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Don Giacomo Freinadimetz nacque il primo febbraio 1794 a Rovereto, nella parrocchia di San Marco da genitori provenienti dalla Val Badia. Nella stessa parrocchia, a soli tre anni di di- stanza vedrà la luce Antonio Rosmini Serbati, la cui vicenda biografica si intreccerà con quella del futuro vicario generale. Don Giacomo frequentò il seminario teologico di Trento dal 1813 al 1817, distinguendosi sempre con il massimo dei voti.3

Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 7 luglio 1816 a Trento, dal Principe Vescovo Emanuele Maria Thun.4

Fu il primo alunno trentino del Frintaneum anche se vi rima- se soltanto un anno, dal 27 marzo 1817 al 27 agosto 1818 con l’intento di diventare professore di Studio biblico.5 Tornato in

diocesi senza concludere il percorso formativo presso il Frinta- neum il primo novembre 1818, in periodo di sede vacante dopo la morte di Emanuele Maria Thun, ottenne l’incarico di profes- sore di sacra scrittura, ruolo che ricoprì fino al 1827.

Il 15 maggio del 1832,6 perdendo l’incarico di cancelliere,

che gli era stato conferito il 17 ottobre 1826, venne eletto provi- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

3 Archivio Diocesano Tridentino (d’ora in poi ADT), Atti Seminario, 1813-1817.

4 ADT, Tabulae ordinum, vol. III, 1826-1846.

5 Diözesanarchiv Wien, Frintaneum, Institutsprotokoll I, 83-85. 6 ADT, Catalogus cleri, 1826-1860.

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cario generale del principe vescovo Francesco Saverio Luschin, in sostituzione di Giovanni Nepomunceno de Tschiderer che era appena stato nominato vescovo di Elenopoli e vicario generale del Vorarlberg.

Al fianco del vescovo Luschin, Giacomo Freinadimetz si trovò ad affrontare una delle questioni più spinose che coinvol- sero la diocesi di Trento in quegli anni, ovvero l’introduzione in città dell’Istituto della Carità fondato da Antonio Rosmini. Spesso si è ritenuto che il cambio di vicario generale abbia de- terminato anche un cambio di opinione nel principe vescovo. Lo Zieger, ad esempio,7 ritenne che nel momento in cui le autorità

enipontane fecero capire al vescovo che il problema dell’appro- vazione dell’Istituto, da esclusivamente religioso stava rientran- do in una cornice politica, il Luschin, in ossequio ai desideri del governo, iniziò a non prendere più in considerazione i suggeri- menti del canonico Trentini, ma a dare maggior peso alle opi- nioni ostili, del suo vicario generale. Lo stesso Rosmini, nel suo epistolario, rivelò come avesse buone ragioni per credere che il Freinadimetz avesse avuto la maggior influenza sulle decisioni del principe vescovo, che, secondo lui, si era repentinamente trasformato da sostenitore benevolo a sorvegliante sospettoso, probabilmente non comprendendo a fondo le finalità della con- gregazione rosminiana.8 La vicenda, già più volte indagata,9 va

sicuramente valutata alla luce delle fonti documentarie ancora a disposizione e inserita nella successione evenemenziale non so- lo dell’allora diocesi trentina, ma dell’intero territorio imperiale. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

7 A. Zieger, Antonio Rosmini e la sua terra, Seiser, Trento 1961, p. 36. 8 Ibidem, pp. 36-37.

9 Ricostruzioni della vicenda e interpretazioni dell’incidenza di vescovo e vicario nella questione rosminiana sono presenti in vari saggi con diversi gra- di di approfondimento: A. Zieger, Antonio Rosmini e la sua terra; H. Tscholl,

Franz Xavier als Fürstbischof von Trient 1824-1834 mit besonderer Berück- sichtigung seiner Beziehungen zu Antonio Rosmini-Serbati, tesi di laurea,

Università di Padova, a.a. 1974-1975; A. Radice, Ombre scure nel principato

vescovile del secolo XIX: Rosmini e l’Istituto della Carità, «Atti della Acca-

demia roveretana degli Agiati», 20 (1980), pp. [103]-145; I. Rogger, Antonio

Rosmini e il vescovo di Trento: ombre antiquate e recenti studi, «Atti della

Accademia roveretana degli Agiati», 23 (1983), pp. 247-258; P. Marangon, Il

risorgimento della chiesa, genesi e ricezione delle Cinque Piaghe di A. Ro- smini, Herder, Roma 2000.

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Sulla base della documentazione vescovile si ritiene fondamen- tale precisare alcuni passaggi, cercando in particolare di far emergere il ruolo svolto dal vicario generale. Pur essendo stato proprio il vescovo Luschin, infatti, ad invitare a Trento Antonio Rosmini, ritenendo la sua opera funzionale al suo progetto pa- storale di rinnovamento del Seminario, in vista di una ripresa religiosa della diocesi e intuendo probabilmente la bontà del- l’iniziativa del filosofo roveretano, nel momento in cui l’Istituto si strutturò in modo rigoroso, si rese immediatamente conto di dover essere molto cauto nei confronti del governo e di non po- ter sottovalutare la sua forte ingerenza in ambito ecclesiastico. Già nella sua missiva datata 12 maggio 1832, pochissimi giorni prima che il Freinadimetz lasciasse l’incarico di cancelliere per divenire provicario generale, il principe vescovo comunicava al Rosmini come non fosse possibile procedere alla costituzione della Società da lui concepita, senza una formale approvazione delle costituzioni della stessa da parte delle autorità competenti. Tantomeno risultava possibile, prima di questo necessario pas- saggio, aggregarvi «sudditi diocesani tanto ecclesiastici che se- colari».10 Alla replica del Rosmini, che riportava la lettera ve-

scovile del 22 giugno 1831 in cui il titolare della cattedra trenti- na affermava che «in proposito delle discipline per la progettata unione da Lei saviamente e piamente ideata non saprei che cosa censurare, che anzi le ottime sue intenzioni meritano che io e tutti i buoni christiani imploriamo dal Signore a Lei e ai piissimi di Lei progetti tutte le celesti benedizioni»,11 ritenuta dal desti-

natario al pari di una formale approvazione della sua istituzione, il Luschin rispondeva solo dopo essersi consultato con il cano- nico Battisti e con lo stesso Freinadimetz.

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10 ADT, Cause di Beatificazione, Rosmini 2, doc. 8. La minuta della lette- ra, che porta il protocollo 1425/674 eccl., data per mancante dallo Zieger, è in realtà conservata in questa busta in duplice versione: quella autografa del ve- scovo Luschin e quella che poi venne spedita di mano del Freinadimetz con qualche piccola variazione. Sulla versione autografa del vescovo sono riporta- te in calce alcune note tra cui si sottolinea la richiesta di produrre una copia delle Costituzioni e di passare il tutto sia al canonico Battisti che al cancellie- re Freinadimetz per le opportune osservazioni, testimoniando, quindi, che an- cora prima di essere vicario generale, il Freinadimetz era stimato dal vescovo fra i suoi consiglieri.

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Già l’autorità ecclesiastica aveva sottolineato all’autore delle Cinque Piaghe il fatto che l’istituto non avrebbe potuto prescin- dere dalla supervisione vescovile, quando una missiva del primo luglio proveniente dal gabinetto di Sua Maestà a Innsbruck ri- chiese al vescovo informazioni dettagliate sulla nuova istituzio- ne religiosa presente sul territorio diocesano. Di fronte a tali puntuali richieste, il vescovo Luschin fu evidentemente costretto a valutare l’iniziativa di Rosmini non solo dal punto di vista del- la bontà dei principi, ma analizzandone il dettaglio dell’orga- nizzazione. Per farlo in maniera più obiettiva costituì una com- missione composta dal vicario Freinadimetz, dai canonici Fran- cesco Battisti e Domenico Battisti e dal parroco di Santa Maria Maggiore Stefano Prati. Alla seduta del 12 luglio il solo vicario generale consegnò una dettagliata relazione scritta, puntualmen- te ripresa nel verbale ufficiale, in cui anche gli altri componenti esprimevano pressoché il medesimo parere: in sintesi veniva sottolineato come le intenzioni del Rosmini fossero giudicate nel complesso positive, ma al contempo come l’istituto sem- brasse gestito con troppa autorità e come fosse troppo limitato il controllo vescovile.12 Il rapporto che il Luschin inviava in rispo-

sta alle richieste imperiali, riportava le opinioni espresse dalla commissione, ma risultava molto più dettagliato nel soffermarsi in particolare su alcuni articoli delle costituzioni rosminiane, gli stessi articoli peraltro, puntualmente analizzati nel memoriale scritto dal vicario generale,13 il cui parere probabilmente aveva

avuto un peso determinante. Il cambio di consiglieri al fianco del vescovo Luschin, infatti, potrebbe giustificare il suo cre- scente sospetto in merito al progetto del Rosmini: il passaggio dal vicario Sardagna e dal canonico Trentini, molto amici del roveretano, al Freinadimetz che si era formato a Vienna sotto la guida del cappellano della corte imperiale e al canonico Battisti sembra non essere stato indifferente. Si aggiunga che, nel mede- simo periodo in cui il vicario generale era impegnato nella riso- luzione della questione rosminiana, aveva dato in prima persona il consenso per la pubblicazione, e la relativa diffusione all’interno della diocesi, del volume Libro di orazioni di Alfonso !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

12 ADT, Cause di Beatificazione, Rosmini 2, doc. 16. 13 ADT, Cause di Beatificazione, Rosmini 2, doc. 17.

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de Liguori, favorendo così la diffusione dell’ideologia liguoria- na, assai ben vista dal governo austriaco.

Ruolo di primo piano assunse invece il Freinadimetz nella vicenda rosminiana a partire dal giugno 1834, ovvero da quando Gregorio XVI nominò il vescovo Luschin al vescovato di Leo- poli in Polonia, sciogliendolo quindi dal vincolo con la cattedra trentina. Nonostante il prelato carinziano fosse rimasto sul terri- torio diocesano sino all’ingresso ufficiale nella nuova diocesi, avvenuto in novembre, il Capitolo cattedrale procedette alla nomina di un vicario in sede vacante. Nella seduta del 6 luglio, infatti, il Capitolo affidò con voto unanime14 il ruolo di vicario

capitolare e diocesano al Freinadimetz.

Il carteggio appartenente al fondo della causa di beatificazio- ne di Antonio Rosmini, depositato presso l’Archivio Diocesano Tridentino si rivela in proposito molto nutrito.15 Fitta fu la corri-

spondenza fra il prete roveretano e il vicario capitolare in merito anche alle questioni più piccole. L’impressione generale è quel- la di un Freinadimetz che sulla questione rosminiana cercava di prendere tempo, non esponendosi in prima persona ma rimar- cando spesso come in sede vacante alcune decisioni non potes- sero essere prese, ma andassero posticipate e sottoposte al nuo- vo vescovo, una volta insediato in diocesi. Anche la risposta al capitanato di Rovereto che, nel luglio del 1834 richiese all’or- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

14 ADT, Libro B (337), doc. n.2164 anno 1834.

15 Gran parte della documentazione sia dell’ordinariato che del carteggio vescovile è oggi conservata nel fondo ‘Cause di Beatificazione. Antonio Ro- smini’, qui raccolta negli anni del processo conclusosi con la beatificazione del roveretano nel 2007. Va sottolineato che il primo fascicolo della busta 2, intitolato ‘Prospetto degli atti d’ufficio riguardanti l’Istituto dei fratelli della Carità ideato da don Antonio de Rosmini Serbati, i quali si conservano nella Curia Vescovile di Trento’, contiene in apertura un indice con elencati 32 do- cumenti accompagnati da brevi regesti di mano di Giacomo Freinadimetz. È da ipotizzare quindi che contemporaneamente ai fatti, il vicario generale ab- bia conservato a parte la documentazione riguardante l’Istituto rosminiano, anziché depositarli assieme alla restante documentazione di cancelleria. Si ritiene plausibile che tale documentazione sia rimasta per lungo tempo depo- sitata nell’ufficio vicariale se si presta fede ad un foglietto inserito nello stes- so fascicolo che indica come questo sia stato consegnato all’archivio di curia soltanto nel 1968 dall’allora vicario generale monsignor Bortolameotti. Qua- lora l’ipotesi fosse corretta si spiegherebbero i documenti citati dallo Zieger (1961) e dati per mancanti all’interno dell’archivio vescovile.

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dinariato come affrontare la supplica di alcuni cittadini che ri- chiedevano l’apertura di un istituto rosminiano nella città natale dell’abate, avvenne previo consulto con il vescovo Luschin, sebbene non più titolare della cattedra trentina. Dal modo in cui le parole del neo-vescovo di Leopoli sono riprese, spesso lette- ralmente, nella risposta ufficiale del Freinadimetz, si può ritene- re come sulla questione, oramai, i due avessero una visione co- mune e condivisa.16 Il vicario nel giugno accondiscese però alla

richiesta della città roveretana di nominare Antonio Rosmini nuovo arciprete della chiesa di San Marco, probabilmente più per accontentare la popolazione, alla quale aveva negato l’aper- tura di un istituto della Carità, che per convinzione. Tale nomina avvenne nonostante tra le clausole poste dal vescovo Luschin al governo per l’approvazione dell’Istituto ci fosse l’esclusione dei padri rosminiani dalla cura d’anime. Difficile pensare che il vi- cario generale se ne fosse dimenticato.

Presto però l’attività pastorale di Antonio Rosmini e di alcu- ni seguaci che lo accompagnavano nello svolgimento del suo nuovo ruolo, iniziò a destare ulteriori sospetti presso le autorità cittadine e governiali, tali da richiedere nuovamente l’intervento dell’ordinariato. Il Freinadimetz richiese l’intervento del capito- lo cattedrale affinché lo supportasse nella trattazione della situa- zione, definita da lui stesso «affare arduo e rilevante». Al colle- gio dei canonici inviò il 3 aprile 1835 una lunga relazione, nella quale oltre all’esposizione dettagliata dei decreti sovrani relativi alla questione e succedutisi dal 1832 in poi, era esposto piutto- sto chiaramente il desiderio di essere ossequioso nei confronti del governo austriaco: «qui adunque trattasi di dovere o eseguire l’ordine governiale o di giustificarsi presso il Governo perché non si voglia dar esecuzione ai suoi ordini, e tanto nell’uno che nell’altro caso bisogna pensare al modo da tenersi».17 Il Capito-

lo, riunito in seduta straordinaria il giorno successivo, pur con- siderando necessario comunicare il tenore dell’ordinanza gover- niale al Rosmini con l’invito all’obbedienza, ritenne che fosse compito dell’ordinariato rassicurare le autorità circa le buone !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

16 ADT, Cause di Beatificazione, Rosmini 2, doc. 30 e 31.

17 ADT, Cause di Beatificazione, Rosmini 2, relazione datata 3 aprile 1835, n. 1074/496 eccl.

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intenzioni dell’arciprete di San Marco e circa «lo zelo e l’ope- rosità di quei religiosi… onde facilitare in seguito possibilmente il rigore delle Superiori disposizioni». Il consiglio finale era quindi quello di convocare l’abate Rosmini presso la curia din- nanzi ad una deputazione capitolare, al fine di stabilire in accor- do «il modo migliore d’adempiere la Suprema Ordinanza colla conveniente circospezione onde tutto segua in buon ordine e quiete e con reciproca armonia».18

Quando il nuovo principe vescovo Giovanni Nepomuceno de Tschiderer, entrò ufficialmente sulla cattedra trentina il 3 mag- gio, tra i suoi primi atti confermò al Freinadimetz l’incarico di vicario generale, affidandogli l’amministrazione della parte ita- liana della diocesi.19 Da questo momento la vicenda di Rosmini

vedrà nel vicario solo uno degli attori, ma verrà seguita in prima persona dallo stesso principe vescovo.

In chiusura della vicenda, però va evidenziata la minuta di ri- sposta, vergata dalla mano del vicario generale, alla lettera del 15 dicembre 1835 in cui Antonio Rosmini comunica di ritenere cessato con data immediata l’Istituto della Carità di Trento. Il Freinadimetz soli due giorni dopo (il 17 dicembre),20 con uno

scritto molto breve prese atto della rinuncia dell’abate rovereta- no senza aggiungere alcuna considerazione alla vicenda, soltan- to si approvò di buon grado l’istanza di Rosmini, che aveva ri- chiesto di poter trattenere presso di sé don Puecher in qualità di segretario. La minuta riporta in calce il vidit del vescovo, sicu- ramente quindi la volontà di non commentare in alcun modo la decisione era stata con lui concertata e condivisa.

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18 ADT, Cause di Beatificazione, Rosmini 2, copia conforme del verbale capitolare datato 4 aprile 1835, doc. n. 1108/515 eccl. La busta di documenti è stata indagata per questo lavoro solo parzialmente. Non si esclude quindi che ulteriori precisazioni siano possibili dall’analisi dell’intero carteggio.

19 Su questo punto si vedano anche S. Benvenuti, La Chiesa trentina e la

questione nazionale, Temi, Trento, 1987; J. Grisar, Il Vescovo di Trento Gio- vanni Nepomuceno de Tschiderer e la situazione della chiesa in Austria e nel Tirolo nel corso della prima metà del sec. XIX, EDB, Bologna 1997 e S. Va-

reschi, Il nuovo regime della Chiesa di Trento nel secolo XIX, «Studi trentini di Scienze Storiche», sezione I-3, 2004, pp. 297-337. Qualche anno più tardi (17 novembre 1839) il Freinadimetz venne investito anche della carica di ar- cidiacono del capitolo di Trento, carica che mantenne sino alla morte.

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Negli stessi anni, l’ordinariato vescovile e il Freinadimetz, in prima persona, furono coinvolti dalle vicende di Maria Mörl da Caldaro e soprattutto di Domenica Lazzari di Capriana, ritenute fenomeni psichici extra-naturali che incitavano le masse verso la pietà genuina e la propaganda della perfettibilità spirituale. Lo stesso anno 1835, infatti, vide un frequente scambio episto- lare tra l’ordinariato di Trento e la parrocchia di Capriana, circa le condizioni di salute e le visioni di Domenica Lazzari, nota con il soprannome di Meneghina.21 Ai racconti del curato di

Capriana sul progredire degli inspiegabili fenomeni sul corpo della giovane, il vicario generale oppose sempre l’ordine di agi- re con estrema cautela, di non divulgare la cosa e cercare di evi- tare che la popolazione del paese si recasse in visita da lei. Ven- nero in particolare sospese le visite dell’allora primissario, rite- nuto particolarmente sensibile all’aura mistica che circondava la giovane.

Durante l’episcopato del Vescovo Tschiderer, però, nono- stante le manifestazioni di fedeltà dimostrate nella vicenda del- l’abate Rosmini, più volte giunsero voci presso la corte enipon- tana di un presunto atteggiamento ostile al governo del vicario generale. Evidentemente nel primo periodo si trattò sempre di episodi marginali, non tali da provocare reazioni particolari nei suoi confronti. Nonostante tali sospetti, nelle calde giornate del marzo 1848 fu lui a scrivere le numerose lettere che raggiunsero i decani della diocesi per assicurarsi della loro buona disciplina, poiché lo stesso direttore circolare si era rivolto al principe ve- scovo Tschiderer per esprimere il rammarico di aver raccolto notizie di un clero spesso sostenitore dell’insurrezione italiana.22

Uno dei sacerdoti ‘più fanatici’ risultò essere l’allora parroco di Baselga di Piné, don Pietro Guetti, assieme al fratello don Lo- renzo, cappellano dello stesso luogo. Nella sua difesa, come in quella di molti altri, il vicario generale sottolineava sempre l’ob- bedienza alle leggi sovrane dell’intero clero trentino, che egli considerava non solo «di leali sentimenti cristiani» ma anche «altamente compresi dalle più massime riguardo ai doveri dei !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

21 ADT, Cause di beatificazione, Domenica Lazzari, lettere a partire dal mese di febbraio, fino a gennaio 1836.

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sudditi verso l’augusto imperante e il suo Governo».23 Insomma

non si ravvisava alcun motivo di dubitare della generale fedeltà dei sacerdoti trentini. L’attenzione andava posta invece sui falsi delatori, particolarmente diffusi in un clima di insicurezza gene- rale come era quello in cui si trovava il principato.

Veemente fu invece la reazione di don Freinadimetz all’arre- sto subito da don Pietro Menguzzato, curato a Castel Tesino, portato sotto scorta armata a Strigno, sebbene rilasciato dopo poco per mancanza di prove certe. Il vicario generale, trala- sciando il consueto equilibrio, condannò apertamente la man- canza di diligenza dei giudici distrettuali e l’arbitrarietà con cui erano state formulate le accuse. Dalle sue parole emerge un le- gittimo richiamo alla libertà di pensiero che non deve contrasta- re con la fedeltà alla corona: «il clero […] è costituito da ottimi sacerdoti, sudditi fedelissimi di Sua Maestà […] siccome poi nessuna pubblica amministrazione al mondo è così perfetta da non ammettere qualche miglioramento, così non sarà da mera- vigliare né da imputare a delitto se si manifesta desiderio di ri- forma in qualche punto».24 Affermazioni forse un po’ troppo

forti, per non destare qualche sospetto sui reali sentimenti del prete roveretano, nonostante un esteriore allineamento alla poli- tica imperiale.

A parte questo singolo episodio, però, don Freinadimetz, il quale si trovò per lo più in prima persona a difendere il clero trentino, mediando tra accusati e accusatori, si dimostrò sempre equilibrato e seppe salvaguardare con intelligenza l’onore della Chiesa trentina, evitando lo scontro aperto e confermando le ac- cuse ove inconfutabili. Anche nei casi palesi però si limitò a ri- volgere al clero dei richiami, sebbene talora risoluti, che eviden- temente non sembrarono sufficienti al Gubernium enipontano, il quale gli rimproverava di aver provveduto alla rimozione dalla !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

23 ADT, Atti Presidiali, 1848/6, n. 17. Si tratta di una lettera datata 17 maggio ed indirizzata dal vicario generale al capo commissariato di polizia di