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Tutto l’assetto ideologico e politico del Vormärz subì un vio- lento scossone e complessivamente giunse al suo epilogo con i moti rivoluzionari del 1848, una complessa galassia di turbolen- ze politiche e sociali mosse e alimentate dall’intreccio delle di- verse componenti ideologiche e politiche liberali, nazionali e socialiste. Stati, società e Chiesa ne vennero profondamente e traumaticamente interessati. Una messa in questione radicale toccò alla Sede romana e al papa - circostanza che peraltro a medio e lungo termine ebbe l’esito storico di suscitare in tutto il corpo cattolico europeo un movimento di cordiale solidarietà con il papa e avviò un potente movimento ideologico ed eccle- siale destinato a durare sostanzialmente per più di un secolo, uno sviluppo che comunque fu la sorpresa storica di tutta la se- conda metà del 1800. Del resto lo sconvolgimento quarantotte- sco ebbe a medio termine, come si sa, l’esito storico di una rea- zione ideologica e politica di precipitoso ritorno all’ordine e a principi di stabilità: per quel che riguarda l’Austria ne conseguì per tutti gli anni cinquanta (vale a dire l’ultimo decennio del- l’episcopato di Giovanni Nepomuceno) la cosiddetta «era neoassolutista». Ben diversamente dal movimento ecclesiale ul-

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Cfr. D. Menozzi, M. Demo, A. Sarri (eds.), Le lettere pastorali dei ve-

scovi di Bolzano-Bressanone e Trento, p. 521. 19

tramontano, anche questa rinnovata reazione restaurativa non ebbe vita lunga, giacché con il successivo nuovo decennio an- dava a cominciare anche in Austria un’‘era liberale’.

Di fronte agli avvenimenti del 1848 la posizione del Tschide- rer e dei suoi colleghi vescovi austriaci fu sostanzialmente di sorpresa e di preoccupazione, ma insieme, nella fase iniziale, anche di curiosità e di attenzione a quelle valenze della rivolu- zione liberale che sembravano ridondare anche a favore della Chiesa nel senso di scardinare, insieme all’assetto politico com- plessivo, la sua componente di statalismo ecclesiastico, sentito ormai anche come anacronistico e sorpassato dal movimento di emersione di rigogliose e inaspettate forze religiose che si era manifestato in epoca di Restaurazione. Sono in ogni caso sor- prendenti le espressioni di aperto giubilo messe nero su bianco dai vescovi della provincia ecclesiastica di Salisburgo (secondo firmatario, dopo l’arcivescovo Federico Schwarzenberg, il no- stro Tschiderer) in un indirizzo alla dieta dell’impero di Vienna del 14 settembre 1848, nel quale salutavano con stupefacente entusiasmo la nuova era e la caduta del suo «sistema d’una per- scrutante tutela, e d’una diffidente controlleria [che] premeva col grave suo peso su tutti i rami della vita pubblica».20 In realtà

i vescovi dovettero presto constatare che erano molte le cose che la rivoluzione voleva modificare e precisamente in una direzio- ne compiutamente liberale, nazionale e sociale, il tutto in una direzione manifestamente estranea a quell’ideale di cristianità che essi continuavano a immaginare per l’Europa.

Nella nuova costituzione austriaca del marzo 1849 i princípi di pluralismo religioso e di sostanziale laicità dello Stato appar- vero infatti chiaramente enunciati, princípi che i vescovi – il Tschiderer decisamente tra essi – si affrettarono a stigmatizzare: non era l’abolizione del controllo ecclesiastico sulle scuole, la

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Copia originale a stampa in Archivio Diocesano Tridentino, Libro B 462, nr. 2286. Pur citato alcune volte, significativamente questo documento non viene riprodotto nell’appendice di fonti da Grisar, Il vescovo di Trento

Giovanni Nepomuceno de Tschiderer. Questo studio venne consegnato nel

1936 alla Congregazione vaticana dei Riti per difendere il vescovo dall’accu- sa di adesione al giuseppinismo che continuava a bloccare il processo di bea- tificazione. Evidentemente, a parere dello studioso, questo documento non era utile alla causa.

tendenziale separazione tra Chiesa e Stato, la libertà di culto per gli acattolici in Tirolo e l’abolizione delle decime ecclesiastiche e altri provvedimenti di questo genere che Tschiderer si atten- deva dalla ‘nuova era’.21 Alla fine di tutto, a Tschiderer e ai suoi

colleghi non dispiacque il nuovo esito di restaurazione e l’inaugurazione del decennio neoassolutistico.

In ogni caso non dalla rivoluzione, ma dalla rinnovata restau- razione era destinato a scaturire il risultato più significativo e francamente clamoroso (anche se non propriamente ‘epocale’ in senso cronologico) per la Chiesa cattolica in Austria, cioè il concordato con la Sede romana dell’agosto 1855, che confer- mava un ampio smantellamento dei controlli e dei vincoli statali sulla Chiesa in Austria e, in positivo, le riconosceva piena liber- tà di organizzazione e di azione. In quell’occasione il Tschiderer e tutti i suoi colleghi disposero le più pubbliche e sonore mani- festazioni di giubilo. In effetti gli ambienti aristocratici e le for- ze politiche conservatrici avevano riconosciuto nella Chiesa cat- tolica un provvidenziale fattore di ordine sociale, nonché di in- tegrazione delle molte e divergenti componenti nazionali dello Stato asburgico che proprio nel nuovo recente biennio rivolu- zionario si erano espresse e quasi esplose e che si ponevano or- mai come una sfida oltremodo impegnativa per la monarchia austriaca.

Anche di questione nazionale infatti si trattò nel 1848, dalla quale derivavano al Tschiderer delicatissimi problemi di co- scienza ecclesiale e di posizionamento politico. Non v’era dub- bio che il Tschiderer era in sé – e tale figurava anche davanti ai suoi diocesani – un esponente della componente austro-tedesca del Tirolo e che la sua lealtà verso lo Stato e verso l’imperatore era fuori discussione. In ogni caso il vescovo di Trento non mancava di celebrare religiosamente, come era suo dovere, gli anniversari e le ricorrenze che riguardavano la persona dell’im- peratore e la tradizione di Casa d’Austria. Del resto la monar- chia austriaca era rimasta l’ultima grande potenza europea di di- chiarata professione cattolica, mentre all’opposto, per quel che riguarda la questione nazionale in Trentino, non poteva suscitare

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che preoccupazione e dichiarata diffidenza l’eventuale riferi- mento alla nazione italiana, il cui movimento nazionale e risor- gimentale non perdeva occasione per erodere e conculcare i di- ritti storici della Santa Sede e la cui classe politica al governo non si mostrava affatto amica della Chiesa e avrebbe dato defi- nitive prove di questa sua posizione proprio negli ultimi due an- ni di vita di Giovanni Nepomuceno. Tuttavia, pur curando e pre- tendendo in modo particolare dal suo clero assoluta lealtà allo Stato per motivi morali e politici,22 non ci fu presso di lui e nelle

sue posizioni mai alcuna isteria nazionalista austro-tedesca, ri- manendo per lui nettamente superiori i criteri più specificamen- te religiosi ed ecclesiali. Altrettanto e ancora più cristallina fu la sua posizione nei confronti dei sommovimenti sociali della crisi del ’48. Pur alieno da ogni propensione rivoluzionaria, e cer- cando di dissuadere con forza e persino con severità i fedeli e la popolazione da ogni disordine e violenza, e cercando di mediare attivamente intese e compromessi, egli si mostrò ben consape- vole della miseria materiale delle famiglie e della necessità di una maggiore giustizia e più equa distribuzione delle risorse, a cominciare da quelle alimentari, reclamando all’occorrenza dal- le autorità governative la messa a disposizione della popolazio- ne delle riserve disponibili. Del resto la sensibilità per i bisogni della gente, come prassi personale e come linea pastorale, è stata una delle caratteristiche più evidenti di questo ecclesiastico in tutte le fasi della sua vita. Egli è stato – e come tale venne rico- nosciuto già in vita – un autentico eroe della carità. Carità spic- ciola e personale, carità politica nelle leggi, carità organizzata nelle istituzioni: ad esempio l’Istituto per sordomuti da lui fon- dato (1842), che porta ancor oggi il suo nome.

In sostanza si può dire che la crisi del 1848 rivela in maniera paradigmatica per un verso gli indirizzi ideologici e la colloca- zione politica del Tschiderer quale reale esponente della classe dirigente austriaca e interprete della tradizione tirolese, per altro verso brilla, di fronte a quella medesima sfida, il suo grande equilibrio, la sua intelligenza nell’azione e il suo approccio de-

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Cfr. ad esempio Benvenuti, La Chiesa trentina e la questione nazionale, pp. 1-23.

cisamente pastorale e religioso – ben oltre la pura lealtà politica. Davvero Tschiderer fu Pastor bonus, ma non nel senso un po’ algido della pur importante istruzione pastorale del teologo set- tecentesco Joahannes Opstaet, ma in un modo molto più cari- smatico e vivo. Per questo motivo la sua figura e la sua opera, pur pienamente inserita nel suo specifico contesto storico, era destinata a lasciare una traccia più profonda e duratura, netta- mente eccedente quel contesto, una traccia capace di perdurare anche oltre la successiva stagione di più acuti conflitti ideologici come venne vissuta dai suoi successori. Con categorie teologi- che ciò si chiama santità.

FRANCESCA BRUNET -MICHELE TOSS

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N SACERDOTE NON È MAI PERFETTAMENTE LIBERO

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LA RELIGIONE