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PROCESSI DI AGGREGAZIONE DELLE BCC: IL CASO DELLA BCC AGRIGENTINO

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

CORSO DI LAUREA IN BANCA, FINANZA AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI

Tesi di Laurea

PROCESSI DI AGGREGAZIONE DELLE BCC:

IL CASO DELLA BCC AGRIGENTINO

Candidato:

Relatore:

Giuseppe Palermo

Prof.ssa Elena Bruno

(2)

1

Indice

Indice p. 1

Indice delle figure p. 3

Indice delle tabelle p. 5

Introduzione p. 7

Capitolo I: Il ruolo delle Banche di Credito Cooperativo nel sistema bancario nazionale. Caratteri evolutivi

p. 9

1.1 Le diverse tipologie di banche: analogie e differenze p. 9

1.2 La crisi del sistema bancario p. 14

1.3 L’evoluzione del credito cooperativo p. 20

Capitolo II: Il processo di riforma delle BCC in Italia p. 27

2.1 La riforma nel settore bancario p. 27

2.2 Il perché di una riforma delle banche di credito cooperativo

p. 37

2.3 La riforma delle BCC nel quadro normativo europeo p. 46

2.4 Il testo normativo p. 51

2.5 Il panorama del credito cooperativo dopo la riforma p. 58

Capitolo III: Il caso della BCC Agrigentino p. 65

3.1 La storia p. 65

3.2 I risultati di 10 anni di attività bancaria p. 70

3.2.1 La BCC Agrigentino nel territorio p. 72

3.2.2 La gestione della nel corso di una difficile congiuntura economica

(3)

2 3.2.3 La gestione del rischio e il quadro delle sofferenze p. 88

3.3 La BCC Agrigentino dopo la riforma p. 99

Conclusioni p. 105 Bibliografia p. 107 Sitografia p. 111

(4)

3

Indice delle figure

Fig. 1 Numero degli sportelli per gruppo istituzionale di banche

(dati al 31 dicembre 2016)

p. 10

Fig. 2 Tassi di crescita dei prestiti bancari alle famiglie p. 17

Fig. 3 Tassi di crescita dei prestiti bancari alle società non finanziarie

p. 18

Fig. 4 CET1 ratio 2014 (%) p. 19

Fig. 5 NPL ratio lordo e coverage ratio 2014 8 (%) p. 20

Fig. 6 Le BCC in Sicilia p. 25

Fig. 7 Sofferenze del sistema bancario italiano (Periodo 2012-2014)

p. 29

Fig. 8 Sofferenze del sistema bancario italiano p. 35

Fig. 9 Posizioni debitorie (in miliardi di euro) p. 36

Fig. 10 Rapporto tra sofferenze nette e garanzie (in miliardi di euro)

p. 36

Fig. 11 Crediti deteriorati e sofferenze p. 36

Fig. 12 Attrattività del sistema bancario p. 37

Fig. 13 Il credito cooperativo in Italia nel periodo antecedente la riforma

p. 39

Fig. 14 Elenco delle BCC più fragili p. 43

Fig. 15 Basilea II e Basilea III: i coefficienti p. 50

Fig. 16 Dimensione delle Capogruppo Iccrea & Cassa Centrale Banca

p. 64

Fig. 17 Territorio di competenza della BCC Agrigentino p. 69

Fig. 18 Numero medio dipendenti e sportelli. Periodo 2008- 2016

(5)

4 Fig. 19 Composizione degli impieghi verso la clientela

ordinaria. Periodo 2015-2016

p. 77

Fig. 20 Composizione portafoglio impieghi e quote di mercato p. 78

Fig. 21 Indici. Periodo 2012-2016 p. 79

Fig. 22 I risultati della gestione. Anni 2008-2009 p. 80

Fig. 23 Risultato d’esercizio. Periodo 2008-2016 p. 81

Fig. 24 Spese per il personale p. 81

Fig. 25 Costi operativi p. 82

Fig. 26 Conto economico p. 83

Fig. 27 Margine di interesse. Periodo 200-2016 p. 84

Fig. 28 Margine di interesse. Periodo 2013-2014 p. 84

Fig. 29 Margine di interesse. Periodo 2015-2016 p. 85

Fig. 30 Margine di intermediazione. Periodo 2008-2016 p. 85

Fig. 31 Impieghi con la clientela. Anno 2016 p. 86

Fig. 32 Raccolta totale clientela. Anno 2016 p. 86

Fig. 33 Composizione raccolta diretta. Anno 2016 p. 87

Fig. 34 Capitale interno complessivo. Anno 2008 p. 90

Fig. 35 Sofferenze nette. Periodo 2008- 2016 p. 94

Fig. 36 Indici patrimoniali. Anno 2015 p. 97

Fig. 37 Indici patrimoniali. Anno 2016 p. 98

(6)

5

Indice delle tabelle

Tab. 1 Organico BCC Agrigentino. Periodo 2008- 2016 p. 71

Tab. 2 Risultati d’esercizio. Periodo 2008-2015 p. 80

Tab. 3 Situazione dei crediti verso la clientela. Periodo 2015-2016

p. 95

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(8)

7

Introduzione

Le banche svolgono un ruolo molto importante per il sostegno e la crescita economica di un territorio. La loro funzione principale è quella di intermediare il risparmio per consentire un’efficiente allocazione del capitale, così da accrescere la produttività e il benessere di un Paese.

Tale ruolo è ancora più evidente per le BCC che fanno del miglioramento delle condizioni sociali, morali ed economiche di un territorio la propria mission. La loro caratteristica principale è quella di essere società cooperative per azioni, mutualistiche e locali la cui funzione principale è di rispondere alle necessità economiche e sociali delle comunità locali.

Sono strettamente legate al territorio nel quale operano e vicine alle ragioni delle famiglie, delle piccole e medie imprese, degli artigiani, degli agricoltori, dei commercianti, dei giovani. Sono banche “differenti” perché operano a livello locale e lì reinvestono il capitale raccolto. Nascono per dar credito all’economia reale, quella che produce occupazione e reddito, e non per le grandi speculazioni finanziarie.

Il loro contributo è stato fondamentale anche nei periodi di crisi, quando, il credito cooperativo ha rappresentato un fattore di stabilità garantendo continuità nell’erogazione di prestiti alle piccole e medie imprese.

Di recente il settore è stato coinvolto nel processo di riforma che ha interessato l’intero sistema bancario con l’obiettivo di garantire maggiore stabilità al settore.

Lo scopo di questa tesi di laurea è quello di analizzare il ruolo del credito cooperativo ed individuare le motivazioni che hanno condotto alla riforma del settore per tentare di cogliere le potenzialità e le opportunità offerte dalla legge n. 49 dell’8 Aprile 2016.

Il lavoro si compone di tre capitoli. Nel primo viene analizzato il credito cooperativo dall’origine ai giorni nostri, individuandone il ruolo specifico all’interno del sistema bancario. Nel secondo capitolo si discute sul processo di

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8 riforma delle BCC in Italia. Il terzo capitolo ha natura squisitamente empirica presentando il caso della BCC Agrigentino.

Dopo aver ripercorso la storia della Banca, vengono analizzate le molteplici iniziative poste in essere dalla banca a favore della clientela del territorio, nonché la sua performance nei dieci anni di attività, per poi concludere con un’indagine sulle prospettive post riforma.

La decisione di incentrare il mio studio sul caso della BCC Agrigentino è riconducibile ad una riflessione personale sul ruolo strategico del credito cooperativo nell’affrontare le sfide di una regione geografica cronicamente depressa e nel contribuire alla sua crescita.

L’analisi è stata preceduta dalla raccolta dei dati concernenti la BCC Agrigentino. Oltre alle informazioni consultabili sul sito internet, sono state prese in considerazione le notizie e i dati rilevati tramite le interviste fatte al presidente ad alcuni esponenti del Consiglio di Amministrazione.

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9

Capitolo I

Il ruolo delle Banche di Credito Cooperativo nel sistema bancario nazionale Caratteri evolutivi

1.1 Le diverse tipologie di banche: analogie e differenze

In Italia l’attività bancaria è riservata alle banche. A norma dell’art.10 del TUB essa si attua mediante la raccolta di denaro e l’esercizio del credito.

Le banche svolgono un’importante funzione economica poiché spostano le risorse finanziarie dai soggetti in surplus a quelli che invece ne difettano e si pongono come controparte di ciascuno di essi.

Il sistema bancario italiano ha subito notevoli cambiamenti già dal 1990, quando è stato avviato il processo di privatizzazione.

Nel 1993 il d.lgs. n. 385, meglio conosciuto come Testo Unico dell’attività Bancaria e Creditizia, pose fine al carattere pluralistico del sistema bancario italiano, fino ad allora contraddistinto dalla presenza di un numero elevato di tipologie diverse di banche.

A seguito di tale riforma, oggi, le banche possono costituirsi solamente nella forma di società per azioni o società cooperativa per azioni a responsabilità limitata1. Le banche cooperative possono svolgere l’attività bancaria nella forma di banca popolare o banca di credito cooperativo.

Al 31 dicembre 2016 le banche Spa possedevano più di 20.500 sportelli operativi, pari al 70 % del totale nazionale, mentre le banche di credito cooperativo e le banche popolari erano pari, rispettivamente, al 15% e al 14 %2 (fig.1).

1

AA.VV., Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, Giuffrè, 2012, pag. 144.

2

(11)

10 Figura 1: Numero degli sportelli per gruppo istituzionale di banche

(dati al 31 dicembre 2016)

Fonte: Banca d’Italia

Il lungo processo di evoluzione e di sostanziale cambiamento del sistema bancario è la conseguenza di molteplici trasformazioni che hanno interessato i Paesi più industrializzati e non solo il nostro. La forma di società per azioni è riconducibile al modello adottato negli altri Paesi della Comunità Europea, mentre, la forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata è rintracciabile nella tradizione del sistema bancario italiano.

Ciò che caratterizza le banche cooperative è l’obbligo di suddividere il capitale in quote e di adottare un regime di responsabilità limitata.

La normativa specifica riguardante le banche cooperative è contenuta nel Capo V del Testo Unico Bancario.

Il 2° comma dell’articolo 28 del TUB sancisce che a tali tipologie di banche non si debbono applicare i controlli tipici delle società cooperative attribuiti all’autorità governativa dal codice civile; quindi, diversamente rispetto alle

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11 normali società cooperative per le quali è prevista la vigilanza da parte del Ministro del Lavoro, per le banche cooperative la vigilanza compete esclusivamente alla Banca d’Italia: si evita in questo modo che la banca venga sottoposta ad una doppia vigilanza che potrebbe causare problemi in termini di compatibilità delle norme.

Esiste una netta differenza tra gli istituti di credito costituiti nella forma di società per azioni, le banche popolari e le banche di credito cooperativo.

La mission di una banca popolare può essere sintetizzata in quattro punti: relazioni solide e durevoli con la clientela; elevata propensione al sostegno delle PMI; attenzione costante ai bisogni di servizi finanziari delle famiglie; profondo impegno sociale per le comunità locali3.

Nel concreto, quindi, l’attività principale delle banche popolari consiste nell’incentivare lo sviluppo del territorio, creando valore stabile e sostenibile nel tempo per i soci, per gli azionisti e per i territori di riferimento attraverso l’adozione di un modello di business idoneo a creare e mantenere solidi rapporti con le famiglie e le piccole e medie imprese.

Nelle banche popolari ciascun socio ha diritto a un voto, qualunque sia la partecipazione posseduta, diversamente da quanto avviene per le banche costituite nella forma di Spa dove il potere decisionale è proporzionato alla quota di azioni possedute.

Al contempo, però, per le banche popolari, esiste un limite preciso in termini di partecipazione al capitale societario: ogni socio, ad eccezione degli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari, non può detenere una partecipazione superiore all’1% del capitale della banca, anche se lo statuto può prevedere limiti più contenuti ma in ogni caso non inferiori allo 0,5%; qualora tale limite venga superato le azioni in eccedenza dovranno essere vendute entro un anno e se ciò non avviene tutti i diritti inerenti alle azioni in eccesso verranno ceduti alla banca. Ogni azione non può avere un valore nominale minore di due

3

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12 euro, mentre, per le banche di credito cooperativo il valore nominale di ciascun’azione non può essere inferiore a 25 euro né superiore a 500 euro.

Le banche popolari sono obbligate per legge a destinare almeno il 10% degli utili netti annuali a riserva legale e la quota di utili non assegnata a riserva legale, ad altre riserve, ad altre destinazioni previste dallo statuto o non distribuita ai soci, è destinata a beneficienza o assistenza.

A differenza delle banche costituite nella forma di Spa, le banche popolari hanno uno scopo dal carattere sostanzialmente mutualistico, ma su questo punto si differenziano dalle banche di credito cooperativo per l’aspetto della mutualità non prevalente.

A norma dell’art. 35 TUB le banche di credito cooperativo esercitano il credito prevalentemente a favore dei soci. E’ espressamente sancito nello statuto di ogni BCC che “La Banca … ha lo scopo di favorire i soci e gli appartenenti alle

comunità locali nelle operazioni e nei servizi di banca, perseguendo il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche degli stessi e promuovendo lo sviluppo della cooperazione e l'educazione al risparmio e alla previdenza nonché la coesione sociale e la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera. La Società si distingue per il proprio orientamento sociale e per la scelta di costruire il bene comune”4. Queste parole sintetizzano perfettamente la mission di tutte le BCC la cui caratteristica principale è quella di

essere società cooperative per azioni, mutualistiche e locali. Le Banche di Credito Cooperativo si configurano pertanto come società cooperative senza finalità di lucro, dove si vive la rara esperienza della democrazia economica in una logica d’imprenditorialità. Nascono con lo scopo di favorire la partecipazione alla vita economica e sociale. Mutualità, localismo, solidarietà, appartenenza a un “sistema” sono gli elementi che differenziano le Banche di Credito Cooperativo all’interno del panorama bancario italiano.

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13 Nelle BCC, come nelle banche popolari, vige il principio “una testa, un voto” a prescindere dall'entità della partecipazione posseduta, che comunque non può essere superiore, per valore nominale, a 100 mila euro. Tale limite ha l’obiettivo di impedire che una disparità tra soci possa tradursi in un ostacolo al raggiungimento degli scopi mutualistici.

Le banche popolari e le BCC, presentano talune analogie e allo stesso tempo tratti profondamente diversi.

A seguito di una lunga evoluzione storica, le popolari hanno conservato, della cooperativa, la forma giuridica e la struttura proprietaria basata sul voto capitario, ma si sono progressivamente allontanate dall’originaria connotazione mutualistica. Il loro processo evolutivo è sfociato nella riforma del gennaio 2015, che ha preso atto della configurazione assunta da queste banche e ha previsto, per quelle di maggiori dimensioni, la trasformazione in società per azioni. L’Investment compact, un decreto sulla competitività del Paese approvato dal Consiglio dei Ministri nel gennaio del 2015, ha, infatti, previsto il riassetto in Spa delle banche popolari con attivi superiori a 8 miliardi di euro.

Le BCC, invece, sono vere e proprie cooperative con finalità mutualistiche e di servizio a favore dei soci, profondamente radicate nei territori d’insediamento; la trasformazione in banca popolare o in banca Spa è loro consentita solo in casi eccezionali, su autorizzazione della Banca d’Italia nell’interesse dei creditori e per ragioni di stabilità.

Nel confronto con il settore cooperativo non bancario, la mutualità delle BCC è perfino più accentuata, contrassegnata com’è dall’obbligo di operare prevalentemente con i soci e nel territorio di competenza.

L'impegno del credito cooperativo si concentra, in via principale, nel soddisfare i bisogni finanziari dei soci e dei clienti, ricercando il miglioramento continuo della qualità e della convenienza dei prodotti e dei servizi offerti. Solo qualora sussistano motivi di stabilità, la Banca d’Italia può autorizzare la banca di credito cooperativo, in via transitoria, a esercitare la propria attività in via prevalente nei confronti dei non soci.

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14 Le BCC, come le banche Spa, hanno un capitale sociale costituito dalle azioni dei soci; però, diversamente dalle prime, non si pongono come obiettivo quello di distribuire dividendi ai soci, ma piuttosto quello di offrire loro il proprio prodotto o il proprio servizio a condizioni vantaggiose, perseguendo, in tal modo, contestualmente, obiettivi economici, per effetto della loro attività imprenditoriale, e obiettivi sociali5.

Per ciò che concerne gli utili, l’art. 37 del TUB stabilisce che le banche di credito cooperativo devono destinare almeno il 70% degli utili netti annuali a riserva legale. Una quota degli utili netti annuali deve essere corrisposta ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione nella misura e con le modalità previste dalla legge e la quota di utili non assegnata secondo le modalità appena descritte e non utilizzata per la rivalutazione delle azioni, né assegnata ad altre riserve o distribuita ai soci deve essere destinata a fini di beneficenza o mutualità.

Per finire va ricordato che lo statuto delle BCC deve contenere le norme concernenti le attività, le operazioni di impiego e di raccolta e la competenza territoriale, determinate sulla base dei criteri fissati dalla Banca d’Italia, il che consente all’Organismo di Vigilanza di esercitare sulle Banche di Credito Cooperativo un controllo molto più stretto rispetto a quello previsto per le Spa o per le banche popolari.

1.2 La crisi del sistema bancario

Negli ultimi anni il contesto in cui operano le banche è radicalmente mutato a seguito delle diverse sfide legate ai problemi di governance latenti e alla crisi economico - finanziaria che il settore bancario ha dovuto fronteggiare. A queste sfide non è rimasto estraneo nemmeno il credito cooperativo.

5

AA.VV., Cooperazione, mutualità e localismo nell’economia delle Banche di Credito

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15 Fu dal periodo che intercorre tra i primi anni Novanta e il 2007 che il sistema bancario italiano subì un ampio e profondo processo di trasformazione e modernizzazione che ne rivoluzionò la natura giuridica, gli assetti proprietari, le strutture organizzative e i profili operativi.

In breve tempo le banche pubbliche furono privatizzate e nei primi anni Novanta il peso della proprietà pubblica, nel settore bancario, si ridusse notevolmente attestandosi a circa il 75%, per poi quasi azzerarsi nei primi mesi del 2007.

Parallelamente le banche furono coinvolte nel processo di concentrazione, il cui scopo principale fu quello di garantirne una maggiore capacità concorrenziale.

Fino a quel momento il sistema bancario nazionale godeva di uno stato di salute abbastanza soddisfacente, anche se mostrava una performance più modesta rispetto ai gruppi bancari internazionali. La qualità del credito erogato, misurata dal rapporto tra sofferenze ed esposizioni di bilancio, risultava apprezzabile.

Nel giugno del 2008 nel bilancio delle banche italiane gli impieghi rappresentavano mediamente il 65% dell’attivo, contro una media europea pari al 43%; i depositi si attestavano al 36% delle attività, contro una media europea del 33%; inoltre, esse presentavano una minore incidenza nei bilanci delle operazioni più esposte alla crisi finanziaria internazionale.

Nello stesso anno, però, la crisi dei mercati finanziari americani si propagò fino in Europa interessando prima le istituzioni finanziarie con una spiccata operatività nella finanza innovativa e poi i mercati della liquidità bancaria6.

Tale crisi influenzò profondamente gli assetti organizzativi e i modelli di operatività degli intermediari, alterando le relazioni banca-cliente.

Le banche, in ragione della repentina riduzione della liquidità, furono costrette a ridefinire il proprio profilo di rischio. Il problema “rischio liquidità”

6

Dell'Atti A. - Miglietta F., Il sistema bancario italiano tra efficienza e stabilità ai tempi della

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16 divenne sempre più persistente fino a indurre il comitato di Basilea a dettare nuove regole a garanzia della stabilità del sistema bancario.

Le nuove regole, comunemente conosciute come Basilea 3, introducevano nuovi standard internazionali per l’adeguatezza patrimoniale delle banche e nuovi vincoli di liquidità, imponendo alle banche particolari adempimenti idonei a contenere il rischio di liquidità mediante nuovi profili incidenti sul patrimonio di vigilanza7. L’obiettivo primario era di ridurre i rischi per le banche e per i clienti, cercando di limitare in maniera rilevante le operazioni volte esclusivamente a conseguire un profitto speculativo, rendendole così onerose da non essere più convenienti.

L’impatto della crisi sul sistema bancario italiano fu relativamente contenuto, per via della bassa esposizione degli istituti di credito italiani verso la finanza strutturata e del loro prevalente orientamento verso attività d’impiego e di raccolta al dettaglio. Il sistema bancario italiano, infatti, s’incentrava prevalentemente su un modello d’intermediazione orientato agli impieghi e alla raccolta al dettaglio e su un indebitamento contenuto del settore privato dell’economia. Era caratterizzato da norme abbastanza rigide in materia di vigilanza e da una supervisione molto severa da parte della Banca d’Italia.

Nonostante ciò, negli anni successivi, il progressivo deterioramento del quadro macroeconomico seguito dalla crisi dei subprime, i mutui con basso merito di credito, determinò, per la maggior parte degli intermediari italiani, un peggioramento delle condizioni di provvista e un incremento della difficoltà di conversione in attività liquide dei titoli in portafoglio, senza che il loro valore di mercato diminuisse.

La situazione continuò ad aggravarsi negli anni a seguire.

Ci furono pesanti ripercussioni sul settore reale per effetto di un sensibile inasprimento delle condizioni di finanziamento della produzione. La crisi del

7

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17 debito pubblico aggravò le difficoltà di raccolta a medio e lungo termine delle banche e, benché aiutate attraverso operazioni straordinarie della Banca Centrale Europea, solo parzialmente sono state in grado di evitare la riduzione del credito alle imprese e alle famiglie dovendo provvedere a migliorare la loro posizione netta di liquidità e a contenere il peggioramento dei loro indici di patrimonializzazione8.

La crisi finanziaria globale che investì il sistema bancario dal 2008 è stata la causa della profonda recessione che, a sua volta, ha determinato una drammatica caduta dei livelli di attività.

La concessione di mutui alle famiglie per l’acquisto della prima casa ha subito una decelerazione a partire dai primi mesi del 2007, mente i rimanenti finanziamenti alle famiglie, che includono il credito al consumo, hanno iniziato a rallentare nel 2008. Tale situazione è perdurata fino alla metà del 2009, in seguito si è registrata una ripresa che è stata bruscamente interrotta nel 2011 (fig. 2).

Figura 2: Tassi di crescita dei prestiti bancari alle famiglie

Fonte: Elaborazioni su dati Banca d'Italia.

8

Pezzuto A., Il sistema bancario italiano negli anni della crisi”, pubblicato sul n. 4/2014 di

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18 I finanziamenti alle imprese, invece, si sono sensibilmente ridotti dalla seconda metà del 2008; in seguito il rallentamento è stato particolarmente rapido, divenendo negativo nel 2009 e prossimo allo zero nel 2010. Successivamente, la debole ripresa degli impieghi nel corso del 2011 è stata vanificata dalla recessione del 2012, proseguita poi nel 2013 riportando nuovamente il tasso di variazione degli impieghi su valori negativi (Fig. 3).

Figura 3: Tassi di crescita dei prestiti bancari alle società non finanziarie

Fonte: Elaborazioni su dati Banca d'Italia

In questo quadro generale il sistema del credito cooperativo europeo è quello che è stato colpito dalla crisi in misura inferiore rispetto alle altre banche, registrando da un lato minori sofferenze e dall’altro maggiore raccolta presso la clientela.

Le BCC hanno conservato una buona qualità dei prestiti e una bassa prociclicità dell’offerta di credito, pur mantenendo un’assidua attenzione alle aspettative e alla relazione con la propria clientela e agli obiettivi di mutualità, riuscendo ad affermare il proprio ruolo di banca del territorio anche in un periodo di crisi9.

9

Bussoli C, Bcc nella crisi: governance delle banche locali ed effetti sulla performance e sulla

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19 Territorialità e vocazione mutualistica hanno rappresentato i punti di forza delle banche di credito che, anche se hanno fatto registrare performance finanziarie leggermente inferiori rispetto alle banche commerciali, hanno evidenziato una buona efficienza e ratios finanziari più stabili.

A fine 2005 le BCC detenevano complessivamente un patrimonio di vigilanza di circa 14,5 miliardi di euro, pari a più dell’8% dei mezzi propri del sistema bancario italiano, quasi per intero composto da elementi di qualità primaria. Il coefficiente di solvibilità era superiore al 16%, a fronte di un valore medio del sistema che si attestava intorno al 10,6%. Tale indice, però, risultava in continua flessione in relazione al rapido aumento dell’attività di rischio. Il bilancio delle BCC, infatti, se da un lato è più stabile, dall’altro è anche meno diversificato. Si evidenziava, inoltre, un’elevata incidenza degli oneri di struttura con un cost income ratio pari al 71,1% a fronte di un valore medio di sistema pari al 60,8%.

Nel 2014 il CET1 ratio di un campione di 301 BCC era del 16%: tale valore superava sia quello dei 5 maggiori gruppi bancari italiani, pari all’11,4%, sia quello di altri gruppi di dimensione media, pari al 10,6%, e piccola, pari al 10,5% (Fig. 4).

Figura 4: CET1 ratio 2014 (%)

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20 Si evidenziava però una situazione critica: nello stesso anno l’NPL ratio medio delle 301 BCC era inferiore rispetto a quello dei gruppi bancari nazionali, ma il livello di copertura delle posizioni deteriorate era notevolmente più basso con uno scarto di oltre 10 punti percentuali con gli operatori più grandi (fig. 5).

Lo smaltimento dei crediti non performing era, pertanto, un problema che richiedeva una risposta immediata10.

Figura 5: NPL ratio lordo e coverage ratio 2014 (%)

Fonte: Prometeia

1.3 L’evoluzione del credito cooperativo

Le prime BCC nascono tra la fine dell'800 e l’inizio del ‘900 sotto la guida del Magistero sociale della Chiesa cattolica, la quale ebbe un ruolo decisivo nello stimolare l’attività di agricoltori, piccoli coltivatori, artigiani e le fasce economiche più deboli nell’affrancarsi dalla miseria e dal diffuso fenomeno dell’usura.

Le casse nacquero sul modello sviluppato in Germania da Friedrich Wilhelm Raiffeisen, in assenza di una specifica regolamentazione legislativa e con la volontà di far sì che un numero sempre più crescente di persone avesse la

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21 possibilità di accedere al credito a condizioni migliori rispetto a quelle praticate dalle altre banche istituzionali, senza incorrere nel rischio di incappare nel fenomeno dell’usura allora diffuso.

Si trattava di un obiettivo ambizioso che richiedeva di coniugare attività d’impresa e solidarietà, attenzione alle persone e capacità di autofinanziamento11.

Il modello preso a riferimento, fondato sul localismo e su motivazioni etiche, era tipicamente d’ispirazione cristiana.

Già in quei primi anni, quelle che oggi noi conosciamo come BCC, allora Casse Cooperative di Prestiti, si distinguevano per il rapporto strettissimo che intrattenevano con il territorio, unendo la propria storia con quella della comunità locale, tanto da conquistarsi a pieno titolo l’appellativo di “banca locale”.

Furono emanate norme speciali che autorizzavano espressamente le “Casse” a esercitare il credito a favore del settore agricolo.

Lo stretto legame che, pertanto, si venne a instaurare con la comunità agricola fu sufficiente a giustificare la trasformazione della loro denominazione da “Cassa Cooperativa di prestiti” a “Cassa Rurale e Agraria”.

La prima Cassa Rurale italiana fu costituita nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova, per opera di Leone Wollemborg e dopo appena sette anni, nel 1890, il giovane sacerdote don Luigi Cerutti fondò a Gambarare, in provincia di Venezia, la prima Cassa Rurale Cattolica. Da quel momento il numero continuò a crescere, tanto che già nel 1897 si contavano ben 904 Casse Rurali.

Nel 1922 il loro numero aveva raggiunto le 3.540 unità; nonostante ciò, all’interno delle Casse risultava carente la disponibilità di capitali e di competenze tecniche, il che rendeva necessario un sostegno esterno.

Quasi contestualmente alla nascita delle prime casse rurali, perciò, nacque la prima federazione di categoria alla quale aderirono 51 casse.

11

Bernasconi F., Cartechini M.L., L'evoluzione del Credito Cooperativo italiano: norme e regole,

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22 Dopo questa prima fase di rapida crescita le cose cambiarono radicalmente per effetto degli indirizzi governativi favorevoli alle concentrazioni.

Durante il periodo fascista molte casse furono costrette a chiudere e fu necessario attendere il periodo repubblicano, affinché, per effetto dell’art. 45 della Costituzione, venisse riconosciuto il ruolo della cooperazione con finalità mutualistiche.

Nel 1932, con la legge n. 656, fu disciplinato per la prima volta l’“Ordinamento delle Casse Rurali e Agrarie” e nel 1937 con R.D. 1706 fu emanato il “Testo Unico delle Leggi sulle Casse Rurali e Artigiane”.

In entrambi i casi vennero posti dei limiti all’operatività delle casse, che in ogni caso non potevano compiere operazioni diverse rispetto a quelle specificatamente previste dai due atti normativi, salvo autorizzazione specifica dell’Autorità di Vigilanza.

Specifiche disposizioni disciplinavano la specializzazione settoriale, la territorialità e il mutualismo. In relazione alla specializzazione settoriale la denominazione doveva riflettere la specializzazione operativa, da qui il nome di “Cassa Rurale”, “Cassa Artigiana” o “Cassa Rurale e Artigiana”.

Almeno 4/5 dei soci dovevano appartenere alle categorie degli agricoltori e degli artigiani residenti e operanti in maniera continua sul territorio. Le casse rurali e artigiane, inoltre, potevano operare esclusivamente nel territorio del comune nel quale era ubicata la sede legale della banca.

Le operazioni d’impiego dovevano essere effettuate preferibilmente con i soci, quelle con i non soci non potevano essere superiori al 25% dei depositi fiduciari.

Nel 1950 fu costituita la Federazione Italiana delle Casse Rurali e Artigiane e nel 1963 fu fondato l’Iccrea, l’Istituto di Credito delle Casse Rurali e Artigiane, che aveva come obiettivo quello di “rendere più efficace e intensa l’opera delle

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23

mediante lo svolgimento di funzioni creditizie, di intermediazione tecnica ed assistenza finanziaria” (art. 2 statuto Iccrea)12.

A partire dagli anni ‘70 iniziò un periodo molto travagliato per il sistema bancario italiano che condusse all’emanazione, nel 1993, del Testo Unico Bancario che, tra le altre cose, sancì, in corrispondenza di un cambiamento nella denominazione - da Casse Rurali e Artigiane a Banche di Credito Cooperativo - il venir meno dei limiti di operatività: le BCC poterono offrire tutti i servizi e i prodotti delle altre banche e poterono estendere la compagine sociale a tutti coloro che operavano o risiedevano nel territorio di operatività, indipendentemente dalla professione che svolgevano.

Il nuovo atto normativo, se pur orientato a porre le BCC sul medesimo piano operativo rispetto alle altre banche, ne salvaguardava i caratteri distintivi: la territorialità e la mutualità.

Quest’ultimo aspetto fu ulteriormente tutelato in seno alla più recente riforma del diritto societario di cui il Dlgs 310/2004, in virtù del quale le Banche di Credito Cooperativo sono ricondotte alla categoria civilistica delle cooperative “a mutualità prevalente” e perciò tenute a introdurre nello statuto clausole mutualistiche13.

Negli ultimi dieci anni le banche di credito cooperativo hanno registrato registrare eccellenti risultati, sia sul piano della diffusione sul territorio sia dal punto di vista dell’attività operativa.

L’accresciuto livello concorrenziale ha determinato un processo di consolidamento di crescente intensità, in virtù del quale nella seconda metà degli anni ‘90 il numero delle BCC si è ridotto di circa un quinto in seguito a operazioni che hanno coinvolto aziende in difficoltà ovvero a iniziative aggregative finalizzate a conseguire economie di scale e a migliorare i livelli di efficienza.

12

http://www.creditocooperativo.it/template/default.asp?i_menuID=35350

13

(25)

24 L’8 marzo 2017 sul territorio italiano erano presenti 317 Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali con 4.311 sportelli, pari al 14,9% degli sportelli bancari italiani, e con 1.250.922 soci e circa 36.000 dipendenti.

Gli impieghi erogati dalle BCC italiane rappresentavano il 22,4% del totale dei crediti alle imprese artigiane, l’8,6% alle famiglie consumatrici, il 17,9% alle famiglie produttrici, l’8,5% alle società non finanziarie, il 13,5% del totale dei crediti alle Istituzioni senza scopo di lucro (Terzo Settore)14.

Da anni ormai la crescita operativa delle BCC ha determinato cambiamenti rilevanti nella loro struttura di bilancio, rendendolo più simile a quello delle altre banche; inoltre se è vero che le BCC sono state in grado di sostenere il confronto competitivo sul versante dell’operatività tradizionale, va anche detto che le stesse hanno evidenziato difficoltà rilevanti nel diversificare i ricavi provenienti da attività innovative.

Allo stesso tempo l’evoluzione operativa le ha esposte a rischi non tradizionali, di mercato e operativi, il che ha aperto nuove sfide per il futuro.

Nel periodo antecedente la riforma del credito cooperativo in Sicilia erano presenti 23 BCC con 173 sportelli in 133 Comuni, 28.417 soci e oltre 300mila clienti. Le 23 BCC facevano registrare un patrimonio di 681 milioni di euro, una raccolta di 4 miliardi e impieghi per 2,7 miliardi, con una copertura delle sofferenze pari a quasi il 50%. In esse si evidenziava il 63,2% di sofferenze, il 32,8% di incagli e il 6,9% di esposizioni scadute.

Il rapporto fra patrimonio e impieghi + sofferenze, cioè l’indice CET1, si aggirava intorno al 26,01%, quindi, risultava alquanto positivo (fig. 6)15.

14

http://www.creditocooperativo.it/template/default.asp?i_menuID=35340

15

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25 Figura 6: Le BCC in Sicilia

Fonte: http://www.castelloincantato.it

Il CET1, dato dal rapporto tra il capitale ordinario di un istituto e le sue attività ponderate per il rischio, che esprime la solidità di una banca, nel 2006 per il sistema nazionale delle BCC faceva registrare un valore intorno al 16,2% medio, mentre a livello regionale era in media del 12,1%.

Per ciò che concerne la composizione del credito erogato, il 40,52% riguardava le famiglie e il 56,81% le imprese, di cui 16,60% commerciali, 12,19% delle costruzioni e immobiliari e 9,32% manifatturiere. La raccolta era incentrata su conti correnti (38,62%) e depositi a risparmio (28,27%): il 76,36% provenienti da famiglie e il 13,42 da imprese.

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Capitolo II

Il processo di riforma delle BCC in Italia

2.1 La riforma nel settore bancario

Scosso dalla profonda crisi economico-finanziaria che negli ultimi anni ha travagliato l’economia mondiale, il sistema bancario italiano si è aperto verso un rapido processo evolutivo, idoneo a guidare l’Italia verso una nuova crescita economica.

La riforma del settore bancario ha preso le mosse dagli effetti destabilizzanti prodotti dalla grande crisi.

Riallacciandoci a quanto già esposto nel primo capitolo sulla crisi del settore bancario, è opportuno comprendere cosa sia successo e perché si è resa necessaria, in Italia, una ristrutturazione del sistema bancario.

Per troppo tempo il nostro Paese ha vissuto attanagliato in una situazione di stagnazione economica, le cui origini precedono la crisi finanziaria iniziata nel 2007. Se si analizza la situazione italiana, in un confronto internazionale, emerge che negli ultimi 20 anni il PIL è cresciuto meno sia rispetto agli Stati Uniti che rispetto ai Paesi dell’area dell’Euro.

Tale problema è diventato più preoccupante per le forti interrelazioni esistenti con il sistema creditizio. È ovvio, infatti, che una tale situazione non potesse che provocare diffuse insolvenze nell’economia reale con conseguenti difficoltà di recupero del credito concesso da parte delle banche, che continuavano a essere il soggetto dominante nel panorama degli offerenti fondi alle imprese non finanziarie.

Come spiega egregiamente Giuseppe Lusignani, vicepresidente di Prometeia, la riduzione drastica del PIL ha avuto due conseguenza principali: la

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28 riduzione della domanda di credito e l’aumento sproporzionato dei crediti in sofferenza16.

L’entità dei crediti in sofferenza presenti nei bilanci delle banche hanno creato in alcune di esse vere e proprie situazioni di emergenze e crisi, così com’è avvenuto, per esempio, per le banche venete e per il MPS.

In dieci anni di crisi le banche italiane hanno bruciato circa il 77% del valore in borsa. Le performance peggiori sono state quelle di Mps e Banca Carige. Le migliori, Credem, Intesa Sanpaolo e Mediobanca, unica, quest’ultima, tra le grandi ad aver superato la crisi senza l’intervento degli azionisti.

A essere travolte dalla crisi, però, non sono state solamente le banche quotate, ma anche quelle non quotate come la Banca Popolare di Vicenza, la Veneto Banca, la Banca Marche ed Etruria17.

Il Rapporto Mensile ABI del dicembre 2014 evidenziava che a causa del perdurare della crisi e dei suoi effetti, la rischiosità dei prestiti in Italia era notevolmente cresciuta. Il mese di ottobre del 2014 aveva fatto registrare sofferenze lorde pari a quasi 179,3 mld, contro i 176,9 mld di settembre (Fig. 7).

Allarmante risultava l’analisi del rapporto tra sofferenze lorde e impieghi pari a 9,5% ad ottobre, contro un valore pari a 7,7% un anno prima e 2,8% a fine

2007. Il rapporto in questione mostrava risultati differenti per piccoli operatori economici, imprese e famiglie consumatrici. Nel primo caso il rapporto tra sofferenze lorde e impieghi raggiungeva il 15,8%, contro il 13,4% di ottobre 2013 e il 7,1% di fine 2007; per le imprese era pari a 15,7%, contro il 12,3% dell’anno prima e il 3,6% di fine 2007, infine per le famiglie consumatrici si attestava sul 6,8%, contro il 6,3% di ottobre 2013 e il 2,9% di fine 2007. Purtroppo anche le sofferenze nette registrate a ottobre erano in aumento, passando dagli 81,2 miliardi di settembre agli 83 miliardi di ottobre. Era cresciuto anche il rapporto tra sofferenze nette e impieghi totali divenuto pari al 4,61% nel mese di ottobre, contro

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http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2017-04-18/banche-borsa-10-anni-crisi-perso-77%-valore-mercato-071006.shtml?uuid=AEitWd6

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29 il 4,49% di settembre 2014. L’anno precedente era pari a 3,98% a ottobre e 0,86%, prima dell’inizio della crisi.

Fig. 7: Sofferenze del sistema bancario italiano

Fonte: ABI

E’ da aggiungere che in quegli anni il sistema bancario italiano evidenziava delle debolezze insite nella propria struttura organizzativa e nel proprio modello operativo. Soffriva, infatti, di una ridotta profittabilità a causa della propria concentrazione, quasi esclusiva, sul modello tradizionale d’intermediazione creditizia, che risentiva negativamente della diminuzione dei tassi d’interesse causata da una politica monetaria troppo espansiva da parte della Bce, che mise in crisi il modello operativo tradizionale delle banche italiane incentrato

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30 principalmente sull’erogazione di credito. Le banche italiane, inoltre, evidenziavano una scarsa apertura verso la digitalizzazione e verso l’affermarsi di nuovi canali distributivi meno costosi, il che rendeva insostenibili le reti sovradimensionate in termini di numero di filiali e risorse umane: c’erano troppi banchieri ma si faceva poco credito.

Tutto ciò, unito al prolungato e ormai cronico perdurare della stagnazione economica, rendeva insostenibile lo status quo e necessaria una ristrutturazione del sistema bancario italiano.

Occorreva investire su interventi idonei a favorire una maggiore competizione e una maggiore efficienza e garantire la formazione di un sistema fatto da banche efficienti e patrimonialmente solide.

Il sistema bancario italiano doveva necessariamente cambiare, rafforzarsi e adeguarsi allo scenario europeo, per diventare idoneo a sostenere la crescita del Paese.

Su queste basi, a partire dal 2015, sono stati introdotti radicali cambiamenti nel settore bancario che possono essere sintetizzati in 5 punti:

1. la riforma delle banche popolari,

2. l’autoriforma delle Fondazioni bancarie;

3. la riforma delle banche di credito cooperativo (BCC);

4. l’introduzione del meccanismo di Garanzia sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze (GACS);

5. la velocizzazione dei tempi di recupero crediti18.

Il 25 marzo 2015 con l’approvazione del decreto banche inizia la stagione delle riforme nel settore bancario a partire dalla riforma delle banche popolari.

Le ragioni della riforma erano rintracciabili nella costatazione che il fenomeno del deterioramento dei crediti, dall’inizio della crisi, aveva avuto un impatto maggiore nel settore delle banche popolari dove i meccanismi di

18 Ministero dell’Economie e delle finanze, Evoluzione e riforme del settore bancario italiano,

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31 governance rendevano più lenta e faticosa la provvista di nuovi capitali per far fronte alla necessità di ricapitalizzazione.

L’intervento si era posto come obiettivo quello di permettere alle banche di reperire più facilmente risorse sul mercato dei capitali e, al tempo stesso, di favorire una maggiore trasparenza, la piena contendibilità degli assetti proprietari, il ricambio della compagine sociale e, perciò, della governance. Non per ultimo voleva creare le condizioni ideali affinché la liquidità disponibile si potesse trasformare in credito a famiglie e imprese e favorire l’erogazione di servizi migliori e prezzi più contenuti.

Al riguardo il punto più saliente era l’obbligo di trasformazione della banca popolare in SPA, qualora l’attivo superasse il valore di 8 miliardi di euro. Se l’istituto era capogruppo di un gruppo bancario, la soglia doveva essere determinata a livello consolidato.

Dal momento dello sforamento, la banca aveva 12 mesi di tempo per ridurre l’attivo o deliberare la trasformazione in SpA, pena le sanzioni imposte dalla Banca d’Italia.

Lo status di banca popolare continuava a sussistere solo per le banche con attivo inferiore a 8 miliardi di euro e solo in questi casi specifici era possibile applicare la disciplina speciale prevista per le banche popolari.

La distinzione delle banche popolari in due fasce, quelle con attivo superiore e quelle con attivo inferiore a 8 miliardi di euro, permetteva, quindi, di preservare il ruolo delle banche con vocazione territoriale e al tempo stesso di adeguare alle prassi ordinarie la governance degli istituti di credito popolari di maggiori dimensioni, che nella maggior parte dei casi erano già società quotate in borsa.

Con l’approvazione del decreto per la riforma delle banche popolari il governo ha previsto, per questa tipologia di banche, la disapplicazione dell’articolo 30 del Testo Unico Bancario, quindi il voto capitario e il limite dell’1% per il possesso del capitale da parte di un singolo socio delle popolari. In questa maniera si è voluto dare un forte stimolo al rinnovamento e alla concorrenza.

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32 Ciò ha significato che le banche con attivo superiore a 8 miliardi diventavano scalabili come tutte le altre società per azioni.

Dall’entrata in vigore del decreto, allorquando esistevano i presupposti, la banca popolare aveva 18 mesi di tempo per adeguarsi.

Le banche che, in quella prima fase, dovevano procedere alla conversione furono 10 e precisamente: UBI Banca, Banco Popolare, Banca Popolare dell'Emilia Romagna, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare Vicenza, Veneto Banca, Banca di Credito Valtellinese, Banca Popolare di Sondrio, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio e Banca Popolare di Bari.

La borsa ha accolto con favore la decisione; il 25 marzo, infatti, dopo l’avvio delle contrattazioni, la Bpm ha guadagnato l’1,41%, Bper l’1,18%, il Banco Popolare lo 0,83% e Ubi lo 0,42%. Poco mossi, invece, risultavano gli altri big non popolari del comparto bancario19.

Alla riforma delle banche popolari si accompagna la riforma delle BCC, disciplinata dal D.L. 14 febbraio 2016 n. 18 contenente “Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio”.

Con il protocollo d’intesa firmato il 22 aprile 2015 dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, e dal Presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, si dava il via all’autoriforma delle fondazioni di origine bancaria con l’obiettivo di porre fine al legame tra circuiti politici locali e gestione degli istituti, causa di una gestione non sempre corretta degli stessi.

Il punto saliente del protocollo riguardava l’obbligo di diversificazione degli investimenti, pertanto, una fondazione non poteva più concentrare una percentuale superiore al 33% dell’attivo patrimoniale in un singolo soggetto; inoltre, per le fondazioni di origine bancaria non era più previsto il ricorso a nessuna forma d’indebitamento, ad eccezione del caso in cui ci siano state

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33 temporanee e limitate esigenze di liquidità; non era più permesso, neanche, l’uso di derivati se non per finalità di copertura o in operazioni in cui non siano presenti rischi di perdite patrimoniali.

Il protocollo ha voluto garantire anche una maggiore trasparenza da parte delle fondazioni che si sono impegnate a pubblicare, sui rispettivi siti web i bilanci, le informazioni sugli appalti, i bandi per le erogazioni, le procedure attraverso le quali si possono avanzare richieste di sostegno finanziario e i criteri di selezione delle iniziative.

Le difficoltà delle banche, nel periodo delle crisi e in quello successivo, sono state aggravate dalla difficoltà delle stesse di recuperare i propri crediti.

Nel piano di riforma del settore bancario il legislatore ha voluto intervenire anche su questo punto, introducendo misure idonee a consentire alle banche il recupero dei propri crediti in tempi più veloci.

In tale conteso si inserisce il decreto legge 59/2016 “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione” convertito dal Parlamento nella legge 30 giugno 2016, n. 119, contenente importanti misure per semplificare gli adempimenti e snellire le procedure per il recupero dei crediti.

In primo luogo è stato introdotto il registro digitale dei pignoramenti e dei fallimenti e i decreti ingiuntivi sono diventati provvisoriamente esecutivi.

Altri interventi sono stati fatti in materia e tra quelli più importanti vi è la riduzione dei tempi di opposizioni del debitore agli atti dell’esecuzione forzata notificati dalla banca e le agevolazioni concesse sulle vendite immobiliari all’asta per il recupero dei crediti in sofferenza.

Per favorire lo smaltimento delle sofferenze bancarie il tesoro presterà agli operatori che ne fanno richiesta una garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, però, tale garanzia può essere concessa solamente sulle cartolarizzazioni più sicure, che sopportano per ultime le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti, dal momento che non sarà possibile procedere al

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34 rimborso delle tranche più rischiose se prima non vengono rimborsate per intero le tranche garantite dallo Stato.

Nel panorama degli interventi nel settore bancario rientra anche l’istituzione del Fondo di Investimento Alternativo (FIA), detto “Fondo Atlante” il cui obiettivo è di:

1. garantire il successo degli aumenti di capitale richiesti dall’Autorità di Vigilanza alle banche che si trovano a fronteggiare oggettive difficoltà di mercato, agendo così da back stop facility;

2. contribuire a far decollare il mercato delle sofferenze bancarie: il valore totale di sofferenze che potranno essere deconsolidate dai bilanci bancari sarà di gran lunga superiore a quelle acquistate dal Fondo, poichè Atlante concentrerà i propri investimenti sulla tranche junior di veicoli di cartolarizzazione, potendo far leva su quelle a maggior seniority per le quali c’è un chiaro interesse da parte degli investitori;

3. garantire agli investitori rendimenti allettanti in un’ottica di medio-lungo periodo e benefici per il sistema bancario che ricadano anche sull’economia del Paese in termini di stabilità e di prospettive di crescita.

La riforma del settore bancario sta finalmente iniziando a dare i suoi frutti e secondo l’outlook Abi-Cerved di maggio 2016, nel 2017 il totale delle sofferenze tenderà ai livelli pre - crisi raggiungendo comunque il minimo dal 2009.

Il quadro complessivo delle sofferenze degli istituti di credito sta migliorando (fig. 8), a dimostrarlo sono i dati della Banca d’Italia aggiornati al 31 maggio 2016.

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35 Figura 8: Sofferenze del sistema bancario Italiano.

Fonte: Rapporto mensile ABI – Aprile 2016

Il valore totale dei crediti deteriorati lordi, o non performing loans, è pari a 360 miliardi di euro, da rilevare che nel quarto trimestre 2015, per la prima volta dal 2008, i crediti deteriorati lordi sono diminuiti in valore assoluto e la loro quota sul totale dei finanziamenti si è stabilizzata.

In essi è possibile distinguere le inadempienze probabili o esposizioni scadute o sconfinanti, categorie per cui il rientro tra le esposizioni in bonis è possibile, che ammontano a 160 miliardi, e le sofferenze, o bad loans, cioè i prestiti a controparti insolventi, pari a 200 miliardi di euro. In entrambi i casi, però si tratta di valori lordi che non esprimono il peso effettivo di queste posizioni sui bilanci bancari.

Il peso delle sofferenze sui bilanci bancari non coincide con il valore nominale dei prestiti poiché le banche hanno già provveduto a svalutazioni e accantonamenti nei bilanci; le sofferenze nette ammontano quindi a 85 miliardi di euro e evidenziano una riduzione di 2 miliardi rispetto al 31 dicembre 2015.

Contro gli 85 miliardi di sofferenze nette, si rilevano garanzie e coperture per 122 miliardi di euro (figg. 9, 10, 11).

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36 Figura 9: Posizioni deteriorate (in miliardi di Euro.)

Fonte: Banca d’Italia, Supplemento al bollettino Moneta e Banche - Luglio 2016, dati 31.5.2016

Figura 10: Rapporto tra sofferenze nette e garanzie (in miliardi di Euro.)

Fonte: Banca d’Italia, Supplemento al bollettino Moneta e Banche - Luglio 2016, dati 31.5.2016

Figura 11: Crediti deteriorati e sofferenze

Fonte: Banca d’Italia, Supplemento al bollettino Moneta e Banche - Luglio 2016, dati 31.5.2016

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37 Oggi il nostro sistema bancario appare più solido rispetto al passato e le riforme hanno avuto un impatto positivo sul relativo grado di attrattività.

Al riguardo l’AIBE, Associazione italiana delle Banche Estere, ha pubblicato uno studio dove rivela che l’Index 2016, indice sintetico che misura l'attrattività del sistema - Italia, è passato da un valore di 33,2, registrato nel 2014, all'attuale 47,8, lungo una scala che va da un minimo pari a 0 a un massimo pari a 100, con un incremento di oltre 14 punti (fig. 12).

Figura 12: Attrattività del sistema bancario.

Fonte: Ministero dell’economia e delle finanze

2.2 Il perché di una riforma delle banche di credito cooperativo

Come per le banche popolari anche per le BCC le ragioni sottese alla riforma sono riconducibili alla necessità di rendere più stabile, efficiente e competitivo il comparto.

Nel primo decennio degli anni 2000 secolo c’è stata, da parte delle BCC, una maggiore attenzione verso le imprese di maggiori dimensioni, rispetto alle quali l’erogazione è cresciuta a un ritmo del 16% annuo, contro un tasso medio di crescita del 9% per le imprese più piccole.

S’intravedeva in ciò una parziale evoluzione del ruolo delle BCC, la cui offerta in passato si era orientata quasi esclusivamente verso clienti di dimensioni contenute.

Nel periodo a cavallo tra il 2000 e il 2010 gli impieghi sono cresciuti a un tasso medio annuo del 13,1%.

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38 L’andamento, però, rifletteva dinamiche diverse nel periodo antecedente e in quello successivo rispetto alla crisi finanziaria scoppiata nel 2007; infatti, mentre nel periodo 2000-2006 c’è stato un aumento dei prestiti di circa il 20 %, nel periodo 2007-2010 la crescita è stata solo del 9 %, per poi, addirittura, assumere un valore negativo nel giugno del 2012, con un -1 % su base annua20.

La crisi economico-finanziaria, ha esposto le banche di credito cooperativo a diverse difficoltà, come per esempio il deterioramento della qualità del credito, la flessione sul fronte della raccolta, la compressione dei margini reddituali, l’incremento della rischiosità dei prenditori, ponendo così la necessità di rafforzare gli assetti di governance e migliorare ulteriormente il risk management.

Nel periodo antecedente la crisi il Credito Cooperativo aveva vissuto una fase di crescita supportata costantemente dal circolo virtuoso che si era venuto a instaurare tra ampliamento dei volumi, crescita dei margini reddituali e rafforzamento del patrimonio. Tutto questo venne meno negli anni successivi, quando le BCC iniziarono a incontrare serie difficoltà nel generare reddito.

Il quadro rappresentativo del settore nel periodo antecedente alla riforma non era per nulla incoraggiante.

Nel 2015 le BCC erano 364 e per il volume totale di attività intermediate rappresentavano una componente rilevante del panorama bancario nazionale, anche se per certi versi sovradimensionato.

A settembre dello stesso anno le BCC contavano 4403 sportelli, pari al 14,6 % del totale nazionale, 37.000 dipendenti e una quota di mercato del 7,7 % della raccolta diretta, depositi e obbligazioni, e del 7,2 % degli impieghi. La dotazione patrimoniale misurata dal CET1 medio era del 16,2 % contro il 12,1 % medio delle altre banche italiane21.

20 AA.VV., Il credito cooperativo alla sfida di Basilea 3: tendenze, impatti, prospettive, Banca

d’Italia- Questioni di economia e finanza n. 158/aprile 2013, pagg.8 e segg.

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39 Una situazione quasi analoga sussisteva l’anno precedente, il 2014, ma da un confronto intertemporale 2011-2014 emerge l’acuirsi di uno stato di crisi e sofferenza del comparto del credito cooperativo (fig.13).

Figura 13: Il credito cooperativo in Italia nel periodo antecedente la riforma.

Fonte: Corriere della Sera

Le conseguenze della crisi continuavano a farsi sentire anche nel 2015. Nel mese di dicembre di quell’anno gli impieghi si aggiravano intorno ai 134 miliardi di euro, inferiori di oltre il 2% rispetto ai valori di fine 2012. Nello stesso periodo, l’incremento dei crediti erogati alle famiglie consumatrici, solo in parte, era stato in grado di compensare la diminuzione registrata nel comparto delle imprese di media e grande dimensione.

Sul lato degli indicatori di qualità del credito si è evidenziato un progressivo e marcato peggioramento, infatti, a giugno 2015, i crediti deteriorati netti e le sofferenze nette avevano raggiunto, rispettivamente, il 12,9 % e il 5 % dei

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40 finanziamenti, con una crescita rilevante rispetto ai dati di fine 2012, quando erano pari al 10,5 % e al 3,3 %22.

Al termine del III trimestre del 2015 le BCC- CR facevano registrare un’incidenza dei crediti deteriorati lordi sugli impieghi pari al 21%. Le inadempienze probabili pesavano sugli impieghi BCC in misura pari al 7,9%. Con specifico riguardo alla clientela “imprese”, il rapporto sofferenze lorde/impieghi a novembre 2015 era del 15,4%, in progressiva crescita rispetto all’anno precedente23. Con il passare degli anni, infatti, la situazione delle BCC-CR era andata verso un progressivo peggioramento.

Nel 2014 i crediti anomali sui prestiti erano pari al 10 %, contro il 10,4 % del 2011; le sofferenze erano del 9,1 % contro il 4,5 % del 2011.

Tale situazione era determinata non solo dal fattore congiunturale, che comunque aveva avuto un peso rilevante, ma anche dall’utilizzo di metodi di screening non sempre idonei a rilevare la rischiosità delle controparti, specialmente nel caso d’imprese diverse, per dimensioni o per caratteristiche merceologiche, da quelle tradizionalmente servite. Tali dinamiche si riflettevano sull’andamento degli aggregati reddituali e patrimoniali.

Per far fronte all’aumento del rischio, le BCC hanno fatto ingenti rettifiche di valore, proprio come le banche di dimensioni maggiori; in questo modo il tasso di copertura delle partite deteriorate è passato dal 26 % del 2012 al 30,2 % del 2013, al 36,5 % del 2014 fino al 38,7 % di fine giugno 2015; quello delle sole sofferenze ha subito un incremento di 9, 2%, passando dal 45 al 54,2 % tra il 2012 e il 2015.

Le rettifiche hanno avuto un impatto inevitabilmente negativo sugli equilibri reddituali, infatti, dal 2012 al 2016 hanno assorbito, in media, l’80 % del risultato di gestione.

22 Barbagallo C., La riforma del Credito Cooperativo nel quadro delle nuove regole europee e

dell’Unione bancaria, Fondazione Italianieuropei, Roma, 21 marzo 2016, pag. 3 e segg.

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41 La situazione era ancora più preoccupante perché vi erano BCC che presentavano, contemporaneamente, coefficienti di capitale più bassi e tassi di copertura inferiori a quelli medi del sistema bancario nazionale. Il numero non era esiguo: stando ai dati riferiti a dicembre 2015, le BCC che versavano in tale condizione erano circa 50 e rappresentavano il 16 % dell’attivo della categoria. Data tale situazione, con molta probabilità, un numero non marginale di BCC non sarebbe stato in grado di alimentare il proprio patrimonio nella misura e con la rapidità richieste dall’Europa.

Purtroppo quelli erano gli anni in cui la principale fonte di patrimonializzazione delle BCC, cioè l’autofinanziamento, si era drasticamente ridotta ed era divenuta insufficiente al fabbisogno degli istituti di credito.

Tutto ciò, insieme al progressivo aumento del rischio di credito, esponeva il credito cooperativo a potenziali criticità.

Come le banche popolari, prima della riforma, anche le BCC, incentravano la propria operatività principalmente su un modello di servizio ancora tradizionale e risentivano enormemente dei ritardi nel processo di ammodernamento delle reti distributive. Ciò incideva negativamente sulla struttura dei costi, che risultava rigida e lasciava poco spazio all’efficienza operativa. In conseguenza di ciò, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2014, le spese amministrative sono cresciute a un tasso medio annuo dell’1 %, mentre il margine diminuiva, in media, del 6% l’anno. Allo stesso tempo aumentava, anche se in maniera contenuta, il numero delle risorse umane del settore e degli sportelli, dimostrando l’incapacità del settore di affrontare le esigenze di contenimento delle spese per il personale e di razionalizzazione e ridimensionamento delle reti distributive.

L’altro nodo era rappresentato dallo sviluppo tecnologico e dalla crescente diffusione dei canali alternativi di distribuzione, che mettevano alla prova la sostenibilità del modello di business delle BCC.

La situazione evidenziata era tale da mettere a rischio la capacità competitiva del comparto.

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42 Le BCC soffrivano anche dei vincoli giuridici derivanti dalla forma cooperativa che rappresentavano un ostacolo alla ricapitalizzazione delle stesse.

E’ da evidenziare, inoltre, che la governance delle BCC trae giovamento dalla prossimità al territorio se questa è intesa in modo sano e libero da finalità estranee a quelle proprie di un’impresa bancaria, perciò, a fronte del ruolo positivo svolto dalle BCC nei territori di insediamento, è necessario presidiare la correttezza della gestione rispetto a conflitti di interesse e condizionamenti locali che possono influenzare le decisioni di allocazione del credito e di investimento, mettendo a rischio la sana e prudente gestione.

Non sempre ciò è stato fatto. Le limitate dimensioni insieme allo stretto legame che si instaurava con il territorio di riferimento, in alcune banche, rappresentavano un limite alla buona gestione.

Stefano Gatti24 pone l’accento su come il forte radicamento territoriale talvolta sia stato una zavorra per le BCC, non permettendo loro di beneficiare degli effetti di diversificazione di portafoglio tipici delle banche operanti su scala nazionale.

In alcuni casi sono state le stesse BCC a decidere deliberatamente, nei periodi di stretta creditizia, di entrare su classi di clientela rifiutate dalle banche concorrenti.

La crisi ha prodotto effetti diversi all’interno del sistema creditizio in funzione di diversi fattori, tra i quali le caratteristiche strutturali delle cooperative in termini di dimensione, localizzazione geografica e settore di attività economica.

Le BCC operano principalmente nei confronti delle piccole e medie imprese; quest’ultime, nel panorama economico, sono quelle che hanno risentito maggiormente della crisi e purtroppo tra banche e imprese si è innescato un pericoloso circolo vizioso che ha messo in ginocchio entrambi i settori.

Carmelo Barbagallo, responsabile della Vigilanza di Bankitalia, già allora intravedeva nella scarsa patrimonializzazione, nella limitata propensione

24 Gatti S., Op. cit.

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43 all’innovazione, oltre che nello stretto legame che le BCC instauravano con il territorio e che rappresentava un punto di forza e allo stesso tempo un limite, perché origine di conflitti d’interesse e rischio solidità, un elevato fattore di rischio per la stabilità del settore.

In quegli anni le BCC, spesso, erano dotate di consigli di amministrazione poco preparati per affrontare una situazione di mercato molto più complessa rispetto al passato, con conflitti d’interessi nell’ambito della gestione delle pratiche di credito e assetti di controllo spesso poco idonei a valutare e apprezzare i livelli di rischio cui il credito cooperativo era sottoposto.

Secondo un’analisi condotta sul credito cooperativo, nel periodo antecedente la riforma, erano circa 50 le banche in difficoltà e potenzialmente sottoposte a “tensioni” causate dalla limitata patrimonializzazione e dalle debolezze e criticità di un sistema reso ancora più fragile dalla crisi finanziaria. All’interno di questo paniere di 50 BCC erano 37 le banche con crediti deteriorati in portafoglio superiori al 20% (fig.14).

Figura 14: Elenco delle BCC più fragili

Fonte: Ilsole24ore

Per quanto fin qui esposto, si comprende che la recente crisi finanziaria aveva messo in evidenza le criticità del credito cooperativo, in particolare era emersa la difficoltà delle BCC di reperire capitali, a causa della presenza dei vincoli del voto capitario e dei limiti al possesso azionario.

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44 Ciò risultava tanto più preoccupante in considerazione del fatto che, se pur in presenza di una dotazione patrimoniale di buona qualità e in media più elevata rispetto ai futuri minimi regolamentari, negli anni antecedenti alla riforma si era registrata una persistente diminuzione della redditività, congiuntamente all’aumento della rischiosità degli impieghi.

D’altro lato si rendeva sempre più evidente la necessità di una più efficiente allocazione della liquidità presente nel sistema25.

La riforma si pose come obiettivo quello di creare le condizioni affinché le debolezze degli assetti di governance delle BCC fossero superate nell’ambito di più ampie strutture di gruppo, poichè, una capogruppo, adeguatamente capitalizzata e capace di accedere al mercato dei capitali, avrebbe potuto provvedere al sostegno finanziario delle BCC con strumenti patrimoniali ad hoc26.

Come sottolineato da Sabatelli in “La riforma del credito cooperativo”,

<<la riforma è stata evidentemente determinata dall’intento di rimediare in qualche modo alla grave situazione di impasse nella quale, proprio a causa della crisi finanziaria, sono incorse numerose banche di credito cooperativo le quali, in ragione del loro agire come banche del territorio, si sono trovate esposte più di altri soggetti appartenenti al settore del credito alle intemperie di una fase recessiva che ha colpito soprattutto le piccole e medie imprese, naturali destinatarie dell’attività posta in essere dalle banche di credito cooperativo. A ciò si aggiunga l’esigenza di tenere conto dei significativi cambiamenti normativi che le autorità di vertice europee hanno ritenuto opportuno introdurre al fine di perseguire l’obiettivo di più congrui equilibri sistemici, quali appaiono ipotizzabili attraverso la ridefinizione delle regole di governance bancaria e mediante la riproposizione nei confronti degli enti creditizi di più adeguati meccanismi di risanamento e risoluzione aziendale27>>.

25 AA.VV., Op.cit.

26 Barbagallo C., Op. cit.

27Sabatelli I., La riforma delle banche di credito cooperativo, Cacucci Editore, Bari, 2017, pag.

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