7.5. Malattia metastatica (M1)
7.5.3. Terapia della malattia resistente alla castrazione (CRPC)
7.5.3.1. Premesse
La definizione di malattia resistente alla castrazione (CRPC) si applica a un gruppo di pazienti piuttosto
eterogeneo, sia dal punto di vista clinico che biologico, affetti prevalentemente da malattia localmente
avanzata o metastatica, che sono in progressione dopo un trattamento di prima linea con deprivazione
androgenica (ADT), purchè sia presente, in ogni caso, una condizione di soppressione gonadica
“ottimale” (TST ≤ 0.5 ng/ml)
1. La progressione di malattia viene attualmente definita secondo i criteri del
Prostate Cancer Working Group (PCWG)3
2.
Prima di definire una progressione di malattia in corso di terapia androgeno-deprivativa un fallimento
della terapia, è opportuno, se non necessario, accertarsi che il trattamento in corso sia adeguato e che
venga assunto regolarmente dal paziente. In caso contrario, il trattamento androgeno-deprivativo
dovrebbe essere opportunamente adeguato. La maggior parte dei pazienti trattati con LH-RH agonisti o
antagonisti raggiungono valori sierici di testosterone inferiori a quelli di castrazione (≤ 0.5 ng/ml). Tuttavia il
13-38% dei pazienti non raggiunge questo valore soglia, né, tantomeno, livelli ≤ 0,2 ng/ml, ritenuti da alcuni
più consoni ai livelli di castrazione; inoltre nel 2-13% dei pazienti in terapia con LH-RH agonisti è possibile
osservare picchi di testosteronemia durante il trattamento a lungo termine. oltre al picco iniziale tipico delle
prime 3-4 settimane di trattamento e da bloccare con antiandrogeni perifierici
3-6.
È ampiamente condiviso il fatto che i livelli di testosterone sierico debbano essere valutati per
confermare lo stato di effettiva resistenza alla castrazione nei pazienti nei quali si evidenzi un aumento
del PSA e/o segni clinici di progressione in corso di terapia androgeno-deprivativa. Qualora i livelli di
testosterone si dimostrino superiori alla soglia di castrazione (definita da livelli di TST almeno ≤0,5 ng/ml), è
consigliabile adeguare la terapia androgeno-deprivativa: 1) sostituendo l’analogo LH-RH ,
considerando che la farmacocinetica e la farmacodinamica dei diversi preparati a disposizione può
variare in funzione oltre che del principio attivo, anche delle diverse formulazioni, dosaggi e vie di
somministrazione; 2) passando a LH-RH antagonista (considerando la diversa farmacodinamica e
l’effetto immediato e costante della soppressione dei livelli di TST e delle gonadotropine indotto dagli
antagonisti rispetto agli LH-RH agonisti); 3) sottoponendo il paziente a castrazione chirurgica
(soprattutto nei casi non complianti al trattamento farmacologico). Solo i pazienti che continuano a
progredire dopo l’adeguamento della terapia androgeno-deprivativa, quando necessario, possono
essere considerati “resitsenti alla castrazione”
Il mantenimento di una soppressione androgenica adeguata è comunque consigliato anche nei pazienti
che diventano resistenti alla castrazione, considerando che anche in questi pazienti il recettore per gli
androgeni (AR) mantiene un ruolo di driver della progressione neoplastica e che il trattamento con i
nuovi farmaci inibitori della trascrizione dell’AR (ARSi) richiede comunque che sia soddisfatta questa
condizione.
Ciò premesso, si stima che al momento del riscontro di CRPC, più dell’80% dei casi abbia già metastasi
ossee
2e che dei pazienti non metastatici alla diagnosi, circa un terzo sia destinato a sviluppare metastasi nei
successivi 2 anni
7.
Benchè questi dati di prevalenza siano da considerare con cautela, è certo che il paziente affetto da
mCRPC abbia generalmente prognosi infausta, con una sopravvivenza mediana attesa che fino a pochi
anni fa era di circa 14 mesi
7. Parametri prognostici indipendenti storicamente validati sono: il performance
status, i valori basali di emoglobina, i livelli circolanti di LDH, fosfatasi alcalina e PSA nonché il Gleason
score alla diagnosi
8,9.
Le opzioni di trattamento disponibili per questa fase di malattia sono aumentate considerevolmente
nel giro di pochi anni e includono nuovi chemioterapici, oltre al docetaxel, nuove terapie ormonali,
radio-composti e terapie immunologiche. Le nuove terapie ormonali sono state inizialmente testate a
fallimento della chemioterapia di I linea con docetaxel, che, ha a lungo rappresentato lo standard terapeutico
nel paziente mCRPC e solo successivamente nei pazienti “chemo-naïve”, cioè prima di una chemioterapia
con Docetaxel,
alla quale, artificiosamente, è stata attribuita un ruolo discriminante nella storia naturale della malattia.
Nella realtà, infatti, lo “spartiacque” tra pazienti pre-docetaxel e pazienti post-docetaxel è stato generato da
ragioni di tipo etico, che hanno inizialmente limitato lo sviluppo dei nuovi ARSI nei pazienti che non più
responsivi al docetaxel, che da presupposti di tipo clinico e tantomeno biologico. Solo recentemente sono
apparsi in letteratura dati relativi a potenziali fattori predittivi di risposta ai nuovi farmaci (ad esempio le
varianti del recettore androgenico e/o variabili di tipo genetico, che, se validati in studi prospettici,
potrebbero aiutare a differenziare i pazienti con maggior probabilità di risposta alle nuove terapie e alla
chemioterapia (vedi anche capitolo 2)
10,11.
Bibliografia Terapia CRPC: premesse
1. Kirby M, Hirst C, Crawford ED. Characterising the castration-resistant prostate cancer population: a systematic review. Int J Clin Pract 2011; 65(11): 1180-92.
2. Scher HI, Morris MJ, Stadler WM, et al. Trial Design and Objectives for Castration-Resistant Prostate Cancer: Updated Recommendations From the Prostate Cancer Clinical Trials Working Group 3. J Clin Oncol 2016; 34(12): 1402-18.
3. Tombal B, Berges R. Corrigendum to: “How good do current LHRH agonists control testosterone? Can this be improved with Eligard®?” [Eur Urol Suppl 4/8 (2005) 30-6]. Eur Urol 2006; 49(5): 937
4. Morote J, Orsola A, Planas J, et al. Redefining clinically significant castration levels in patients with prostate cancer receiving continuous androgen deprivation therapy. J Urol 2007; 178(4 Pt 1): 1290-5.
5. Yri OE, Bjoro T, Fossa SD. Failure to achieve castration levels in patients using leuprolide acetate in locally advanced prostate cancer. Eur Urol 2006; 49(1): 54-8.
6. Shayegan B, Pouliot F, So A, et al., Testosterone monitoring for men with advanced prostate cancer: Review of current practices and a survey of Canadian physicians. Canadian Urological Association journal = Journal de l'Association des urologues du Canada 2017; 11(6): 204-9.
7. Kirby M, Hirst C, Crawford ED. Characterising the castration-resistant prostate cancer population: a systematic review. Int J Clin Pract 2011; 65(11): 1180-92.
8. Berry WR, Laszlo J, Cox E, et al., Prognostic factors in metastatic and hormonally unresponsive carcinoma of the prostate. Cancer 1979; 44(2): 763-75.
9. Halabi S, Small EJ, Kantoff PW, et al. Prognostic model for predicting survival in men with hormone-refractory metastatic prostate cancer. J Clin Oncol 2003; 21(7): 1232-7.
10 Antonarakis ES, Lu C, Wang H, et al. AR-V7 and resistance to enzalutamide and abiraterone in prostate cancer. The New England journal of medicine 2014; 371(11): 1028-38.
11 Cattrini C, Zanardi E, Vallome G, et al., Targeting androgen-independent pathways: new chances for patients with prostate cancer? Crit Rev Oncol Hematol. 2017 Oct;118:42-53.
7.5.3.2. CRPC: Terapia di prima linea
Fino a pochi anni orsono, i pazienti che progredivano sotto ADT venivano sottoposti ad ulteriori
manipolazioni ormonali sulla base dela dimostrata esistenza di mutazioni a carico di AR responsabili di una
resistenza selettiva ai farmaci utilizzati in prima istanza
1,2,3. In particolare i pazienti che progredivano dopo
LH-RH analogo venivano indirizzati a terapia aggiuntiva con un antiandrogeno non steroideo, quelli che
progredivano dopo monoterapia con antiandrogeni venivano assegnati a terapia aggiuntiva con LH-RH
analogo, quelli inizialmente trattati con BAT venivano sottoposti alla sospensione dell’antiandrogeno non
steroideo. Tale manovra terapeutica induce infatti una risposta (withdrawal response), anche se in genere
limitata alla riduzione dei valori di PSA e di breve durata, nel 15-35% dei pazienti.
Questa sequenza è tutt’ora seguita in alcuni centri e da parte di alcuni specialisti. Tuttavia nella
pratica clinica è attualmente più comune sottoporre direttamente i pazienti in progressione dopo
soppressione androgenica a trattamento con i farmaci ormonali di nuova generazione, come
Abiraterone acetato o Enzalutamide, ovvero con chemioterapia.
Per quanto riguarda i farmaci ormonali di nuova generazione (Abiraterone, Enzalutamide) si veda anche
capitolo sulla terapia del carcinoma prostatico ormono-sensibile (paragrafo 7.5.1). Questi farmaci sono stati
inizialmente testati a fallimento di una terapia di prima linea con Docetaxel, che per anni ha rappresentato il
trattamento di prima linea standard; solo successivamente, sono stati testati in prima linea, prima di ricevere
il docetaxel.
Lo studio COU-AA-302
4è uno studio di fase III di confronto tra Abiraterone e prednisone versus placebo e
prednisone, in cui sono stati arruolati 1088 pazienti con CRPC M1, asintomatici o pauci-sintomatici e senza
metastasi viscerali. Abiraterone ha prodotto un incremento significativo della sopravvivenza libera da
progressione radiologica (r-PFS): 16.5 mesi (braccio Abiraterone Acetato + prednisone) vs 8.3 mesi (braccio
placebo + prednisone) HR 0.53; (95% IC, 0.45-0.62; p<0.001) e della OS: 34.7 mesi vs 30.3 mesi,
rispettivamente (HR 0.81 [95% CI, 0.70-0.93]; p=0.003), entrambi endpoint primari dello studio. I risultati
finali del COU-AA-302
5confermano, ad un follow up mediano di 49.2 mesi, il vantaggio del trattamento con
Abiraterone Acetato in termini di OS (34.3 vs 30.7 mesi, HR 0.81, CI 95 % 0.70-0-93 p = 0.003).
Lo studio di fase III PREVAIL
6, ha arruolato 1717 pazienti affetti da CRPC M1, che presentavano metastasi
ossee, linfonodali o viscerali, asintomatici o lievemente sintomatici; i pazienti sono stati randomizzati a
ricevere Enzalutamide, 160 mg/die oppure placebo. La OS e la sopravvivenza libera da progressione
radiologica erano gli endpoint primari. Il trial è stato interrotto dopo che un'analisi ad interim, condotta dopo
i primi 540 decessi, aveva mostrato una percentuale di rPFS a 12 mesi del 65% nei pazienti trattati con
Enzalutamide, rispetto al 14% osservato nei pazienti trattati con placebo, con una riduzione dell’81% del
rischio di progressione radiologica (HR 0.29; CI 95% 0.15-0.23; p <0.001). In totale, 626 pazienti (72%) nel
gruppo Enzalutamide e 532 pazienti (63%) nel gruppo placebo, erano vivi al momento dell’analisi, con una
riduzione del 29% del rischio di morte (HR 0.71, 95%CI 0.60-0.94; p <0.001). Anche in questo caso,dati
più recenti
7,successivi alla chiusura dello studio per manifesta superiorità e al crossover dal gruppo placebo
al trattamento con Enzalutamide, confermano il vantaggio in termini di OS (35.3 mesi vs 31,3; HR 0.77,
95%CI 0.67-0.88; p = 0.0002) e di rPFS (20 mesi contro 5.3; HR 0.32 95%CI 0.28-0.37; p < 0.0001).
I risultati di questi studi suggeriscono che Abiraterone ed Enzalutamide dovrebbero essere presi in
considerazione nei pazienti metastatici chemo-naïve asintomatici o pauci-sintomatici, specie se si
ritiene preferibile differire l’uso della chemioterapia con Docetaxel e comunque nei pazienti “unfit”
per la chemioterapia
4-7. Non essendo disponibili studi di confronto diretto, non è possibile definire
quale dei due farmaci vada preferito all’altro. Sono pertanto importanti, ai fini decisionali, le
caratteristiche della malattia, la presenza o meno di sintomi e di metastasi viscerali, l’evidenza di
efficacia in funzione delle variabili precedenti, il profilo di tossicità in base anche alle eventuali
comorbidità del paziente (un’anamnesi positiva per episodi comiziali potrebbe controindicare l’uso di
Enzalutamide facendo preferire Abiraterone, mentre quest’ultimo, che necessita della co-somministrazione
di prednisone, potrebbe essere meno indicato nei pazienti diabetici, ipertesi o con severe comorbidità
cardiologiche).
Per quanto riguarda l’uso della chemioterapia, è necessario ricordare che non esistono studi di confronto
diretto tra docetaxel e le altre opzioni terapeutiche attualmente disponibili come terapia di prima linea nel
trattamento del mCRPC. È importante comunque sottolineare come Docetaxel sia stato il primo
chemioterapico ad incrementare in maniera statisticamente significativa la sopravvivenza globale nei pazienti
affetti da mCRPC.
Lo studio TAX 327, pubblicato nel 2004 da Tannock, è uno studio di fase III condotto su 1006 pazienti,
affetti da carcinoma della prostata resistente alla castrazione con metastasi a livello osseo, viscerale e/o
linfonodale, randomizzati a ricevere docetaxel con due schedule differenti (75 mg/m2 trisettimanale o 30
mg/m2 settimanale) entrambe in associazione a prednisone (10 mg/die), o mitoxantrone (12 mg/m
2trisettimanale) più prednisone (10 mg die)
8. Nel confronto tra i pazienti trattati con docetaxel rispetto ai
pazienti trattati con mitoxantrone si è osservato un vantaggio significativo in OS con la schedula
trisettimanale rispetto al mitoxantrone (HR 0.76 [95% IC 0.62-0.94] p=0.009), ma non con la schedula
settimanale (HR 0.91 [95% CI 0.75-1.11; p=0.36]). Tale beneficio, evidente sia nei pazienti asintomatici che
in quelli sintomatici, è stato ottenuto a scapito di un aumento della tossicità. Nello studio TAX 327 infatti
l’incidenza di neutropenia di grado 3-4 è risultata pari al 32% nel gruppo docetaxel trisettimanale, 22% nel
gruppo mitoxantrone e 5% nel gruppo docetaxel settimanale; infrequente comunque l’incidenza di
neutropenia febbrile (3% nel gruppo docetaxel trisettimanale, 2% nel gruppo mitoxantrone, 0% nel gruppo
docetaxel settimanale).
Lo studio SWOG 99-16
9, condotto su 770 pazienti affetti da mCRPC a livello osseo, viscerale e/o
linfonodale, è uno studio randomizzato di fase III che ha anch’esso comparato in termini di OS, endpoint
primario dello studio, l’efficacia del trattamento con docetaxel (ad un dosaggio iniziale di 60 mg/m
2q21,
incrementabile a 70 mg/m
2qualora dopo il primo ciclo non si fossero verificate tossicità G 3-4) in
associazione ad estramustina fosfato (280 mg tre volte al giorno, nei primi 5 giorni del ciclo di terapia) e
prednisone (10 mg al giorno) contro mitoxantrone (12 mg/m
2q21, incrementabile a 14 mg/m
2se non si
fossero verificate tossicità ematologiche G 3-4 al primo ciclo) in associazione a prednisone 10 mg al giorno.
Ad un follow-up mediano di 32 mesi, è stata osservata una sopravvivenza mediana di 17,5 mesi nel braccio
docetaxel + estramustina contro 15,7 mesi nel braccio di controllo con Mitoxantrone (HR 0.80 [95% CI
0.67-0.97] p= 0,02). In questo studio, non si è evidenziata una differenza statisticamente significativa in termini di
neutropenia tra i due bracci di trattamento, mentre nei pazienti trattati con l’associazione
docetaxel-extramustina si è osservato un numero maggiore di casi di neutropenia febbrile rispetto a mitoxantrone (5 %
vs. 2 %, rispettivamente; p=0.01), così come un incremento significativo di eventi cardiovascolari (15 % vs.
7 %, rispettivamente; p=0.001), nausea e vomito (20 % vs. 5 %, rispettivamente; p<0.001), ed eventi
neurologici (7 % vs. 2 %, rispettivamente; p=0.001).
L’elevata tossicità della combinazione Docetaxel-estramustina e l’indisponibilità di quest’ultimo farmaco,
hanno fatto del Docetaxel trisettimanale lo standard nel trattamento dei pazienti mCRPC. La comunque non
trascurabile tossicità della schedula trisettimanale ha indotto a valutare l’efficacia e la tossicità di schedule
alternative. Recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio che ha valutato una schedula
bisettimanale a dosaggio intermedio di docetaxel (50 mg/mq), riportando risultati persino superiori a quelli
ottenuti con la tradizionale schedula trisettimanale
10. Lo studio di Kellokumpu-Lehtinen et al., pubblicato
nel 2013 ha arruolato 361 pazienti che sono stati randomizzati a ricevere docetaxel con schedula
trisettimanale (75 mg/mq q21) o con schedula bisettimanale (50 mg/mq q 14)
10. L’endpoint primario dello
studio era il Time to Treatment Falure (TTTF), inteso come il tempo dalla randomizzazione alla
progressione, morte, comparsa di tossicità inaccettabile o alla sospensione del trattamento per altri motivi,
mentre endpoint secondari erano la OS, la PSA response, la tumor response, la QOL e latossicità. Nel braccio
trattato con docetaxel bisettimanale, il TTTF mediano è risultato essere significativamente maggiore rispetto
al braccio trattato con la schedula standard (5.6 mesi vs 4.9 mesi, HR 1.3 [95%CI 1.1–1.6; p=0.014]), anche
se tale differenza è stata in assoluto di soli 0.7 mesi.
Non esistono raccomandazioni specifiche relative alla durata ottimale del trattamento con Docetaxel, che di
solito è modulata sulla risposta alla terapia e sulla tollerenza del paziente. Vista comunque la tossicità
piuttosto elevata, evidentemente non è possibile pensare di utilizzare il farmaco fino a progressione anche nei
pazienti responsivi o stabili. Comunemente non si supera il limite dei 10 cicli, facendo riferimento al fatto
che nello studio TAX 327 (in base al quale è stata ottenuta la registrazione del farmaco) il numero massimo
di cicli previsti dal protocollo era 10.
Alla luce dei risultati ottenuti nel trattamento di prima linea dei pazienti affetti da mCRPC, docetaxel
rappresenta tutt’ora il farmaco chemioterapico di riferimento, quando si ritenga di preferire la
chemioterapia alle altre opzioni terapeutiche disponibili, ad esempio nel caso di pazienti che presentino
malattia viscerale o sintomatica o che presentino, comunque, una malattia maggiormente aggressiva.
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