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Il ruolo della giurisprudenza nella ricostruzione del principio del legittimo affidamento

IL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO NEL DIRITTO TRIBUTARIO

1. I L RICONOSCIMENTO DEL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO : L’ ART 10 L.212/2000.

1.2. Il ruolo della giurisprudenza nella ricostruzione del principio del legittimo affidamento

La portata operativa del legittimo affidamento è stata oggetto di alcune pronunce giurisprudenziali che hanno segnato l’evoluzione del modo di intenderne la tutela nel rapporto tributario.

Il carattere immanente del principio della tutela dell’affidamento è stato, innanzitutto, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa.

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Nella giurisprudenza della Corte costituzionale19, la tutela dell’affidamento è ricondotta al

principio della certezza del diritto; la tutela dell’affidamento riposto dal contribuente nelle conseguenze prevedibilmente ricollegabili alle proprie azioni diventa lo strumento per rendere giustiziabile il diritto del singolo a programmare i propri comportamenti sulla base delle condizioni normative presente in un dato periodo storico, diritto che traduce, sul piano soggettivo, il principio di certezza20.

Nella giurisprudenza amministrativa, la tutela dell’affidamento interviene essenzialmente come limite all’autotutela, cioè al potere dell’Amministrazione di ritirare i propri atti, perché inopportuni o perché illegittimi. In particolare, il legittimo affidamento è posto a presidio delle situazioni giuridiche consolidatesi per effetto del trascorrere del tempo. La tutela dell’affidamento è ricondotta al principio della certezza del diritto, quale principio dello Stato di diritto e al principio di buona fede, che seppure sia esplicitato positivamente solo nell’ambito del diritto civile, viene ritenuto operante anche nel diritto pubblico in quanto desumibile dai principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.

Negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della L. 212/2000, in particolare, si è delineato un filone giurisprudenziale inteso a precisare il contenuto del principio della tutela del legittimo affidamento e la sua rilevanza nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente.

In un primo momento, la giurisprudenza ha riconosciuto il principio della tutela del legittimo affidamento come circoscritto all’ambito sanzionatorio, in ossequio al tenore letterale dell’art. 10, II comma, Statuto.

Secondo i Giudici della Corte di Cassazione – con la sentenza n. 2133 del 14 Febbraio

2002 – le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonti di diritti ed

obblighi, pertanto qualora il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione in una circolare, successivamente modificata, è esclusa l’irrogazione delle relative sanzioni.

19 Per un maggiore approfondimento, si rinvia al Capitolo II. 20 Come afferma, C. MONACO, op. cit, pp. 59.

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Tale primo orientamento è stato in parte innovato con la successiva, e più nota, sentenza n. 17576 del 10 dicembre 200221, con la quale la Corte di Cassazione ha compiuto un

importante passo nella progressiva affermazione della tutela del legittimo affidamento del contribuente.

La sentenza tende, infatti, ad uno sforzo dogmatico di ricostruzione del fondamento e del contenuto del principio di tutela dell’affidamento22; essa offre altresì spunti di riflessione

sul valore ermeneutico e sistematico da attribuire ai principi statutari.

I Giudici di legittimità, affermandone la natura di “principio”, riconoscono alla tutela del legittimo affidamento una capacità espansiva non limitata alla previsione di cui all’art. 10 dello Statuto.

Il legittimo affidamento, in quanto naturale svolgimento dei principi di collaborazione e

di buona fede in senso oggettivo, integra la regula juris ultima di una serie indeterminata di casi concreti: le esplicite ipotesi di cui all’art. 10, comma II, possono considerarsi espressioni esemplificative del principio stesso, quali casi ritenuti dal legislatore maggiormente frequenti23.

I giudici giungono a tale conclusione attraverso l’indagine sull’estensione del principio di tutela dell’affidamento, sul suo carattere immanente o innovativo nell’ordinamento. Era preminente, in effetti, l’esigenza di comprendere quale portata potesse avere il principio in questione rispetto ai fatti specifici della causa anteriori alla promulgazione dello Statuto, non potendo fare applicazione diretta né applicazione retroattiva dell’art. 10 L. 212/2000.

21 La sentenza ha ad oggetto una violazione della normativa Iva commessa da una società commercial, la quale aveva acquistato beni in sospensione d’imposta per un ammontare superiore a quello consentito dalla legge. In particolare, nel contestare la violazione l’Ufficio finanziario aveva indicato, erroneamente, la possibilità di regolarizzare la vertenza mediante un timbro impresso con la dicitura “sanatoria art. 21 D.L. n. 69/1989”. Invero tale possibilità era prevista esclusivamente per violazioni formali; così l’Ufficio a distanza di tre anni procedeva alla contestazione nei confronti della società, richiedendo l’imposta evasa.

22 Come afferma C. MONACO, I principi fondamentali dell’ordinamento tributario tra diritto

costituzionale, diritto comunitario e diritto pubblico: indicazioni sistematiche sulla genesi e sul ruolo ad essi attribuibile nel diritto tributario in una recente pronuncia della Cassazione, in Riv.

dir. fin., II, 2003, pp. 52. 23 Ancora G. GRASSO, op. cit.

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All’esito di tale indagine, la Cassazione afferma l’esistenza e l’operatività dei principi generali dell’ordinamento tributario indipendentemente dalla loro espressa previsione normativa, riconoscendo la superiorità assiologia delle disposizioni dello Statuto, da cui discende la loro funzione di orientamento ermeneutico vincolante per l’interprete. È, quindi, riconosciuto il collegamento tra norme statutarie e norme costituzionali, nel senso che un’interpretazione che si conformi allo Statuto finisce per conformarsi alla Costituzione, con conseguente applicazione delle norme statutarie anche a fattispecie anteriori all’entrata in vigore della L. 212/2000.

Ma, si badi, tali argomentazioni non sono suscettibili di applicazione rispetto a tutte le disposizioni statutarie, poiché per le disposizioni che hanno innovato la legislazione precedente non è possibile riconoscere carattere immanente all’ordinamento tributario. Ciò chiarito, appare necessario precisare il senso e la portata di alcuni passaggi di tale importante sentenza.

Innanzitutto, la fattispecie sottoposta al giudizio della Suprema Corte riguardava gli effetti del condono e il loro rapporto rispetto alla definitività del rapporto tributario controverso.

Da qui, la necessità di indagare se l’ordinamento tributario tutela l’affidamento riposto dal contribuente nelle indicazioni dell’Amministrazione e se tale tutela possa applicarsi al caso di cui sopra.

Secondo i Giudici di legittimità, l’applicabilità dell’art. 10 Statuto ad un rapporto tributario sorto precedentemente all’entrata in vigore della Legge n. 212/2000 si fonda su un duplice rilievo:

1. l’auto-qualificazione delle disposizioni dello Statuto in termini di norme di attuazione costituzionale e di principi generali dell’ordinamento tributario;

2. il carattere immanente e non innovativo del principio in oggetto.

Rispetto al punto 1, la Corte ritiene che dall’auto-qualificazione delle norme discenda un significato normativo rilevante per l’interprete, insito nella funzione di orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell’interpretazione.

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Ne deriva il riconoscimento di una superiorità assiologia delle disposizioni statutarie, idonea a vincolare l’interprete che sarà tenuto a risolvere eventuali dubbi sul significato e sulla portata di una disposizione tributaria nel senso più conforme ai principi statutari. Rispetto al punto 2, la disposizione contenuta nell’art. 10 L. 212/2000 deve ritenersi espressione di un principio immanente nel diritto tributario; espressione del principio di collaborazione, buona fede e tutela dell’affidamento nei rapporti tra contribuente e Pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost.; espressione del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.; espressione del canone di ragionevolezza delle scelte legislative ex art. 3 Cost.

Nel filone giurisprudenziale indicato, si inserisce un’altra sentenza degna di annotazione. Si tratta della sentenza n. 21513 del 200624, con la quale la Corte di cassazione torna sul

tema della tutela dell’affidamento nell’ordinamento tributario.

La sentenza si segnala per aver posto in rilievo la questione dell’idoneità del comportamento storicamente assunto dall’ente creditore a fondare un accertamento ragionevole e, quindi, meritevole di tutela.

Tale questione è analizzata con riferimento alla portata dell’art. 10, comma II, L. 212/2000, evidenziando che la stessa può estendersi oltre al divieto di recupero di sanzioni ed interessi poiché “i casi di tutela ivi enunciati riguardano situazioni

meramente esemplificative, legate ad ipotesi maggiormente frequenti, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti”.

I primi commentatori della sentenza hanno evidenziato alcuni aspetti critici.

Con riguardo al merito, la diversa interpretazione della vicenda potrebbe condurre a difformi conclusioni proprio sul punto della tutelabilità dell’affidamento.

24 I fatti di causa, relativi ad avviso di accertamento per la ripresa di significativi importi che si assumevano dovuti a titolo di tassa ed accessori per il ritiro e lo smaltimento di rifiuti solidi, mettono in luce in particolare la questione che involge la tutelabilità delle legittime aspettative. Il contribuente lamentava il comportamento contraddittorio dell’ente locale creditore, che prima aveva accolto una richiesta di riduzione della propria pretesa salvo poi inopinatamente tornare sulla propria decisione.

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In effetti, l’affidamento «non è una situazione soggettiva di cieca e supina fiducia, ma implica una ragionevole valutazione delle circostanze che generano lo stato soggettivo de

quo»25.

Se la tutela dell’affidamento implica la ragionevolezza dell’affidamento e la meritevolezza di tutela, si presenta il rischio di inevitabile soggettivismo nel considerare l’affidamento ragionevole. Infatti, la ragionevolezza dell’affidamento implica un

minimum di diligenza in chi valuta l’altrui contegno e ripone in esso fiducia.

Ebbene, soltanto per i profili sanzionatori, il legislatore pare garantire salvaguardia a qualsiasi situazione di aspettativa, a prescindere da un sindacato di ragionevolezza. Rispetto a tale indicazione, la sentenza in esame segna un punto di rottura poiché passa

dal riconoscimento dell’esistenza di una situazione di affidamento tutelabile alla conseguente esclusione del recupero della maggiore imposta dovuta, giustificata dal riconoscimento che l’art. 10, comma II, Statuto sarebbe un precetto esemplificativo, capace di applicarsi ad una serie indefinita di possibili fattispecie ed espressivo di un principio generale.

Al pari della precedente pronuncia della Cassazione, l’esclusione della legittimità del recupero non solo delle sanzioni e degli interessi, ma anche dell’imposta è giustificata dalla circostanza, comune alle due pronunce, secondo la quale l’informazione amministrativa (e il comportamento dell’ente creditore) riguarda un caso specifico, concreto e personale, per tale motivo capace di generare una situazione “di favore” o di vantaggio.

Si badi, inoltre, che il comportamento dell’ente creditore, valutato esclusivamente con riguardo all’evidenziato contrasto con l’art. 10 Statuto, integra una violazione di legge dalla quale deriva l’illegittimità dell’atto di recupero dell’imposta, oltre che di sanzioni e

25 M. TRIVELLIN, Un’altra pronuncia della Cassazione esclude il recupero del tributo per

violazione del principio di tutela dell’affidamento: alcune note sulle ragioni della soluzione adottata, nota a sentenza Cass., sez. trib., 6 ottobre 2006, sent. n. 21513, in Riv. dir. trib., II, 2007.

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interessi. Alcuno spazio, invece, vi è per la valutazione dell’interesse pubblico – finanziario al recupero delle somme.

In sostanza, non sussistendo alcuna questione di discrezionalità, ciò che rileva è la doverosità del potere pubblico e il dovere di correttezza dinanzi alle condizioni oggettive che generano situazioni di aspettativa: la condotta contraddittoria è vietata ed impedita dai doveri di buona fede. Per tale ragione, alcuna rilevanza è riconosciuta al decorso del tempo, che pertanto non appare un elemento da valutare per la tutela dell’affidamento. Così considerato, dalla pronuncia in esame si possono estrapolare i seguenti principi:

1. La tutela dell’affidamento di fronte ad indicazioni e comportamenti amministrativi che si riferiscono specificatamente e concretamente al contribuente e che fondano, per il medesimo, “situazioni latu sensu di vantaggio” deve essere piena e può spingersi sino ad escludere il recupero dell’imposta;

2. il recupero retroattivo del prelievo è illegittimo per violazione del principio statutario di buona fede e tutela dell’affidamento, senza che rilevi l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità;

3. ai fini della tutela parrebbe irrilevante il decorso del tempo tra il fatto generatore dell’aspettativa legittima e il ripensamento dell’ufficio.

La Corte di Cassazione torna ad affrontare e analizzare il contenuto del principio della tutela del legittimo affidamento del contribuente con la sentenza n. 15224 del 12

settembre 2012.

I Giudici affermano che “l’art. 10, comma II, L. 212/2000, nel tutelare l’affidamento del

contribuente che si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, limita gli effetti di tale tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria, diversamente dall’art. 11 della medesima legge, il quale, nel disciplinare il caso in cui il contribuente si sia adeguato ad un esplicito responso dell’Amministrazione, motivatamente espresso in esito alla particolare procedura dell’interpello, prevede la nullità degli atti impositivi che siano in contrasto con il risultato dell’istanza”.

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Dunque, ancora una volta, la Suprema Corte affronta il tema della debenza o meno del tributo nel caso di violazione del legittimo affidamento. Riaffiora il quesito se la tutela dell’affidamento del contribuente possa giustificare l’inesegibilità dell’imposta, anche se oggettivamente prevista dalla legge.

Per rispondere a tale quesito, i Giudici di legittimità ripropongono la contrapposta concezione tra due orientamenti.

Un primo orientamento26 riconosce che l’art. 10, comma II, Statuto espone situazioni

meramente esemplificative senza limitare la portata del generale principio di buona fede e affidamento del contribuente, come sancito al comma I della stessa norma, idonea pertanto a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti. E da tale riconoscimento fa discendere l’illegittimità della pretesa tributaria in ragione del carattere precettivo sostanziale che conferisce rilevanza al principio del legittimo affidamento al di là dell’ambito sanzionatorio.

Un secondo e diverso orientamento – a cui aderisce la sentenza indicata – non consente l’estensione della tutela dell’affidamento anche alla debenza dell’imposta, sulla base di un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 10 Statuto, che nulla dispone rispetto alla pretesa fiscale a differenza dell’art. 1127 Statuto in materia di interpello. Pertanto,

solo in questa ultima ipotesi il Legislatore ha espressamente previsto l’esclusione per il contribuente dalla pretesa fiscale.

Diversamente, l’estensiva applicazione della tutela dell’affidamento sarebbe in conflitto con il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria il carattere vincolato del potere di accertamento renderebbe irrilevante il diverso convincimento del contribuente, anche se ingenerato dalla condotta dell’Amministrazione finanziaria.

26 Cass. Civ., 29 agosto 2007, n 18218; Cass. Civ. 6 ottobre 2006, n. 21513; Cass. Civ., 14 aprile 2004, n. 7080; Cass. Civ. 10 dicembre 2002, n. 17576.

27 L’art. 11, comma II, Statuto così recita: “La risposta dell’Amministrazione finanziaria, scritta e

motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente. Qualora essa non pervenga al contribuente entro il termine di cui al comma 1, si intende che l’Amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente. Qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta ai sensi del periodo precedente, è nullo”.

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Più recentemente, tale ultimo orientamento ha trovato conferma nella sentenza n.

2223/2018, con la quale la Corte di cassazione ha affrontato il tema della tutela

dell’affidamento e della buona fede nei rapporti tra Fisco e contribuente con riferimento al caso in cui il contribuente si doleva della revoca di un’agevolazione, di cui aveva usufruito facendo affidamento anche sui chiarimenti forniti in una circolare e in una risoluzione dell’Amministrazione finanziaria.

I Giudici giungono a rigettare il ricorso del contribuente affermando che la tutela dell’affidamento può operare nell’escludere l’applicazione delle sanzioni e degli interessi, ferma restando la debenza dell’imposta.

Invero tale conclusione, seppure possa apparire coerente all’interpretazione meramente letterale dell’art. 10 Statuto richiamata dalle ultime pronunce giurisprudenziali, suscita alcune perplessità poiché argomentata sulla base di un’interpretazione estremamente restrittiva dei commi I e II dell’art. 10.

Per meglio precisare, i Giudici di legittimità ritengono che tali disposizioni opererebbero a favore del contribuente non in qualsiasi caso, ma al ricorrere di determinati presupposti, quali:

- apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso sfavorevole al contribuente;

- buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dal rispetto del dovere di correttezza;

- eventuali circostanze specifiche rilevanti

Ebbene il riferimento alla buona fede, che viene parametrata alla condotta corretta del contribuente, rinvia ad un “requisito di diligenza”, posto a carico del contribuente senza che sia richiesto dall’art. 10 Statuto.

Si restringe, così, ulteriormente l’ambito applicativo della tutela del legittimo affidamento: essa, nonostante il dato normativo di cui all’art. 10, non opererebbe nei casi in cui l’Amministrazione finanziaria abbia reso chiarimenti rispetto a norme, considerate di agevole lettura.

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2. IL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO NEL RAPPORTO TRA CONTRIBUENTE E