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2.2.1 DALLA STREGA DI ZARDINO ALLA CATERINA DEI MEDICI IN LA STREGA E IL CAPITANO DI SCIASCIA

NON LASCIAR VIVERE LA MALEFICA

2.2.1 DALLA STREGA DI ZARDINO ALLA CATERINA DEI MEDICI IN LA STREGA E IL CAPITANO DI SCIASCIA

La strega e il capitano111, breve romanzo storico pubblicato nel 1986 da

Leonardo Sciascia, è scritto in onore del bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni, dalla cui opera, Promessi sposi, sono tratte le fonti della vicenda. L’opera è una scrupolosa ricostruzione di un caso di stregoneria ricordato da Manzoni nel XXXI capitolo dei Promessi sposi. Tra il dicembre 1616 e il febbraio 1617 nel territorio milanese ha luogo un processo di stregoneria a carico di una donna, Caterina Medici. Sciascia recupera, oltre alle fonti di Alessandro Manzoni e Pietro Verri, gli atti e le testimonianze del processo, ripercorrendo gli eventi di una vicenda che è l’emblema della negazione dei

109 S. Vassalli, La Chimera, pag. 341.

110 C. Della Coletta, L’altra metà del Seicento, cit., pag. 16. 111 L. Sciascia, La strega e il capitano, Adelphi, Milano, 1999.

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valori del diritto e della ragione. Al contempo l’autore ci presenta il ritratto di Caterina, la cui unica colpa, come molte altre donne accusate di essere streghe, è di possedere una evidente bellezza, una forte sensualità e un minimo di cultura. L’autore maschera i meccanismi innescati dalla superstizione popolare, senza risparmiare la sua critica nei confronti dell’autorità ecclesiastiche e laiche, private della fede.

Caterina racchiude in sé gli elementi caratteristici dello stereotipo della strega: donna povera, senza alcuna risorsa se non la voglia di sopravvivenza. Il pregiudizio misogino, che è alla base dell’evento processuale, porta gli uomini ad accusare le donne per accadimenti a cui non riescono a dare una spiegazione. Infatti Caterina è al servizio del senatore Melzi, quando quest’ultimo inizia ad accusare dolori allo stomaco, inspiegabili per il gruppo di medici a cui il senatore si era rivolto. L’arrivo del capitano Vacallo in casa Melzi determina la nascita dei primi sospetti di stregoneria nei confronti di Caterina. Ipotizzando che i dolori del senatore fossero causati da un maleficio della donna, Vacallo rivela le sue accuse dapprima al figlio della vittima, Lodovico, e successivamente al malato:

«“De doi mesi et mezzo in qua in circa il signor Senatore mio Padre è ridotto a infirmità straordinaria, e tale, che bob può mangiare, et del continuo ha dolore di stomaco grave accompagnato da continua malinconia, et per quanti remedij li siano stati dati, niente li ha giovato, sendo infirmità senza accidenti di febbre, non conosciuti dalli medici, però…”. A questo “però”, che è la ragione per cui Ludovico Melzi si rivolge al Capitano di Giustizia, è appeso – fosco grappolo di atroce sofferenza, di feroce stupidità ‒ il caso della “povera sventurata” Caterina Medici (e si noti come queste tre parole del Manzoni, aggiungendosi una all’altra in crescendo, ne riassumono la vita).“… però mediante l’aggiunto divino” ‒ continua Lodovico ‒ “si è scoperto essere male causato da fassinationi et arte del Demoniio fattogli da una serva di casa chiamata Caterina, la quale si è scoperto essere strega et che da quatordeci anni è in

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commercio carnale con il Diavolo, et è strega professa. Il modo con il quale fu scoperto delitto sì grave fu…”»112

Dopo le accuse, le monache, figlie del senatore, trovano nel cuscino del malato tre matasse di capelli di donne a forma di cuore e altri oggetti malefici:

«Periziati a dovere dalle monache, i cuscini confermarono i loro sospetti e le affermazioni di Vacallo: nascondevano tre cuori fatti con nodi di filo di refe; e i nodi, di artificio diabolico, involgevano capelli di donna, legnetti, carboni e altre minute cose. E furono portati al curato di San Giovanni Laterano, esorcista, che già Cavagnolo era arrivato e ad abbondanza aveva confermato le affermazioni di Vacallo. / Il curato non dubitò un istante che quelle cose fossero strumenti di maleficio. Stentò a disgropparle, poi le buttò nel fuoco: e una fiammeggiò a forma di fiore e voleva saltar fuori, sicché bisognò tenersela con uno spiedo e farla consumare sul fuoco. Nel frattempo, i dolori di stomaco del senatore furono più del solito lancinanti: ma appena finito di bruciare i cuori, e dopo la benedizione dell’esorcista, cessarono.»113

Caterina confessa quindi di aver attuato dei malefici affinché il senatore si innamorasse di lei, e di averli eseguiti con l’aiuto del demonio114. Dai verbali

dei suoi interrogatori esce fuori il profilo di una donna intelligente, che cerca di dire ai suoi accusatori ciò che vogliono sentirsi dire, mettendo in atto una strategia di sopravvivenza, l’unica che ha mai conosciuto nella vita. Ammette di essere una strega, sperando di ottenere con una spontanea ammissione il perdono degli inquisitori, in quanto ha eseguito solo un incantesimo d’amore e non un maleficio ai danni del senatore. Conferma, inoltre, l’esistenza del

sabba («barilotto») e di aver avuto un amplesso con il diavolo, che aveva le

112 Ivi, pag.15. 113 Ivi, pag. 19.

114 Ivi, pag. 31: «Il diavolo le aveva dato delle piume e del refe, e glieli aveva fatti annodare

insieme, facendole durante quell’operazione recitare Padrenostro e Avemaria, ma mettendo la pelosa mano sulla bocca quando stava per pronunciare il nome di Gesù e l’amen, ché a quelle parole la possibilità del malefizio sarebbe svanita.»

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sembianze del senatore. Caterina non accusa direttamente il senatore della violenza sessuale subita, ma la nasconde dietro l’aspetto irreale del demonio. Il diavolo domina la dimensione meta-reale, ma ha assume i comportamenti violenti e brutali della sfera maschile: picchia le streghe quando non si prostrano alla sua volontà e ha con loro dei rapporti sessuali che non danno alcun piacere, ma procurano solo nausea e spossatezza dolorosa115.

Sicuramente le proiezioni diaboliche non sono altro che le proiezioni della condizione reale delle donne.

In una testimonianza è presente una sommaria descrizione di Caterina «carnosa ma di cera diabolica»116, ossia affascinante. Ma il suo aspetto fisico

viene ribaltato dalle parole del figlio del senatore, per spiegare l’impossibilità della perdizione morale del padre: «era il ritratto della bruttezza».

Il Capitano di Giustizia sottopone alla tortura Caterina, certo che sia l’unico modo per ottenere la verità117. La tortura non fa che ampliare la sua

disperazione, portando la donna ad inventare situazioni e ad autoaccusarsi di malefici, morti e malattie di cui non ha alcuna responsabilità, spinta soltanto dalla speranza del perdono. Caterina sembra avere perfetta conoscenza della modalità del sabba e dell’attività delle streghe, che ella stessa crede di fare con l’aiuto di una conoscente. D’altronde la diffusione di testi demonologici e le discussioni dottrinali avevano influenzato le menti del popolo.

Il perdono non arriva, la strega viene condannata al rogo il 4 febbraio del 1617, la cui condanna è eseguita esattamente un mese dopo.

115 G.Faggin, Le streghe, pag. 73.

116 Sciascia rimanda alla fisicità della protagonista di un’opera della letteratura italiana, La Lupa

di Giovanni Verga. La novella sarà ripresa e analizzata nel paragrafo successivo.

117 La tortura non porta ad alcuna verità come afferma Petro Verri in Osservazioni sulla tortura

(1804) ripreso da Sciascia nel romanzo: «la tortura non è un mezzo per iscoprire la verità, ma è un invito ad accusarsi reo ugualmente il reo che l’innocente; onde è un mezzo per confondere la verità, non mai per iscoprirla» (pag.60).

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Sciascia118 riporta alla luce una storia minoritaria, sepolta dai secoli, di un

periodo storico molto importante ma al contempo molto trascurato. L’autore ha voluto restituire dignità e verità alla protagonista, mettendo a contrasto la bassezza umana e la povertà culturale della società erudita laica ed ecclesiastica.