo che, se pur da adoperarsi in via ecce­ zionale e circondato di molte cautele, non dovrà essere abbandonato o messo fuori legge, se non si vuole consapevolmente venire in aiuto di quella classe di contribuenti sempre vigili a scoprire le vie dell’evasione. Beninteso che le aliquote della complementare non debbono avere una troppo ripida progressione, nè essere ad un certo livello confiscatrici del reddito, qualità che attualmente hanno le aliquote fissate dal D.P. 8 feb­

braio 1951, n. 51. li

La misura attuale della franchigia nell’imposta complementare è bassa. Certamente a determinarla influisce il tenore di vita medio della popolazione, ed in una popolazione come la nostra, povera nella mag­ gioranza, la franchigia deve mantenersi ad un livello piuttosto basso, costringendo anche le deboli spalle a caricarsi di parte dell’onere

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tario. Osserviamo però che ammettendo in detrazione dai redditi la quota di reintegrazione delle energie lavorative, il limite attuale della fran ­ chigia viene ad assumere automaticamente un maggior rilievo, nel senso che viene a rappresentare una frazione più cospicua del reddito comples­ sivo, e lascerebbe perciò indenni dal tributo personale contribuenti che oggi ne rimangono soggetti. Ciononostante riteniamo che il limite di L. 240.000 debba essere elevato per portare ad una più franca discus­ sione sui redditi eifettivi e per raddrizzare maggiormente la schiena dei piccoli reddituari, assegnando Analmente a ll’imposta complementare pro­ gressiva sul reddito quel preminente scopo extraAscale, che è nelle aspi­ razioni di tutti coloro che hanno veramente sete di giustizia sociale. L’imposta complementare deve essere in un certo senso l ’im posta dei ricchi. Per lasciare fuori dell’imposizione quelli che oggi sono i contribuenti marginali di detta imposta o comunque i minori contribuenti, occorre alzare di un punto le attuali aliquote, vieppiù premendo sui redditi più cospicui. Forse solo così si potrà parlare veramente di perequazione t r i­ butaria, di giustizia distributiva e di quante altre affermazioni di cui si è sempre pasciuta la retorica da comizi elettorali, ma che sono poi sempre rimaste vuote espressioni nella politica Ascale.

Che questa venga determinata dalla politica sociale che si vuol perse­ guire è un’affermazione apodittica. Ma che poi si persegua quella politica sociale e si attui quella politica Ascale necessaria per la conclamata poli­ tica sociale, non si può ugualmente affermare.

E’ necessario che l’onere tributario slitti decisamente dalle spalle meno robuste alle più robuste. Siamo lontani dal voler assumere un atteggiamento polemico che le nostre parole potrebbero fa r supporre. Non è però un luogo comune affermare che la sensazione generale che i signori del censo non compiono completamente il loro dovere non è errata. E’ costume nostrano (se non esclusivamente, prevalentemente nostrano) il triste fenomeno dell’imboscamento. Anche durante quelle tristi calamità che sono le guerre, gli alti papaveri si nascondono, lasciando allo scoperto l ’erbe di parto. Nel campo tributario il fenomeno dell’imboscamento è più diffuso che in guerra, non tanto perchè vi sia chi amerebbe rischiare la pelle piuttosto che il portafogli (talvolta capita anche questo), ma perchè il rischio è inAnitamente più piccolo ed il rapporto fra premio e posta è grande. Si è parlato durante i lavori della preriforma tributaria, e se ne parla ancora, di ristabilire la Aducia tra contribuenti e Asco. E’ questo senza dubbio un presupposto per la riuscita. Ma la sAducia non è tanto tra contribuenti e Asco, quanto tra contribuenti piccoli e medi e contribuenti grossi. Quelli sanno o credono di sapere che questi nascon­ dono molto dei loro redditi; sanno che come le Ale delle divisioni in guerra sono prevalentemente formate di poveri diavoli, così sono i poveri diavoli a dare il grosso delle contribuzioni; e, fattisi vigili per una dolorosa e secolare esperienza, unguibus et ro strib u s resistono per non farsi più oltre trascinare su questa strada. E’ nell’ordine naturale delle cose, nella stessa forma costitutiva della nostra società con Ani mutualistici e fon­ data su vincoli di razza, di cultura, di lingua, di tradizioni, di religione, di sentimenti, che il più idoneo dia la sua prestazione per il meno idoneo.

Quando in una società è possibile die gli uni diano la vita per gli altri, essendo stati chiamati alla bisogna perchè più idonei, deve pure essere possibile che alcuni — i più idonei — paghino per a ltri le spese sociali. E se si accetta l’esonero dal pagamento di coloro che non possono pagare perchè non hanno, si deve pure accettare l’esonero di coloro che non pos­ sono pagare perchè non hanno abbastanza.

Un innalzamento della franchigia, cioè l ’espressione in una cifra più alta del minimo di sussistenza, consentirebbe uno spostamento del carico tributario verso le maggiori fortune e, consentendo ai minori reddituari il soddisfacimento di bisogni che vanno oltre le strette necessità della vita animale, migliorerebbe lo stan d ard of life delle masse.

4. F in a lità d ell’im posta complementare. — Funzione precipua del­ l ’imposta complementare progressiva sul reddito è quella di colpire mediante la progressività delle aliquote i redditi maggiori più sensi­ bilmente dei redditi minori. Funzione seconda, ma non sussidiaria, dovrebbe essere quella di colpire i redditi evasi all’imposizione reale, per non lim itarsi ad essere un’addizionale alle imposte reali, delle quali aggraverebbe le eventuali (anzi, inevitabili) sperequazioni. Applicata com’è adesso non risolve il problema dell’evasione, perchè colpisce egual­ mente un reddito globale accertato analiticamente e che quindi ha scon­ tato nei suoi elementi le imposte reali, ed un reddito globale accertato induttivamente. Quindi non fa altro che sovrapporsi alle imposte preesi­ stenti, gravando maggiormente nel primo caso, in quanto viene a sottrarre alla libera disponibilità del reddituario un reddito di maggiore utilità. La funzione prima dell’imposta complementare dovrebbe essere quella di

in teg ra re le imposte reali. Una volta determinato, a norma delle dispo­ sizioni legislative, il reddito globale di un contribuente, questi dovrà con­ fessarne le fonti. Se il reddito è composto di elementi che hanno diritto all’esenzione o che abbiano già scontata l’imposta reale, il contribuente non ha nessun motivo per nasconderne le fonti; se invece il reddito è « evaso » all’imposizione reale o promana da fonti inconfessabili, è giusto che sostenga l ’onere dell’imposta : non soltanto dell’imposta complemen­ tare, a cui in ogni caso va soggetto, ma pure ad un’imposta integratrice, sostitutiva delle imposte reali a cui quel reddito è sfuggito. Stabilito il principio fondamentale che chi gode un reddito oltre una certa misura deve partecipare alla spesa pubblica e che la partecipazione avviene in ragione diretta del reddito goduto; stabilita per legge l ’entità del red­ dito goduto da uno stesso soggetto, non v ’è alcuna buona ragione perchè quel reddito debba andare esente dai tributi principali, sol perchè non si riescano a conoscere le fonti, e venga colpito semplicemente dall’irrisoria aliquota della complementare (la quale in questo caso non sarebbe — al­ meno apparentemente — complementare a nessuna imposta!).

Non crediamo (altrimenti non l’avremmo detto!) che tutto questo sia fuori della logica delle cose. E giacché siamo in zona di riforma tribu­ taria, sommessamente pensiamo che non debba essere scartato a priori, ricordando che talvolta

poca f a v illa gran fiamw, i seconda.

LE ASSOCIAZIONI IN PARTECIPAZIONE NELL'APPLICAZIONE