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Con la strategia “fit for 55”13, l’Unione Europea si è posta l’obiettivo di ridurre le emis-sioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, e di azzerarle per il 2050, per evitare che la terra superi di 1,5 gradi l’aumento della sua temperatura globale nei prossimi venti anni (dato ormai abbastanza certo per il 2030).

Le implicazioni su società ed economia sono innumerevoli, come ci ricordano gli obiet-tivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 203014.

La desertificazione e la deforestazione, l’innalzamento dei livelli dei mari (e l’erosione della costa), il riscaldamento delle acque (con gli effetti sulle biodiversità che immagi-niamo), la scarsità di acqua, l’aumento degli eventi climatici estremi (inondazioni, ecc.), il rischio idrogeologico sempre più forte, sono i principali effetti del riscaldamento glo-bale. Le conseguenze sul sistema economico e sociale, i cui effetti iniziamo ad intrave-dere, sono tanti, soprattutto laddove la transizione verso un sistema economico meno impattante sull’ambiente non assumerà forme sostenibili anche dal punto di vista eco-nomico, senza portare al collasso le imprese tra costi crescenti e nuove normative da applicare, e sociale, senza perdere occupati e mantenendo un livello di accesso di beni e servizi alla portata di tutti, evitando maggiori disuguaglianze.

A tal proposito le differenze dell’impatto sul cambiamento climatico tra i settori sono abbastanza evidenti: un terzo delle emissioni (dato 2019, poco meno di 400 milioni di tonnellate) derivano dai consumi nei trasporti, sia domestici che internazionali, un quin-to derivano dal mondo industriale, un quarquin-to dalla produzione energetica, poco più del 7% dalla agricoltura.

Se nel complesso la riduzione delle emissioni è in corso per il nostro Paese, in alcuni settori il peso delle emissioni rispetto al totale è cresciuto: principalmente in agricoltura, nei trasporti e negli usi domestici e residenziali (Figura 12)15. Un riguardo particolare, come si dirà più avanti, alle politiche e ai sostegni finanziari verso questi settori per la riduzione delle emissioni si rende necessario e il PNRR in questo si attiva.

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12 Cerved Industry Forecast, dicembre 2021.

13 https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_3541.

14 Agenda 2030, https://www.un.org/sustainabledevelopment/.

15 https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/data/data-viewers/greenhouse-gases-viewer.

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Figura 12 Emissioni Globali di CO2 per settore (Kt di CO2 equivalente), 1990-2020

Fonte 12 Agenzia Europea per l’Ambiente, estrazione 4 marzo 2022

La stessa strategia europea, inoltre, al fine di ridurre la dipendenza da fonti fossili, ha l’obiettivo di avere almeno il 40% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030, il che significa raddoppiare l'attuale quota di rinnovabili del 19,7% in un solo decennio.

Oggi la quota di consumi energetici coperti da produzione da fonti rinnovabili è pari al 35% circa in Italia, con le dovute differenziazioni tra nord e sud, con il Mezzogiorno che riesce a coprire (ovviamente) una quota maggiore visto il surplus di energia prodotta da solare e eolico. Agli inizi degli anni duemila, la quota era praticamente meno della metà, pari al 17% (Figura 13).

© Cesi Multimedia 23 Figura 13 Consumi energetici coperti da Fonti rinnovabili (%, 2000-2020), per Macro Regioni

Fonte 13 Istat, Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo16

Dunque, la sfida ecologica riguarda in misura parimenti mondo della produzione, sia in termini di produzione energetica de-carbonizzata, sia nello sviluppo di sistemi produttivi che riducono i consumi o addirittura che sono neutrali dal punto di vista climatico. Gli investimenti, sia sul lato delle produzioni dirette che sugli investimenti per innescare percorsi di economia circolare o riduzione dei consumi nelle filiere produttivi, sono am-pi. Da un lato, certamente, ci sono inevitabili costi, dall’altro si paventano possibili op-portunità di sviluppo per le stesse imprese: la sostenibilità è correlata positivamente alla produttività e alla redditività delle imprese. Otre a ciò, sono pervisti ingenti investimenti anche nelle competenze “green”, visto il fabbisogno di lavoratori necessari a far cre-scere gli investimenti, stimati in 2,4 milioni fino al 202517.

Con le dovute differenze rispetto ai bilanciamenti dentro il mondo imprenditoriale, visto che, di fatto, i consumi energetici sono per la gran parte legati al mondo delle imprese industriali e agricole.

Se li misuriamo in base ad un indice proporzionato alla dimensione economica (GWH per 100 milioni di Valore aggiunto prodotto), di fatto, i consumi energetici elettrici nelle

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16 https://www.istat.it/it/archivio/16777.

17 Focus Censis-Confcooperative, “Sostenibilità, investire oggi per crescere domani”, novembre 2021.

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imprese industriali sono i più alti, pari al 35% di GWH per 100 milioni di euro di Valore aggiunto (a valori concatenati - anno di riferimento 2010) ma si riducono di 5 punti nell’ultimo ventennio. Diversamente accade per le imprese in agricoltura, che salgono dal 15% al 25% dei consumi nazionali, così come per le imprese del terziario (escluse le PA) i cui consumi crescono fortemente nell’ultimo ventennio, fino ad arrivare all’11%

(Figura 14).

Figura 14 Consumi di energia elettrica delle imprese dell’agricoltura, dell’industria e del terziario- servizi vendibili

Fonte 14 Istat, Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo

In questo contesto così complesso, occorrono alcune considerazioni rispetto alla tran-sizione ecologica. Molte imprese attive nei settori più impattanti (trasporti, industria, agricoltura) nel nostro Paese sono di dimensioni minori, sono più esposte ad una con-correnza basata sui prezzi, dove i margini non sono elevati, dove esistono anche forme di concorrenza sleale (come per le cooperative spurie), dove i livelli di scolarizzazione della forza lavoro e dell’imprenditoria sono più bassi e, spesso, dove non tutte le im-prese italiane rispettano le regole comuni, rispettano i contratti collettivi nazionali e norme tributarie.

Perciò, le imprese in questi settori, nelle loro scelte “ambientali”, sono condizionate e possono ritenerle meno convenienti. Il rischio reale, quindi, è che i costi della transizio-ne ecologica si ribaltino facilmente sui prezzi di vendita. Soprattutto transizio-nei settori, come il trasporto merci, dove il mark-up è stretto.

© Cesi Multimedia 25 In ogni caso, vi è comunque spazio per intensificare gli investimenti nelle produzioni di energie rinnovabili, negli investimenti di efficientamento, anche nell’ottica del riuso e dell’economia circolare, nell’agricoltura come nei consumi residenziali, visto che il pa-trimonio italiano è per la gran parte datato e costruito prima degli anni sessanta, così come nell’ implementazione della mobilità sostenibile per merci e persone. Ciò che il Covid ci lascia è un mandato più chiaro a correre su questo lato e le risorse alla fine non mancano, come si dirà dopo, nell’analisi delle politiche e delle scelte finanziarie.