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POSTE ALL’IDENTITÀ RELIGIOSA OGGI

3. La sfida della comunità

Una delle principali sfide poste all’identità religiosa oggi è quella della comunità. Non è ovviamente una sfida nuova; basta che pensiamo alla comunità dei Dodici, che Gesù stesso ha costituito. Padre Del-l’Orto, un biblista, così descrive la comunità di Gesù. È una comunità che annovera al suo interno delle differenze: le diversità di ciascuno (alcuni pescatori, un pubblicano, uno zelota, due figli del tuono, ... e un traditore). Non solo, ma presenta delle disarmonie che minano l’unità (la tentazione di avere i primi posti, la predilezione di Gesù per alcuni, l’incomprensione dei discepoli nei confronti del Maestro). Anche la comunità di Gesù comporta cioè al suo interno situazioni e tensioni di vario genere, ed è attraverso queste situazioni e tensioni che Gesù for-ma gradualmente e pazientemente la “comunità dei Dodici” che sarà inviata ad annunciare la Buona Notizia.

Questo richiamo alla comunità degli Apostoli ci porta a sottolineare alcune difficoltà che percuotono le nostre comunità religiose e con le quali dobbiamo confrontarci ogni giorno, soprattutto quando queste comunità ospitano persone in formazione. Se vogliamo che la comunità sia sempre “nuova”, se vogliamo che sia “nuova” per la sua missione di evangelizzazione.

Ne elenco alcune: la paura del conflitto, la tentazione di rifiutare il diverso, il pericolo dell’immobilismo, l’illusione del comunitarismo e le illusioni romantiche. A queste e ad altre difficoltà si fa fronte co-noscendo meglio la comunità sotto tutti i punti di vista. Cerchiamo al-lora di indicare alcuni tratti sociologici che potrebbero rivelarsi utili nel processo di formazione.

Diamo innanzitutto una sintetica definizione di comunità, dal punto di vista sociologico.

Una comunità è il raggruppamento di due o più persone che mettono in comune le proprie risorse per soddisfare le loro necessità fon-damentali (produrre, amare ed essere amato, dare significato alla pro-pria esistenza...).7 In base al tipo di necessità che una comunità intende soddisfare e all’elemento che costituisce il nucleo aggregante, si

7 Cf GIORDANI Bruno, La donna nella vita religiosa, Milano, Ancora 1993, 190-192.

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no le seguenti forme di comunità: comunità di lavoro, di vita, di fede o religiose.

Secondo altri punti di vista, parliamo di comunità formali e infor-mali, micro e macro, gruppi compito/socio-gruppi, gruppi parziali e to-tali...

Di ogni comunità, in vista del ruolo formativo della medesima, è importante studiare le caratteristiche biografiche (età, titoli di studio, ruoli, compiti, relazioni); le caratteristiche di personalità (intelligenza, adattabilità, resistenze, simpatie, sensibilità); il tipo di relazioni: quelle riguardanti il compito (in negativo e in positivo) e quelle riguardanti l’affettività e la simpatia (in positivo e in negativo).

Questo premesso, mi sembra importante segnalare quattro nodi che – a mio avviso – esigono un ripensamento perché la comunità possa far fronte alla sfida del cambiamento e del rinnovamento: la struttura, la comunicazione, l’interazione, la coesione. Sono nodi sociologici e non sono gli unici, e forse nemmeno i più importanti; sono però quelli su cui si riflette di meno. Per questo val la pena trattarne con coloro che hanno la responsabilità della formazione delle nuove generazioni.

3.1. La struttura

Ogni comunità religiosa, in quanto gruppo sociologico, ha una pro-pria struttura, cioè ogni membro ha un proprio posto nella comunità e in base ad esso deve giocare un ruolo. La struttura perciò è funzionale al raggiungimento degli obiettivi della comunità. Ciascun membro ha doti, capacità, disposizioni che debbono trovare posto ed essere valo-rizzate nella struttura.

Il rinnovamento della comunità passa anche attraverso la verifica delle strutture perché queste potrebbero creare dei problemi. Ne elenco alcuni: strutture insufficienti per il raggiungimento del fine; rigidità delle strutture; difficoltà di interscambio dei ruoli; sovrapposizione di strutture di fatto a strutture codificate; inutilità di certe strutture. Il tipo di struttura influenza la comunicazione tra i membri (comunicazione centralizzata e non centralizzata) e l’esercizio dell’autorità (gerarchica, anarchica, autoritaria).

Nonostante questi problemi, la struttura è necessaria e deve favorire l’interscambio e l’interiorizzazione dei valori.

Di fronte alla struttura concreta di una comunità ci si può chiedere:

favorisce l’esplicazione del compito di ciascuno? permette che cresca il

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“senso del noi”? favorisce l’interiorizzazione delle Costituzioni? porta al potenziamento dell’apostolato? fa crescere l’interazione comunita-ria?

3.2. La comunicazione

Nella comunità circolano quotidianamente numerosi messaggi in ogni direzione che veicolano informazioni e valori. I canali di comu-nicazione possono essere strutturati in modo diverso, con risultati dif-ferenti sull’efficienza della comunicazione e sulla soddisfazione dei membri (es. schema a catena, schema centralizzato, ruota).

Più specificamente, la posizione dei soggetti nella rete di comunica-zione può produrre effetti sul morale (> o < soddisfacomunica-zione; > o < ag-gressività; > o < indipendenza; > o < responsabilità) e sul compito (> o

< ritmo di lavoro; > o < possibilità di errori; > o < spirito di iniziativa;

> o < creatività). I canali della comunicazione sono importanti e non possono essere stabiliti una volta per sempre, vanno verificati e ricreati continuamente.

Un nodo del rinnovamento comunitario è la comunicazione dei va-lori (preghiera, apostolato, carisma, ecc.). Una buona comunicazione comunitaria favorisce la circolazione dei valori, l’esperienza comune e ripetitiva dei valori, l’interiorizzazione dei valori. La circolazione dei valori propri del carisma crea coesione tra i membri, rafforza la loro i-dentità, favorisce l’appartenenza, poiché i valori interiorizzati diven-tano il “filtro selettore” di tutte le esperienze quotidiane consuete e in-consuete.

3.3. L’interazione

In ogni comunità, proprio perché tale, esistono numerose interazio-ni, cioè molteplici scambi continuati tra i membri, a livello verbale e non verbale (per es. il linguaggio dell’amore, della cooperazione, della correzione, della tolleranza, del perdono, ecc.).

Gli scambi quotidiani modificano lentamente i membri della comu-nità e la stessa comucomu-nità, così che – dopo un periodo di convivenza – la comunità è diversa da come era in precedenza.

Il cammino verso l’interazione profonda tra i membri viene favorito dalle caratteristiche psicologiche e sociologiche della comunità (il sen-tirsi e non sensen-tirsi “uno”, l’esistenza di un inconscio collettivo; il clima

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della comunità: pace o tensione, tolleranza o rigidità, apertura o chiusu-ra, altruismo o individualismo; dagli usi e dalle tradizioni; dagli stereo-tipi; dalla conformità o meno alle norme).

All’interazione sono legati molti problemi, compresi quelli relativi all’amicizia. In proposito segnalo solo tre situazioni possibili, poiché è più compito della psicologia trattarne con adeguatezza e profondità.

Le medio da una conversazione del card. Carlo Maria Martini ai giovani preti della sua Diocesi.8 Esse riguardano il coinvolgimento e-motivo del formatore nella relazione, che può essere di tre tipi.

Il coinvolgimento emotivamente forte da parte del formatore, che ta-lora disturba. Si pensa di aiutare, mentre invece si cerca una com-pensazione affettiva, il surrogato di un’amicizia. Occorre allora con-trollare la situazione, vigilare affinché non degeneri falsando la relazio-ne formativa.

Il formatore diviene oggetto di eccessiva simpatia. A un certo punto ci si accorge che la persona sta superando la normale relazione di fidu-cia, che il suo investimento affettivo è esorbitante rispetto alla richiesta di accompagnamento spirituale. Anche in questo caso occorrono con-trollo e vigilanza, proprio per evitare che il formatore venga coinvolto.

Il terzo tipo di densità emotiva è il più difficile. Il formatore si sente investito e quasi schiacciato da problemi più grandi di lui; non quindi a livello affettivo, ma proprio dal problema come tale. In questo caso c’è bisogno di un grande equilibrio psicologico per sostenere la situazione.

D’altra parte, il Signore non ci chiede di essere gravati al di sopra delle nostre forze, e noi dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che non pos-siamo portare tutti i pesi o che in certi momenti abbiamo bisogno di qualche “spazio di sosta” che ci aiuti a ricaricarci per portare meglio i pesi che abbiamo.

8 Cf MARTINI Carlo M., Camminare sulla seta, Milano, Ancora 1992.

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3.4. La coesione

Per coesione s’intende l’insieme delle forze che agiscono sui mem-bri e li legano sempre più alla comunità, li fanno cioè diventare sempre più appartenenti ad essa.

La coesione non è ovviamente automatica, ma è la risultante di par-ticolari comportamenti: l’alta accettazione reciproca dei membri; la va-lutazione positiva della vita della comunità; l’elevata capacità di sosti-tuzione nei compiti; la responsabile partecipazione alle attività; l’alta conformità alle norme; la capacità di rispettare e accogliere il diverso;

il ristabilimento rapido degli equilibri.

L’alta coesione è fonte di “alta sinergia” della comunità perché ten-de a ridurre al minimo l’energia necessaria al suo mantenimento, ren-dendo tutti i membri più disponibili a operare per il raggiungimento degli obiettivi comuni.

Alcune difficoltà presenti nella comunità possono incrinare o rom-pere la coesione: il diffondersi della diffidenza tra i membri e verso l’autorità; l’emergere di autorità informali in conflitto con l’autorità formale; la circolazione di false informazioni e lamentele; la scarsa in-teriorizzazione degli obiettivi della comunità; l’assenza di difficoltà nei confronti della situazione socio-culturale; l’orientamento competitivo, anziché collaborativo, nei confronti delle decisioni, della scelta degli obiettivi, della gestione della vita.

Per concludere, anche se provvisoriamente, queste riflessioni sulla comunità, mi sembra importante sottolineare che per i religiosi/se è importante impegnarsi seriamente sulla via obbligata della trasforma-zione della comunità da una com-presenza a una con-vivenza caratte-rizzata da un profondo senso di appartenenza, così da riedificare conti-nuamente la comunità intorno ai suoi valori fondanti.

* * *

A conclusione di tutto vorrei fare un’ultima breve riflessione sul-l’importanza di studiare la vita religiosa dal punto di vista sociologico.

Infatti, finora gli studi condotti sono frammentari e settoriali, essi van-no perciò continuati coraggiosamente, nella convinzione che possovan-no apportare un contributo significativo, non solo per la comprensione delle problematiche relative all’identità, ma per quelle riguardanti la vi-ta religiosa in generale.

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DIMENSIONI E ARTICOLAZIONI DELL’IDENTITÀ