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La figura della strega tra letteratura e folklore

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CAPITOLO I

GENESI DELLA FIGURA DELLA STREGA

1.1 LA SIGNORA DELLE ERBE

Nei secoli centrali dell’Era moderna, tra 1450 e 1750, l’Europa divenne scenario di una violenta persecuzione definita witch-craze, la caccia alle streghe. Migliaia di persone, soprattutto donne, furono processate, e spesso condannate al rogo, con l’accusa di stregoneria da tribunali ecclesiastici e laici, i quali vennero istituiti in tutta Europa con il compito di estirpare il male. Una strategia di controllo sociale basata su una nuova visione dell’ordine e dell’ortodossia1 che determinò la nascita della nuova stregoneria.

La Strega, figura emblematica dell’immaginario collettivo, sin dalle sue origini ha attratto l’uomo, suscitando in lui sentimenti divergenti dettati dalla paura e dalla curiosità. Erede delle divinità pagane e custode degli antichi culti, la sacerdotessa-medichessa subisce un processo di trasformazione che la rende una creatura malefica, dalle ripugnanti fattezze, detentrice di un potere misterioso e occulto con il quale compie maleficia.

Per lungo tempo la Signora della magia è stata Signora di erbe e fiere dall’antica sapienza e conoscenza dei segreti della vita e della morte, dalle arti curative ed esperta di magia erotica. Una figura che si colloca in uno spazio arcaico la cui prima rappresentazione è presente nel poema omerico attraverso la figura di Circe «dottissima nella facultà dell’herbe2». Nel X Libro

1 D. Corsi, Diaboliche maledette e disperate. Le donne nei processi di stregoneria (secoli XIV-XVI),

Firenze University Press, Firenze, 2013.

2 A. Biondi, Umanisti, eretici, streghe. Saggi di storia moderna, a cura di Massimo Donattini, in

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dell’Odissea, i compagni di Odisseo, mandati in avanscoperta sull’isola di Eea, incontrano la «Dea tremenda con voce umana»3 intenta a tessere una grande tela

e a eseguire un bel canto. Confusi dalla natura umana della dea, Circe li attira all’interno della sua dimora e li invita a sedere, preparando loro un miscuglio chiamato dai Greci kykeón, che viene offerto agli ospiti per ristorarli. L’impasto è composto da farina, formaggio, miele e vino di Pramno, al quale Circe aggiunge “veleni funesti”, creando una pozione magica capace di indurre uno stato di oblio. Gli uomini improvvisamente dimenticano il desiderio di ritorno, la loro patria, e subiscono un ulteriore malia dalla dea. Circe, infatti, li colpisce con la sua bacchetta e li rinchiude in un recinto per maiali. I malcapitati divengono un branco di suini, assoggettati alle volontà della Dea e rinchiusi in un porcile a piagnucolare. Solo l’intervento di Odisseo, grazie all’aiuto di Hermes, permetterà la salvezza e il ritorno a spoglie umane dei compagni:

«[…] Entra in casa di Circe con quest’erba benefica, che ha il potere di difenderti dal destino di morte. Ti racconterò tutti gli inganni funesti di Circe. 290 Farà il miscuglio e metterà veleni nel vaso, ma non riuscirà a incantarti, non lo permette l’erba benefica che ti darò, e ti spiegherò tutto. […] Così dicendo, l’uccisore di Argo mi diede l’erba strappandola da terra, e mi mostrò la sua natura. La radice era nera, il fiore simile a latte.

305 Gli dèi la chiamano moly e, per gli uomini È difficile strapparla, ma gli dèi possono tutto.

[…] Mi condusse a sedere su un trono con le borchie d’argento, 315 bello, ornato, con sotto uno sgabello per i piedi;

preparò la bevanda in una tazza d’oro per farmela bere e vi mise dentro il veleno, tramando il male.»4

3 Omero, Odissea, a cura di Guido Paduano, Einaudi, Torino, 2010, Libro X, vv.135. 4 Ivi, pag. 247.

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L’avvelenamento col phάrmakon5, che provoca l’oblio e la metamorfosi degli

uomini, può essere letto come un incantamento erotico capace di soggiogare l’uomo e di ridurlo a uno stato di sottomissione avvilente, simboleggiato dalla trasformazione in suini, animale del “basso” e del fango. Allo stesso tempo l’antidoto offerto da Hermes a Odisseo, prima di entrare nel palazzo della Dea, viene definito un phάrmakon capace di neutralizzare i phάrmaka della dea. Nel mondo greco il termine phάrmakon mostra una profonda ambiguità alla materia a cui fa riferimento, in quanto con un solo termine posso essere indicate diverse attività: incantesimi con scopo curativo, pratiche mediche e avvelenamenti. Infatti, alla voce Potions nella Encyclopedia of Witchcraft si legge: «nell’antica Grecia l’uso di phάrmaka (droghe o veleni) non era sempre magico, e il termine pharmakeia (il somministratore droghe o veleni) può essere diviso in tre categorie principali: usi magici, avvelenamento senza magia e la pratica medica curativa»6. Un’ambiguità riprodotta nel testo omerico attraverso una

contesa farmacologica tra le due divinità dalle diverse proprietà delle piante: da una parte «l’erba di Circe», kirkάia, identificata con la mandragora7, erba

dagli effetti potenti e diversificati, usata dalla medicina antica come narcotico

5 F. Montanari, Vocabolario della lingua greca, con la collaborazione di Ivan Garofalo e Daniela

Manetti; fondato su un progetto di Nino Marinone; Loescher, Torino, 2013, alla voce

phάrmakon si legge: «a gener. erba o sostanza medicinale; b medicina, farmaco, medicamento,

gener. da spalmare; c rimedio, soluzione; d filtro, pozione magica, in senso neg. Veleno; e tinta, colore».

6 M. Johnson, Potions, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. by R.M. Golden,

ABC-CLIO, Santa Barbara, 2006, Volume III pp. 925-927.

7 La pozione magica di mandragola è presente nell’opera letteraria di Niccolò Macchiavelli,

da cui deriva il titolo della commedia (Mandragola, 1518). Capolavoro del teatro del Cinquecento, la commedia mette in scena lo stratagemma architettato da Callimaco per prendersi gioco del dottore in legge Nicia, marito della donna di cui lui è innamorato, Lucrezia. Con l’aiuto di un parassita e di frate Timoteo viene fatto credere allo sciocco marito, angustiato dal non avere figli, che la moglie ingraviderà se berrà una pozione di mandragola, ma che il primo che avrà rapporti con lei morirà. Il sostituto di Nicia è un garzone, in realtà Callimaco travestito, che riesce a godere delle grazie di Lucrezia con il benestare del marito. Lucrezia scopre la vera identità di Callimaco e acconsente a diventare la sua amante abituale. Mentre il marito, felice della paternità, accoglie il giovane come un amico, ignaro del legame con la moglie.

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e anestetico, ma anche dall’effetto allucinogeno e afrodisiaco. La mandragora è probabilmente la componente base della pozione con cui la dea aveva stregato i suoi ospiti; dall’altra una parte l’antidoto potente offerto da Hermes a Odisseo dal nome môly, di non facile identificazione con le piante reali, che lo rende immune alla magia della Dea.

All’interno delle comunità contadine le donne esperte, che fondono le loro terapie sul sapere curativo delle erbe, sono investite di uno straordinario prestigio. Le Erbére o rusticae mulierculae8 sono custodi delle prime forme di

medicina popolare, esperte conoscitrici dei segreti della natura e delle proprietà di ogni singola pianta. Una conoscenza appresa attraverso la pratica e l’esperienza ravvicinata con la natura, in quanto alla donna, agli albori della società organizzata secondo una suddivisione di compiti, è affidata la cura e la manipolazione delle materie prime. Per questo motivo la conoscenza erbario-terapeutico femminile nasce e si evolve con le mansioni quotidiane di preparazione dei cibi e dei medicinali, usati per la cura della famiglia. Si tratta di un sapere trasmesso oralmente, di madre in figlia, di cui si è perso nel tempo l’origine e solo successivamente attribuito a rivelazioni divine concesse dalle dee degli elementi9.

I medicamenti attuati dalle donne guaritrici diventano ben presto l’unica cura e servizio che viene offerto al popolo in una realtà, quella medievale, in cui è rinnegata qualsiasi tipo di assistenza agli strati più bassi della popolazione. In questo modo il popolo inizia a credere senza esitazione che

8 A. Biondi, Umanisti, eretici, streghe. Saggi di storia moderna, pag. 372.

9In Umanisti, eretici, streghe, cit., Biondi riporta un’antica precatio omnium herbarum (invocazione

per tutte le erbe), contenuta in un manoscritto risalente al VI secolo dopo Cristo. Il testo è una preghiera rivolta alle erbe ed è preceduta da un’invocazione alla Madre Terra, i cui segreti sono custoditi e maneggiate dalle donne: Ora voi tutte, erbe potenti, invoco. / Voi e la maestà vostra scongiuro. / La madre terra vi generò. / A tutti i popoli vi donò. / In voi medicina salvifica condensò, / forza e sollievo al genere degli uomini. / Io vi scongiuro in atto supplichevole. / Statemi accanto con la vostra forza.

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tali donne siano dotate di sapere e capacità operative particolari, conferendo loro autorevolezza e potere, ma assumendo un atteggiamento ambiguo di attrazione e di repulsione:

«Tanto potere ispira agli uomini un rispetto misto di terrore che si riflette nel culto. Nelle donne si riassume tutta la natura ignota»10

Simone de Beauvoir, ne Il secondo sesso, analizza l’evoluzione storica della figura femminile, partendo dalle società primitive in cui la donna assume un ruolo centrale nella gestione della casa e della coltivazione, divenendo detentrice di un sapere nascosto da cui l’uomo è escluso: «la terra è donna; e la donna è abitata dalle stesse potenze oscure che abitano la terra»11. L’uomo

guarda con stupore le potenze che muovono la natura, «ammira il mistero della fecondità che si schiude nei solchi e nel ventre materno», e crede che i suoi frutti siano il risultato di riti magici creati dal connubio tra la donna e la terra nel loro reciproco fecondarsi, non derivante dalla sua azione operatrice. Con il passare dei secoli, le rusticae mulierculae acquisiscono, con rudimentale metodo empirico, il sapere medico, sviluppando con tenacia una cultura medica popolare, le cui radici saranno le basi della medicina moderna. Grazie al loro aiuto e alla loro conoscenza gli uomini colti dell’epoca creano gli

Herbolaria, un compendio del mondo vegetale seguito da una descrizione delle

virtù curative delle erbe, appresa dal popolo.

Le capacità di saper curare le malattie con le piante, preparare composti per alleviare il dolore del parto, praticare aborti, creare bevande per attenuare la sofferenza dell’anima, per la fertilità e soprattutto preparare incantesimi amorosi divengono nel mondo agreste operazioni fondamentali della vita

10 S. De Beauvoir, Il secondo sesso, Saggiatore, Milano, 1961, pag. 99. 11 Ivi, pag. 98.

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quotidiana. La società vede nella magia un una soluzione ai bisogni fondamentali dell’uomo, ossia sconfiggere o almeno ridurre l’imprevedibilità degli avvenimenti attraverso le predizioni del futuro, i filtri d’amore e gli incantesimi curativi.

Ma l’estromissione dell’universo maschile da questa capacità femminile alimentò nell’uomo una crescente diffidenza verso quelle pratiche che prima guardava con rispetto e devozione. Si diffonde così l’idea che il sapere femminile discenda da una dottrina occulta, derivante dal rapporto con una forza oscura, volta al sovvertimento dell’ordine naturale dell’universo. Un’operazione di distruzione del matriarcato, creato da figure femminili che godono di uno stato d’indipendenza e potere grazie alla conoscenza e al sapere, il quale diventa uno strumento di riscatto sociale.

«Vedi le triste che lasciano l’ago la spuola e ʼl fuso, e fecersi ʼndivine; fecer malie con erbe e con imago.»12

Nel XX canto dell’Inferno, nella IV Bolgia dell’VIII Cerchio, Dante colloca le anime dei maghi e degli indovini, che, piangendo, avanzano lentamente con il capo stravolto, girato all’indietro, il quale li costringe a camminare a ritroso. Dopo la presentazione, attraverso le parole di Virgilio, degli indovini antichi e moderni, Dante si rivolge alle femmine sciagurate (le triste) che hanno abbandonato gli esercizi femminili del cucire (ago), del tessere (spola) e del filare (il fuso) per preparare malie con infusi d’erba e immagini di cera, in cui conficcare spilli, per recare danno alla gente. La donna si allontana dal ruolo in cui la società patriarcale l’ha relegata, nella realtà “interna” della sfera domestica, trovando un modo per liberarsi da un’oppressione secolare

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attraverso formule magiche e filtri per dominare l’uomo, che domina il mondo. Le donne vengono accusate di crimini nefandi e contro di esse si scatena l’odio degli uomini. La studiosa Marianne Hester13 ha individuato in

quelle accuse una forma di “lotta fra i sessi”, un tentativo di ripristino delle strutture patriarcali messe in crisi da donne sapienti.

1.2 LA COMPAGNIA DI DIANA

La koinè culturale occidentale, che ha assimilato e adattato gli elementi trasmessi dalla civiltà ellenistica e celtica, conformandoli al Cristianesimo, elabora una concezione ambivalente di strega: operatrice del bene e del male14.

Infatti, l’attività di guaritrice espone facilmente le rusticae mulierculae ad accuse di maleficio, create dalla convinzione, che oltre ad essere detentrici di strumenti curativi, esse siano, nello stesso tempo, capaci di provocare le malattie. L’avvento del patriarcato sottrae autorità all’esperienza popolare delle rusticae mulierculae, cristallizzando la figura della donna nella sua connotazione negativa. La criminalizzazione della strega sembra avviata dal desiderio della Chiesa di dissolvere ogni traccia di paganesimo. Il Canon Episcopi15, documento di origine carolingia, attribuito erroneamente

durante il medioevo al concilio di Ancira del 314 d. C., è il punto di inizio di una vasta letteratura demonologica che ha preceduto e accompagnato la caccia

13 M. Hester, Lewd Women and Wicked Witches: A Study of the Dynamics of Male Domination,

Routledge, Londra, 1992.

14 Streghe, vampiri, sciamani: dalla leggenda alla letteratura, a cura di Carla Corradi Musi,

Associazione culturale In forma di parole, Bologna, 4° serie, II numero, 1997.

15 Il documento è tra le più antiche e importanti fonti sulla storia delle streghe e sul volo

notturno, a cui la Chiesa conferì autorevolezza e prestigio. Pervenuto in due differenti redazioni del X-XI secolo, rispettivamente attribuite a Reginone di Prüm e Bucardo di Worms, il testo confluì nel Decretum di Graziano con il nome Canon Episcopi, dalle parole d’apertura del testo.

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alle streghe. Un testo fornito ai vescovi, indicante gli atteggiamenti da assumere

nei confronti dell’antica credenza della “compagnia” o “società di Diana”. Il documento canonico demonizza una superstizione popolare di origine pagana, secondo la quale un gruppo di donne volano al seguito di una divinità, «paganorum dea»16, che riconoscono come loro domina (padrona). Le

feminae scellerate e illuse dal demonio credono di compiere malie, di cavalcare

demoni trasformati in animali e partecipare a sodalizi demoniaci. Il Canon

Episcopi esprime, a proposito della reale esistenza di tali avvenimenti, un

sostanziale scetticismo e condanna le credenze superstiziose, le quali devono essere represse affinché l’uomo non si allontani da Dio, mantenendo pura la sua fede. La magia viene definita un inganno demoniaco, illusione prodotta dal diavolo, per dominare gli uomini e determinare la loro rovina spirituale. Le dominae nocturnae, nel loro delirio diabolico, sono le seguaci di una divinità pagana chiamata nei documenti inquisitori: «Signora Oriente»17, la

quale viene identificata con la divinità latina Diana. Nel mondo pagano la dea, venerata nel bosco di Nemi, è protettrice della fertilità, dei parti, e in seguito della fecondità della natura. Inoltre, nel mondo antico questa divinità è riconosciuta con il termine popolare iana, attestato da Varrone in De re rustica nel II secolo a. C. L’autore riporta l’appellativo usato dai “rustici” per indicare la dea: Iana Luna18; la dea è identificata con la luna, che rappresenta l’astro

legato alla donna per la ciclicità del suo manifestarsi.

Il carattere lunare della Dea, «nocticula»19 come viene chiamata da Giovanni

di Salisbury, la riconduce al culto notturno della compagnia, la cui attività

16 C. Bonomo, Caccia alle streghe: La credenza nelle streghe dal secolo XIII al XIX con particolare

riferimento all’Italia, Palumbo, Palermo, 1959, pag. 18.

17Ivi, pag. 17.

18Varrone, De re rustica, I 37.

19 Joannis Saresberiensis, Polycraticus sive de nugis curalium et vestigii philosophorum, in PL,199,

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consiste, secondo la credenza popolare, in cavalcate notturne su bestie volanti, che permettono spostamenti rapidissimi, e banchetti in case altrui, dove le

dominae consumano cibi e bevande. Felici di ricevere ospitalità e di trovare

abitazioni pulite, le dominae concedono benedizioni e protezioni agli inquilini, ma si indignano e scagliano maledizioni, quando invece trovano dimore sporche e immonde. Per questo motivo nel sud Italia le donne, per superstiziosa usanza, imbandiscono nelle proprie case ricchi banchetti per spiriti chiamati fate e liberano le loro case da ogni sozzura, affinché tali spiriti concedano protezione ai loro figli.

1.2. 1 LE DOMINAE NOCTURNAE NELLE TRAGEDIE SHAKESPEARIANA

ROMEO Ho fatto un sogno questa notte! MERCUZIO. Anch’io.

ROMEO. Ebbene, che hai sognato?

MERCUZIO. Che i sognatori spesso mentono… ROMEO. Quando dormono e sognano cose vere. MERCUZIO. Ecco: la regina di Mab è certo venuta da te.

Mab, levatrice delle fate, appare

Non più grande d’un’agata che splende

Sull’indice a un priore. In volo, la tira una muta d’invisibili farfalle sul naso di chi dorme.

Le ruote del cocchio girano con raggi di lunghe zampe di ragno. Sono le redini di lieve ragnatela, il mantice d’ali

di cavallette, i finimenti d’umidi raggi di luna; un osso di grillo

serve per la frusta, la sferza è una membrana, cocchiere un moscerino in livrea grigia

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che gonfia il dito alle fanciulle pigre. Il cocchio è un guscio di nocciola: uno scoiattolo che lavora il legno

o un vecchio lombrico, da tempo assai lontano, fanno i piccoli carri delle fate.

E così Mab galoppa, notte dopo notte, dentro i cervelli degli amanti,

ed essi sognano d’amore, o sulle ginocchia

dei cortigiani che allora sognano inchini e cerimonie o sulle dita dei legali che allora sognano scompensi, o su labbra di donne che allora sognano baci:

labbra che spesso Mab copre di bollicine perché fiatano aria di guaste confetture. Talvolta galoppa sul naso a un cortigiano che allora sogna l’odore d’una buona carica, o s’avvicina al naso d’un prelato

che dorme, e lo sfiora piano con la coda d’un porcellino della decima, ed ecco il sogno d’un nuovo beneficio. Altre volte passa sul collo d’un soldato, che allora sogna gole nemiche tagliate, brecce, imboscate,

lame spagnole, brindisi con tazze profonde cinque braccia; poi risuona di colpo un tamburo al suo orecchio:

il soldato si scuote impaurito e si sveglia,

bestemmia una preghiera e s’addormenta ancora. Questa è Mab, la stessa che di notte

Arruffa le criniere dei cavalli e impasta, nei luridi e grassi crini,

nodi d’elfi, che a scioglierli portano sventura; Mab è la strega che trova supine le ragazze le costringe all’abbraccio, ed è così che insegna a “portare” per la prima volta; e le fa donne di buon “portamento”. Questa è colei… ROMEO. Basta, basta, Mercuzio! Taci!

MERCUZIO. Parlo, infatti, dei sogni, figli della mente in ozio,

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che vengono da una vana fantasia la quale ha natura leggera come l’aria e più incostante del vento,

che ora è in amore sul grembo gelido del Nord, e poi sdegnato se ne va sbuffando

con la faccia al sud, fresco di rugiada.20

L’estratto, ripreso dall’opera shakespeariana Romeo e Giulietta, ripropone la figura di Domina Abundantia attraverso la Queen Mab. La domina Abundia, anche detta Satia, non è altro che la credenza della dea pagana Diana, capo delle assemblee notturne, diffusa nei territori del nord Europa e accostata alle fate francesi e alle Elbe tedesche. Shakespeare è un grande manipolatore della

20 W. Shakespeare, Romeo e Giulietta, trad. it. di S. Quasimodo, Mondadori, Milano,

1949, I ed., pp. 61-65: R. I dream'd a dream to-night. / M. And so did I. / R. Well, what was yours? / M. That dreamers often lie. / R. In bed asleep, while they do dream things true. / M. O, then, I see Queen Mab hath been with you. / She is the fairies' midwife, and she comes / In shape no bigger than an agate-stone / On the fore-finger of an alderman, / Drawn with a team of little atomies / Athwart men's noses as they lie asleep; / Her wagon-spokes made of long spiders' legs, / The cover of the wings of grasshoppers, / The traces of the smallest spider's web,/ The collars of the moonshine's watery beams, / Her whip of cricket's bone, the lash of film, / Her wagoner a small grey-coated gnat, / Not so big as a round little worm / Prick'd from the lazy finger of a maid; / Her chariot is an empty hazel-nut / Made by the joiner squirrel or old grub, / Time out o' mind the fairies' coachmakers. / And in this state she gallops night by night / Through lovers' brains, and then they dream of love; / O'er courtiers' knees, that dream on court'sies straight, / O'er lawyers' fingers, who straight dream on fees, / O'er ladies ' lips, who straight on kisses dream, / Which oft the angry Mab with blisters plagues, / Because their breaths with sweetmeats tainted are: / Sometime she gallops o'er a courtier's nose,/And then dreams he of smelling out a suit; /And sometime comes she with a tithe-pig's tail / Tickling a parson's nose as a' lies asleep, / Then dreams, he of another benefice: / Sometime she driveth o'er a soldier's neck, / And then dreams he of cutting foreign throats, / Of breaches, ambuscadoes, Spanish blades, / Of healths five-fathom deep; and then anon / Drums in his ear, at which he starts and wakes, / And being thus frighted swears a prayer or two / And sleeps again. This is that very Mab / That plats the manes of horses in the night, / And bakes the elflocks in foul sluttish hairs, / Which once untangled, much misfortune bodes: / This is the hag, when maids lie on their backs, / That presses them and learns them first to bear, / Making them women of good carriage: /This is she … / R. Peace, peace, Mercutio, peace! / Thou talk'st of nothing. / M. True, I talk of dreams, / Which are the children of an idle brain, / Begot of nothing but vain fantasy, / Which is as thin of substance as the air / And more inconstant than the wind, who wooes / Even now the frozen bosom of the north, / And, being anger'd, puffs away from thence, / Turning his face to the dew-dropping south.

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tradizione folklorica, la quale costituisce la chiave di lettura e comprensione delle sue opere. L’autore ha riconosciuto «la bellezza nella mitologia popolare»21 e ha saputo con genialità riportare nelle opere le credenze e paure

che popolano i secoli centrali del Medioevo.

Per comprendere tali credenze è da aiuto l’opera di Guglielmo d’Alvernia, vescovo di Parigi, che nel suo De universo creaturarum parla di una domina

nocturna detta «domina Abundia»22, Abbondanza, che è a capo della schiera

delle donne. La motivazione dell’appellativo è da ricercarsi nella natura delle sue azioni, che consistono in visite notturne nelle case, per procacciare cibi e bevande. Identificate come bonae res, portatrici di bene agli uomini, la gente sciocca, speranzosa di ricevere la loro visita, lascia per loro dispense e botti aperte, per un facile reperimento. Ciò che spinge il popolo ad accettare le visite delle dominae nocturnae nella loro dimora risiede nel canto emesso dalla schiera durante il banchetto: «Prendi uno, restituisci cento»23. Una promessa di

abbondanza di beni materiali che spinge l’uomo a commettere idolatria, in quanto tali offerte, come conclude il vescovo, sono illusioni degli spiriti maligni. Un altro testo in cui compare la “Signora Abbondanza” è il Roman de la Rose, opera tardo-duecentesca, in cui è presente un evidente parallelismo con la la Queen Mab shakespeariana. In entrambe le opere il credere all’errare notturno della Signora viene vista come una perdita di intelligenze e un abbandonarsi alla irrazionalità dei sogni24:

Così molte persone, per la loro follia, credono di essere di notte delle streghe, che vadano con donna Abbondanza;

21 H. Wheatley, The folklore of Shakespeare, in “Folklore”, 31 Dicember, 1916, Vol. 27, pp.378-

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22 Caccia alle streghe, pag.22.

23 M. Montesano, Caccia alle streghe, Salerno, Roma, 2012. 24 Ibidem.

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e dicono che in tutto il mondo i bambini che nascono come terzi hanno tutti questa facoltà,

che per tre volte a settimana vanno dove li porta il destino; e si introducono in tutte le case, non temono chiavi né sbarre, anzi entrano dalle fenditure, dagli spioncini e dalle crepe;

e le loro anime si separano dal corpo e vanno con le buone signore

per luoghi solitari e per le case,

e ne danno come prova ragioni simili, cioè che le cose strane che hanno visto non sono venute nei loro letti,

ma sono invece le loro anime che si affannano e se ne corrono così per il mondo;

e fin che sono in questo viaggio, se, come fanno credere alla gente, qualcuno gli mettesse il corpo all’insù, l’anima non sarebbe più in grado di entrarci. Ma questa è una follia troppo orribile

e cosa che non è certo possibile, che il corpo umano è una cosa morta non appena è privato dell’anima; dunque questa è una cosa certa: quelli che tre volte alla settimana fanno questo tipo di viaggio

muoiono tre volte e tre volte rivivono in una stessa settimana;

e se è così come diciamo noi,

allora risusciterebbero molto spesso i discepoli di simile compagnia25.

25 Guillaume de Lorris-Jean de Meun, Le Roman de la Rose, a cura di Mariantonia Liborio e

Silvia De Laude, trad. Mariantonia Liborio, Einaudi, Torino, 2014, pp. 865-867, vv. 18395-18430: «Si recuident il pour veir lores / que ces seient defores; / e font de tout ou deul ou feste,

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Il poeta racconta una credenza che definisce «orribile», nella quale identifica le bonae res come esseri soprannaturali, guidate dalla Signora Abbondanza, che chiamano a sé i terzogeniti di ogni famiglia tre volte alla settimana. Private del corpo, grazie ad espedienti magici, riescono ad entrare nelle dimore attraverso le fessure e a percorrere spazi indeterminati con rapidità.

La compagnia di Signora Abbondanza richiama alle fate della tradizione celtica, le quali promettono ricchezza, dispensano beni, portano fertilità ai campi, puniscono le pigre e distribuiscono buona o cattiva sorte ai nascituri. Allo stesso tempo vi è un rimando al tema del “cibo dei morti”, tradizione diffusa e permeata in numerose aree europee, in cui le anime dei defunti, in determinati giorni dell’anno, si intrufolano nelle dimore e per proteggersi i proprietari lasciano loro acqua, cibo e latte. Una tradizione ancora presente. Infatti, quelli che sono oggi i doni natalizi un tempo erano portati dai defunti nei giorni dedicati a loro. Ad esempio, ancora nel Novecento inoltrato, precisamente in Sicilia, il due novembre venivano regalati ai bambini dei dolcetti a forma di osso; dolcetti ancora presenti in alcune zone del meridione non più chiamati “ossa dei morti” ma probabilmente censurati in “ossa da mordere”26.

/ e tout portent dedenz leur teste, / qui les cinc sens ainsinc deceit / par les fantosmes qu’el receit. / Don maintes genz par leur folies, / cuident estre par nuit estries, / erranz aveques dame Abonde; / e dient que par tout le monde / li tierz enfant de nacion / sont de cete condicion / qu’il vont treis feiz en la semaine / si con destinee les meine; / e par touz ces osteus se boutent, / ne clés ne barres ne redoutent, / ainz s’en entret par les fendaces, / par chatieres e par crevaces; / e se partent des cors les ames, / e vont avec les bones dames / par leus forains e par maisons, / e le preuvent par teus raisons: / car les diversitez veües / ne sont pas en leur liz venues, / ainz sont leur ames qui labeurent / e par le monde ainsinc s’en cueurent. / E tant come il sont en tele ire, / si come il font aus genz acreire, / qui leur cors bestourné avrait, / jamais l’ame enter ni savrait./ Mais trop a ci folie orrible, / e chose qui n’est pas possible; / car cors humains est chose morte / si tost con s’ame en sei ne porte; / donques est ce chose certaine / que cil qui treis feiz la semaine / cete maniere d’eire sivent / reis feiz meurent, treis feiz revivent / en une semaine meïsmes; / e s’il est si con nous deïsmes, / donc resoucitent mout souvent / li deciple de tel couvent. »

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La due tradizioni, quella espressa dal Canon Episcopi e quella della Signora Abbondanza, indicano in realtà la stessa credenza, o meglio, tale è divenuta dopo secoli di elaborazione letterarie e canonista.

Come già precisato, la Dea Diana, divinità italica legata alla natura, è identificata con la Luna; essa ama la notte e incarna, nello stesso tempo, una delle forme di Ecate triforme. In molti testi canonici trecenteschi accanto al nome della dea Diana, usata per designare la brigata femminile, è presente il nome di un'altra divinità pagana, regina terrificante dell’Ade. Dea preellenica, Ecate è signora del regno Infero, della magia e del sortilegio, maestra delle maghe e delle streghe. Invocata dalla stessa Medea, nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, la dea insegna e tutela i malefici e i sortilegi evocati dalla sacerdotessa:

«Vive una fanciulla nel palazzo di Eeta,

che la dea Ecate ha più di ogni altra istruita/ nell’arte di tutti i filtri, che produce la terra e il mare infinito:

con essi sa domare la forza del fuoco instancabile e ferma in un momento le acque scroscianti dei fiumi incatena gli astri e le sacre vie della luna.»27

La dea è spesso raffigurata con tre corpi (giovane, adulta, vecchia), che rappresentano le sue attribuzioni: celeste, terrestre, ctonia. Esse esprimono la sua appartenenza ai tre diversi mondi, essendo libera di accedere al mondo degli Dei, degli uomini e degli inferi.

Come ogni divinità femminile anche Ecate viene associata al ciclo lunare e in opposizione a Diana, che rappresenta la luna crescente, essa indica la luna calante. Ecate simboleggia l’aspetto più misterioso della luna, legata a riti magici e a figure oscure. Soprattutto nel culto della dea hanno grande

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importanza i rettili e gli animali immondi, usati in composti disgustosi per creare filtri d’amore, malefici e pozioni curative, spesso accompagnate da formule magiche.

Secondo la credenza medievale Ecate appare al chiaro di luna accompagnata dalla sua schiera di donne e cani ululanti. Si diffonde così la convinzione che la dea facesse le sue apparizioni nei quadrivi e per tale ragione la gente usa mettere agli incroci delle strade delle offerte di cibo per renderla benevola. Ecate, dea delle arti magiche e dei morti, compare nell’opera di Shakespeare,

Macbeth, come la regina delle streghe. Tra le tragedie shakespeariane, Macbeth

è probabilmente la più pervasa dal soprannaturale: con profezie, apparizioni e stravolgimenti naturali. L’opera si apre con disordine fisico, meteorologico, causato dall’arrivo delle tre streghe, il quale riflette un disordine morale, un ribaltamento dei valori, “nota chiave dell’intero dramma”28, espresso dalle

poche parole pronunciate dalle streghe: «Brutto è bello e bello il brutto»29(Fair

is foul, and foul is fair). Un ossimoro allitterante e circolare in cui si annida la condizione umana.30

Queste tre Weird Sisters 31(Sorelle Fatali), che appaiono ad apertura di scena

in uno spazio indefinito, rispecchiano la tradizione stregonesca europea nelle pratiche (il volo, la frequentazione dei cimiteri, la preparazione di malefici) e nelle formule magiche che pronunciano: «Le Sorelle Destinatrici, / vagabonde per terra e mare/ mano in mano vanno così, / tondo tondo; / tre volte di là, tre

28 A. Lombardo, Lettura del Macbeth, a cura di Rosy Colombo, Feltrinelli, Milano, 2010,

pag.29; cit. di S.T. Coleridge, Shakespeare Criticism, a cura di T. M. Raysor, Londra, 1960.

29 W. Shakespeare, Macbeth, Garzanti, Milano, 2008.

30 S. Manfelotti, Shakespeare, Salerno Editore, Roma, 2010, pag.181.

31 Un riferimento al culto delle Parche, noto al popolo come le tre sorelle, «dominae fati»

come le chiama Ovidio di Tristia, che per la loro funziona importantissima venivano trattate con riguardo per propoziarne i favori.

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di qua, /e per far nove ancora tre. / Zitte! La fattura c’è»32 La presenza di una

entità superiore, non rivelata, è preannunciata dalla loro risposta a suo

33richiamo: prima strega «Eccomi, gattomammone!»; seconda strega «Rospo

chiama!». Una forza più di grande di loro che le guida e le muove nelle loro azioni.

Nel terzo atto le tre streghe appaiono sulla strada di ritorno a Macbeth e Banquo. Creature strane e dall’aria selvaggia, orribili nel loro aspetto, che somigliano a creature di un altro mondo: «Che son queste/ cose grinzute in così sconce vesti/ che non appaiono gente di questa terra / eppure ci stanno sopra?»34.

Le streghe come le Parche rivelano la profezia dando il là all’azione drammaturgica, spingendo l’uomo a compire nefandezze. Le Sorelle del Destino riassumono le capacità della dea Ecate, che grazie alla sua natura trina è affine alle Parche, la quale riesce a conoscere il passato, il presente e il futuro. Allo stesso modo la Regina degli inferi era padrona di tutto ciò che vive nell’inconscio e nelle zone nascoste della psiche, riuscendo a convincere l’uomo a compiere atti amorali.

La figura di Ecate entra nella scena quinta e sembra che Shakespeare abbia catturato in questa figura molte delle caratteristiche delle donne accusate di stregoneria:

«E non ne ho motivo, vecchiacce che siete Sfrontate e sfrenate? Con quale fegato

32 Macbeth, Atto Primo, III scena [ALL: The Weird Sisters, hand in hand, /posters of the sea

and land, / thus do go, about, about;/ thrice to mine, / and thrice again, to make up nine. / Peace! The charm’s wound up.]

33 Ivi, Atto Primo, I scena [FIRST WITCH: I come, Grey-Malkin. /SECOND WITCH: Padock

calls!]

34 Ivi, Atto Primo, III scena [What are these, / so withered and so wild in their attire, /that

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Brigare spacciare con Macbeth Sciarade e maneggi di morte, e me, signora degli incanti, segreta ordinatrice di guai non chiamarmi a far la parte o mostrar la gloria dell’arte? E ciò ch’è peggio avete operato Solo per un figlio traviato

Stizzoso e rabbioso, che, come succede, s’infischia di voi, pensa al suo bene. Ma via, fate ammenda: pronte correte all’abisso d’Acheronte e incontriamoci lì domattina. Verrà per sapere il suo destino. Voi preparate fatture e vasi e filtri e il resto che fa al caso. Io parto a volo; consacro la notte a un’opera orrenda, foriera di morte. Prima dell’alba ho un lavoro duro da fare su un corno della luna. Lassù pende una goccia d’aria misteriosa; prima che cada io l’acchiappo e la distillo con magici trucchi e ne strizzo spiriti finiti. Con forte illusione lo porteranno a perdizione. Sfiderò il destino, disprezzerà la morte e spingerà

le sue speranze oltre la grazia, la saggezza e la peritanza. Voi sapete, esse troppo sicuri è il nemico peggiore degli uomini»35

35 Macbeth, Atto Terzo, scena V [Have I not reason, beldams, as you are/ Saucy and over -bold?

How did you dare/ to trade and traffic with Macbeth/ in riddles and affairs of death,/ and I , the mistress of your charms,/ the close contriver of all harms/ was never called to bear my part,/ or show the glory of our art?/ And, which is worse, all you have done/ hath been but for

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19 1.3 LE DONNE DI FUORA

Le Donni di fuora, Donni di locu, Donni di casa, Donni di notte sono le varie denominazioni usate in Sicilia, e riportate da Pitrè in Usi e costumi, credenze e

pregiudizi del popolo siciliano36 , per indicare «esseri soprannaturali, un po'

streghe un po' fate», dalla natura ambivalente «geni benefici o malefici», che spinte soltanto dal «capriccio» e da «una certa lor maniera di vedere e giudicare le cose»37 giovano o nuocciono agli umani.

Le Donne di casa sono spiriti di donne in carne e in ossa, le quali vagano per il mondo di notte mentre i loro corpi restano distesi a letto, come immersi in un sonno profondo. Pitrè le descrive dall’aspetto matronale, belle per la sinuosità del corpo e la lucentezza della chioma e maestose nel portamento. Vengono identificate come spiriti domestici, protettrici della casa, le quali amano l’ordine e la pulizia delle dimore e voglio trovare in esse «tutto in bell’ordine, ben rifatto il letto, bianche e odorose le lenzuola, sprimacciati i guanciali, splendido il rame della cucina, benissimo spazzate le stanze»38.

Le Donne intrattengono, in maniera particolare, un rapporto esclusivo con i bambini, principalmente neonati, verso i quali mostrano un comportamento ambivalente: li accudiscono, li accarezzano e li colmano d’affetto e di beni, ma per un semplice capriccio li sottopongono a continui dispetti, li spaventano nel

a wayward son, / spiteful and wrathful, who, as, others do, / Loves for his own ends, not for you./ But make amends now: get you gone, / and at the pit of Acheron/Meet me i’the morning. Thither he / will come, to Know his destiny./ Your vessels and your spells provide;/ your charms and everything beside./ I am for the air; this night I’ll spend/unto a dismal and a fatal end./ Great business must be wrought are noon/ Upon the corner of the moon:/ there, hags a vaporous drop profound; / I’ll catch it ere it come to ground;/ and that distilled by magic sleights/ shall raise such artificial sprites/ as by the strength of their illusion/ shall draw him on to his confusion./ He shall spurn fate, scorn death, and bear/ his hopes ‘bove wisdom, grace, and fear./ And you all know security/ is mortals’ chiefest enemy].

36 G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. IV., G. Barbera Editore,

Firenze, 1952.

37 Ibidem, pag. 163. 38 Ibidem.

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sonno «mettendo loro addosso quella mìngara39 che si traduce in un pianto

continuo, persistente e insopportabile»40. Possono nuocere ai bambini, in

particolare fino al quarantanovesimo giorno dalla loro nascita, provocando loro malattie o deturpandoli fino a quando non ricevono il battesimo41.

Talvolta, le Donne spostano il bambino dalla culla, facendolo ritrovare a terra o in altre stanze della casa, e a spingerle a compiere tali azioni è la volontà di punire le madri distratte e inadempienti; ma altre volte la loro azione magica si riveste di crudeltà «lo cambiano e sostituiscono con un altro più bello o più brutto […] il che si dice canciari. Il bambino canciatu o canciateddu è il bambino affatturato, e lo si giudica tale perché perde il colore del viso, emacia a vista d’occhio, intristisce miseramente, senza che se ne comprenda il come e il perchè»42. Alle madri non resta che rassegnarsi perché nessun farmaco e

medicinale può contrastare un evento soprannaturale, tanto meno andare contro la volontà delle Donne.

Le Donne di fuora sono streghe molto diverse dall’immagine tradizionale imposta dai trattati demonologici e dai resoconti degli Inquisitori: esseri soprannaturali dalla natura ambigua e indecifrabile, che mostrano un affetto ambivalente nei confronti dei lattanti. A differenza delle streghe delle fiabe, le

Donne non succhiano il sangue e né si cibano di parti del corpo del neonato;

39 A. Traina, Nuovo vocabolario Siciliano - Italiano, G. Pedone Lauriel, Palermo, 1868, al lemma

Mìngara riporta: «quella sdegnosità che suol venire ai bambini allor quando hanno voglia di dormire: scorruccio».

40 Ivi, pag.179.

41 G. Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, pag. 11, da R. Castelli, Credenze

e usi del popolo Siciliano. Giochi, costumi e superstizioni, B&B, Palermo, 1878, pag.15: «È per questa

cagione che i parenti, quando nasce un bambino, la prima notte non si addormentano per timore che sopraggiunga la strega, ed alcuni sino al battesimo, altri sino al 49giorno dalla nascita, tengono ogni notte acceso il lume in camera, affiggono alla porta della casa l’immagine d’un santo, vi mettono dietro un vaso pieno di sale ed una scopa: tanta è la paura che reca negli animi superstiziosi la strega».

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per questo nelle storie di changelings43 non è mai previsto la morte del bambino.

Vi sono, però, rare eccezioni causate dall’infrazione di un divieto conosciuto all’interno della comunità; quindi la morte viene considerata una giusta punizione nei confronti di genitori irresponsabili: in Sicilia, ad esempio, la morte di un bambino avviene solo se la madre gli taglierà il trizzo di donna44 ,

ossia un intreccio di capelli che è impossibile sciogliere, attraverso il quale le

Donne stabiliscono un legame particolare con alcuni esseri. La loro volontà è

di essere ubbidite ciecamente in ciò che esse vogliono, spinte da un amore geloso, esclusivo, possessivo, dietro il quale celano le loro nefandezze.

La prima attestazione letteraria del mito folklorico del changeling45 è presente

nel Satyricon di Petronio, dove Trimalcione, sul finire della serata e del banchetto, racconta una spaventosa storia ai suoi ospiti:

«Si era lì tutti trasecolati dallo stupore, allorché Trimalcione: “Con buona pace – disse – della tua storia, sì che mi è venuta la pelle d’oca, c’è da credermi, perché Nicerone, lo so, balle non ne racconta, che anzi è uno serio e per niente chiacchierone. Del resto posso raccontarvi anch’io un fatto impressionante, come l’asilo che vola. Ai tempi che ero ancora ben chiomato, che da ragazzo faceva il sibarita, venne a morte il favorito del mio padrone,

43 La parola changeling è attesta per la prima volta a partire dal Cinquecento. Riportata in

Oxford English Dictionary, tra le varie eccezioni, presenta il significato di: persona o cosa

scambiata (di solito surrettiziamente) per qualcun altro o qualcos’altro [More generally: a person or thing secretly or surreptitiously substituted for another]. Il termine si riferisce allo scambio tra un bambino segretamente allontanato dalla culla e un altro, brutto e stupido, lasciato dagli esseri fatati in sostituzione del bambino rapito. Il termine è stato successivamente usato dagli studiosi di folklore come termine specifico per indicare l’avvenimento superstizioso dello scambio presente in molte culture europee; la stessa parola in inglese ha un significato più ampio e può indicare qualsiasi “sostituto”, il cui scambio non ha implicazioni soprannaturali. Il termine è usato con queste eccezioni nell’omonimo film di Clint Eastwood (2009), in cui una ragazza madre, interpretata da Angelina Jolie, vede restituirsi dalla polizia non il figlio rapito ma un trovatello. Poco servono le sue parole di denuncia. La polizia anziché riconoscere l’errore, per non perdere l’appoggio dell’opinione pubblica, fa internare la donna in manicomio.

44 Ivi, pag. 181.

45 R. Castellana, Storie di figli cambiati. Fate, demoni e sostituzioni magiche tra folklore e letteratura,

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una gioia, per bacco, un mignolino con tutti i numeri. Or dunque, mentre la madre poveretta lo piangeva e noi per l’occasione si era in molti a vegliarlo, tutto a un tratto le streghe attaccarono a stridere: sembrava il cane quando insegue la lepre. C’era con noi in quel momento una pertica di Cappadoce, che non conosceva la tremarella e di forza ne aveva: un bue inferocito riusciva a sollevare. Costui arditamente, sguainata la spada, si lancia fuori dalla porta, con la mano sinistra ben ravvolta nel mantello, e trapassa a mezzo come qui dove tocco – di me ne scampi! – una di quella maliarde. Sentiamo un gemito, e – giuro che non meno – di persona non ne vediamo. Intanto il nostro omone, una volta dentro, si lancia cadere sul letto, che aveva tutto il corpo pieno di lividure, come se preso a frustate, perché, questo è chiaro, lo aveva toccato la mala mano. Noi, chiusa la porta, riprendiamo di nuovo la funzione, ma nel punto in cui la madre abbraccia il corpo del figlio si accorge di toccare un manichino di paglia. Non più cuore aveva, non più intestini, non più niente di niente: le streghe, questo è chiaro, si erano portate via il fantolino e al posto ci avevano messo un bamboccio di paglia. Scusate, ma dovete crederci: esistono queste maliarde che la sanno lunga, queste creature della Notte, e mandano tutto a gambe all’aria. Del resto l’omone, pertica com’era, dopo quell’avventura non ebbe più i suoi colori, che anzi in pochi giorni morì pazzo furioso.”»46

46 Petronio, Satyricon, trad. e cura di V. Ciaffi, Einaudi, Torino, 2003, pp.80-83: «Attonitis

admiratione universis «Salvo – inquit – tuo sermone, - Trimalchio, - si qua fides est, ut mihi pili inhorruerunt, quia scio Niceronem nihil nugarum narrare; immo certus est et minime linguosus. Nam et ipse vobis rem horribilem narrabo. Asinus in tegulis. Cum adhuc capillatus essem, nam a puero vitam Chiam gessi, ipsimi nostri delicatus decessit, mehercules margaritum, caccitus et omnium numerum. Cum ergo illum mater misella plageret et nos tum plures in tristimonio essemus, subito stridere strigae coeperunt; putares canem leporem persequi. Habebamus tunc hominem Cappodocem, longum, valde audaculum et qui valebat; poterat bovem iratum tollere. Hic audacter stricto gladio extra ostium procucurrit, involuta sinistra manu curiose, et mulierem tamquam hoc loco – salvum sit quod tango! – mediana traiecit. Audimus gemitum, et – piane non mentiar – ipsas non vidimus. Baro autem noster introversus se proiecit in lectum, et corpus totum lividum habebat quasi fiagellis caesus, quia scilicet illuni tetigerat mala manus. Nos eluso ostio redimus iterum ad officum, sed dum mater amplexaret corpus filii sui, tangit et videt manuciolum de stramentis factum. Non cor habebat, non intestina, non quicquam: scilicet iam puerum strigae involaverant et supposuerant stramenticium vavatonem. Rogo vos, oportet credatis, sunt mulieres plussciae, sunt Nocturnae, et quod sursum est, deorsum faciunt. Ceterem baro lile longus post hoc factum numquam coloris sui fuit, immo post paucos dies freneticus periit ».

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Si nota da subito ad apertura del racconto una triste atmosfera. È una veglia funebre di un bellissimo bambino, improvvisamente venuto a mancare. Durante la notte, tra il pianto della madre, si sentono le grida penetranti delle streghe, arrivate a consumare il loro banchetto di carne umana. Il cappadoce, un uomo dalle grandi fattezze fisiche, decide di allontanare le streghe, e sguainando la spada esce coprendosi con un mantello, per evitare di essere toccato dalla loro mano malefica. Agitando l’arma nel buio riesce a colpire una di queste, che emette un grido terrificante, ma allo stesso tempo viene toccato dalla mala manus che lo rende dapprima pazzo e poi lo uccide. Messe in fuga le streghe, la madre abbraccia per l’ultima volta il figlio, ma in quel momento si accorge che le Nocturnae, approfittando della confusione, hanno portato via il corpo del bambino sostituendolo con un pupazzo di paglia.

Il changeling dell’opera di Petronio presenta una significativa modifica rispetto alle superstizioni popolari diffuse in varie culture europee. A differenze delle storie folkloriche di changelings in cui il bambino rapito è in buona salute e di grande bellezza, nel Satyricon il bambino è morto. Per questo motivo lo scambio non avviene, come è usuale, con un altro bambino malato e deforme, ma con un fantoccio di paglia. Inoltre, nelle storie popolari il bambino non è mai oggetto di torture o violenze da parte degli esseri dalla natura ambigua che lo rapiscono, ma anzi cercano di rendere la sua esistenza felice e serena nel luogo in cui viene destinato.

Le streghe di Petronio sono le strigae latine, esseri capaci di divorare le interiora e parti del corpo delle loro vittime. Una superstizione della Roma arcaica che è presente nell’opera ovidiana I Fasti47, in cui l’autore presenta le

streghe come mostri alati che volano di notte in cerca di bambini senza nutrice, strappandoli dalle loro culle e divorando i loro corpi. Esseri già presenti

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nell’Antica Grecia con il nome di Lamiae, nati dal mito di Lamia, bellissima regina libica, che trasformatasi in mostro dopo la morte dei suoi figli, uccide i bambini delle altre donne, mossa da una disperata invidia, divenendone protagonista di racconti popolari e spauracchio per i bambini:

«Vi è mai capitato di sentir nominare le Lamie? Quand’ero ancora un bambino la nonna mi raccontava che nei luoghi solitari stavano certe Lamie, che ingoiavano i bambini tra i loro gemiti. A quel tempo Lamia era per me la paura più grande, la cosa più spaventosa48».

1.3.1 LE DONNE DI FUORA NELLA NOVELLA PIRANDELLIANA.

La novella Il figlio cambiato49 di Luigi Pirandello, apparsa il 5 agosto del

1923 sul “Corriere della sera” e successivamente inserita in Novelle per un

anno (Dal naso al cielo, 1925), presenta la credenza popolare ben viva e diffusa

nel territorio siciliano, e non solo, delle Donne di fuora50 e dei figli cambiati:

«C’è in tutta l’Italia meridionale la credenza popolare che le notti d’inverno, le notti d’inverno e senza luna, vadano per l’aria le streghe, certe streghe dette le

48 A. Poliziano, Lamia. Praelectio in priora aristotelis analytica, ed. a cura di A. Wesseling, Leiden,

Brill, 1986, pag.3: «Audistine unquam Lamiae nomen? Mihi quidem etiam puerulo avia narrabat esse aliquas in solitudinis Lamias, quae plorantes gluttirent pueros. Maxima tunc mihi formido Lamia erat maximum terriculum».

49 L. Pirandello, Il figlio cambiato, in Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, Mondadori,

Milano, 1897, vol. II, t.1, pp. 496-501; Le Nonne e le varianti a stampa dell’ediz. in vol. nel relativo apparato, vol. II, t.2, pp.1189-1194; La Favola del figlio cambiato in Maschere nude, a cura di A. d’Amico, Mondadori, Milano, 1986, vol. IV, pp.745-805.

50Un ulteriore accenno alle Donne di fuora è presente in un'altra opera pirandelliana, ossia nella

pima edizione del romanzo L’esclusa (1908), riguardo alla figura di Sidora: «la gente del vicinato credeva ch’ella fosse in commercio misterioso con le Donne, e qualcuna giurava di aver sentito nelle notti d’inverno più burrascose gridare tra il vento, su dai tetti, il nome di lei: - Sidora! Sidora! Le Donne certo, che venivano a chiamarla, se la portavano via con loro, in spirito. Non aveva ella in casa un altarino su cui adorava tre spighe secche circondate da sacchetti scarlatti pieni di sale?» (L. Pirandello, Tutti i romanzi, a cura di G. Macchia, Mondadori, Milano, 1973, pag. 884).

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“Donne”, che si introducono nelle case per la gola dei camini e per gli abbaini, e alle povere mamme che dormono tolgono d’accanto i bambini, o intrecciamo loro sul capo certe treccine che non si possono più disfare, e guai a toccarle col pettine e a tagliarle con le forbici: il bambino ne morirebbe; o passano sulle palpebre chiuse della creatura le punta delle dita sottili, e la creaturina la mattina apre gli occhi, e li ha storti; oppure fanno l’orribile dispetto di cambiare il figlio a una mamma: cioè le portano via il bambino bello e gliene lasciano uno brutto, andando a portare il bello a un’altra madre in cambio del brutto» 51

Il testo è una riscrittura di un vecchio racconto pubblicato su “Riviera ligure” nell’aprile del 1902, dal titolo Le Nonne. Il nome è una variante, puramente fonetica, attestata in Sicilia e presente in Scurpiddu52 (1898) di

Capuana. I testi non presentano divergenze nella trama, ma si discostano nella forma narrativa. A presentare differenze testuali e di contenuto è l’ultimo rimaneggiamento della novella, avvenuto dieci anni dopo, nel 1933, per la creazione di un testo teatrale. Ne diviene La Favola del figlio cambiato53,

dramma in tre atti con le musiche di Malipiero, dalla trama e conclusione molto diverse.

La novella è ambientata nella Sicilia dei primi anni del Novecento, precisamente, come viene indicato nell’edizione del 1902, in un’Agrigento immersa in una atmosfera densa di superstizioni arcaiche e credenze

51 L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, a cura di B. Ortolani, Mondadori, Milano, 1995, pp.

429-430.

52 L. Capuana, Scurpiddu (1898), Rizzoli, Milano, 1981, pag 35: «Mommo credeva alle Nonne,

ne aveva udito parlare dalla sua mamma e da altri ragazzi. La sua mamma una volta aveva raccontato alle vicine che le Nonne le avevano un bambino dalla culla e glielo avevano deposto sul letto. E poi quel bambino era morto».

53 L’opera viene rappresentata in tedesco al Landestheater di Brunswick con il titolo Die

Legende vom vertauschten Sohn, il 13 gennaio 1934, ottenendo un’accoglienza molto positiva. La

prima italiana avviene a Roma il 24 marzo alla presenza di Mussolini, che invece non apprezza l’opera, considerandola un chiaro attacco al regime, e ne vieta le repliche.

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popolari. A questa realtà magica e arcana si contrappone lo sguardo razionale e diffidente del narratore:

«Avevo udito urlare durante tutta la notte, e a una cert’ora fonda e perduta tra il sonno e la veglia non avrei più saputo dire se quelle urla fossero di bestia o umane.

La mattina dopo venni a sapere dalle donne del vicinato ch’erano state disperazioni levate da una madre (una certa Sara Longo), a cui, mentre dormiva, avevano rubato il figlio di tre mesi, lasciandogliene in cambio un altro.

- Rubato? E chi gliel’ha rubato? - Le “Donne”!

- Le donne? Che donne?

Mi spiegarono che le “Donne” erano certi spiriti della notte, streghe dell’aria.»54

L’Io narrante introduce il discorso attraverso la tecnica del flash back: l’avvenimento si è svolto «durante tutta la notte». Al mattino, l’Io cerca di ricostruire l’entità degli strani suoni, certo di non aver vissuto un’allucinazione. Ma resta sbigottito e incredulo di fronte alle affermazioni delle comari sull’esistenza di esseri magici dal nome Donne. Streghe dell’aria che durante la notte hanno rubato il figlio di tre mesi di Sara Longo, moglie di un marinaio che quella notte era per mare. La madre, mossa dalla disperazione, urla che il suo bambino è stato rapito e ora nella culla giace un bambino che non è il suo. Le sue parole vengono confermate dalle comari, che spiegano al narratore che il bambino della Longo «era bianco come il latte, biondo come l’oro, un Gesù Bambino» mentre questo «nero, nero come il fegato e brutto, più brutto d’uno scimmiotto». La donna nel vedere quel «mostriciattolo» al posto di suo figlio prova un tale orrore e disgusto da non

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riuscire a toccarlo, cessando di prendersene cura. Il bambino «cambiato» riesce a sopravvivere grazie alle comari che «per carità di Dio» superano lo sgomento iniziare e lo nutrono «un po' di pan bagnato, con lo zucchero, avvolto in una pezzuola formata a modo di capezzolo».

Decisa a riottenere il figlio rubato la Longo si rivolge a Vanna Scoma, una strega che ha fama «d’essere in misteriosi commerci con quelle “Donne”», venendo da quest’ultime convocata nelle notti di vento e facendola partecipare in spirito ai loro incontri notturni. La megera le rivela di aver visto il suo bambino in uno dei suoi viaggi estatici, ma non può dirle il luogo. Vanna la tranquillizza sulla buona salute del figlio lì dove è, e ciò può rimanere così «a patto però che anche lei trattasse bene la creaturina che le era toccata in cambio».

La Longo, seppure a malincuore, accetta il consiglio della strega e inizia ad accudire il figlio brutto e deforme, certa che non fosse il suo. Sara sa che il suo vero figlio è tra le braccia di un'altra madre, di colei che ha generato il figlio che ora è costretta a curare, e su questa fiducia ripone ogni suo atto di pietà, la quale è tutt’altro che disinteressata. Le visite quotidiane alla strega continuano fino al ritorno del marito, che senza farsi troppe domande sulla natura della magrezza della moglie e del figlio, spezza l’intreccio magico tra figlio presente – negativo e figlio assente ‒ positivo, e riparte mettendo incinta la Longo per la seconda volta. La nuova gravidanza impedisce l’assiduità degli incontri con Vanna per avere notizie del figlio perduto. L’altro, nel frattempo, inizia a mostrare tutti i sintomi di una paralisi infantile: «il colluccio vizzo, il testoncino giallo, un po' su una spalla e un po' sull’altra; e cionco, forse, di tutt’e due le gambine».

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Il lettore ha di fronte un mondo arcaico, incomprensibile nelle sue leggi, che si basa su un sapere antico, condiviso da tutta la comunità, il quale allo stesso tempo permette di rafforzare i legami sociali e creare sintonia tra i personaggi. Viene messa in risalto la speranza di Sara Longo di riavere il figlio perduto, cosa che accadrà grazie alla seconda gravidanza dandole un bambino «roseo e paffuto (come l’altro)». Sara riversa su quest’ultimo tutto l’affetto che non può dare all’altro, mentre il figlio delle Donne, l’unico nome che gli viene dato55,

trascorre le sue giornate seduto su una seggiola davanti alla porta di casa, vittima delle crudeltà degli altri bambini. La locuzione fa trasparire non solo la cattiveria delle popolane, che lo chiamano così per il gusto di ferirlo, ma la memoria verbale dello strato più arcaico della credenza: in cui i canciati sono ritenuti veramente i figli delle Donne56. Anche se resta certo il carattere

soprannaturale dello scambio, tuttavia il canciatu viene riconosciuto un essere umano, per questo degno della pietà che le comari gli rivolgono per farlo sopravvivere. Lo scambio può essere così definito perfettamente simmetrico, perché entrambi gli oggetti appartengono alla sfera degli esseri umani.57

Pirandello ne Le Nonne insiste sulla descrizione dei tratti mostruosi del

canciatu, messi in risalto dal paragone con i lineamenti del figlio “vero”, basati

su quelli del Bambinello:

«Le era seccato il cuore, povera donna, nel vedere quel mostricciattolo paonazzo, gronchio dal freddo, dal volto nero, in cui le palpebre gonfie, livide,

55 Nella novella Le Nonne la madre chiama il bambino canciatu «Nicuzzo, cioè Piccolino». Non si

tratta di un nome vero, non è un segno identitario, ma un nomignolo dato per scopi pratici. La scelta di non darglielo completamente dell’edizione del 1923 è perfettamente ricollegabile al valore del changeling: un figlio battezzato è un figlio riconosciuto e dotato di un’identità sociale. Ricordiamo infatti che lo scambio avviene quando il bambino non è stato ancora battezzato, cioè in quella fase limbale tra la vita e la morte sociale.

56 R. Castellana, Storie di Figli cambiati, cit., pag. 137.

57 Le Nonne: «chi sa a qual madre di qual paese era stato tolto a tradimento, la quale s’era

trovato, in cambio, il bambinello della Sara della Piana (il nome di Sara Longo nella prima versione)»

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chiuse, parevano nello spacco due ferite; quel mostricciattolo, in cambio del bambinello bianco come il latte, biondo come l’oro.»58

Il termine «mostriciattolo» è presente anche ne Il Figlio cambiato, usato per paragonarlo a uno scimmiotto. Allo stesso tempo, nel testo si nota una attenuazione dei caratteri descrittivi, rivestiti da un velo di pietà e compassione:

«E il povero innocente se ne stava lì, con le gambine cionche, il testoncino ciondolante dai capelli terrosi, perché spesso gli altri ragazzi della strada gli buttavan per chiasso la rena in faccia, e lui si riparava col braccino e non fiatava nemmeno. Era assai che riuscisse a tener ritte le palpebre sugli occhietti dolenti. Sudicio, se lo mangiavano le mosche.»59

I due testi sono da collocare subito prima e subito dopo la fase dell’umorismo pirandelliano. Le Nonne (1902) presenta un forte legame alle soluzioni veriste, mentre Il Figlio cambiato (1923) è attraversato da nuove esigenze di confronto con la realtà degli anni della Grande Guerra, venendo meno l’elemento del riso e sempre più quello della pietà.

Il carattere irrazionale e imprevedibile dell’operato delle Donne serve a giustificare o spiegare alcuni avvenimenti che la comunità vuole celare:

«lo spunto del libretto […] è dato dalle superstizioni di certe regioni del sud che crede in spiriti malefici che chiama le “donne”. A costoro vengono attribuiti i fatti più strani e dolorosi. Quando non si sa spiegare la ragione di avvenimento si dice che sono state le “donne”. Una morte improvvisa di notte, lo spostamento misterioso di un oggetto, una paralisi infantile: opera delle “donne” […] Io stesso mi ricordo da bambino, ad Agrigento, di essere stato portato in una casa a vedere un fatto strano. Un bambino in fasce che dormiva

58 L. Pirandello, Le Nonne, pag.1190.

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nella stanza dei genitori era stato trovato all’alba in cucina. Evidentemente la madre, per un fenomeno di sonnambulismo, ve lo aveva portato di notte. Ma allora tutti dicevano, ed erano convinti, che fossero state le “donne”»60

Le storie folkloriche di changelings si basano sull’esigenza di dare una spiegazione “magica” alle cause di molte patologie neonatali, agli handicap mentali e fisici, considerate incurabili. Molte malattie furono interpretate come esito di uno scambio magico: ad esempio l’atrepsia infantile, chiamata mèl dal

simiot “mal dello scimmione”61, una grave malnutrizione del lattante che causa

pelle secca e rugosa, conferendo al bambino l’aspetto di un vecchio; la paralisi cerebrale infantile, riconosciuta dal narratore nella novella del Figlio cambiato, provoca danni al sistema nervoso centrale che si riversano nelle funzioni motorie e mentali. L’improvvisa malattia dell’infante determina una profonda crisi nella famiglia, causando dolore materno e vergogna nel parentado, e richiede una messa in scena, una reintegrazione nel piano simbolico62. Gli studi

antropologici hanno definito questo processo destorificazione del negativo63: una

creazione di espediente, come le donne di fuora, ossia di circuiti volti alla soluzione della crisi e l’uscita dal terrore.

Lo scambio nella novella, come in quasi tutte le storie di changelings, avviene all’interno delle mura domestiche, precisamente nella camera da letto dove il neonato dorme assieme alla madre. L’azione delle Donne si realizza durante le ore notturne, quando tutti dormono, permettendo loro di intrufolarsi nelle case e di agire indisturbatamente. Per questo in alcune aree meridionali si usa

60 Interviste a Pirandello, «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di Ivan Pupo, pag.

533-541 (a p.535), in “Quadrivio”,18 Marzo 1934, Perché è stata proibita in Germania La favola del figlio

cambiato? Un’intervista con Luigi Pirandello - Una dichiarazione di Malipiero, Rubbettino Editore,

Saveria Manelli,2002.

61 R. Castellana, Storie di figli cambiati, pag. 129.

62 P. Puppa, Dal figlio cambiato alla favola, in “Ariel”, VI, (1991); 2, pp. 137- 148, cit. pag. 138. 63 E. De Martino, Sud e Magia, Feltrinelli, Milano, 1959.

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nelle prime settimane di vita del neonato tenere acceso un piccolo lume accanto alla culla del bambino64, per evitare che essa venga toccato dalle Donne

di fuora.

Un ruolo fondamentale è rivestito da Vanna Scoma, che funge da mediatrice, ossia conoscitrice delle modalità dello scambio e può aiutare i genitori sul da farsi. Le storie di changelings riguardano soprattutto la sfera femminile e la maternità, pertanto la mediatrice è sempre una donna anziana, esperta di magia bianca e allo stesso tempo levatrice. Essa sa far nascere i bambini o riportali alla famiglia e alla comunità, o per lo meno può assicurare il loro benessere nel luogo in cui sono stati destinati.

La mediatrice solitamente interviene quando lo scambio è stato effettuato. Quest’ultimo può avvenire in quel lasso di tempo in cui il bambino non ha ricevuto il battesimo, non è ancora cristiano, ed è quindi esposto alle cattiverie degli spiriti del paganesimo.

Il privilegio della mediatrice di partecipare agli incontri notturni con le

Donne, pone Vanna in una posizione ambigua, divenendo una figura rispettata

ma in egual modo osteggiata dalla comunità. Ma è in virtù di questo rapporto speciale che Vanna può fornire alla Longo informazioni sulla salute di suo figlio.

Il termine siciliano per indicare la fattucchiera è Màgara, donna in carne e in ossa che in certe condizioni può operare cose soprannaturali65. Ma nel folklore

siciliano il termine Strega presenta una forte ambivalenza, riportata nella novella di Pirandello, da una parte si riferisce alle «streghe dell’aria», «spiriti

64 Solitamente le storie di changelings prevedono il rapimento, sostituzione, del figlio maschio.

In molte culture popolari il figlio maschio ha molto più valore della figlia femmina, e di conseguenza la paura di poterlo perdere fa creare dei sistemi difensivi dell’immaginario.

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