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Il perché di una riforma delle banche di credito cooperativo

Come per le banche popolari anche per le BCC le ragioni sottese alla riforma sono riconducibili alla necessità di rendere più stabile, efficiente e competitivo il comparto.

Nel primo decennio degli anni 2000 secolo c’è stata, da parte delle BCC, una maggiore attenzione verso le imprese di maggiori dimensioni, rispetto alle quali l’erogazione è cresciuta a un ritmo del 16% annuo, contro un tasso medio di crescita del 9% per le imprese più piccole.

S’intravedeva in ciò una parziale evoluzione del ruolo delle BCC, la cui offerta in passato si era orientata quasi esclusivamente verso clienti di dimensioni contenute.

Nel periodo a cavallo tra il 2000 e il 2010 gli impieghi sono cresciuti a un tasso medio annuo del 13,1%.

38 L’andamento, però, rifletteva dinamiche diverse nel periodo antecedente e in quello successivo rispetto alla crisi finanziaria scoppiata nel 2007; infatti, mentre nel periodo 2000-2006 c’è stato un aumento dei prestiti di circa il 20 %, nel periodo 2007-2010 la crescita è stata solo del 9 %, per poi, addirittura, assumere un valore negativo nel giugno del 2012, con un -1 % su base annua20.

La crisi economico-finanziaria, ha esposto le banche di credito cooperativo a diverse difficoltà, come per esempio il deterioramento della qualità del credito, la flessione sul fronte della raccolta, la compressione dei margini reddituali, l’incremento della rischiosità dei prenditori, ponendo così la necessità di rafforzare gli assetti di governance e migliorare ulteriormente il risk management.

Nel periodo antecedente la crisi il Credito Cooperativo aveva vissuto una fase di crescita supportata costantemente dal circolo virtuoso che si era venuto a instaurare tra ampliamento dei volumi, crescita dei margini reddituali e rafforzamento del patrimonio. Tutto questo venne meno negli anni successivi, quando le BCC iniziarono a incontrare serie difficoltà nel generare reddito.

Il quadro rappresentativo del settore nel periodo antecedente alla riforma non era per nulla incoraggiante.

Nel 2015 le BCC erano 364 e per il volume totale di attività intermediate rappresentavano una componente rilevante del panorama bancario nazionale, anche se per certi versi sovradimensionato.

A settembre dello stesso anno le BCC contavano 4403 sportelli, pari al 14,6 % del totale nazionale, 37.000 dipendenti e una quota di mercato del 7,7 % della raccolta diretta, depositi e obbligazioni, e del 7,2 % degli impieghi. La dotazione patrimoniale misurata dal CET1 medio era del 16,2 % contro il 12,1 % medio delle altre banche italiane21.

20 AA.VV., Il credito cooperativo alla sfida di Basilea 3: tendenze, impatti, prospettive, Banca

d’Italia- Questioni di economia e finanza n. 158/aprile 2013, pagg.8 e segg.

39 Una situazione quasi analoga sussisteva l’anno precedente, il 2014, ma da un confronto intertemporale 2011-2014 emerge l’acuirsi di uno stato di crisi e sofferenza del comparto del credito cooperativo (fig.13).

Figura 13: Il credito cooperativo in Italia nel periodo antecedente la riforma.

Fonte: Corriere della Sera

Le conseguenze della crisi continuavano a farsi sentire anche nel 2015. Nel mese di dicembre di quell’anno gli impieghi si aggiravano intorno ai 134 miliardi di euro, inferiori di oltre il 2% rispetto ai valori di fine 2012. Nello stesso periodo, l’incremento dei crediti erogati alle famiglie consumatrici, solo in parte, era stato in grado di compensare la diminuzione registrata nel comparto delle imprese di media e grande dimensione.

Sul lato degli indicatori di qualità del credito si è evidenziato un progressivo e marcato peggioramento, infatti, a giugno 2015, i crediti deteriorati netti e le sofferenze nette avevano raggiunto, rispettivamente, il 12,9 % e il 5 % dei

40 finanziamenti, con una crescita rilevante rispetto ai dati di fine 2012, quando erano pari al 10,5 % e al 3,3 %22.

Al termine del III trimestre del 2015 le BCC- CR facevano registrare un’incidenza dei crediti deteriorati lordi sugli impieghi pari al 21%. Le inadempienze probabili pesavano sugli impieghi BCC in misura pari al 7,9%. Con specifico riguardo alla clientela “imprese”, il rapporto sofferenze lorde/impieghi a novembre 2015 era del 15,4%, in progressiva crescita rispetto all’anno precedente23. Con il passare degli anni, infatti, la situazione delle BCC-CR era andata verso un progressivo peggioramento.

Nel 2014 i crediti anomali sui prestiti erano pari al 10 %, contro il 10,4 % del 2011; le sofferenze erano del 9,1 % contro il 4,5 % del 2011.

Tale situazione era determinata non solo dal fattore congiunturale, che comunque aveva avuto un peso rilevante, ma anche dall’utilizzo di metodi di screening non sempre idonei a rilevare la rischiosità delle controparti, specialmente nel caso d’imprese diverse, per dimensioni o per caratteristiche merceologiche, da quelle tradizionalmente servite. Tali dinamiche si riflettevano sull’andamento degli aggregati reddituali e patrimoniali.

Per far fronte all’aumento del rischio, le BCC hanno fatto ingenti rettifiche di valore, proprio come le banche di dimensioni maggiori; in questo modo il tasso di copertura delle partite deteriorate è passato dal 26 % del 2012 al 30,2 % del 2013, al 36,5 % del 2014 fino al 38,7 % di fine giugno 2015; quello delle sole sofferenze ha subito un incremento di 9, 2%, passando dal 45 al 54,2 % tra il 2012 e il 2015.

Le rettifiche hanno avuto un impatto inevitabilmente negativo sugli equilibri reddituali, infatti, dal 2012 al 2016 hanno assorbito, in media, l’80 % del risultato di gestione.

22 Barbagallo C., La riforma del Credito Cooperativo nel quadro delle nuove regole europee e

dell’Unione bancaria, Fondazione Italianieuropei, Roma, 21 marzo 2016, pag. 3 e segg.

41 La situazione era ancora più preoccupante perché vi erano BCC che presentavano, contemporaneamente, coefficienti di capitale più bassi e tassi di copertura inferiori a quelli medi del sistema bancario nazionale. Il numero non era esiguo: stando ai dati riferiti a dicembre 2015, le BCC che versavano in tale condizione erano circa 50 e rappresentavano il 16 % dell’attivo della categoria. Data tale situazione, con molta probabilità, un numero non marginale di BCC non sarebbe stato in grado di alimentare il proprio patrimonio nella misura e con la rapidità richieste dall’Europa.

Purtroppo quelli erano gli anni in cui la principale fonte di patrimonializzazione delle BCC, cioè l’autofinanziamento, si era drasticamente ridotta ed era divenuta insufficiente al fabbisogno degli istituti di credito.

Tutto ciò, insieme al progressivo aumento del rischio di credito, esponeva il credito cooperativo a potenziali criticità.

Come le banche popolari, prima della riforma, anche le BCC, incentravano la propria operatività principalmente su un modello di servizio ancora tradizionale e risentivano enormemente dei ritardi nel processo di ammodernamento delle reti distributive. Ciò incideva negativamente sulla struttura dei costi, che risultava rigida e lasciava poco spazio all’efficienza operativa. In conseguenza di ciò, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2014, le spese amministrative sono cresciute a un tasso medio annuo dell’1 %, mentre il margine diminuiva, in media, del 6% l’anno. Allo stesso tempo aumentava, anche se in maniera contenuta, il numero delle risorse umane del settore e degli sportelli, dimostrando l’incapacità del settore di affrontare le esigenze di contenimento delle spese per il personale e di razionalizzazione e ridimensionamento delle reti distributive.

L’altro nodo era rappresentato dallo sviluppo tecnologico e dalla crescente diffusione dei canali alternativi di distribuzione, che mettevano alla prova la sostenibilità del modello di business delle BCC.

La situazione evidenziata era tale da mettere a rischio la capacità competitiva del comparto.

42 Le BCC soffrivano anche dei vincoli giuridici derivanti dalla forma cooperativa che rappresentavano un ostacolo alla ricapitalizzazione delle stesse.

E’ da evidenziare, inoltre, che la governance delle BCC trae giovamento dalla prossimità al territorio se questa è intesa in modo sano e libero da finalità estranee a quelle proprie di un’impresa bancaria, perciò, a fronte del ruolo positivo svolto dalle BCC nei territori di insediamento, è necessario presidiare la correttezza della gestione rispetto a conflitti di interesse e condizionamenti locali che possono influenzare le decisioni di allocazione del credito e di investimento, mettendo a rischio la sana e prudente gestione.

Non sempre ciò è stato fatto. Le limitate dimensioni insieme allo stretto legame che si instaurava con il territorio di riferimento, in alcune banche, rappresentavano un limite alla buona gestione.

Stefano Gatti24 pone l’accento su come il forte radicamento territoriale talvolta sia stato una zavorra per le BCC, non permettendo loro di beneficiare degli effetti di diversificazione di portafoglio tipici delle banche operanti su scala nazionale.

In alcuni casi sono state le stesse BCC a decidere deliberatamente, nei periodi di stretta creditizia, di entrare su classi di clientela rifiutate dalle banche concorrenti.

La crisi ha prodotto effetti diversi all’interno del sistema creditizio in funzione di diversi fattori, tra i quali le caratteristiche strutturali delle cooperative in termini di dimensione, localizzazione geografica e settore di attività economica.

Le BCC operano principalmente nei confronti delle piccole e medie imprese; quest’ultime, nel panorama economico, sono quelle che hanno risentito maggiormente della crisi e purtroppo tra banche e imprese si è innescato un pericoloso circolo vizioso che ha messo in ginocchio entrambi i settori.

Carmelo Barbagallo, responsabile della Vigilanza di Bankitalia, già allora intravedeva nella scarsa patrimonializzazione, nella limitata propensione

24 Gatti S., Op. cit.

43 all’innovazione, oltre che nello stretto legame che le BCC instauravano con il territorio e che rappresentava un punto di forza e allo stesso tempo un limite, perché origine di conflitti d’interesse e rischio solidità, un elevato fattore di rischio per la stabilità del settore.

In quegli anni le BCC, spesso, erano dotate di consigli di amministrazione poco preparati per affrontare una situazione di mercato molto più complessa rispetto al passato, con conflitti d’interessi nell’ambito della gestione delle pratiche di credito e assetti di controllo spesso poco idonei a valutare e apprezzare i livelli di rischio cui il credito cooperativo era sottoposto.

Secondo un’analisi condotta sul credito cooperativo, nel periodo antecedente la riforma, erano circa 50 le banche in difficoltà e potenzialmente sottoposte a “tensioni” causate dalla limitata patrimonializzazione e dalle debolezze e criticità di un sistema reso ancora più fragile dalla crisi finanziaria. All’interno di questo paniere di 50 BCC erano 37 le banche con crediti deteriorati in portafoglio superiori al 20% (fig.14).

Figura 14: Elenco delle BCC più fragili

Fonte: Ilsole24ore

Per quanto fin qui esposto, si comprende che la recente crisi finanziaria aveva messo in evidenza le criticità del credito cooperativo, in particolare era emersa la difficoltà delle BCC di reperire capitali, a causa della presenza dei vincoli del voto capitario e dei limiti al possesso azionario.

44 Ciò risultava tanto più preoccupante in considerazione del fatto che, se pur in presenza di una dotazione patrimoniale di buona qualità e in media più elevata rispetto ai futuri minimi regolamentari, negli anni antecedenti alla riforma si era registrata una persistente diminuzione della redditività, congiuntamente all’aumento della rischiosità degli impieghi.

D’altro lato si rendeva sempre più evidente la necessità di una più efficiente allocazione della liquidità presente nel sistema25.

La riforma si pose come obiettivo quello di creare le condizioni affinché le debolezze degli assetti di governance delle BCC fossero superate nell’ambito di più ampie strutture di gruppo, poichè, una capogruppo, adeguatamente capitalizzata e capace di accedere al mercato dei capitali, avrebbe potuto provvedere al sostegno finanziario delle BCC con strumenti patrimoniali ad hoc26.

Come sottolineato da Sabatelli in “La riforma del credito cooperativo”,

<<la riforma è stata evidentemente determinata dall’intento di rimediare in qualche modo alla grave situazione di impasse nella quale, proprio a causa della crisi finanziaria, sono incorse numerose banche di credito cooperativo le quali, in ragione del loro agire come banche del territorio, si sono trovate esposte più di altri soggetti appartenenti al settore del credito alle intemperie di una fase recessiva che ha colpito soprattutto le piccole e medie imprese, naturali destinatarie dell’attività posta in essere dalle banche di credito cooperativo. A ciò si aggiunga l’esigenza di tenere conto dei significativi cambiamenti normativi che le autorità di vertice europee hanno ritenuto opportuno introdurre al fine di perseguire l’obiettivo di più congrui equilibri sistemici, quali appaiono ipotizzabili attraverso la ridefinizione delle regole di governance bancaria e mediante la riproposizione nei confronti degli enti creditizi di più adeguati meccanismi di risanamento e risoluzione aziendale27>>.

25 AA.VV., Op.cit.

26 Barbagallo C., Op. cit.

27Sabatelli I., La riforma delle banche di credito cooperativo, Cacucci Editore, Bari, 2017, pag.

45 In sintesi gli obiettivi da perseguire con la riforma erano tre:

1. migliorare la governance complessiva del sistema del credito

cooperativo;

2. allocare in modo più efficiente le risorse patrimoniali già presenti

all’interno del sistema;

3. aprirlo ai capitali esterni.

Le BCC, nonostante la loro natura e la loro vocazione, avevano bisogno di aprirsi a capitali esterni e di diventare sempre più concorrenziali e affinché ciò potesse accadere era necessario un riassetto più incisivo, che consentisse di conseguire al più presto l’ammodernamento della gestione, il rafforzamento strutturale della redditività e desse la capacità, quando necessario, di reperire risorse patrimoniali, anche consistenti, in tempi brevi28.

Necessitava una riforma capace di dare un reale contributo alla ripresa dell’economia del nostro Paese, fornendo alle BCC gli strumenti necessari per rafforzarsi e affrontare in modo adeguato l’elevata concorrenza e le nuove sfide che derivano dall’Unione Bancaria, preservando contemporaneamente le specificità mutualistiche del Credito Cooperativo a beneficio dei territori di riferimento.

L’esempio da seguire poteva essere quello dei modelli cooperativi europei, accomunati da un livello d’integrazione notevolmente elevato, il che non altera le connotazioni mutualistiche delle cooperative, anzi, rafforzando la coesione e la capacità di patrimonializzazione delle aderenti, previene situazioni di vulnerabilità individuale e consente al sistema bancario cooperativo di assolvere la propria funzione senza essere assorbito dal settore delle banche costituite in forma di società di capitali: quindi, anche in Italia la strada da praticare era quella nell’aggregazione.

28 Puglia C., Basilea 3 e percorsi aggregativi per le banche di minori dimensioni, Università degli

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