POSTE ALL’IDENTITÀ RELIGIOSA OGGI
2. La sfida dell’appartenenza
Uno studio che ho realizzato recentemente con religiosi/se di diver-se Congregazioni sulle caudiver-se della crisi di appartenenza che percuote la vita religiosa contemporanea mi ha portato a concludere che tale crisi è motivata in modo differente secondo l’età dei religiosi/se.
I giovani religiosi/se fino a 34 anni hanno dato le seguenti moti-vazioni: lo scollamento tra l’ideale e la realtà quotidiana; la situazione comunitaria difficile o “piatta”; le difficoltà nelle relazioni interperso-nali; la rigidità o la poca flessibilità nella presentazione delle norme e dei valori.
I religiosi/se dai 35 ai 45 anni sottolineano: il contrasto tra i cam-biamenti avvenuti nella socio-cultura contemporanea e la formazione ricevuta; la mancanza di spirito di famiglia nella comunità; la delusione rispetto alle attese; le difficoltà inerenti alla routine quotidiana; l’im-possibilità di conciliare le urgenze con la preparazione approfondita e l’aggiornamento; il conflitto generazionale; le difficoltà con i superiori.
Infine, i religiosi/se sopra i 45 anni mettono in evidenza: il contrasto tra i cambiamenti avvenuti nella socio-cultura contemporanea e la for-mazione ricevuta; le difficoltà legate alla necessità del riciclaggio; la chiusura nelle proprie abitudini; le difficoltà dovute al tipo di forma-zione ricevuta; l’incapacità di stare al passo con i cambiamenti.
Le risposte presentate, anche se non esaustive, ci invitano a interro-garci più a fondo sul fenomeno dell’appartenenza a un Istituto religioso e sulle dinamiche di formazione dell’atteggiamento di appartenenza.6
Chiediamoci innanzitutto: quali fattori generali condizionano l’atteggiamento di appartenenza?
– La collocazione dell’Istituto nella Chiesa (di diritto pontificio o
6 Per uno studio approfondito sul problema dell’appartenenza cf SCARVAGLIERI Giu-seppe, L’appartenenza agli Istituti religiosi, in Vita Consacrata 9 (1973) 4, 333-346; 5, 421-436 con l’annessa bibliografia. Le pagine che seguono fanno abbondante riferi-mento a questi articoli.
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diocesano, inserito in organismi ecclesiali o no, ecc.) e nel contesto so-cio-culturale (Istituto internazionale o no, apprezzato nella società o no, aperto e disponibile verso un servizio sociale piuttosto che un altro, ecc.).
– La situazione strutturale dell’Istituto (ripartizione dei compiti, in-terscambio delle responsabilità, equilibrio nelle informazioni, ecc.);
l’interiorizzazione dei valori e delle norme contenute nella Regola (mo-dalità di trasmissione, esemplarità di testimonianza, ecc.); la presenza e l’incidenza delle superiore (coordinamento, animazione, esemplarità, ecc.); i canali di comunicazione utilizzati all’interno dell’Istituto (cir-colari dei superiori, stampa, viaggi, ecc.).
– La posizione del religioso/sa nell’Istituto (posto di responsabilità o no); il tipo di interdipendenza che lega i religiosi tra di loro (legami a livello di ideali e valori, interessi, programmi, stima, affetto, aiuto, ecc.); la capacità dell’Istituto di rispondere ai bisogni di fondo del reli-gioso/sa (perfezione, donazione, senso, sostegno, amici, casa, vitto, ecc.).
Chiediamoci ora: quale tipologia di appartenenza possiamo trovare in un Istituto o in una comunità? Possiamo individuare quattro tipi di appartenenza.
Il primo tipo comporta la conformità dell’individuo alle esigenze della spiritualità, dello stile di vita, del genere di testimonianza, della presenza nella Chiesa, propri dell’Istituto.
Il singolo membro si trova a suo agio, ha assimilato i valori, i modi di agire, le norme dell’Istituto. In una parola, ha ottenuto uno “status”
personale nell’Istituto e un conseguente ruolo che soddisfa le sue aspi-razioni. Tale situazione è la conseguenza della “conversione” continua.
Il soggetto che appartiene a questo tipo ha trovato nell’Istituto la ra-gione e l’espressione migliore del suo impegno religioso portato fino alle sue ultime conseguenze. Non è tuttavia il tipo più frequente né più facile.
Il secondo tipo è caratterizzato dall’accettazione complessiva dei valori, delle norme e degli altri elementi istituzionali e contingenti del-l’Istituto, ma con determinate riserve per alcuni punti (a volte anche fondamentali).
L’accettazione parziale può essere determinata da una percezione incompleta, unilaterale, distorta della spiritualità e della storia del pro-prio Istituto; oppure anche da una povertà di elementi emotivi che
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trebbero caratterizzare la dimensione del sentimento e, di conseguenza, delle tendenze operative non autenticamente orientate.
Il terzo tipo congloba i membri che sono al livello minimo di inte-grazione e di identificazione. Essi non sentono più il valore profetico della loro appartenenza all’Istituto, sia per motivi soggettivi sia per mo-tivi socio-culturali.
Pur non potendo affermare che la vita religiosa sia stata per loro, almeno nella fase iniziale, un espediente per risolvere il problema del-l’esistenza, appare chiaro che in seguito questi religiosi/se hanno per-duto ogni slancio.
Il quarto tipo è quello che possiamo chiamare dei disadattati, di co-loro cioè che per avvenimenti vari sperimentano un divario tra se stessi e la spiritualità o lo stile di vita dell’Istituto. Essi continuano a vivere nell’Istituto per motivi che possiamo chiamare meramente psico-sociologici: remore all’abbandono per mancanza di prospettive, uti-lizzazione dell’Istituto per i loro programmi di lavoro, vincoli amiche-voli con i confratelli o le consorelle. Per loro l’Istituto ha perso la sua carica di attrazione sul piano emotivo e non è più condiviso nelle sue attività espressive e strumentali.
In questo tipo si possono collocare i religiosi che si sentono mar-ginali nel contesto vitale dell’Istituto: le eventuali “vittime” di qualche superiore o confratello; i “carismatici” disillusi; i “fanatici” della tradi-zione e della lettera; i progressisti ad oltranza privi di realismo; ecc.
Chiediamoci infine: come si forma l’atteggiamento di appartenen-za?
L’iter completo del processo di appartenenza è molto vario da indi-viduo a indiindi-viduo, sulla base di elementi personali e ambientali che ne accompagnano la formazione. A livello teorico possiamo affermare che l’iter della formazione dell’appartenenza si estende su una gamma che va dalla libera scelta di aderire a un determinato Istituto fino alla com-pleta identificazione mai raggiunta. Nell’un caso o nell’altro, a livello teorico e pratico, possiamo riscontrare due fasi di formazione del-l’atteggiamento di appartenenza: una fase iniziale (la scelta) e una fase costruttiva (il periodo della prima formazione).
Della fase iniziale non trattiamo in questo contesto, dato che la no-vizia ha già scelto un Istituto religioso preciso. Parliamo piuttosto della fase costruttiva che corrisponde a tutto il periodo di iniziazione alla
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ta religiosa, dall’accettazione fino ai voti perpetui.
Questa fase è importante perché dovrebbe verificare e consolidare la scelta e favorire l’acquisizione dei modelli di pensiero, di comporta-mento, per cui l’adesione all’Istituto religioso diventa una scelta “tota-le” nell’esistenza del soggetto. In altre parole, in questa fase si costrui-sce – sia sul piano motivazionale sia su quello comportamentale – il re-ligioso appartenente a un determinato Istituto.
Il formando deve acquisire innanzitutto dei modelli di pensiero.
L’Istituto trasmette al nuovo membro tutta una serie di conoscenze che a poco a poco costituiranno le fonti del suo orientamento conoscitivo.
Una prima serie di conoscenze riguarderà la spiritualità dell’Istituto, il rapporto con la persona di Cristo, la funzione dell’Istituto nella Chiesa, la storia dell’Istituto, ecc. Queste conoscenze infatti costituiscono la base del consenso che riunisce i membri di un Istituto e suscita la coe-sione e la solidarietà. I singoli diventano sempre più partecipi della spi-ritualità comune, ne divengono i depositari, i custodi e i garanti della sua continuità e del suo sviluppo nel tempo.
Il formando deve però anche acquisire i modelli di comportamento.
Si possono distinguere due categorie di comportamenti: quelli che si ri-feriscono alle esigenze della vita comunitaria e quelli riguardanti il compito ecclesiale e sociale dell’Istituto.
I modelli di pensiero e di comportamento si acquisiscono attraverso un processo particolare caratterizzato da tre momenti principali:
l’apprendimento, la difesa, l’adattamento.
I formatori e le formatrici hanno un ruolo fondamentale in questo processo e debbono avere preparazione e tatto per favorirne la rea-lizzazione in tutte e tre i momenti (apprendimento, difesa, adattamen-to). Un ruolo importantissimo in questo processo è giocato anche dalla comunità. Per questo ne prenderemo successivamente in considera-zione alcuni aspetti che esigono un ripensamento e un rinnovamento.
Concludendo su questo punto possiamo dire che formare all’ap-partenenza è fondamentale per la vita e la realizzazione delle persone e per la vita e la vitalità dell’Istituto religioso. Ovviamente tale forma-zione non è facile e richiede nel formatore o nella formatrice di aver in-teriorizzzato in prima persona l’appartenenza al proprio Istituto (il sen-so di appartenenza è rappresentato dal cognome che ciascuno di noi possiede: esso rievoca i legami con una famiglia, il suo stile, il suo pas-sato, il suo spirito caratteristico) e l’appartenenza a se stesso (l’appar-tenenza a se stessi, cioè il senso di individuazione, è il nome proprio di ciascuno, legato alla propria personalità, al proprio ruolo, alla maturità
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vocazionale).