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relazioni, possibilità, rigenerazione e identità

2.13 Il ruolo dell’artista

L’artista ha sempre avuto un ruolo da svolgere nel collettivo pubblico; quando l’antichità ha contribuito a dare un’immagine di potere, creando l’immagine di una città, automaticamente ha creato lo spazio di potere, lo spazio della sfera politica. La questione dell’arte pubblica è quella di definire i mezzi per raggiungere l’arte e non la propaganda (turistica, politica, nazionalista). Quindi, cosa fa l’arte per affrontare questi problemi? come si può definire l’arte? Come sottolineato da Françoise Choay, il problema dell’arte contemporanea, che sembra essere la fonte della bancarotta della creatività, risiede nell’assenza di criteri di rifiuto, nell’accettabilità/accettazione di tutto:

23 Virilio, P., Du surmomme à l’homme surexcité , a L’Art du Moteur, Parigi, Galilee, 1993: “se il

superman di domani è l’uomo capace di sopravvivere, che controlla il proprio ambiente senza

muoversi fisicamente, così come la protesi che non è valida, che già oggi agisce e si muove senza esercitare veramente forza muscolare, l’evoluzione si sta muovendo in una fase tecnico-scientifica ... “. “Se esistono quindi pressioni dirette dall’ambiente naturale - la biosfera - che porta alla selezione naturale secondo Darwin, esistono anche pressioni esercitate dall’ambiente artificiale - la technosfera – l’inerzia comportamentale dell’urbano sedentario non è più senza conseguenze”. Sollevando la questione del controllo dell’ambiente e del corpo, o anche della libertà dell’individuo, Virilio mette in evidenza il suo legame con il design: “la questione resta intatta, ma possiamo almeno considerare che riguarda direttamente la progettazione, il meta-design dei costumi e dei comportamenti perché introduce l’umanità alla sperimentazione di dimensioni naturali di un corpo veramente meta-fisico, di un meta-corpo indipendente dalle condizioni ambientali, nella misura in cui lo spazio reale, l’estensione del mondo stesso ma anche lo spessore del corpo stesso dell’individuo perderebbe progressivamente la sua importanza a beneficio del tempo reale degli impulsi, delle sovracitazioni

“Questa disponibilità estetica, l’apertura ad un’universalità dell’arte che si celebra come una realizzazione e come l’accesso ad un livello superiore di sensibilità, non poteva essere altro che un segno di impotenza [...] L’eclettismo trionfale dei nostri musei, come quello delle nostre mostre d’arte più importanti, rivela anche un duro Kunstwollen24 le cui forze creative stanno esaurendo e il cui piacere sta diventando scialbo”25

Se si devono criticare le lobby d’arte contemporanea, l’aspetto elitistico- iniziatico su cui si sviluppano queste lobby, è necessario sostenere anche l’aspetto opposto, quello di una democratizzazione, non tanto dell’arte, ma del genio artistico, del giudizio o del gusto. Ognuno è un artista, tutto è arte; questo è il pericolo di alcune osservazioni fatte da alcuni artisti come Joseph Beuys26. È ciò che dà luogo all’estetica popolare teorizzata da Richard Shusterman27, dove la gerarchia volgare/nobile non ha altro significato e dove la praxis diventa un’arte legittima (Beuys ha anche detto che “l’arte è la vita”) C’è dunque un doppio fallimento contemporaneo: in primo luogo, il narcisismo di uno strato di artisti che rispecchia i valori messi in atto dalle lobby e, in secondo luogo, il rifiuto, provocato dall’ipertrofia dell’idea della democrazia come “mediocrazia”, della difficoltà dell’arte, sia nella sua creazione sia nella sua accoglienza, il rifiuto della difficoltà che scende all’ultimo posto, il rifiuto dell’astrazione e il rifiuto dello shock dell’immagine, cioè quello che disturba e scompiglia nel vero mentre lo rivelava l’immaginario.

Su queste due considerazioni, però si deve osservare che non tutto porta al fallimento. Gli artisti promossi da lobby (Buren, ad esempio) intervengono

24 Kunstwollen: termine e concetto introdotti nella critica d’arte dallo storico tedesco A. Riegl.

Considerando l’opera d’arte come il risultato di una determinata e consapevole volontà artistica che emerge faticosamente dal fine pratico, dalla materia e dalla tecnica, Riegl sostituisce un’ipotesi teleologica a una concezione puramente meccanica della natura dell’opera d’arte, superando così le posizioni del materialismo e del causalismo storico. Poiché ogni opera d’arte va considerata e giudicata in merito alla raggiunta coerenza espressiva nell’ambito del K. caratteristico dell’epoca in cui è nata, ne consegue in primo luogo il riconoscimento della validità di quelle forme artistiche che si allontanano da una supposta norma classica. Riegl ha formulato esplicitamente il concetto di K. nell’introduzione della sua opera Die spätrömische Kunstindustrie (1901). La critica italiana di tendenza idealistica si rifece al K., nell’elaborazione del concetto di ‘gusto’, accentuandone tuttavia l’elemento irrazionale e intuitivo.

25 Choay, F., op. cit., p. 193. 26 Op. cit. pag

nello spazio pubblico e possono significativamente contribuire al paesaggio urbano (cioè portando significato). Inoltre, un buon numero di artisti hanno lavorato nell’ombra per molti anni e sono stati adottati solo successivamente da lobby. La partecipazione ad una lobby d’arte non dovrebbe pertanto funzionare come criterio negativo in sé. Il rifiuto da parte del pubblico può anche avere aspetti positivi, permettendo di limitare l’esagerazione delle lobby, di disturbare l’autoritarismo intellettuale (o pseudo-intellettuale) di certi gruppi. La reazione del pubblico può anche mettere in luce la spesa esagerata in tempi di crisi su opere che potrebbero facilmente essere confuse con un mucchio di spazzatura, un mucchio di metalli di scarto o beni di consumo trovati nei supermercati28. È quindi incaricato l’artista di sapere come difendersi, cosa che Joseph Beuys ha fatto, ad esempio a Bale, quando si è mescolato a una dimostrazione anti-Beuys volta a criticare l’acquisto di un’opera di Beuys ( “Foyer I”) da parte della città per il suo museo, a un costo di 300.000 franchi svizzeri. Nel cuore della manifestazione, Beuys riuscì a invertire la situazione attraverso una dimostrazione di magia comunicativa. Ha distribuito volantini contro di sé e ha firmato le giacche sentite di alcuni manifestanti, che partono con “un Beuys”, non osavano più scartarli. Al traguardo, Beuys è stato lasciato con tutti gli accessori della manifestazione e ha fatto un’installazione con loro, che ha dato al museo, realizzando quello che era stato annunciato nelle manifestanti volantini: “stiamo facendo un ‘Foyer II’, che non costa niente “(videocassetta, programma ARTE). Di fronte a un’arte e un giudizio di gusto che non ha più il coraggio di affermare e di affrontare l’impianto delle mega- strutture dalle potenze economiche industriali, ciò che è scomparso è, secondo Françoise Choay, la competenza per edificare, o ancora una volta, le arti che “appartiene ai corpi corporali”. Propone di pensare all’edificazione negli interstizi di un mosaico di spazi, Choay lo definisce come “competenza per incantare” e sottolinea che richiede, per esistere, strutture legali e istituzionali.