La politica economica e fiscale catalano-aragonese, anche per gli eccessi praticati nella imposizione e nella riscossione dei tributi da parte dei ministri baronali veniva fortemente osteggiata dalle popolazioni sarde. Queste, già alla fine del secolo XV e per tutto il secolo XVI, si batterono con vigore, non solo per modificare gli iniqui meccanismi fiscali sui quali si reggeva il prelievo tributario feudale, ma anche perchè venissero loro riconosciuti un ruolo specifico ed autonomo nella gestione del territorio ai fini produttivi ed una più diretta partecipazione nel governo comunitario.
Su questo versante un ruolo di primo piano, ad esempio, viene svolto dalle comunità ricadenti sotto la giurisdizione del marchesato di Quirra, tra le quali si distinguono quelle della Boronia di San Michele, che comprendeva anche i villaggi di Settimo, Sinnai, Maracalagonis e altre ville spopolate; quelle del Sarrabus, e più tardi quelle appartenenti al marchesato di Villaclara e della Contea di Villasalto (Armungia,
Ballao, Pauli Gerrei, Sisini e Villasalto). Queste comunità, anche se in tempi successivi, riescono ad arginare lo strapotere baronale, sottoscrivendo con i feudatari di pertinenza importatnti e rigide convenzioni, conosciute più propriamente col nome di Capitoli di grazia (MURGIA, 1980).
Mentre le comunità della baronia di San Michele approdano ad una complessiva revisione dei tributi, quelle dell’Ogliastra riescono a liberarsi definitivamente del servizio domenicale del viaggio di corte che le obbligava a trasportare le granaglie feudali fino alla città di Cagliari attraverso percorsi accidentati, intransitabili per gran parte dell’anno per mancanza di ponti, ed oltretutto rischiosi e per i conducenti dei carri e per il carico, oltre che per le bestie. Le popolazioni del Sarrabus, a seguito di una estenuante e vibrante trattativa si fanno riconoscere l’esclusivo diritto di far viddazzone, cioè di svolgere qualsiasi attività agricola e di impiantare vigneto nei salti spopolati di Quirra, di Alussera e di Castiadas, pur dovendo accettare la contestuale presenza dei pastori ogliastrini. Particolarmente importante da rimarcare è che, in questi salti, i sarrabesi potevano introdurre al pascolo i loro armenti senza pagare al feudatario alcun canone d’affitto, dividendo però la pastura e le ghiande con i pastori ogliastrini. Tale regolamentazione avrebbe dovuto attenuare i continui conflitti e scontri, spesso sanguinosi, scaturenti dall’uso a promiscua del territorio, fra pastori sarrabesi ed ogliastrini. La stipula di questo capitolo non valse a risolvere i conflitti in quanto i pastori ogliastrini, che da tempi remoti portavano a svernare il loro bestiame nel territori del Sarrabus, continuavano a discendere con le greggi che provocavano anche la distruzione dei seminati in quanto il bestiame spesso veniva lasciato vagare liberamente e senza custodia. Al riguardo le rimostranze delle popolazioni del Sarrabus, che a seguito dell’abbandono dei piccoli centri esistenti nella vasta piana di Castiadas si erano concentrate nei centri maggiori di Muravera, San Vito e Villaputzu, erano pienamente plausibili in quanto la gestione, a fini produttivi, di quei territori contesi con i pastori ogliastrini si rivelava indispensabile per la loro sopravvivenza. Il controllo di quel territorio costituiva, d’altra parte, essendo il Sarrabus un’area isolata e lontana dai centri di traffico, l’unica via di comunicazione dove incanalare i prodotti della sua economia destinati ai mercati dell’area cagliaritana. Cagliari era la città più vicina, distante circa sessanta chilometri, che assorbiva buona parte del surplus produttivo dell’economia agro-pastorale del Sarrabus, ed era raggiungibile per la strada orientale che ricalcava il tracciato dell’antica via romana. Attraverso questo tracciato si svolgevano, in prevalenza, le relazioni commerciali e sociali tra sarrabesi, ogliastrini e le popolazioni dell’area cagliaritana (TERROSU ASOLE, 1974).
Nel corso del cinquecento, a seguito anche della espansione dell’agricoltura e delle colture del vigneto e dell’olivo, con il conseguente restringimento delle terre a disposizione della pastorizia, le comunità di Sinnai, Mara, Quartu e Quartucciu ottenevano dal barone di Quirra la concessione di poter utilizzare per alimentare i loro bestiami tutti i territori appartenenti ai centri abbandonati, costieri e montani che si affacciavano sul golfo di Cagliari, compreso il salto di Carbonara, dove si insediarono famiglie di pastori provenienti da Sinnai e Settimo. In questi territori, lungo l’asse geografico che da Corongiu si rivolge verso Carbonara, e che comprendeva tra gli altri i piccoli centri spopolati di Figuerga, Pannuga, San Basilio, Sirigargiu, Sidanu, Separassiu, Sixi e Calagonis, andò così consolidandosi l’attività dell’allevamento ovino e caprino. Questi territori dovevano essere gestiti a
promiscua, nel senso che alle popolazioni dei villaggi suddetti veniva riconosciuto il
STATO DI CAGLIARI, 1636-1716). A premere per avere il controllo assoluto di quei salti
era soprattutto Sinnai in quanto, sia per la ristrettezza dei territori destinati all’agricoltura, sia per il consistente patrimonio zootecnico, aveva necessità, per la propria sussistenza, di nuovi e sempre più ampi spazi a disposizione. Nel corso dei secoli XVII e XVIII tutto il territorio compreso tra il massiccio del Serpeddì fino ai Sette Fratelli è interessato dalla presenza di armenti, assai consistenti per numero di capi (ogni gregge o branco presentava un numero medio di capi non inferiore ai 250- 300 unità), appartenenti a famiglie sienniesi che di fatto ne controllano, a pieno titolo, l’uso delle risorse.
Nel corso del seicento il problema di poter disporre di più ampi spazi territoriali da destinare all’agricoltura e all’impianto della coltura specializzata del vigneto si presenta impellente anche per i centri del Gerrei, Ballao e in particolar modo Armungia, impossibilitati a estendere le loro attività agricola e pastorale verso i salti di Perdasdefogu e di Escalaplano. La presenza del Flumendosa, per la totale assenza di ponti, e guadabile con piccole barche solo in determinati periodi dell’anno, costituiva di fatto una barriera quasi invalicabile, non consentendo pertanto agli agricoltori di assicurare una costante ed assidua sorveglianza delle colture, per evitarne gli assalti delle greggi erranti. Soltanto nel marzo del 1680, a seguito di annose trattative, la comunità di Armungia riusciva a strappare al conte di Villasalto la concessione di poter disboscare e coltivare i salti arestis (ricoperti di macchia mediterranea) della villa, situati lungo il cammino que va a Perdas de fogu fino al confine con Villasalto (DI TUCCI, 1928). Nello stesso periodo nei territori gravitanti
attorno a Monte Genis e al Serpeddì si consolidava l’insediamento stabile di armenti provenienti dai vicini centri di Pauli Gerrei e di Villasalto, che controllavano boschi e pascoli, restringendo sempre più gli spazi riservati dalla feudalità alla transumanza forestiera. Queste famiglie pastorali, nella seconda metà del seicento, ponendo fine alla vita errante della transumanza, si stanziarono in una località ricca di acque e di buona pastura, dando vita ad un abitato cui attribuirono, dal nome del sito ospitante, l’appellativo di Burcei (TERROSU ASOLE, 1979). Il sorgere della villa di Burcei, un’area
di interconnessione fra i territori del Gerrei, del sarrabus e del Campidano di Cagliari, contribuirà ad intensificare i rapporti commerciali e sociali fra queste zone limitrofe. Numeroso bestiame, spesso anche frutto dell’abigeato, proveniente dall’Ogliastra, dal Gerrei e dal Sarrabus, attraverso anche il territorio di Burcei, passando per Serpeddì, e discendendo verso Sinnai, luogo di smistamento, raggiungeva i mercati cagliaritani e del suo hinterland. Sempre nel corso del Seicento risorgevano i centri di Soleminis nel Parteolla, e di S. Andrea Frius nel Gerrei.
Sempre nel corso del Seicento riprendeva a vivere anche il vecchio centro di Carbonara, di fatto mai definitivamente abbandonato, grazie alla presenza stabile di famiglie pastorali provenienti dai centri di Sinnai e di Settimo. Un nuovo impulso al ripopolamento di questo territorio veniva dato, inoltre, dalla concessione da parte del regio Fisco a certi Antonio Lecca e Asore Zapata, mercanti di Cagliari, di poter coltivare lo sfruttamento dei banchi di corallo esistenti nel mare di Carbonara. Questi avrebbero dovuto provvedere alla costruzione di una torre e di edifici necessari alla custodia delle attrezzature e del corallo raccolto, onde evitare danneggiamenti e furti e perdite all’erario regio.
Sempre in questo periodo risalgono anche le prime concessioni per la ricerca mineraria e la coltivazione delle miniere di argento e di ferro nel territorio del Sarrabus e del Gerrei.
L’irreversibile declinio della Corona spagnola, con il conseguente allentamento del controllo del potere centrale sui possedimenti periferici, quali il Regno di
Sardegna, indebolendo allo stesso tempo il peso politico della feudalità, favorisce, all’interno del mondo delle campagne, l’emersione del ceto dei principales, ricchi armentari proprietari anche del bestiame da utilizzare nei lavori agricoli, dal cui numero dipendeva l’estensione di terra annualmente coltivata, e quindi il livello di ricchezza controllabile.