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I rifiuti e gli interessi dell’ecomafia

“Rimane totale in Campania il controllo da parte della camorra

del ciclo dei rifiuti attraverso la gestione di discariche abusive realizzate

in cave o in terreni e attraverso la raccolta dei rifiuti effettuata mediante

società di comodo che si aggiudicano gli appalti […]. La camorra ha un

interesse diretto ed immediato a provocare lo stato di tensione sulla

raccolta e sullo smaltimento dei rifiuti, traendo profitti enormi dalle

discariche da lei stessa controllate. La provincia di Caserta risulta il

territorio su cui è più concentrato l’interesse della camorra in questo

settore. Contemporaneamente viene confermata la prevista infiltrazione

nella realizzazione e nella gestione delle opere di bonifica dei siti

contaminati ad opera dei vari clan, tra cui quello dei Casalesi”.

Questo si legge in una delle relazioni annuali della Direzione

nazionale antimafia ed è, di conseguenza, facilmente intuibile quanto

l’illecito smaltimento dei rifiuti industriali costituisca il più pericoloso

campo di attività delle ecomafie, oltre che uno tra i business illegali più

redditizi

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.

In particolare, i rifiuti speciali, anziché esser trattati e gestiti

secondo le norme che ne assicurano lo smaltimento in regime di

110

In materia, inoltre, si ricorda che il termine ecomafia costituisce un neologismo coniato da Legambiente per indicare tutti quei settori della criminalità organizzata in cui il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l’abusivismo edilizio e le attività di escavazione costituiscono un

sicurezza ambientale e sanitaria, vengono nascosti, insabbiati o

“tombati” e, così, finiscono per avvelenare l’aria, inquinare le falde

acquifere e costituire un grave pericolo per la salute dei cittadini.

I reati in questo campo possono avvenire in ogni fase del ciclo

della gestione dei rifiuti e, del resto, un’impresa può tranquillamente

dichiarare il falso sulla quantità o tipologia di rifiuti da smaltire

111

.

Tra l’altro, può considerarsi come un dato ormai giudiziariamente

acquisito la circostanza che l’ingerenza delle mafie nello smaltimento dei

rifiuti si avvalga del sostegno delle Amministrazioni locali, le quali

assicurano alle ditte contigue ai clan gli appalti per la raccolta ed il

trattamento dei rifiuti, la cui esecuzione avviene, però, poi con modalità

illecite in modo da ottimizzare i guadagni proprio di quegli stessi clan

112

.

Ricostruendo la gestione dei rifiuti ad opera della criminalità

organizzata, secondo quanto riportato dal Rapporto di Legambiente del

2013

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, la camorra comincia a mettere le mani sulla gestione dei rifiuti,

prima quelli urbani del Centro-Nord Italia, come rivela il boss Nunzio

Perrella alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, poi quelli

pericolosi e speciali, che costituiscono la fetta più grande della torta. I

rifiuti speciali sono, infatti, la parte più consistente dei rifiuti prodotti

ogni anno in Italia, circa l’80%, ed anche quelli più costosi da smaltire,

fino a 600 euro a tonnellata per i più nocivi: ecco l’affare.

Proprio Perrella, del resto, nell’ormai lontano dicembre 1992,

durante la sua deposizione nel carcere di Vicenza, spiegava al

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Trattasi della classica truffa del cosiddetto giro bolla, con cui si falsifica la classificazione del rifiuto nei documenti di accompagnamento in modo da dirottare il carico o farlo sparire, piuttosto che affidarlo ad imprese che lavorano sottocosto e con metodi illeciti.

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In tal senso Comunicazione ministeriale – 05.01.2015, n. 78765 – G.U. 05.01.2015 n. 3

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Procuratore Franco Roberti di non occuparsi più di droga: “No, adesso

ho un altro affare. Rende di più e soprattutto si rischia molto meno. Si

chiama monnezza, dottò. Perché per noi la monnezza è oro”.

Fino ad oggi sono circa una ventina gli ex boss, oggi collaboratori

di giustizia, che hanno confermato quanto l’affare rifiuti fosse basato su

una rete ben consolidata di clan, imprenditori, politici e funzionari

pubblici, e che hanno soprattutto ammesso quanto fosse proficuo avviare

un business in tale settore.

Note ai più saranno sicuramente le dichiarazioni che Carmine

Schiavone, ex esponente di spicco del clan dei Casalesi, ha rilasciato

durante la sua audizione davanti alla Commissione parlamentare nel

1997: Schiavone ha scaricato con le sue mani, visto con i suoi occhi,

raccontato nei dettagli agli inquirenti il modus operandi, indicando anche

i luoghi esatti in cui erano stati scaricati e seppelliti i veleni provenienti

da tutta Italia ed anche dall’estero. Anche lui racconta di quanto l’illecito

smaltimento dei rifiuti fosse diventato “un affare autorizzato, che faceva

entrare soldi nelle casse dei clan. […] Gli abitanti del paese rischiano di

morire tutti di cancro entro venti anni; non credo, infatti, che si

salveranno”

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.

Purtroppo, secondo quanto riportato nel Rapporto di Legambiente

2014, sono ancora in aumento i reati riguardanti il ciclo dei rifiuti (si

tratta di un aumento pari al 14,3%), il cui 17% avviene proprio in

Campania.

Proprio in merito a tali reati ed alla conseguente gestione illecita

dei rifiuti, per quanto riguarda la Campania si può vedere finanche ad

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Audizione del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, verbale della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse (XIII Legislatura), seduta di martedì 7 ottobre 1997, pag. 12 (parte segreta: declassificato ex art. 18 del Regolamento dell’Archivio storico, su deliberazione dell’Ufficio di Presidenza n. 50 in data 31 ottobre 2013).

occhio nudo come i veleni siano stati scaricati senza alcuna precauzione

nei terreni agricoli, nelle cave, nei pozzetti d’acqua, nei corsi d’acqua e

nelle fabbriche abbandonate: ogni luogo è risultato idoneo, senza

scrupolo alcuno. Si pensi solo che si sono impastati rifiuti con il

cemento, con l’asfalto, con tutto ciò che potesse sembrare utile per

eliminare ogni traccia di quegli stessi rifiuti con cui sono state costruite

perfino strade

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.

In tutte queste aree, in cui tra l’altro sorgono diverse discariche

abusive, occorrerebbe un’operazione di bonifica dell’intero territorio che

potrebbe non essere comunque sufficiente, considerati i dati già esistenti

che inducono a ritenere la situazione ambientale particolarmente

compromessa.