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3.1 IL RUOLO DELLA STREGA NELLA SOCIETÀ

LE STREGHE NEL FOLKLORE ITALIANO

3.1 IL RUOLO DELLA STREGA NELLA SOCIETÀ

In ogni parte dell’Italia le streghe assumono nomi locali, le cui origini si trovano nell’evoluzione storica della figura. Il nome identificativo più comune e usato in tutta la penisola è strega, che nelle varianti regionali diventa strìa in Veneto e strias in Sardegna. La parola strega deriva dal latino strix, un uccello notturno dell’ordine delle Strigidae, ed è usato per identificare le figure femminili che si trasformano in animali rapaci per compiere malefici soprattutto legati al rapimento e uccisione dei bambini. Nell’Atlante delle lingue

europee il linguista Alinei afferma che in origine le strigidae erano degli uccelli

totemici ai quali nel tempo viene attribuita una connotazione negativa. Tale credenza è testimoniata da Plinio in Naturalis historia, dove le strigidae lasciano «cadere il latte nella bocca dei piccoli dal loro seno»166.

Nelle Alpi occidentali, precisamente nei dialetti liguri e piemontesi, il nome della strega è tradotta in due forme: masca e bazura. Il primo è un termine che trae origine dal longobardo ed è attestato nell’Editto di Rotari (643 d. c.), il secondo è un sinonimo che indica la civetta.

In Campania, in particolare nel beneventano, la strega è chiamata janara, seguace di Diana. L’appellativo è la continuazione dell’antico culto della dea Diana, e mostra l’ambivalenza della figura negativa e positiva: donne col culto

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della magia legata alla conoscenza delle proprietà delle erbe, della natura e dell’arte medica, ma se provocate capaci di fare del male.

Il territorio sardo presenta diversi nomi per indicare la strega. Oltre a strias sono usati i termini: la bruscia, la coga, la surbile, le surtòra, i quali corrispondono alle diverse varianti linguistiche presenti sull’isola. Ad esempio, il termine

bruscia (pronunciato brussa nel dialetto centrale e settentrionale) proviene dalla

parola spagnola bruja e dal catalano bruxa; mentre l’etimologia di coga rimanda alla cottura delle erbe, infatti, le guaritrici, allo stesso modo delle cuoche, lavorando in cucina e adoperando le erbe, sono accusate di avvelenare i commensali. Vi sono, inoltre, molti termini dialettali diffusi nella penisola non derivati da strega, ma da mago o da magia: ad esempio megèra (Lombardia), magara167 (Calabria, Basilicata), majara (Arcipelago eoliano), mascìara

(Taranto), Mavara (Sicilia).168

La cultura popolare attua una importante distinzione tra le varie tipologie di streghe. Pitrè riporta in Usi e costumi del popolo siciliano la visione del popolo che:

«Chiama Stria e in alcuni siti ‘Nserra una strega-spirito, la quale è un vero vampiro, che succhia il sangue de’ bambini; e Fattucchiera o Magara una donna in carne e ossa, la quale però in seguito a certe pratiche e per certe condizioni speciali può operare cose sovrannaturali, che ne fanno un essere straordinario, e a volte sovrasensibile»169

Le donne, che nei secoli sono state additate di essere streghe, svolgono nella realtà delle funzioni di utilità sociale. Esse mettono al servizio del popolo le

167 Magara è un nome di origine greca, e declinato al maschile, in origine, si riferiva ai membri

di una casta sacerdotale persiana, dediti all’arte della medicina e all’aruspicina.

168 Per un maggior approfondimento si veda Atlas Linguarum Europae (ALE) e ALE Perspectives

nouvelles en géolinquistique, Roma, IPZS,1997.

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loro antiche competenze, tramandate di madre in figlia. Molto spesso rivestono i ruoli di lavandaie, levatrici e cuoche, venendo così a contatto con la sfera domestica e con le figure che ne fanno parte. La possibilità di lavorare nelle cucine permette loro di poter preparare con vari ingredienti dei decotti curativi o malefici. La preparazione degli intrugli avviene con il calderone, che diventa nell’immaginario collettivo l’oggetto intorno a cui si riuniscono le streghe per realizzare i loro misfatti.

L’attività di guaritrice espone facilmente la donna ad accuse di maleficio, in quanto è ritenuto che colei che possiede la conoscenza degli strumenti per guarire è anche a conoscenza degli strumenti per nuocere. Rispettate e temute dal popolo, le donne vengono subito accusate nel caso di morte improvvisa di un infante o di un altro membro della famiglia, dove esse lavorano. D’altra parte, le malattie, nella società popolare e incolta, hanno un’origine oscura e indefinita e la capacità delle guaritrici di conoscere e venire a contatto con l’origine ne rivela la loro ambiguità. Per guarire le malattie esse ricorrono a preghiere170 e unguenti a base di erbe, somministrate al malato sotto forma di

decotti o infusi. La loro fama di guaritrici dipende dalla riuscita della cura; e in caso di morte, invece,vengono denunciate alle autorità per stregoneria da quelle stesse persone che, fiduciose, in un primo momento avevano invocato il loro aiuto.

Le donne sagge svolgono, soprattutto, la funzione di levatrice, aiutando le madri a partorire e occupandosi dei primi problemi pediatrici. Molte di loro hanno raggiunto un tale grado di specializzazione che le rende capaci di eseguire tagli cesarei, salvando la vita della madre e del figlio. Questa pratica permette loro di toccare elementi considerati nell’epoca impuri come il sangue,

170 Le parole usate nelle formule magiche sono intenzionalmente recitate in maniera confusa e

pronunciate sottovoce. Queste prevedono la mescolanza di parole latine ed altre dialettali per rendere da una parte misterioso il rito, dall’altra non permettere a nessuno di appropriarsene.

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i capelli, le unghie, i liquidi organici, i quali venivano usati, sempre secondo l’opinione del tempo, come ingredienti per i maleficia. Per di più si crede che siano capaci di alleviare i dolori del parto trasferendoli su un animale o, cosa malvagia, sul marito della partoriente.

La levatrice nella cultura popolare è considerata la padrona della vita. È colei che decide la vita o la morte del bambino. Se qualcuno desidera vendicarsi di un torto subito, si rivolge a lei per far morire il nascituro durante il parto171;

oppure, come accade nella traduzione lucana, le masciàre fanno una

fascinatura172 al latte materno o ai piccoli, facili prede delle loro insidie.

Le streghe di paese sono anche i confessori del popolo. I contadini non sono soliti confessarsi ai preti, ma rivelano a queste figure i loro peccati e i loro pensieri più nascosti. Esse assumano una funzione centrale all’interno di piccoli gruppi popolari, intorno a cui ruotano le paure e i bisogni di un’intera società.

171 È importante precisare che le streghe non possono in alcun modo sottrarsi alla richiesta di

effettuare una fattura, perché l’inadempimento porterebbe a far ricadere su sé stesse il maleficio.

172 Nel sud Italia il malocchio effettuato su un bambino è chiamato fascinatura. Questa può

essere realizzata con un semplice apprezzamento «che bel bambino», e da quel momento l’essere fascinato inizia a deperire. Per poter porre rimedio la madre deve ricordare colei che ha formulato quelle parole e, con un pretesto, mettere il bambino tra le sue braccia, costringendola a dire «il Signore lo benedica». In altre località nel momento della fascinatura la madre deve sputare sul bambino e girargli intorno tre volte per togliere la iettatura.

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