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Il ruolo e l'impatto economico della cultura sul territorio, dal sostentamento pubblico per il teatro alle forme di sopravvivenza sostenibile

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea Specialistica in

Sviluppo e Gestione Sostenibile del Territorio (LS 83)

Tesi di laurea

Il ruolo e l'impatto economico della cultura sul territorio,

dal sostentamento pubblico per il teatro alle forme di

sopravvivenza sostenibile

Candidato: Relatore:

Donatella Trimboli

Prof. Tommaso Luzzati

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INDICE

INTRODUZIONE...1 CAPITOLO PRIMO...4 Una “economia della cultura”: beni culturali e valore economico...4

1.1 Il bene culturale e le sue caratteristiche: valore pubblico ed economico dell’opera d’arte...4 1.2 Le diverse tipologie di beni culturali dall’opere d’arte alla produzione di cultura attraverso eventi culturali...12 1.3 Il settore della cultura come specifco segmento di mercato in grado di generare utile economico fruibile pubblicamente...14 1.4 Le logiche economiche di gestione dei beni culturali e dei fussi fnanziari ad essi associati...18 CAPITOLO SECONDO...28 Lo spettacolo dal vivo e il suo impatto economico: la rilevanza della produzione teatrale sul territorio...28 2.1 La produzione artistica e creativa e le sue ripercussioni economiche...28 2.2 Attività teatrale e fussi di scambio con l’ambiente esterno...34 2.3 Il peso dei costi nel settore teatrale: la sindrome di Baumol e la “malattia dei costi” applicata al settore teatrale...43 CAPITOLO TERZO...51 Il ruolo dello Stato nelle dinamiche economiche e strategiche delle arti

performative...51 3.1 Centralità dell’intervento pubblico nel settore culturale e degli spettacoli dal vivo: le ragioni “pubbliche” del sostegno alla cultura...51 3.2 Il Fondo Unico per lo Spettacolo e la distribuzione delle risorse pubbliche in Italia...56 3.3 Il fnanziamento del teatro e la diffcile sopravvivenza delle compagnie teatrali in Italia...61 CAPITOLO QUARTO...70

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Il teatro e le compagnie teatrali in Italia...70 4.1 Il teatro italiano e le problematiche connesse al sostegno fnanziario delle compagnie teatrali: analisi del settore...70 4.2 Le differenze tra compagnie teatrali: organizzazione, fnanziamento, tipologie di spettacoli e contenuti...74 4.3 Il teatro nella realtà capitolina: i diversi gruppi attivi, le differenti

compagnie e l’impatto culturale ed economico sul territorio...80 CONCLUSIONI...87 BIBLIOGRAFIA...90

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Il mezzo migliore per sfuggire il mondo e l’arte, il mezzo piu sicuro per entrare in contatto con il mondo e l’arte. J. W. Goethe

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INTRODUZIONE

Il lavoro di tesi risponde all'esigenza di comprendere quale sia il ruolo e

l'impatto della cultura sul contesto economico e sociale italiano. Ho analizzato il settore come specifco segmento di mercato in grado di generare utile

economico e valore culturale, affrontando in particolare il ruolo e la specifcità

dell'universo teatrale e approfondendo il nesso tra produzione culturale nell'ambito delle arti sceniche e dinamiche sociali, economiche, territoriali.

Dopo un primo excursus sul concetto di “bene culturale”, il lavoro si sofferma sulle logiche economiche di gestione dei beni culturali e dei fussi fnanziari ad essi associati, sugli attori coinvolti, sui costi di gestione e mantenimento dei beni culturali, sulle logiche di fruizione del valore culturale di determinate categorie di beni.

In seguito l'attenzione si sposta sullo spettacolo dal vivo e sul suo impatto economico, evidenziando la rilevanza della produzione teatrale sulle caratteristiche del territorio. Si illustrano le qualità specifche della produzione artistica e creativa e le sue ripercussioni economiche, le conseguenze per il territorio, le dinamiche occupazionali ad esse connesse, la generazione di valore legata agli eventi culturali dal vivo, il rapporto, più in generale, tra attività teatrale e fussi di scambio con l’ambiente esterno. Un approfondimento

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particolare è quindi dedicato al problema del peso dei costi nel settore teatrale, analizzando la cosiddetta “sindrome di Baumol” e la “malattia dei costi” applicata al settore teatrale.

Al ruolo dello Stato nelle dinamiche economiche e strategiche delle arti performative è dedicato il capitolo terzo, in cui si evidenza la centralità dell’intervento pubblico nel settore culturale e degli spettacoli dal vivo, sulla base di specifche ragioni “pubbliche” che si legano al tema del sostegno statale alla cultura. Sono ricostruite le vicende e gli andamenti del Fondo Unico per lo Spettacolo a partire dalla sua istituzione e le dinamiche legate alla distribuzione delle risorse pubbliche in Italia; le modalità di fnanziamento del teatro e il problema della diffcile sopravvivenza delle compagnie teatrali nel nostro paese.

Nell’ultimo capitolo analizzo la situazione complessiva del teatro e delle compagnie teatrali in Italia, a partire dalle caratteristiche del teatro italiano e delle problematiche connesse al sostegno fnanziario delle compagnie teatrali, mediante un'analisi sintetica del settore. Il primo passo è illustrare le differenze tra compagnie teatrali sul terreno dell'organizzazione, del fnanziamento, delle tipologie di spettacoli e dei contenuti proposti. Poi si approfondiscono le caratteristiche del teatro all'interno della realtà capitolina, indicando le diverse realtà attive e analizzando nel dettaglio il caso del Teatro di Roma che rappresenta una delle presenze di punta sulla scena culturale romana.

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CAPITOLO PRIMO

Una “economia della cultura”: beni culturali e valore

economico

1.1 Il bene culturale e le sue caratteristiche: valore pubblico ed economico dell’opera d’arte

Il concetto di “bene culturale”, e quello connesso di “patrimonio culturale”, ha un'ampia diffusione nei vari livelli della comunicazione e del dibattito pubblico. Tuttavia è verosimile che chi usa questi termini non sia spesso in grado di darne una defnizione corretta dal punto di vista formale (Baldacci, 2004, p. 18 e ss.). Anche a livello giuridico, le fonti normative che si sono occupate della materia, fno al recente Testo Unico sui beni culturali risalente al 1999, non hanno formalizzato queste nozioni. Risulta dunque chiaro che il bene culturale rappresenti un elemento di per sé auto-evidente, in grado da solo di affermare la sua qualità e il suo carattere in modo immediato e diretto per chiunque (Cortese, 2007, p. 16 e ss.).

Tuttavia, se ciò può valere nell'ambito del discorso e della comunicazione informale, una carenza di questo tipo può determinare ambiguità e incertezze in sede interpretativa, laddove sia necessario fornire una lettura di atti legislativi o giudiziari che fanno riferimento a questa nozione “indefnita” di bene e patrimonio culturale.

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Peraltro, la defnizione di “cultura” e quella ad essa intimamente connessa di “arte”, pongono sul terreno teorico problemi che sono di non piccolo conto (Candela e Scorcu, 2004, p. 189 e ss.), tra i quali una concezione troppo “relativista” dei due concetti, sottraendosi così alla necessità di fornirne uno univoco del quale il diritto e la legislazione possano servirsi, assecondando visioni inclini a rimettere il contenuto di tali nozioni all'andamento mutevole dei tempi, tale per cui ciò che è oggi considerato bene culturale potrebbe non esserlo più domani. Le diffcoltà di defnizione agevolano in sostanza l'affermarsi di concezioni relativiste che pongono problemi concreti agli operatori nella prassi quotidiana.

Rimettere ad una concezione “ondivaga” il concetto di cultura e quello di arte espone infatti a rischio gli oggetti stessi della tutela e della salvaguardia, dei quali si rende in quel modo arduo se non impossibile operare anche solo una identifcazione (Lorusso, 2014, p. 10 e ss.). Le norme internazionali vengono in questo senso in aiuto: nel 1954, durante la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei beni culturali in caso di guerra, comparve per la prima volta il termine “patrimonio culturale”, invece di quello di “cose di interesse storico, artistico, archeologico e le bellezze ambientali” che si rinviene ad esempio nell’art.1 della legge 1089 del 1° giugno del 1939 “Tutela delle cose di interesse artistico e storico”, e che esprimeva una visione ancora profondamente estetizzante della materia e delle nozioni ad essa relative, in massima parte ereditata dal clima culturale dell'età romantica (Baldacci, 2004, p. 24 e ss). La semplice introduzione a livello normativo della nozione di “patrimonio culturale” consentiva fnalmente di andare oltre la semplice dimensione delle

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“cose” e degli “oggetti”, in una materia, quella della legislazione in tema di protezione dell'“arte”, connotata da sempre dalla centralità dei “beni materiali” su ogni altra forma di espressione artistica di contenuto “immateriale”.

Un forte richiamo alla “materialità” accompagna nel 1967 la comparsa, per la prima volta in un atto uffciale italiano, del concetto di “patrimonio culturale”, presente nella relazione fnale della “Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico, archeologico e del paesaggio” (la cosiddetta “Commissione Franceschini”). Si legge infatti nel documento: “Patrimonio culturale della Nazione Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà”1.

Peraltro, lo stesso testo conclusivo della Commissione esprime poco oltre una defnizione apparentemente più precisa, ma di fatto avente una natura “aperta” del concetto di “bene culturale”, rinviando ad appositi interventi legislativi per una puntuale identifcazione di talune categorie di “beni culturali”. Si legge infatti al titolo III, la dichiarazione XXXIII: “Salvo quanto previsto dagli altri titoli di queste dichiarazioni, sono beni culturali d'interesse artistico o storico le cose mobili o immobili di singolare pregio, rarità o rappresentatività, aventi relazione con la storia culturale dell'umanità. La legge provvederà a stabilire particolari criteri valutativi per talune categorie di tali beni, se tecnicamente necessario, in modo che si possa provvedere a pertinente

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tutela non solo dei beni aventi riferimento all'arte, ma altresì di quelli, a titolo di esempio, aventi riferimento alla storia, all'etnografa, alla numismatica, all'epigrafa, all'arredamento, alle arti applicate, al costume, alla storia della scienza e della tecnica. Con sue dichiarazioni generali il Consiglio di amministrazione potrà stabilire che determinati beni culturali siano considerati come beni dichiarati, per la sola presenza di defniti caratteri, senza che sia necessario apposito atto di dichiarazione”2

La nozione di “bene culturale” si precisa dunque in primo luogo in ambito giuridico all'interno della problematica legata all'opera di tutela e di valorizzazione, alla luce del legame con la dimensione delle “cose” e degli “oggetti” che pertengono alla storia e alla cultura (Petraroia, 2015, p. 41 e ss.).

Il quadro si rende però più complesso nel momento in cui la nozione di “cultura” si intreccia con la dimensione propriamente “economica”, defnendo il campo di quella “ibrida” disciplina nota come “economia della cultura”. Lo “sfruttamento” economico, o se si preferisce, la “valorizzazione” a fni economici di “beni culturali”, pone l'esigenza di estendere il campo degli “oggetti di cultura”, oltre il mero aspetto “materiale”, per includervi anche quelle “attività”, produzioni e processi che implicano in qualche misura un legame con la storia, l'arte, la civiltà (Valentino, 2013, pp. 357-363).

Il tema, anche solo dal punto di vista defnitorio e della individuazione di nozioni di carattere univoco, è assai complesso e interdisciplinare in quanto si incrociano la critica e la flosofa dell'arte con il marketing e l'economia politica (Montalto, 2016, p. 21 e ss.).

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Come scrive Salvemini (2011, p.1):

“passato il lungo tempo in cui pochi economisti si interessavano all’arte e alla cultura, poiché in esse vedevano un’attività che non contribuiva alla ricchezza del paese o un ambito naturale del lavoro non produttivo, oggi si assiste a una crescita nella ricerca e nell’attività didattica che declina la cultura sia in chiave macroeconomica che nella prospettiva aziendalistica. I diversi comparti del settore culturale (teatri, musei, archivi, festival, cinema, musica, editoria, radio, televisione, e così via) hanno acquisito un vero e proprio 'diritto di cittadinanza' nella disciplina, che ha permesso di costruire un paradigma scientifco e professionale per tutti coloro che operano in questo ambiente”.

In prima approssimazione, dunque, le dimensioni della cultura e della economia, a lungo separate da una spessa barriera, oggi si incontrano sempre più, in particolar modo riconoscendosi entrambe sulla nozione di “creatività”. Come è stato rilevato in proposito:

“La cultura è la nostra storia, il nostro tempo presente, il dono che lasciamo alle generazioni future. La cultura è la nostra ricchezza inesauribile, un bene che più si consuma, più cresce e fa crescere gli italiani, la loro identità, la loro maestria. La cultura è un bene universale consolidato che siamo così abituati a considerare nostro da sempre, da dimenticarci di valorizzarlo e di proteggerlo. In particolare non la misuriamo, non ne conosciamo il valore in termini di mercato e di produzione. La creatività, per usare qualche immagine evocativa, la ritroviamo nella nostra cultura, nel nostro territorio, nella qualità del nostro vivere quotidiano e dei nostri prodotti. Non è un fne in sé, ma un processo, un mezzo straordinario per produrre nuove idee. In questo senso creatività e cultura sono un pilastro della qualità sociale, intesa come un contesto di comunità libero, giusto, economicamente sviluppato, culturalmente vivo, e

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di alta qualità della vita. Creatività e cultura sono un binomio indissolubile, un meccanismo di successo che può posizionare il Paese in un passaggio strategico del processo internazionale di globalizzazione. L’Italia sa guardare ai paesi avanzati e alle loro tecnologie, ma anche ai paesi in via di sviluppo e alla loro grande tradizione culturale. Con i primi ha in comune storia e istituzioni, con i secondi la presenza di forti legami familiari, territoriali e sociali, in cui la cultura si apprende in buona misura per trasmissione tacita. Con i primi compete, se pur con diffcoltà, per innovazioni ed economia della conoscenza, con i secondi collabora per valorizzare le loro culture e la loro creatività” (Santagata, 2009, p. 6 e ss.).

Come si vede, la creatività, come punto di incrocio tra la dimensione della “produzione” e quella dei “beni culturali”, può e deve rappresentare un importante indicatore per il modello di sviluppo di un paese come l'Italia, che sulla base della “cultura” fonda storicamente il “valore aggiunto” specifco della sua identità (Valentino, 2013, 357-363). In questo senso allora, i “beni culturali” non sono più soltanto le “cose di pregio” su cui a lungo si è concentrata una visione “estetizzante”, ma l'esito multiforme di “processi” che si incentrano sul binomio tra produzione e creatività (Candela e Scorcu, 2004, p. 160 e ss.).

Non può non essere richiamato a questo proposito l'impianto teorico che sta alla base delle ricerche di Throsby, che ha elaborato analisi di profondo valore innovativo alla connessione tra arte, creatività, produzione ed economia. (Throsby, 1994, pp. 1-29). Secondo questo studioso le “attività culturali” si defniscono alla luce di tre elementi qualifcanti:

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“- che i beni e le attività coinvolte comportino una certa forma di creatività nella loro produzione;

- che riguardino la creazione e la comunicazione di un signifcato simbolico;

- che il loro risultato implichi, almeno in potenza, una qualche forma di proprietà intellettuale”. (Throsby, 2005, p. 8 e ss.)

Creatività nella produzione intesa come la capacità di unire elementi esistenti in modo innovativo; signifcato simbolico nella comunicazione inteso come possibilità di ottenere di più dall'utilizzo del prodotto rispetto al semplice valore materiale, la gratifcazione personale, ad esempio, o l'arricchimento del bagaglio culturale; infne, “una qualche forma di proprietà intellettuale”, si riferisce all’originalità del contributo che un'attività o bene culturale apporta e grazie al quale può essere assoggettata alla proprietà di chi lo ha prodotto, come il diritto d’autore. Un’attività in cui sono presenti questi tre criteri può essere defnita culturale.

1.2 Le diverse tipologie di beni culturali dall’opere d’arte alla produzione di cultura attraverso eventi culturali

Nell'ambito di questi sviluppi di tipo teorico, si è andato defnendo un modello di creatività e delle industrie culturali che ha trovato riscontro - in un importante - Libro bianco dedicato all'argomento da parte del Ministero per i

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Beni e le Attività Culturali nel 2008 (Santagata, 2009, p. 6 e ss.). All'interno del rapporto, il vasto ambito della “produzione culturale” viene articolato in tre principali settori economici.

Il primo settore riguarda il patrimonio storico e artistico italiano. Esso incarna l'eredità di “capitale culturale” lasciatoci dalla creatività delle generazioni passate, insieme alla produzione artistica contemporanea. Si tratta dunque di una nozione di “patrimonio culturale” che

“riguarda i musei, i monumenti, gli archivi e le biblioteche è la vetrina della cultura italiana e può avere un notevole impatto sulle attività economiche a esso connesse, in particolare sul turismo culturale” (Santagata, 2009, p. 6 e ss.).

In questo ambito, l'arte contemporanea e l'architettura producono beni “ad alto contenuto simbolico”, secondo logiche proprie solo in parte riferibili a quelle che governano la produzione industriale, ed in realtà più affni alla cosiddetta “logica neo-artigianale”. In tale comparto devono essere inclusi anche la musica e lo spettacolo come parti del “patrimonio storico e artistico” in quanto essi producono “beni culturali” grazie al lavoro dei compositori, dei teatri e dei festival, attuando uno stretto legame tra espressione e creazione artistica e processi economici (Candela e Scorcu, 2004, p. 189 e ss.).

Il secondo ambito riguarda la produzione e la comunicazione dei contenuti delle industrie culturali, i cui beni e servizi sono dotati di un alto contenuto simbolico. E' il caso delle industrie culturali “tradizionali” come editoria, TV, radio, cinema, e sempre di più, accanto ad esse, la pubblicità e l'informatica, caratterizzata, quest'ultima, da uno stretto rapporto tra contenuto creativo dei prodotti e dinamiche proprie della distribuzione di massa. Si tratta

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in quest'ultimo caso di mercati il cui valore è in netta fase espansiva (si pensi, per citare, un caso, all'enorme valore del comparto dei videogame). In tutti questi ambiti in cui si incrociano “produzione” e “comunicazione”, la creatività rappresenta la base per la nascita di contenuti ad alto valore simbolico.

Il terzo comparto include le espressioni della cultura materiale in quanto essa è espressione del territorio e delle comunità: un ambito che in Italia riguarda in primo luogo la moda, il design industriale, l’artigianato e l’industria del gusto, settori tutti nei quali è essenziale il patrimonio di esperienza storica tramandato dalle generazioni.

Si associa, come è abbastanza ovvio, a questi settori produttivi anche il turismo ad essi connesso (in particolare nel campo enogastronomico) (Petraroia, 2015, p. 32 e ss.). Questi settori produttivi e creativi dell'economia della cultura sono tra loro in certa misura sovrapposti, ma si caratterizzano in modo univoco per il loro carattere sostanziale e funzionale (Passarelli, 2013, p. 101 e ss.).

1.3 Il settore della cultura come specifco segmento di mercato in grado di generare utile economico fruibile pubblicamente

E' importante richiamare in termini generali l'attenzione sul problema, per la verità assai rilevante, della misurabilità dell'impatto economico degli eventi culturali. Il punto di partenza rispetto al nesso creatività-produzione riguarda la possibilità di incrociare in modo puntuale sul piano dell'analisi economica evidenze apparentemente intuitive: manifestazioni e istituzioni

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culturali attivano sul territorio attività con rilevanti ricadute sul piano occupazionale ed economico, attraggono migliaia consumatori e buyers facoltosi, orientano e deviano fussi turistici, mantengono operativi diversi comparti produttivi, valorizzano il capitale umano e sociale locale ponendo un argine signifcativo alla migrazione occupazionale (soprattutto intellettuale) (Montalto, 2012, p. 16 e ss.). Tuttavia, le stesse iniziative latamente culturali possono provocare danni o congestioni al territorio e al suo patrimonio, moltiplicare i costi di gestione, incidere alterandoli sugli equilibri del mercato immobiliare, ad esempio favorendo una cristallizzazione della circolazione di immobili in base a logiche di rendita, incidere insomma anche negativamente sul tessuto socio-economico di uno spazio produttivo e culturale.

E' il problema del rapporto tra costi e benefci e, soprattutto della sua misurabilità, in un'ottica di programmazione come quelle che abbiamo rapidamente richiamato nel paragrafo precedente. In questo senso, il dibattito politico-istituzionale ed economico-teorico in Italia non sembra all'altezza dell'urgenza mediatica pure così intensamente percepita attorno a questi temi e al valore che essi assumono nell'attuale confgurazione di un modello di sviluppo per il nostro paese nell'ambito della globalizzazione economica, soprattutto se confrontiamo gli sviluppi dell'analogo dibattito sul piano internazionale (Passarelli, 2011, p. 108 e ss.).

Da un punto di vista econometrico, il nodo sostanziale riguarda la possibilità di una rigorosa misurazione dell'incisività positiva o negativa delle politiche culturali sui piani distinti delle ricadute sui livelli di reddito, sull'occupazione e sulla fscalità. Non è casuale che, ad esempio, alcuni grandi

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operatori culturali internazionali abbiano commissionato negli ultimi quindici vent'anni studi parziali in ordine alla ricaduta e agli impatti economici delle loro attività: dalla Tate Modern al Moma, dal Guggenheim, a partire da quello di Bilbao, al Metropolitan di New York, e accanto ad essi, abbiano patrocinato simili studi molte organizzazioni di festival. Parallelamente, a livello internazionale si sono attivati nella direzione di una rigorosa messa a punto metodologica di strumenti di analisi dell'impatto delle attività culturali molti istituti di ricerca pubblici e privati.

Il caso italiano mostra un certo ritardo rispetto all'apertura di un dibattito aperto sul tema della ricaduta economica delle politiche culturali, sebbene esso rappresenti, come si è ripetuto, un fattore critico del suo modello di sviluppo (Passarelli, 2011, p. 40 e ss.). Esiste, o dovrebbe esistere, un legame al cuore del modello italiano di sviluppo, che connota in modo forte un caratteristico paradigma produttivo legato allo sviluppo tecnologico, ad un'idea sostenibile di economia, ad una valorizzazione del bagaglio di risorse proprie della cultura del nostro paese. E' un modello che vede la centralità del territorio come dimensione caratteristica, nella quale e si concretizza la creatività ed assume quelle forme dall'alto valore identitario che caratterizzano in modo profondo la nostra storia.

“Industria” e produzione dei beni e dei valori culturali, creatività e creazione sono elementi legati, nella tradizione italiana e non solo, alla dimensione locale. Tra luogo e bene si instaura un rapporto specifco in grado di sviluppare una comunicabilità estesa al mondo intero, come avviene ad esempio, fuori e dentro il nostro paese, per Hollywood e l'industria

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cinematografca, per Murano e il vetro, per Parigi o Milano le creazioni dell'alta moda (Petraroia, 2015, p. 41 e ss.).

I legami territoriali tra un luogo e le sue produzioni culturali non si realizzano in modo prevedibile, ma generalmente dopo un avvio per lo più casuale, essi “si rafforzano e si manifestano intorno al sistema delle economie di agglomerazione”(Montalto, 2016, p. 30 e ss.). Diviene centrale l'analisi del legame tra la creatività della produzione e lo spazio in cui essa si esprime: quello di città come spazio creativo, e, in senso più ampio, quello di cluster o

distretto creativo (Marchionna, 2013, p. 79 e ss.). Entrambi mostrano come lo

spazio sia una delle dimensioni essenziali dei processi di produzione creativa, in particolare in riferimento all' “industria” dei beni culturali in senso ampio, e più in generale della “creatività”.

1.4 Le logiche economiche di gestione dei beni culturali e dei fussi fnanziari ad essi associati

Il tema delle “logiche economiche di gestione dei beni culturali” chiama in causa la dimensione propria del marketing, ed induce ad approfondire la nozione di “marketing culturale”, per come essa è andata proflandosi nell'ambito della rifessione e delle ricerche più recenti.

Lo spazio culturale, comunicativo e mediatico che separa una offerta prestigiosa e ricca di contenuti come quella della produzione artistica italiana dalla domanda di un pubblico disposto ad impiegare tempo e risorse nel

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“consumo culturale” rappresenta l'ambito proprio del marketing, in questo caso di quello specifco settore di esso noto come “marketing culturale” (Passarelli, 2011, p. 106 e ss.). Come è noto, i primi studiosi che si sono dedicati a questa materia hanno pubblicato le loro opere a partire dagli anni ottanta: tra i più rilevanti devono essere ricordati almeno Mokowa, Melillo, Diggles e Hirschman (cit. da Improta, 2008, p. 7).

Il marketing cui è chiamato a ricorrere il settore della produzione culturale presenta una posizione per molti versi “eccentrica” rispetto ad alcune direttive fondamentali del marketing tradizionale. Secondo la nota defnizione di Diggles , ad esempio,

“lo scopo principale del marketing delle arti e della cultura è di portare un numero adeguato di persone in una forma appropriata di contatto con l’artista e, in questo modo, ottenere il miglior risultato fnanziario compatibile con il raggiungimento di quell’obiettivo”(Diggles, 1986, cit. in Improta, 2008, p. 7 e ss).

Come si intuisce da questa citazione, il marketing culturale posiziona l’artista al centro della strategia, in modo per molti versi assai diverso da quanto avviene in una normale campagna di marketing fondata sulle esigenze di consumo. In altri termini, l’obiettivo del marketing culturale, a differenza di quello tradizionale, non coincide del tutto con quello del soddisfacimento di qualsivoglia bisogno del consumatore. Piuttosto esso punta a favorire l'avvicinamento del pubblico ad un’opera che l'artista ha concepito senza una preventiva “analisi di mercato”, ma sulla base del tutto autonoma del suo percorso creativo. In sostanza nell'analisi di Diggles, il marketing culturale lavora in una dimensione in cui il prodotto nasce prima e indipendentemente

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dal mercato, e in cui si cerca - “in seconda istanza”- di reclutare per esso una clientela adatta. Anche per Mokowa

“il marketing non dice ad un artista come creare un’opera d’arte, piuttosto il suo ruolo consiste nel far incontrare le creazioni e le interpretazioni dell’artista con il pubblico adatto.”(Mokowa et all, 1980, cit. in Improta, 2008, p. 8 e ss.)

Inoltre,

“le performing arts, per la loro natura essenzialmente artistica, richiedono una trasformazione dei principi di marketing prima di integrarli nel processo creativo; solo a queste condizioni sono pronti a trovare un pubblico per un evento di spettacolo. I principi di marketing sono invariabili, il processo è sempre un elemento organico della situazione.” (Melillo, 1983, cit. in Improta, 2008, p. 8 e ss.)

Esiste dunque nella letteratura specialistica sul marketing delle arti una sostanziale uniformità di vedute su quello che potremmo chiamare “carattere primario” del ruolo e del prodotto dell'artista all'interno dello stesso processo produttivo e promozionale, che si presenta in questo modo capovolto rispetto allo schema di mercato noto al marketing tradizionale. Il marketing culturale si trova cioè nelle condizioni di doversi adattare alla qualità e alla natura delle organizzazioni artistiche e non il contrario, in quanto in questo settore è il prodotto a condurre al pubblico, non il pubblico a condurre al prodotto come avviene per qualsiasi altro bene di consumo che viene pensato originariamente per corrispondere ad una specifca forma di domanda. In defnitiva, il marketing “in quanto tale”, non può essere applicato ai prodotti dell'arte data la caratteristica propria di essi, ed esso subisce , in questo caso, una rimodulazione dei suoi presupposti.

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Il marketing culturale deve dunque intendersi come l'insieme di iniziative rivolte all'obiettivo di individuare una forma di pubblico considerato adeguato in rapporto ad una specifca creazione d'arte, senza con ciò condizionare la nascita di tale creazione, e si proponga al tempo stesso di corrispondere nella forma migliore alle aspettative del pubblico e insieme di rendersi effcace nell'ottenere il miglior risultato economico compatibile con questi presupposti (Valentino, 2013, pp. 357-363).

In sostanza come viene da più parti messo in evidenza, il marketing culturale è un “marketing dell’offerta”, in un contesto produttivo nel quale l’atto creativo di un artista viene tutelato nella sua autonomia, senza cioè essere chiamato a corrispondere preventivamente alle attese della domanda del mercato (Valentino, 2013, pp. 357-363). In tal senso, questa forma di marketing, si attui esso all'opera lirica, ad un festival cinematografco o ad una esibizione di arti visive, si indirizzerà prevalentemente alle attività di indagine e di ricerca di marketing rivolte all'individuazione del proflo del pubblico reale e potenziale rispetto ad uno specifco prodotto artistico (Candela e Scorcu, 2004, p. 140 e ss.).

L’attività dell'operatore di marketing culturale si estende inoltre alla gestione dei rapporti tra creatori del prodotto artistico e “decisori”, intesi come i mediatori che si occupano istituzionalmente – a livello sia privato che pubblico - di mediare i rapporti tra i primi e il pubblico. In un certo modo, dal punto di vista del creatore di un prodotto artistico, il decisore rappresenta un particolare tipo di pubblico a cui tale prodotto è destinato: in questo senso, con lo scopo di

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ottenere attenzione e denaro, il creatore ha a disposizione anche le strategie di marketing per risultare convincente nei confronti del decisore-mediatore.

Da ultimo, il marketing delle arti si estende al settore della comunicazione, e agisce nell’agevolare l'incontro e l'interazione tra creatore e decisori mediante i tradizionali strumenti delle relazioni pubbliche e dell’uffcio stampa (Foglio, 2005, p. 19 e ss.). Si è visto dunque come il contesto a cui si applica il marketing culturale è in tutto diverso da quelli considerati “normali” dell'industria e del commercio. In questo senso, è il marketing a doversi adattare alle specifche caratteristiche di questi particolari settori, tenendo conto delle differenze profonde che passano tra un prodotto artistico e una qualsiasi merce di altro tipo. La realtà del settore artistico-culturale è diversa da quella del campo commerciale o industriale, dobbiamo adattare il modello di marketing in modo da tener conto di tale differenza (Foglio, 2005, p. 19 e ss.).

Il modello tradizionale di marketing segue l'arco produttore-consumatore a partire dal mercato. Una azienda produttrice si alimenta dei contenuti che le provengono da una sistema di raccolta dati del tipo “classico” di un piano di marketing (ricerche di mercato, analisi della concorrenza e del settore e via dicendo), e in seguito, sulla scorta della considerazione dei bisogni rilevati (o anche in certi casi indotti) tra i consumatori, orienta la produzione tenendo conto della propria capacità di corrispondere a quei bisogni, della natura e della quantità delle risorse disponibili, della propria mission (Mattiacci e Pastore, 2014, p. 12 e ss.).

L'effetto desiderato sul destinatario potenziale di una campagna -il consumatore fnale- risulta inoltre dalla combinazione dei quattro elementi

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fondamentali del “marketing mix” (product, price, place, promotion) nella forma che l'azienda è stata in grado di ottenere (Marzo, 2006, p. 12 e ss.). In genere si tratta di un processo che attraversa una sequenza che, partendo dal mercato, attraverso gli strumenti del sistema informativo, arriva all'azienda e alla sua capacità di effettuare l'operazione di marketing mix, e tornare dunque, chiudendo il cerchio, al mercato. Come si vede, nella tradizionale sequenza di marketing, il mercato rappresenta contemporaneamente il punto di partenza e quello di arrivo dell'intero processo. Lo schema funzionale del marketing per le imprese culturali che decidano di orientarsi al prodotto rimodula gli stessi elementi della traiettoria tradizionale, ma li ricolloca in una sequenza che parte, come si è detto, dal prodotto culturale (Marzo, 2006, p. 12 e ss.). E' infatti a partire dal prodotto, -non dunque dalle richieste del consumatore fnale-, che l'azienda lavora per isolare ed individuare il settore di mercato potenzialmente interessato a quel tipo di prodotto e disposto ad orientare nella direzione desiderata le proprie abitudini di consumo.

Compiuta l'operazione di identifcazione dei consumatori potenziali, spetta all'azienda individuare gli altri tre componenti commerciali del marketing

mix (price, place quest'ultimo con riguardo alle dimensioni della distribuzione e

alla forma del punto vendita, e infne promotion) in considerazione del tipo di destinatari individuati. In questa sequenza, la progressione delle fasi in cui si articola la campagna di marketing per le aziende culturali parte, come detto, dall'interno dell'azienda, cioè dal prodotto culturale, si avvale del sistema informativo nella fase di determinazione del target, mobilita gli strumenti del

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all'azienda, -è il prodotto- mentre l'esito fnale è il mercato (Foglio, 2005, p. 21 e ss.).

Evidentemente, l’approccio specifco al marketing culturale e artistico ora delineato non tiene in considerazione la totalità delle imprese culturali, tra le quali rientrano ad esempio anche i giornali e le riviste di moda, le case editrici, gli spettacoli televisivi, ecc., ma solo le imprese “product oriented”, vale a dire quelle che impostano la loro visione sulla qualità e l'unicità del prodotto, in una dimensione in tutto rispondente alla specifcità della creazione artistica. Per le altre imprese culturali l’approccio tradizionale di marketing risulta infatti perfettamente appropriato (Valentino, 2013, pp. 353-367).

Si è visto che l'elemento iniziale e centrale nella sequenza del marketing aziendale per le imprese culturali orientate al prodotto è identifcare il potenziale target di consumatori. A tal fne, è cruciale la fase della segmentazione del mercato, che ne opera una suddivisione in distinte “fette” d’acquirenti. Sua premessa è che, come in genere avviene per una impresa culturale, l'operatore di marketing si trovi di fronte una domanda caratterizzata da una certa varietà, che si rifette in un numero ampio di abitudini di consumo e di reazioni all'offerta (Cori, 2004, p. 30 e ss.). Alla fne del processo di segmentazione di un mercato di potenziali fruitori di una proposta culturale, avremo segmenti caratterizzati dalle seguenti caratteristiche:

-omogeneità: nel senso che i segmenti presenteranno al loro interno caratteristiche omogenee ma saranno vicendevolmente eterogenei.

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-misurabilità: in riferimento alla dimensione, alle qualità e al potere d'acquisto dei consumatori;

-consistenza e praticabilità: nel senso che ogni segmento dovrà presentare dimensioni tali da rendere l’azione di marketing conveniente e proporzionale con l'investimento di risorse corrispondente (Candela e Scorcu, 2004, p. 80 e ss.).

La segmentazione rappresenta dunque il momento orientativo di una politica di marketing che assuma come data la diversità delle abitudini di consumo, al fne di valorizzare il potenziale specifco di ciascun gruppo e orientare effcacemente le caratteristiche dell'offerta (Foglio, 2005, p. 32 e ss.). E' dunque in base della valutazione delle qualità intrinseche riconnesse ad ogni singolo segmento di mercato che sarà possibile procedere all'impostazione del

marketing mix. Va da sé che gli esiti di questa parte dell'operazione dovranno

necessariamente confgurarsi come duraturi e insieme difendibili nel corso del tempo (Passerelli, 2013, p. 60 e ss.). La segmentazione rappresenta ancora un concetto critico della pianifcazione aziendale, ma essa è contemporaneamente il risultato di un’analisi di mercato e di per sé non rappresenta un piano strategico vero e proprio. Concetto maggiormente dotato di valenze “strategiche” è invece quello di “posizionamento”. In questo senso, l'approccio “customer oriented” nelle imprese culturali si realizza nello sforzo, ricco di implicazioni di tipo diverso (culturale, ma anche sociale e politico) e dai risultati tutt'altro che scontati, rivolto all'obiettivo di attrarre e insieme “creare” un potenziale pubblico (Cori, 2004, p. 28 e ss.).

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CAPITOLO SECONDO

Lo spettacolo dal vivo e il suo impatto economico: la

rilevanza della produzione teatrale sul territorio

2.1 La produzione artistica e creativa e le sue ripercussioni economiche

Come in parte già evidenziato, negli ultimi anni è emerso un crescente utilizzo del fattore culturale come elemento determinante delle politiche di sviluppo locale ed in particolare delle strategie di rigenerazione urbana (Petraroia, 2015, p. 41 e ss.). Col tempo sempre più si è cercato, in sostanza, di fare affdamento sulle attività culturali come fonte di ricchezza e occupazione, cercando di attrarre fussi di spesa e reddito legati al turismo culturale, e anche attraverso la trasformazione e lo sviluppo del tessuto produttivo locale che, insieme, cercano di ottenere nuovi vantaggi competitivi per città e contesti locali (Barca, 2013, pp.325-330). Come risultato di tale fenomeno, la cultura sta diventando un importante e sempre più sfruttato fattore di pianifcazione urbana, non solo per la nascita di nuove infrastrutture culturali e il rigenerarsi degli spazi urbani, ma anche per la diversifcazione delle offerte culturali e delle proposte turistiche che cercano di confgurare un'immagine più attraente e rappresentativa della qualità della vita in un dato ambito locale, cercando di renderlo in grado di

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competere con altre realtà territoriali attraverso una strategia di differenziazione e di “identifcazione”. In tal modo, città e regioni si sfdano tra loro sul mercato per soddisfare le esigenze di diversi gruppi di utenti -visitatori, residenti, investitori e aziende - e la cultura opera come elemento di rafforzamento del tasso di competitività di una determinata area (Addis, 2002, p. 10 e ss.). Si assiste, come evidenziato, ad un processo di marcata convergenza tra la sfera culturale e quella economica, processo che diventa inoltre una delle caratteristiche distintive dei processi di urbanizzazione contemporanea (De Varine, 2005.p. 30 e ss.). In questo orizzonte, la cultura non è intesa semplicemente come un'eredità statica del passato, ma come un potenziale creativo in grado di produrre nuovi vantaggi comparativi e anche, come detto, nuovi fattori di differenziazione dei territori e delle città. Oggi, le città competono nello sviluppo culturale e creativo per attrarre nuovi “gruppi creativi”, ricorrendo sempre più, ad esempio, ad una produzione culturale basata sulla tecnologia, che aiuta a sviluppare immagini e simboli che sono percepiti come sinonimi di successo nel panorama dell'economia contemporanea (Petraroia, 2015, p.12 e ss.). In tale quadro è necessario comprendere, all'interno della progressiva crescita delle attività culturali nelle città e nelle realtà locali, entro un processo ampio di notevole aumento dell'interesse per la cultura e il consumo culturale, e accanto alle iniziative che riguardano più nello specifco il valorizzare delle eredità storico-monumentali, anche il miglioramento delle infrastrutture legate alle arti dello spettacolo, come auditorium, teatri ed edifci o spazi dedicati a festival e congressi. Un fenomeno che, come è ovvio, cresce con l'aumento del numero di eventi e festival culturali

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(Addis, 2002, p. 10 e ss.). E' a codesto livello che si produce l'intreccio virtuoso tra processi di rinnovamento urbano e differenziazione culturale dei territori legata alle attività culturali. Tale binomio caratterizza le esperienze migliori di sviluppo urbano e si lega in genere a processi di rinascita delle periferie, riqualifcazione di aree dismesse, ri-destinazione di edifci, ecc., mettendo le basi per dinamiche di re-identifcazione dei contesti urbani tra le più signifcative degli ultimi anni.

Il nesso tra “luogo di cultura” ed “evento culturale”, sia quest'ultimo festival, rassegna, retrospettiva teatrale o artistica, si evidenzia come un nodo centrale delle prospettive di crescita delle città nell'orizzonte contemporaneo (Barca, 2013, pp. 325-330). I festival culturali si sono affermati da tempo come uno dei prototipi più rappresentativi del “consumo culturale” e, allo stesso tempo, sono diventati uno dei fenomeni più dinamici dell'attuale panorama culturale. Il loro numero è cresciuto notevolmente negli ultimi anni in quasi tutti i paesi, tanto che le maggiori città nei diversi continenti sono per lo più dotate di uno o più festival dedicati ad un particolare proflo della produzione artistica (De Varine 2005, p. 30 e ss.). Tali iniziative non solo svolgono il loro tradizionale ruolo di istituzioni che consentono di presentare, diffondere o preservare la cultura di un paese, di un territorio o di una società, ma ormai hanno assunto importanza anche, se non soprattutto, per la capacità di generare ricchezza nelle città in cui sono celebrate, per il loro contributo alla diversifcazione del prodotto turistico e al miglioramento dell'immagine del luogo. I festival e gli eventi culturali hanno in contemporanea una dimensione culturale, economica e turistica, caratteristiche che se non sono nuove nella

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sostanza, lo sono se valutate sul terreno dell'espansione raggiunta negli ultimi anni (Petraroia, 2015, p. 30 e ss). Altresì, va preservata l'importanza della dimensione locale come luogo di sviluppo degli elementi che caratterizzano la cultura e la civiltà tipiche di una città, come simbolo di un individualismo locale. E proprio vero infatti che, così come l’individuo postmoderno si slancia verso una caratterizzazione del sé che lo distingua dall’omologazione di massa, anche la dimensione territoriale locale vuole la propria riconoscibilità, vuole cioè esprimere le proprie competenze distintive. Alla globalizzazione – paradossalmente – si deve lo sviluppo di un'attenzione tutta nuova al territorio, visto come contenitore di realtà e soggetti che condividono radici ed appartenenze comuni (Martelloni, 2007). Si ha in questo senso un continuo slittamento tra locale e globale, defnito con il termine glocalizzazione3, il cui

motto si riassume in «THINK GLOBAL, ACT LOCAL». Come già visto, quello culturale è infatti un aspetto molto importante, che permette una diversifcazione rispetto all’offerta standardizzata tipica della globalizzazione e dunque sul quale poter impostare effcaci politiche di sviluppo globale del territorio. Nel mondo delle produzioni culturali la cessione e lo scambio di beni e diritti d’uso è abbastanza frequente (Tamma, 2010): l’abilità con cui un territorio è in grado di esportare la propria tipicità culturale ne infuenza certamente il successo a livello globale.

Tipicamente i prodotti che sono più usuali in quanto a diffusione sono quelli mediali, ma anche le performing arts non sono da meno, godendo di

3 Termine, sinonimo di glocalismo, formulato negli anni Ottanta del secolo scorso in lingua giapponese, successivamente tradotto in inglese dal sociologo Roland Robertson e poi ulteriormente elaborato dal sociologo polacco Zygmunt Bauman, per indicare l’applicazione a livello locale di prodotti o servizi creati grazie alla

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mobilità. E ovvio però che per tutte le produzioni la cui erogazione dipende dalla presenza fsica di un pubblico, ci si imbatte in diffcoltà maggiori, date soprattutto da tempo e costi elevati: due fattori limitanti che vanno ben pianifcati se si vuole avere successo. Si deve però considerare che tutte quelle che sono le produzioni tipiche, come il made in Italy, defnite culture based (Tamma, 2010) ben si prestano ad una diffusione globale di cultura, tradizioni e sapere locale, inglobati nella fsicità stessa del prodotto.

Per sopravvivere nell’arena della glocalizzazione, poi, un territorio deve dimostrarsi strategicamente competitivo, ovvero essere in grado di sviluppare il proprio sistema di relazioni, attività e strutture locali tramite le proprie competenze distintive. La competitività territoriale è dettata in particolare da cinque specifche componenti (Martelloni, 2007):

 Componente sociale, consiste nella capacità di collaborazione fra gli attori del territorio, intervenendo in maniera effcace all’elaborazione ed allo sviluppo di un progetto comune;

 Componente ambientale, capacità di valorizzazione dell’ambiente, garantendone la tutela delle risorse naturali, del patrimonio storico-artistico e di quello architettonico;

 Componente economica, capacità di combinare effcacemente le risorse mantenendo il massimo valore aggiunto in termini economici all’interno del territorio, al fne di valorizzare le specifcità del sistema produttivo;  Componente creativa, capacità di introdurre innovazione nel territorio,

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tutela della produzione creativa, alla valorizzazione della libera circolazione di cultura e conoscenza;

 Componente informatica, capacità di informatizzazione del territorio al fne di garantire un sistema effciente di comunicazione e servizi on-line, tanto per la popolazione quanto per il mercato. 4

La valorizzazione di queste dimensioni è fatta propria dall'attività culturale di un Paese che in esse ripone l'obiettivo della competitività territoriale.

2.2 Attività teatrale e fussi di scambio con l’ambiente esterno

Le arti performative trovano nella rappresentazione e nella “messa in scena” la loro dimensione propria. Il “festival” esprime in questo senso un riconoscimento dell'attività degli artisti performativi, che in quanto tale diventa un elemento in grado di contribuire allo sviluppo della vita urbana in modo strutturato, coerente a sé stesso nel tempo, riconoscibile (Addis, 2002, p. 18 e ss.). Esso, in quanto “evento culturale”, per defnizione, ha il suo focus appunto nella dimensione della cultura (sebbene esso possa contenere anche altri elementi con caratteristiche diverse e solo in parte riconducibili alla “cultura”). In tal senso, i festival rappresentano evidentemente occasioni, in primo luogo per vedere e partecipare a manifestazioni artistiche che non possono essere fruite nel resto dell'anno. Forniscono opportunità culturali per il pubblico - sia esso locale o straniero - in modo molto spesso innovativo e all'avanguardia, e

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che completa quindi la dotazione di “infrastrutture culturali” di un territorio. Si tratta di beni culturali complessi in cui le esibizioni non sono isolate, ma si integrano all'interno di un processo con un obiettivo specifco. Sono centri di “circolazione” culturale, dove la cultura è consumata dagli spettatori, la cultura è riprodotta e anche nei quali si produce cultura.

Il festival, un evento gestito per lo più dall'iniziativa pubblica, incide inoltre sulla vita urbana, determinando delle conseguenze sulla creazione e l'organizzazione dello spazio all'interno della città (De Varine, 2005, p. 26 e ss.). In realtà, fnora, nonostante il fatto che i governi e le amministrazioni locali abbiano visto negli eventi culturali e nei festival anche uno strumento per strategie di sviluppo della comunità, come si è visto, gli approcci e le metodologie che sono stati usati per evidenziare le conseguenze sul territorio di questo tipo di realtà non hanno del tutto consentito di precisare il loro vero valore sul terreno strettamente economico (Barca, 2013, pp. 325-330).

Di fatto, gli impatti che i festival culturali e artistici sono in grado di generare nel lungo termine, compresi quelli sociali, continuano a rappresentare un parametro diffcile da misurare sul piano econometrico. D'altra parte, i festival che vengono organizzati in città medie o piccole hanno suscitato molto meno interesse tra gli studiosi rispetto agli eventi di grandi dimensioni che si tengono nelle grandi metropoli post-industriali (De Varine, 2005, p. 30 e ss.). Alcuni studi hanno tuttavia evidenziato che i festival, così come i grandi eventi culturali, migliorano l'immagine delle destinazioni più piccole e generano ricchezza economica grazie al turismo che attraggono e, anche se non hanno la loro origine nella tradizione locale e nel patrimonio culturale specifco di una

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località, possono svolgere un ruolo importante e positivo nello sviluppo delle comunità e nella loro economia (Petraroia, 2015, p. 18 e ss.).

Un elemento di fondamentale importanza nell'affrontare il tema delle ricadute economiche delle arti performative è la prevalenza, nell'ambito della gestione economica della produzione teatrale in Europa, della componente pubblica. Si tratta di una specifcità, si è detto, europea, tanto ché in particolare negli Stati Uniti il modello e la concezione della impresa culturale sono, come è noto, molto diversi. Il sistema delle arti performative e del teatro è invece nel nostro continente da tradizione caratterizzato dalla sua alta dipendenza politica ed economica dai poteri pubblici e dal ruolo determinante degli spazi teatrali che sono principalmente di proprietà dello Stato come intermediari tra la produzione privata e il consumatore fnale (De Varine, 2005, p. 24 e ss.). In tale sistema coesistono due mercati, quello di produzione e quello di diffusione, che presentano entrambi limiti e punti di forza. Nel primo di essi, le società o le unità di produzione fnanziano in sostanza la loro attività sulla base della vendita dei biglietti e dei sussidi concessi dalle diverse amministrazioni pubbliche. Nel secondo, i festival e gli spazi scenici interagiscono con il mercato della produzione. Dunque, le risorse per fnanziare entrambi questi versanti del mercato teatrale derivano solo in modo molto limitato dal consumatore fnale, cioè dal pubblico degli spettatori, in quanto sono le istituzioni pubbliche che direttamente o indirettamente contribuiscono alla maggior parte dei fnanziamenti necessari (O'Hagan, Neligan, 2005, pp.35-37).

Se è innegabile l'importanza del sostegno pubblico alle attività culturali in generale e a quelle che promuovono la cultura teatrale in particolare, in

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quanto tale sostegno è spesso un fattore ineludibile per la stessa esistenza di questo tipo di iniziative, ciò non elimina che, come si è detto, anche le attività teatrali siano in grado, al pari di altri fenomeni di “consumo culturale”, di rifettersi in termini positivi sulla crescita sociale e non ultima economica, oltre che identitaria e culturale, dei luoghi e dei territori.

I festival e gli eventi legati alla rappresentazione di arti performative hanno di certo una relazione importante con il luogo in cui sono celebrati, dal momento che, da un lato, subiscono un ineludibile condizionamento da parte del territorio, dalla sua storia e dalla sua gente; e, dall'altro, generano ripercussioni e impatti di vario tipo nei luoghi in cui sono organizzati (De Varine, 2005, p. 10 e ss.). Gli impatti e i rifessi territoriali delle attività teatrali sono stati analizzati sia da un punto di vista teorico che dal punto di vista pratico nell'ambito di diverse discipline di studio (economia, geografa, sociologia, marketing del turismo), quindi ci sono diversi modi per avvicinarsi alla loro valutazione e misurazione. Alcuni autori hanno messo in evidenza il carattere multiforme di tale tipo di rifessi dell'attività culturale sul terreno economico, fsico, socio-culturale, psicologico, turistico e dello sviluppo locale delle comunità (Barca, 2013, pp. 325-330).

Altri approcci hanno valorizzato soprattutto il ruolo dei festival di arti performative e teatrali come “creatori di immagini” o come attrazioni turistiche e il ruolo di tali eventi nel creare un senso di comunità e di rafforzamento identitario dei territori. Il festival risulta dunque tanto come elemento dello sviluppo urbano (catalizzatore del rinnovamento urbano, attrazione per il turismo, fattore di miglioramento dell'immagine e creatore di occupazione) che

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come strumento di crescita culturale e spirituale di “città vivibili”, importanti nel migliorare i valori civici della società, lo sviluppo dell'identità e il senso del luogo (De Varine, 2005, p. 18 e ss.).

In termini generali, è forse possibile distinguere diversi tipi di impatti o ripercussioni degli eventi culturali nel luogo in cui si svolgono; sono impatti la cui delimitazione è peraltro diffcile da tracciare poiché sono ambiti e profli tra loro strettamente correlati. Sul terreno degli effetti economici che i festival culturali possono generare sullo sviluppo locale e regionale, in prima approssimazione è possibile dividere tale impatto in due principali profli. Da un lato, gli effetti a breve termine, correlati con il potere di attrazione e creazione di spesa di questi eventi. I festival attirano gli spettatori locali e i visitatori che spendono le loro entrate nelle attività culturali proposte, nonché in altri beni e servizi connessi, i quali a loro volta, hanno un effetto di trascinamento sul resto dell'economia. Tali impatti possono, in massima parte, essere misurati con metodologie di valutazione economica, come gli studi sull'impatto economico (Petraroia, 2015, p. 24 e ss.). Dall'altra parte, ci sono gli effetti economici a lungo termine, che si riferiscono alle modifche della struttura produttiva, urbana e sociale del territorio che sono correlati a loro volta con effetti culturali, sociali o fsici. Possiamo distinguere qui il salvataggio e la riqualifcazione degli spazi e degli edifci e la pianifcazione urbana; la possibilità di attrarre residenti, imprese e investimenti; il miglioramento del livello di istruzione e promozione della creatività; il miglioramento della competitività del territorio; i progressi in termini di coesione sociale, benessere dei cittadini e senso d'identità.

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Im ambito turistico, si è visto come i festival culturali oggi costituiscono una risorsa importante per città e contesti locali come una delle maggiori attrazioni più importanti del settore. Lo svolgersi di un festival può essere un fattore decisivo nella scelta di una destinazione, un motivo convincente nella ripetizione della visita o un elemento che migliora la soddisfazione dei visitatori, che consente lo sviluppo del turismo e la crescita dell'immagine culturale di un luogo (De Varine, 2005, p. 18 e ss.)

Come ovvio, il potere di attrazione di un festival o di un'attività culturale varierà caso per caso, ma il suo potenziale collettivo in qualità di risorsa turistica sembra destinato a rimanere un fattore importante e ad implementarsi ulteriormente. Ciò genera, a sua volta, un impatto economico in termini di produttività, reddito e occupazione (O'Hagan, Neligan, 2005, pp. 35-37). Gli eventi culturali possono inoltre contribuire in misura incisiva allo sviluppo sociale, sia da un punto di vista personale, tanto a livello dei singoli attori sociali (incidendo sul livello di ricchezza, creatività, autostima, ecc.), che in una prospettiva generale, con il miglioramento del tono e del livello dell'ambiente sociale. In tal senso, le possibilità culturali offerte, insieme all'atmosfera di festa che caratterizza questo tipo di eventi, possono generare benefci sociali che sono di certo correlati, in termini generali, al miglioramento del benessere sociale e umano dei cittadini, alla coesione sociale e allo sviluppo dei valori civici (Addis, 2002, p. 24 e ss.). Tutto ciò come conseguenza delle opportunità di crescita culturale che caratterizza questo tipo di eventi, la circolazione della creatività, la creazione di reti e relazioni tra le persone e lo stretto rapporto che gli eventi culturali hanno con il luogo in cui vengono celebrati. In generale, favoriscono la

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creazione di un senso della comunità e dell'appartenenza locale da parte dei cittadini, così come la generazione di uno spazio di più intensa interazione sociale (Candela e Scorcu, 2000, p. 189 e ss.).

I festival e gli eventi a volte estendono le ripercussioni culturali e sociali che sono in grado di generare lasciando un'impronta più profonda sul territorio, un'impronta di carattere “fsico”. L'edifcazione di strutture per il festival, il riordino di spazi urbani per la sua celebrazione, lo sviluppo delle attività nel resto dell'anno o il coinvolgimento di nuove aree della città, possono avere, come si è già visto, un importante rifesso sull'architettura, sull'urbanistica e sull'uso degli spazi pubblici e privati. Il nesso tra arti performativi e rigenerazione urbana rappresenta forse una delle ricadute più ricche del consumo culturale sulla dimensione spaziale in cui essi si ambientano (Addis, 2002, p. 10 e ss.). Le ripercussioni sono evidentemente più signifcative in caso di grandi eventi culturali, ma anche su scala più ridotta i festival tendono ad avere un impatto positivo sulla dimensione fsica dei luoghi in cui si svolgono (Barca, 2013, pp. 325-330).

Per menzionare alcuni dati sulla capacità dei festival e degli eventi culturali di generare importanti, a volte importantissime, ricadute territoriali, è interessante richiamare i casi analizzati in un ricco studio di Confcommercio, risalente al 2017, “Le ricadute degli eventi culturali e di spettacolo”5: i tre casi

analizzati nello studio sono “Notte della Taranta, una serie di concerti all’insegna della taranta – musica popolare salentina – che si tengono ad agosto in diverse località del Salento per terminare con il concertone fnale a

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Melpignano (Lecce, Puglia); “Time in Jazz”, festival di musica jazz che si svolge ogni anno ad agosto principalmente nella piccola località di Berchidda (Sassari, Sardegna); “Home Festival”, una settimana di concerti di musica pop rivolti prevalentemente al pubblico giovane che si tiene ogni anno a Treviso (Veneto) ai primi di settembre”6. La prima manifestazione ha attratto una media di ben

600.000 visitatori l'anno nelle ultime edizioni, la seconda 35.000, la terza 90.000, e in tutti questi casi sono misurabili evidentissime ricadute strutturali sull'economia del territorio.

2.3 Il peso dei costi nel settore teatrale: la sindrome di Baumol e la “malattia dei costi” applicata al settore teatrale

William Baumol è stato un professore di economia all'Università di New York, autore di una celebre opera dal titolo “The Cost Disease: Why Computers Get

Cheaper and Health Care Doesn’t” pubblicata, nell'ultima versione, all'età di 90

anni. L'opera aggiorna una tesi che lo studioso americano ha formulato per la prima volta negli anni sessanta e che è nota come “Baumol's Disease of Costs o

Baumol Effect” (sindrome di Baumol o effetto Baumol) (O'Hagan, Neligan, 2005,

pp. 35-37). In breve, la sindrome dei costi di Baumol postula quanto segue:

“in diversi settori economici, la produttività aumenta e i progressi tecnologici rendono possibile che, ad esempio, la costruzione di un'automobile costi adesso meno ore di lavoro di quanto non costasse cinquanta anni fa. Quando ciò accade, i salari dei

6 https://www.confcommercio.it/documents/10180/13610275/Rapporto+sulle+ricadute+degli+eventi+culturali+e+

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lavoratori in quel determinato settore della produzione aumentano, perché gli imprenditori possono permettersi di destinare ai salari una parte del surplus prodotto. Al contrario, in altri settori, la produttività non aumenta o aumenta molto poco con il tempo. “

Ad esempio, dice Baumol:

“un'orchestra sinfonica che suona una sinfonia di Beethoven usa oggi la stessa quantità di tempo di cento anni fa”

e, in generale, in settori come la salute, l'istruzione o l'abbigliamento di alta moda, la produttività aumenta molto poco o nulla. Tuttavia, i lavoratori di tali settori fanno pressione sugli imprenditori e in generale, si può dire, sul sistema economico richiedendo anche essi aumenti di salario - dal momento che aumentano i salari di altri settori più produttivi - e fnendo in certi casi per ottenerli. Visto che anche nei settori con un aumento della produttività scarso o nullo, i salari tendono ad aumentare nel tempo e poiché questi aumenti non possono essere fnanziati con gli aumenti di produttività, essi saranno inevitabilmente fnanziati dagli aumenti dei prezzi (Petraroia, 2015, p. 8 e ss.).

Nell'opera citata, Baumol fornisce recenti esempi tratti dall'analisi dell'economia culturale nell'ambito degli Stati Uniti: dal 1980 al 1995 il prezzo dell'istruzione universitaria è aumentato del 440% e il costo della salute del 250%. In generale, i prezzi sono aumentati nello stesso periodo del 110% e i salari del 150%. In altre parole, i salari sono generalmente aumentati di più dei prezzi perché la produttività è aumentata a livello globale; ma nei settori a più alta intensità di manodopera e a carattere più “artigianale”, poiché c'è stato

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generalmente un aumento minimo o nullo della produttività, per aumentare i salari, i prezzi sono necessariamente aumentati molto di più.

La sintesi prodotta da Baumol, sebbene sia stata per molti versi oggetto di critiche da parte di diversi studiosi, conserva un forte valore per chi si è interessato all'effcacia dei servizi pubblici (O'Hagan, Neligan, 2005, pp.35-37). La maggior parte dei servizi pubblici sono infatti assai estesi quanto ad impiego di lavoro e spesso caratterizzati da una forte componente “artigianale” (vale a dire sono settori con scarsa o nulla automazione o applicazione di nuove tecnologie in grado di ridurre i costi del lavoro); non si tratta evidentemente soltanto di settori come la salute e l'istruzione, ma anche della manutenzione della città, della nettezza urbana, dei servizi delle forze di polizia ecc (Barca, 2013, pp. 325-330). In tutti i settori citati è osservabile l'effetto della “malattia dei costi”. Secondo gli interpreti più “radicali” del discorso dell'economista americano, questo insieme di fattori mette seriamente in discussione l'idea della sostenibilità dello stato sociale nel lungo periodo. L'aumento dei costi dei servizi pubblici in misura superiore ai prezzi globali renderà ogni volta più diffcile mantenere in equilibrio il “portafoglio” dei servizi pubblici, data la diffcoltà di aumentare indefnitamente l'onere fscale in modo ridistributivo. Tale fattore spiegherebbe anche il ruolo e la combattività delle formazioni sindacali proprio nel settore pubblico: visto lo scarso miglioramento della produttività nel medio e lungo periodo, solo con una forte pressione sindacale si può continuare ad aumentare i salari, aumentando di conseguenza sempre più il costo sociale di servizi pubblici (Ohagan, Neligan, 2005, pp. 35-37). Si tratta, come si vede, di un approccio che fnisce con l'essere critico rispetto alla

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prospettiva di un intervento indefnito del settore pubblico in alcuni importanti settori sociali e che tende inoltre a spiegare sul terreno della non sostenibilità dell'intervento pubblico anche le diffcoltà di fnanza pubblica che caratterizzano l'assetto di alcuni stati europei più tradizionalmente legati ad una forte presenza dello stato nell'economia.

In questi paesi spesso all'importanza di un sistema di benefci pubblici di qualità in tutto simile a quella dei paesi più avanzati, e in alcuni casi anche più esteso, non corrisponde un'adeguata disponibilità del sostegno fscale. Da qui viene anche mossa una forte critica al sistema delle organizzazioni lavorative, artigianali e sindacali, che vengono tacciate di esibire un carattere eccessivamente individualista e “frammentario” (De Varine, 2005, p. 16 e ss.). Tali elementi concorrono a determinare l'elefantiasi nel livello della spesa pubblica rispetto a quello del PIL e la crescita del livello di disavanzo pubblico che mette questi paesi spesso sull'orlo dell'insolvenza (Addis, 2002, p. 26 e ss.).

Si sottolinea, a partire da tale prospettiva assai critica verso il modello di sviluppo a forte incidenza dello stato nell'economia che ha caratterizzato molti paesi europei nel secondo dopoguerra, la caratteristica “scarsità di produttività” dei settori pubblici, in particolare in taluni paesi rispetto ad altri considerati “più avanzati”. I dipendenti del settore pubblico, si deplora, lavorano molte meno ore rispetto ai dipendenti del settore privato, e anche molte meno ore rispetto ai dipendenti nel settore pubblico di altri paesi più “rigorosi”. Di contro, i salari pubblici tendono ad essere molto alti, specialmente quelli della componente più qualifcata e con funzioni manageriali (Barca, 2013, pp. 325-330).

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Quanto si è detto circa la cosiddetta “malattia dei prezzi” di Baumol coinvolge in modo particolare il settore della produzione culturale, in quanto esso si caratterizza per un livello costante di produttività nel medio periodo (appare, si direbbe, assai azzeccato l'esempio dell'orchestra che suona una sinfonia di Beethoven), è dotato di una forte componente artigianale ed è tendenzialmente refrattario ad un calo dei costi di produzione dovuto all'impiego di innovazioni tecnologiche; si connota infne, come si è visto, e soprattutto in ambito europeo, per una forte incidenza dell'economia pubblica. In altri termini, il fenomeno descritto da Baumol consiste in una stagnazione della produttività che comporta una crescita dei costi superiore a quella di altri settori dell'economia (De Varine, 2005, p. 12 e ss.). Tale stagnazione è il risultato della scarsa innovazione tecnologica di cui in particolare il teatro può rappresentarne un esempio. Allo stesso tempo, è indubbio che la continua crescita dei prezzi dell'economia in generale nel tempo infuisce sulle retribuzioni dei lavoratori di tutti i settori, comprese le arti dello spettacolo. Le due situazioni citate coinvolgono una crescita dei costi che produce un divario di defcit tra entrate e spese. Ci si aspetterebbe che tale divario venga coperto da aumenti dei prezzi dei biglietti, tuttavia, ciò non è stato possibile a causa di considerazioni alquanto ovvie da parte degli agenti del settore sugli effetti che l'elasticità della domanda può avere sul settore. Sebbene ci siano autori che sostengono l'inapplicabilità del modello di Baumol alle arti performative, in realtà, la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che la malattia dei costi rappresenta una realtà per la sfera economica delle arti performative come il teatro (Petraroia, 2015, p. 16 e ss.). Peraltro, come si è detto, gli studi sulla

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