• Non ci sono risultati.

Il ruolo delle reti di impresa PMI

Negli ultimi anni, come già detto pocanzi, si è sviluppata la necessità delle PMI di aggregarsi in reti per incrementare la propria capacità competitiva senza perdere la propria indipendenza e non essere, così, spazzati via dalla concorrenza, che meglio riesce a governare il cambiamento attraverso una spiccata capacità di innovare, esportare e connettersi a filiere produttive e commerciali non più locali o nazionali, ma su scala mondiale66. La presenza di questo contesto competitivo unito alla forte frammentazione del tessuto nazionale ha evidenziato la necessità di avere aggregazioni di imprese, lo stesso Governo infatti nel Programma Nazionale di Riforma 2015 afferma che “l’economia italiana benché sia caratterizzata dalla predominanza di MPMI, è tipicamente organizzata in cluster (distretti, reti collaborative di impresa, filiere produttive, gruppi, consorzi, A.T.I.) con il compito appunto di sopperire ai limiti connessi alle ridotte dimensioni. I cluster, pertanto, rappresentano una modalità organizzativa molto flessibile che può aiutare a conseguire un vantaggio competitivo che permette, soprattutto per quanto riguarda le piccole imprese, il raggiungimento delle migliori performance”67.

Le reti di impresa non rappresentano l’unico strumento di aggregazione, ma esistono altri strumenti giuridici “similari”, quali contratto di società o di consorzio, A.T.I. (Associazione Temporanea d’Imprese), R.T.I. (Raggruppamento temporaneo d’Imprese), joint venture, contratto di franchising, e altri ancora.

66SIGNORINI L.F., OMICCIOLI M., Economie locali e competizione globale: il localismo italiano di fronte a nuove sfide, Bologna, Il Mulino, 2005, 20-25.

82

Prima di illustrare le reti di impresa e analizzare il contratto che li disciplina, appare opportuno accennare brevemente alla dinamica che ha visto l’evoluzione dei distretti in reti di impresa.

La prima nozione di distretto industriale risale al 1867 quando, Alfred Marshall nella sua opera “Industry and Trade” affermò che “quando si parla di distretto industriale si fa riferimento ad un’entità socio-economica costituita da un insieme di imprese, facenti parte di uno stesso settore produttivo e localizzate in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza68”. Si viene così a creare un flusso consistente di economie esterne alla singola impresa ma interne al distretto, in modo da consentire anche alle piccole distrettualizzate imprese, di competere sul mercato. In seguito, Giacomo Beccatini, ordinario di Economia Politica presso l’Università di Firenze, approfondì e ampliò il concetto di distretto industriale affermando che “il distretto industriale è un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali. Nel distretto a differenza di quanto accade in altri ambienti, la comunità e le imprese tendono ad interpretarsi a vicenda69”. Pertanto, il vantaggio competitivo dei distretti così formatisi consisteva nella divisione del lavoro tra PMI che, assieme, producevano sinergie sul piano del know-how, della produzione e del frazionamento dei costi, dando così vita ad un unico sistema di produzione e permettendo il conseguimento di economie di scala. Quindi, ciò che prima riusciva a fare solo un’unica grande azienda, ora, si suddivide in piccole aziende

68 MARSHALL A., Industry and Trade. A study of industrial technique and business organization, Macmillan & Co, London, 1919.

69 BECCATINI G., Il distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in Studi e Informazioni – Quaderni/34, 1991, 52.

83

assumendo una forma interaziendale, inoltre i vantaggi derivanti dall’unione e dalla cooperazione tra PMI si riscontrano anche sul piano economico-finanziario.

Possiamo, quindi, definire il distretto industriale come un’agglomerazione territoriale di piccole e medie imprese manifatturiere indipendenti, specializzate in una singola filiera industriale che genera, e al tempo stesso, si avvale di economie di scala e che si autoriproduce nel tempo. Le esternalità positive che genera possono derivare sia dal sistema di produzione e quindi la concentrazione di imprese simili per attività e dimensione, sia dalla struttura sociale del distretto ovvero la comunità locale, le sue professionalità e i suoi valori culturali70.

Accanto alle definizioni date dagli studiosi, troviamo la definizione di distretto introdotta dalla legge n. 317/1991 “Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese”, che all’art. 36 indicava i distretti industriali come “le aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell'insieme delle imprese”. Il legislatore con questa norma, ha voluto definire la cornice di riferimento per la concessione di finanziamenti regionali volti a sostenere la crescita e lo sviluppo economico locale.

Il Governo, con la Legge Finanziaria del 2007 individua nelle reti di impresa, nella finanza innovativa e soprattutto nei progetti di innovazione industriale i nuovi strumenti per garantire il riposizionamento strategico del sistema industriale italiano nell’ambito dell’economia mondiale, globalizzata e fortemente competitiva.

Con l’espressione reti di impresa si descrive un fenomeno economico in cui più imprese, formalmente e giuridicamente distinte, operano nel mercato, aggregandosi e instaurando

70 PELLEGRINI G., La struttura produttiva delle piccole e medie imprese italiane: il modello dei distretti, Il Mulino, Banca Impresa Società, Fascicolo 2 agosto 2001.

84

un insieme di relazioni di tipo cooperativo e generano forme di interdipendenza tra le reciproche attività. Nell’ampia categoria di modelli e soluzioni aggregative rientra il contratto di rete, che prescinde dalla specializzazione e dal territorio, superando la logica di distretto con un modello aperto che può coinvolgere più settori e territori.

Il contratto di rete è stato disciplinato per la prima volta nel 2009 con l’art. 3 comma 4- ter e ss. del Decreto Legge n. 5/2009 convertito in Legge n.33/2009. Il testo normativo introdotto è stato oggetto di una serie di interventi legislativi, pervenendo infine alla definizione di una fattispecie giuridica che può presentare mera natura contrattuale dando vita alla c.d. rete-contratto o può dare vita ad un nuovo ente giuridico la c.d. rete-soggetto. Alla luce devi vari interventi legislativi, possiamo definire il contratto di impresa come “quel contratto con cui gli imprenditori, per accrescere individualmente e collettivamente la propria competitività e la propria capacità innovativa, si obbligano sulla base di un programma comune a collaborare in forme e ambiti predeterminati, o a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologia, o ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”.

Con il contratto di rete si dà così vita ad una collaborazione inter-imprenditoriale al fine di conseguire l’accrescimento della capacità innovativa e della competitività sul mercato delle imprese stipulanti.

Tuttavia, anche se il contratto di rete rappresenta un quadro giuridico che prevede regole da rispettare, come ad esempio la necessità di un programma di rete, degli obiettivi perseguiti e delle modalità per raggiungere gli obiettivi, la necessità di una forma determinata quale atto pubblico o scrittura privata autenticata e dell’iscrizione del contratto nel registro delle imprese, nonché la previsione di un organo comune della rete

85

che esegua il programma definito, lascia grande libertà alle imprese di definire il tipo di rete, gli obiettivi, le regole e le attività da realizzare. Molte sono, infatti, le possibili forme di rete che si possono attivare: dal semplice scambio di informazioni commerciali tra imprese a forme più impegnative di collaborazione e di integrazione che possono arrivare alla realizzazione di prodotti più complessi. Vi sono, inoltre, “reti verticali” guidate da un’azienda capofila che intende rafforzare le relazioni con i propri fornitori per renderle più efficienti (condividendo ad esempio lo stesso sistema qualità o il sistema ICT) e “reti orizzontali” tra aziende che realizzano componenti e lavorazioni differenti ma complementari che si mettono insieme per arricchire la propria offerta al cliente finale. Infine, vi possono essere anche reti tra imprese che insieme vogliono semplicemente sviluppare un marchio comune e internazionalizzarsi in determinate aree oppure sviluppare progetti di ricerca congiunti.

Il contratto di rete è, quindi, uno strumento flessibile che può essere utilizzato per differenti progetti, quali ad esempio innovazione & ricerca, internalizzazione e marketing, lasciando ampia libertà alle imprese nel definire forme e modalità della collaborazione. Tale flessibilità di utilizzo e la forte autonomia negoziale che permane in capo a ciascuna impresa partecipante, rendono più evidente la necessità di una pianificazione coordinata e su misura del modello economico-giuridico da adottare. Pertanto il contratto di rete rappresenta una leva strategica di politica industriale complementare rispetto alle altre misure di sostegno alla competitività messe in campo dal governo.

Le reti di impresa, come elemento obbligatorio, prevedono la stesura di un programma comune di rete, dove al suo interno devono essere specificati gli obiettivi principali da

86

raggiungere, le modalità che dovranno permettere il raggiungimento di tali obiettivi e infine i criteri di valutazione degli stessi.

Le modifiche normative consentono oggi di configurare la rete di imprese non più come un semplice contratto tra imprese, ma come un’organizzazione dotata di autonoma soggettività giuridica.

L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n.4/E del 30/03/2017 ha fornito chiarimenti fiscali in merito alle misure del super-ammortamento e iper-ammortamento previsti per l’Industria 4.0 e tra i soggetti interessati vengono ricomprese anche le imprese che aderiscono ai contratti di rete. L’Agenzia ha distinto le ipotesi di investimenti effettuati dalle imprese aggregate in una rete-contratto, dall’ipotesi di investimenti effettuati in una rete-soggetto.

Nel caso in cui gli investimenti riguardano le imprese facenti parte di una rete-contratto, vale a dire priva di autonoma soggettività giuridica, gli atti posti in essere in esecuzione del programma comune di rete producono i loro effetti in capo alle imprese partecipanti. Nella rete-contratto i rapporti tra gli imprenditori partecipanti al contratto di rete e l’organo comune sono riconducibili alla figura del mandato con o senza rappresentanza. Nell’ipotesi in cui all’organo comune sia conferito il potere rappresentativo e quindi agisca come mandatario con rappresentanza, gli atti posti in essere producono effetti giuridici direttamente nelle sfere individuali dei singoli rappresentati. Viceversa, nel caso in cui l’organo comune o l’impresa capofila agiscano come mandatari senza rappresentanza, gli atti posti in essere dalle singole imprese o dall’impresa capofila non producono effetti sulla sfera giuridica delle altre imprese partecipanti alla rete.

Nel caso in cui, invece, la rete di impresa si configura come rete-soggetto, ovvero, mediante l’iscrizione del contratto di rete nella sezione ordinaria del registro delle

87

imprese, e dunque acquista un’autonoma soggettività giuridica, gli atti posti in essere in esecuzione del programma comune di rete produrranno i loro effetti direttamente in capo alla rete-soggetto.

Pertanto, a differenza della rete-contratto, la rete-soggetto implica una strutturazione predeterminata, ossia la presenza di due elementi necessari: un fondo patrimoniale comune e l’organo comune, quest’ultimo investito di rappresentanza organica.

A conferma dell’effetto positivo dell’aggregazione di rete l’analisi effettuata da Istat- Confindustria, nel report “Reti d’impresa. Gli effetti del contratto di Rete sulla performance delle imprese”, evidenzia che le imprese in rete rispetto a un campione di imprese non in rete (selezionate tra tutte le unità non in rete che presentavano differenze ex-ante tra le loro caratteristiche e quelle delle imprese in rete marginali e non significative dal punto di vista statistico) presentano risultati di performance maggiori sia a livello di fatturato che di occupazione. Questo soprattutto per le imprese di minor dimensioni che registrano un aumento di performance molto evidente: il fatturato medio mostra per le microimprese (meno di 10 addetti) una progressione molto significativa nel tempo dei benefici connessi all’adesione alla rete, infatti si ha un aumento dei ricavi che raddoppia tra il primo e il terzo anno rispetto ad imprese analoghe non in rete, passando da +12,6 a +24,7 punti percentuali, mentre sulla dinamica occupazionale presenta variazioni percentuali fisiologicamente più contenute rispetto al fatturato ma pur sempre positive ovvero del +15,7 punti percentuali, in media, dopo tre anni dall’entrata in rete rispetto ad imprese analoghe non entrate in rete71.

Questo incremento dei risultati contribuisce ad un interesse maggiore che ha determinato un aumento dei contratti nel tempo, infatti dall’anno della sottoscrizione del primo

71 COSTA S., LUCHETTI F., ROMANO L., Reti d’impresa. Gli effetti del contratto di Rete sulla

88

accordo di rete fino ad oggi (2010-2019) si nota siffatto trend positivo, evidente nella figura 4.2, che soprattutto tra il 2016-2017 ha visto l’incremento più ampio, pari a 1167. Oggi, le reti di impresa presenti sono 5.698, di cui 838 a soggettività giuridica per un totale di imprese impegnate in progetti di rete pari a 34.032.

Figura 4.2: Trend delle reti di impresa, 2010-1019 Fonte: Elaborazioni su dati Infocamere

Le distribuzioni regionali delle imprese che hanno aderito a progetti di rete, è visibile nella figura 4.3, dove si evidenzia la propensione delle imprese di ciascuna regione ad aggregarsi in progetti di rete.

18 177 498 1109 1625 2285 3151 4318 5135 5.698 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

89

Figura 4.3: Distribuzione in rete per regione.

Fonte: InfoCamere, dati aggiornati al 3 settembre 2019

Possiamo, dunque, notare come le regioni più propense ad aggregarsi sono: Lazio con 8.790, Lombardia con 3.528, Veneto con 2.696, Campania con 2.549, Toscana con 2.288, Emilia Romagna con 2.158, a seguire troviamo: Puglia con 1.970, Friuli Venezia Giulia con 1.576, Piemonte con 1.483, Abruzzo con 1.089, Sicilia con 1.005, ed infine ci sono: Marche con 886, Liguria con 858, Umbria con 762, Sardegna con 669, Calabria con 665, Trentino-Alto Adige con 563, Basilicata con 331, Valle D’Aosta con 84 e il Molise con 82.

Le reti di imprese, attraverso le intrinseche caratteristiche, riescono a dare risposta ai requisiti di integrazione e connettività che l’Industria 4.0 impone, facilitandone la

90

trasformazione digitale soprattutto per le PMI, spesso impossibilitate ad avviare da sole gli investimenti minimi necessari per accrescere il proprio potenziale competitivo ed evitare di incorrere in una digitalizzazione poco coordinata e non efficiente. Pertanto, possiamo concludere affermando che le reti spingono a mutare la visione che si ha del concetto di impresa dove elemento fondamento diviene la condivisione di esperienze, dati e conoscenze dando vita ad un terreno fertile per l’attecchimento delle novità che l’industria 4.0 porta con sé, mutandone strategie, organizzazione e spazi di lavoro. Le reti d’impresa rappresentano, in quest’ottica, una delle modalità grazie alla quale ci si avvicina verso il modello di Open Innovation, dove le imprese svolgono le loro attività facendo innovazione, non più internamente attraverso input esclusivamente interni in una logica Closed Innovation, ma attraverso una combinazione di risorse interne ed esterne. Lo stesso Chesbroug, padre dell’Open Innovation, afferma che questo nuovo modello permette all’azienda di servirsi sia delle proprie idee sia delle innovazioni di altre aziende e cerca il modo di portare la propria idea sul mercato implementando percorsi anche al di fuori della propria attività core72, attraverso attività che riguardano oltre che il lancio di un progetto anche il suo sviluppo e la commercializzazione stessa del prodotto o servizio, beneficiando di attività esterne rispetto all’impresa, provenienti non solo da altre imprese, ma anche da altri attori. Tra questi attori ricordiamo: centri di ricerca e Università, enti ed agenzie governative, fornitori, ma anche clienti, quest’ultimi acquistano importanza rilevante in quanto essendone gli utilizzatori possono portare ad innovazioni incrementali che consentono di conseguire un risultato perfettamente aderente alle esigenze di mercato. In questa logica di condivisione e innovazione si sono sviluppate non solo le reti

72 CHESBROUGH H., Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology, 2003, Harvard Business School Press, 36-37.

91

d’impresa ma anche gli strumenti del piano Industria 4.0 quali cluster, Competence Center e Digital Innovation Hub.