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Il peso dei costi nel settore teatrale: la sindrome di Baumol e la “malattia dei costi” applicata al settore teatrale

Lo spettacolo dal vivo e il suo impatto economico: la rilevanza della produzione teatrale sul territorio

2.3 Il peso dei costi nel settore teatrale: la sindrome di Baumol e la “malattia dei costi” applicata al settore teatrale

William Baumol è stato un professore di economia all'Università di New York, autore di una celebre opera dal titolo “The Cost Disease: Why Computers Get

Cheaper and Health Care Doesn’t” pubblicata, nell'ultima versione, all'età di 90

anni. L'opera aggiorna una tesi che lo studioso americano ha formulato per la prima volta negli anni sessanta e che è nota come “Baumol's Disease of Costs o

Baumol Effect” (sindrome di Baumol o effetto Baumol) (O'Hagan, Neligan, 2005,

pp. 35-37). In breve, la sindrome dei costi di Baumol postula quanto segue:

“in diversi settori economici, la produttività aumenta e i progressi tecnologici rendono possibile che, ad esempio, la costruzione di un'automobile costi adesso meno ore di lavoro di quanto non costasse cinquanta anni fa. Quando ciò accade, i salari dei

6 https://www.confcommercio.it/documents/10180/13610275/Rapporto+sulle+ricadute+degli+eventi+culturali+e+

lavoratori in quel determinato settore della produzione aumentano, perché gli imprenditori possono permettersi di destinare ai salari una parte del surplus prodotto. Al contrario, in altri settori, la produttività non aumenta o aumenta molto poco con il tempo. “

Ad esempio, dice Baumol:

“un'orchestra sinfonica che suona una sinfonia di Beethoven usa oggi la stessa quantità di tempo di cento anni fa”

e, in generale, in settori come la salute, l'istruzione o l'abbigliamento di alta moda, la produttività aumenta molto poco o nulla. Tuttavia, i lavoratori di tali settori fanno pressione sugli imprenditori e in generale, si può dire, sul sistema economico richiedendo anche essi aumenti di salario - dal momento che aumentano i salari di altri settori più produttivi - e fnendo in certi casi per ottenerli. Visto che anche nei settori con un aumento della produttività scarso o nullo, i salari tendono ad aumentare nel tempo e poiché questi aumenti non possono essere fnanziati con gli aumenti di produttività, essi saranno inevitabilmente fnanziati dagli aumenti dei prezzi (Petraroia, 2015, p. 8 e ss.).

Nell'opera citata, Baumol fornisce recenti esempi tratti dall'analisi dell'economia culturale nell'ambito degli Stati Uniti: dal 1980 al 1995 il prezzo dell'istruzione universitaria è aumentato del 440% e il costo della salute del 250%. In generale, i prezzi sono aumentati nello stesso periodo del 110% e i salari del 150%. In altre parole, i salari sono generalmente aumentati di più dei prezzi perché la produttività è aumentata a livello globale; ma nei settori a più alta intensità di manodopera e a carattere più “artigianale”, poiché c'è stato

generalmente un aumento minimo o nullo della produttività, per aumentare i salari, i prezzi sono necessariamente aumentati molto di più.

La sintesi prodotta da Baumol, sebbene sia stata per molti versi oggetto di critiche da parte di diversi studiosi, conserva un forte valore per chi si è interessato all'effcacia dei servizi pubblici (O'Hagan, Neligan, 2005, pp.35-37). La maggior parte dei servizi pubblici sono infatti assai estesi quanto ad impiego di lavoro e spesso caratterizzati da una forte componente “artigianale” (vale a dire sono settori con scarsa o nulla automazione o applicazione di nuove tecnologie in grado di ridurre i costi del lavoro); non si tratta evidentemente soltanto di settori come la salute e l'istruzione, ma anche della manutenzione della città, della nettezza urbana, dei servizi delle forze di polizia ecc (Barca, 2013, pp. 325-330). In tutti i settori citati è osservabile l'effetto della “malattia dei costi”. Secondo gli interpreti più “radicali” del discorso dell'economista americano, questo insieme di fattori mette seriamente in discussione l'idea della sostenibilità dello stato sociale nel lungo periodo. L'aumento dei costi dei servizi pubblici in misura superiore ai prezzi globali renderà ogni volta più diffcile mantenere in equilibrio il “portafoglio” dei servizi pubblici, data la diffcoltà di aumentare indefnitamente l'onere fscale in modo ridistributivo. Tale fattore spiegherebbe anche il ruolo e la combattività delle formazioni sindacali proprio nel settore pubblico: visto lo scarso miglioramento della produttività nel medio e lungo periodo, solo con una forte pressione sindacale si può continuare ad aumentare i salari, aumentando di conseguenza sempre più il costo sociale di servizi pubblici (Ohagan, Neligan, 2005, pp. 35-37). Si tratta, come si vede, di un approccio che fnisce con l'essere critico rispetto alla

prospettiva di un intervento indefnito del settore pubblico in alcuni importanti settori sociali e che tende inoltre a spiegare sul terreno della non sostenibilità dell'intervento pubblico anche le diffcoltà di fnanza pubblica che caratterizzano l'assetto di alcuni stati europei più tradizionalmente legati ad una forte presenza dello stato nell'economia.

In questi paesi spesso all'importanza di un sistema di benefci pubblici di qualità in tutto simile a quella dei paesi più avanzati, e in alcuni casi anche più esteso, non corrisponde un'adeguata disponibilità del sostegno fscale. Da qui viene anche mossa una forte critica al sistema delle organizzazioni lavorative, artigianali e sindacali, che vengono tacciate di esibire un carattere eccessivamente individualista e “frammentario” (De Varine, 2005, p. 16 e ss.). Tali elementi concorrono a determinare l'elefantiasi nel livello della spesa pubblica rispetto a quello del PIL e la crescita del livello di disavanzo pubblico che mette questi paesi spesso sull'orlo dell'insolvenza (Addis, 2002, p. 26 e ss.).

Si sottolinea, a partire da tale prospettiva assai critica verso il modello di sviluppo a forte incidenza dello stato nell'economia che ha caratterizzato molti paesi europei nel secondo dopoguerra, la caratteristica “scarsità di produttività” dei settori pubblici, in particolare in taluni paesi rispetto ad altri considerati “più avanzati”. I dipendenti del settore pubblico, si deplora, lavorano molte meno ore rispetto ai dipendenti del settore privato, e anche molte meno ore rispetto ai dipendenti nel settore pubblico di altri paesi più “rigorosi”. Di contro, i salari pubblici tendono ad essere molto alti, specialmente quelli della componente più qualifcata e con funzioni manageriali (Barca, 2013, pp. 325- 330).

Quanto si è detto circa la cosiddetta “malattia dei prezzi” di Baumol coinvolge in modo particolare il settore della produzione culturale, in quanto esso si caratterizza per un livello costante di produttività nel medio periodo (appare, si direbbe, assai azzeccato l'esempio dell'orchestra che suona una sinfonia di Beethoven), è dotato di una forte componente artigianale ed è tendenzialmente refrattario ad un calo dei costi di produzione dovuto all'impiego di innovazioni tecnologiche; si connota infne, come si è visto, e soprattutto in ambito europeo, per una forte incidenza dell'economia pubblica. In altri termini, il fenomeno descritto da Baumol consiste in una stagnazione della produttività che comporta una crescita dei costi superiore a quella di altri settori dell'economia (De Varine, 2005, p. 12 e ss.). Tale stagnazione è il risultato della scarsa innovazione tecnologica di cui in particolare il teatro può rappresentarne un esempio. Allo stesso tempo, è indubbio che la continua crescita dei prezzi dell'economia in generale nel tempo infuisce sulle retribuzioni dei lavoratori di tutti i settori, comprese le arti dello spettacolo. Le due situazioni citate coinvolgono una crescita dei costi che produce un divario di defcit tra entrate e spese. Ci si aspetterebbe che tale divario venga coperto da aumenti dei prezzi dei biglietti, tuttavia, ciò non è stato possibile a causa di considerazioni alquanto ovvie da parte degli agenti del settore sugli effetti che l'elasticità della domanda può avere sul settore. Sebbene ci siano autori che sostengono l'inapplicabilità del modello di Baumol alle arti performative, in realtà, la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che la malattia dei costi rappresenta una realtà per la sfera economica delle arti performative come il teatro (Petraroia, 2015, p. 16 e ss.). Peraltro, come si è detto, gli studi sulla

produzione di valore economico delle attività culturali sono stati probabilmente inferiori alle necessità, anche all'interno della letteratura internazionale. Alcuni hanno sottolineato il legame tra la mancanza di studi e le diffcoltà di accedere a database e rilevamenti di qualità per formulare delle conclusioni di carattere generale (Addis, 2002, p. 16 e ss.). Tuttavia, ad esempio, la necessità di effettuare un controllo sulle risorse statali destinate a fnanziare le attività teatrali hanno, in molti contesti, consentito di analizzare le informazioni che le compagnie teatrali (che ricevono il sostegno dello Stato per il loro funzionamento) sono tenute a fornire ai vari enti pubblici competenti. Tali informazioni hanno in molti casi reso possibile costruire una funzione di produzione per il teatro, elaborata con lo scopo di monitorare le risorse pubbliche destinate ai vari contesti (De Varine, 2005, p. 18 e ss.).

Come è stato evidenziato, esistono una gran quantità di ragioni che giustifcano, secondo la teoria economica, l'intervento statale nel fnanziamento della cultura. Oltre alle ovvie conclusioni che si traggono dalla “malattia dei prezzi” appena richiamata, per cui semplicemente è molto probabile che il teatro e le arti sceniche smetterebbero di esistere senza il sostegno pubblico, altri elementi concorrono a giustifcare la presenza dell'investimento pubblico nel settore delle arti performative (O'Hagan, Neligan, 2005, pp.35-37).

Nel caso specifco del teatro viene rilevata una cospicua mole di esternalità positive, nonché l'importante presenza di economie di scala connesse al mondo della produzione teatrale. Il primo di tali argomenti, relativo alle esternalità positive che emergono quando si consumano beni e servizi culturali, consiste nel fatto che l'utilità della partecipazione a questi eventi apporta ad un

singolo consumatore una “utilità aggiuntiva” che si rifette su altri attori sociali. In tal modo, il consumo culturale non solo amplifca il benessere del singolo consumatore ma anche delle persone e dei soggetti dell'ambiente sociale circostante, e in defnitiva sulla società in generale (Barca, 2013, pp. 325-330). Infne, in termini di economie di scala, nel campo dell'arte la produzione su larga scala risulta essere uno strumento utile per aumentare il prodotto medio e marginale degli input. Nei mercati competitivi, la ricerca della massimizzazione del proftto porta all'equilibrio, il prezzo è uguale al costo marginale, le possibilità di commercio sono esaurite e l'effcienza è raggiunta. Tuttavia, quando la produzione è caratterizzata dall'esistenza di economie di scala, tali per cui la fornitura di unità aggiuntive diventa sempre meno costosa, i risultati sono in larga parte diversi. Peraltro, l'analisi del contesto internazionale, europeo e americano fa emergere le caratteristiche di una crisi tendenziale del modello di gestione e fnanziamento pubblico delle attività culturale (O'Hagan, Neligan, 2005, pp. 35-37). Infatti, l'esperienza internazionale nell'ambito della politica culturale pubblica e privata, e che si fonda sul concetto di mecenatismo, evidenzia un drastico cambiamento di modello che va oltre la crisi economica per investire l'intero settore di mercato rappresentato dal settore culturale, anche in quei paesi caratterizzati tradizionalmente da un forte interventismo pubblico nell'economia e nel settore del consumo culturale (Petraroia, 2015, p. 12 e ss.).

Tra quanti hanno criticato l'intera impostazione della legge della “malattia dei costi” deve essere menzionato il lavoro di Throsby, per il quale la tendenza dell'aumento dei salari e dei defcit nel settore delle arti viene

storicamente compensata da aggiustamenti produttivi, dall'aumento della domanda e dall'aumento degli aiuti pubblici e delle donazioni (C.D. Throsby, 1994).