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Lo sguardo inaridito e immemore che gettiamo alle cose

2. IL TEATRO

2.3 PERCORSI

2.3.3 La poetica degli oggetti

2.3.3.1 Lo sguardo inaridito e immemore che gettiamo alle cose

Di elementi casuali se ne ravvisano in quantità minima. Al contrario colpisce come, alla carenza di indicazioni scenografiche ben definite, si possa affiancare un elenco molto fornito di oggetti. Tale abbondanza è significativa se si considera l’attenzione della Ginzburg al realismo: si delinea una poetica degli

oggetti mirata alla rappresentazione chiara e precisa dell’ambiente domestico della famiglia borghese degli anni Sessanta. Gli elementi maggiormente citati sono quelli di arredamento: frigoriferi, tende, tappezzeria, poltrone. L’intenzione della Ginzburg, però, sembra andare al di là della mera rappresentazione realistica. Più che di una questione estetica si tratterebbe, infatti, di una ricerca di stabilità da parte dei personaggi. Ne L’intervista l’attenzione dell’autrice si sofferma spesso sulla fatiscenza degli arredi domestici che, con il tempo, si deteriorano come il mondo che circonda Ilaria. Nonostante tutto, nella stanza del tempo in cui Ilaria riceve Marco resta tutto uguale. Ilaria oppone resistenza al tempo che passa inesorabile ma non può verificarsi il contrario: la descrizione minuziosa degli arredi fatiscenti ne è la prova visibile134. Ne La porta sbagliata l’oggetto che denomina la commedia indica la strada errata che ha intrapreso Stefano quando ha deciso di sposare Angelica.

Anche in Paese di mare si nota una particolare attenzione agli oggetti domestici: l’ossessione di Marco di arredare casa va di pari passo con la necessità di adattarsi e, soprattutto, di abituarsi:

MARCO: […] Lo sai cosa dobbiamo comprare, quando usciamo? Dobbiamo comprare qualche metro di plastica, e metter su una bella tenda, che nasconda il fornello, il frigorifero, e il lavabo. Sarà tutta un’altra cosa, la stanza.135

Ne La parrucca e ne La poltrona, invece, i due oggetti che danno il titolo alle commedie diventano simboli della condizione psicologica dei protagonisti: entrambi vivono con angoscia il distacco emotivo dal proprio coniuge e cercano di soffocarlo legandosi ad un oggetto. I soggetti che hanno a che fare con questi elementi non riescono ad affrontare la propria drammatica realtà: nel primo caso la parrucca assume un ruolo di conforto per la protagonista che, nella cura che dedica a questo oggetto, ripone il dolce ricordo di un passato felice con il marito; nel secondo caso la poltrona assume il ruolo di capro espiatorio su cui far ricadere la causa della propria disgrazia. Entrambi i protagonisti delle commedie soffrono

134 Cfr. Note 97-98, p. 44

di una tristezza incolmabile: le uniche cose con cui riescono a ridimensionare la triste realtà sono gli oggetti a cui sono legati.

La protagonista de La parrucca è vittima di un rapporto d’amore morboso e violento. La parrucca porta i segni di una relazione malsana come la donna che la indossa: gettata via, maltrattata, riutilizzata, coccolata. La descrizione, alquanto grottesca, di un litigio domestico, ne è la prova:

Abbiamo fatto una litigata enorme anche prima di partire. Eravamo a tavola. Gli ho detto che non avevo nessuna voglia di venire con lui a Todi. Mi ha risposto in inglese che se non partivo con lui mi sbatteva subito fuori dalla porta. Parlava in inglese perché c’erano le bambine. [...] Lui stava mangiando un caco, ha preso quel caco e l’ha spiaccicato sul pavimento. Io allora ho pigliato un cucchiaio e mi son messa a pulire. Le bambine non spaventate, anzi divertite. Mentre io ero curva che pulivo lui mi ha strappato di testa la parrucca e l’ha scaraventata giù dalla finestra. La mia parrucca ha fatto un volo ed è cascata su una tettoia in una pozza di pioggia. Allora ho dovuto mandare la donna al piano di sotto dove abita un farmacista, e così la donna e il farmacista con una scopa hanno ripescato la mia parrucca, tutta bagnata e sporca di fango. [...] Lui ha gettato un urlo da belva, allora io mi sono chiusa in camera a chiave e mi son messa a spazzolare la mia parrucca.136

L’immagine macabra della donna che spazzola la parrucca, così come i tentativi rocamboleschi di recuperarla, fanno pensare ad un tentativo disperato di recuperare un legame ormai perso.

La parrucca diventa, quindi, il simbolo al femminile di un’ossessione reciproca: se l’occhio dei quadri di Massimo è l’incubo della moglie che si sfoga facendoli a pezzi, la parrucca è, nello stesso tempo, l’emblema della donna maltrattata unito al ricordo di un tempo felice. Non è facile, per i coniugi, svincolarsi da una situazione dolorosa anche se entrambi sono consapevoli di farsi del male. Non a caso l’occhio, nei quadri, diventa più ingombrante man mano che cresce l’insoddisfazione:

Questa mia povera parrucca l’hai ridotta che fa pietà. Me l’avevi comprata tu. Ti ricordi? Con i soldi di un tuo quadro. Era uno dei primi che vendevi. Era un semplice prato. C’era però già un occhietto, piccolo piccolo, posato sopra un fiore come un maggiolino. Era quattro anni fa. Eravamo felici. Qualche volta ho tanta nostalgia di quel tempo. Quando ti volevo bene.137

Felicità e nostalgia: due sentimenti opposti eppure indissolubili. Nei dialoghi portati alla luce si riesce ad intravedere il percorso meditativo che la Ginzburg ha

136 N. GINZBURG, La parrucca in Id., Tutto il teatro, cit. p. 372 137 Ivi, p. 374

sempre proiettato nella vita quotidiana: ne risulta una filosofia umana basata sulla ricerca instancabile della felicità che soltanto una mente estremamente sensibile può descrivere in maniera così sfaccettata e variegata.

Matteo de La poltrona preferisce dare la colpa delle sue disgrazie ad una poltrona. Il tempo, nella commedia, è scandito dalla presenza in casa di questo oggetto: «prima della poltrona» Matteo conduceva una vita tranquilla con la moglie; «dopo la poltrona» si è ritrovato a viver solo, divorziato a causa di una relazione extraconiugale con una vicina di casa. Matteo non accetta di affrontare la vera causa dello stravolgimento della propria vita e imputa come colpevole la poltrona, denominata «infame». L’atteggiamento alquanto infantile del protagonista è, ancora una volta, il comportamento di chi, per non soffrire, preferisce aggirare l’ostacolo. È interessante notare la coincidenza tra il tema di questa commedia e la riflessione scritta dalla Ginzburg nel saggio I rapporti umani:

Anche siamo diventati superstiziosi: di continuo facciamo le corna, siamo seduti a lavorare o a scrivere e di colpo ci alziamo, facendo le corna accendiamo e spegniamo la lampada per tre volte, perché d’improvviso ci siamo detti che solo questo potrà salvarci dalla sventura.

Ci rifiutiamo al dolore: lo sentiamo venire e ci nascondiamo dietro le poltrone, dietro le tende, per non farci trovare.138

Gli oggetti intervengono come pretesto, bersaglio facile, per riuscire nell’intento di trovare una giustificazione alla stanchezza dell’animo poco avvezzo al dolore ma consapevole del fatto che non è possibile sfuggirgli. Quando arriva, il dolore sovrasta la capacità razionale di evitarlo e obbliga, con le spalle al muro, ad affrontarlo. La Ginzburg fa pronunciare a Marco una verità incontestabile:

MARCO:[…] Perché ci si abitua a tutto. È incredibile come una persona s’ abitua. È incredibile quello che sopporta una persona. Quello che ingoia. La qualità del cibo che gli viene somministrato. Le umiliazioni. Le beffe. I tradimenti. Gli addii. È incredibile l’amaro e il dolore che mandiamo giù, con la saliva, ogni giorno. Qualcuno ne muore, ma pochi. Un grandissimo numero di noi si abitua. Vive e respira, come fosse niente. 139

Quando subentra l’abitudine cessa la paura e il rapporto materiale con gli oggetti di riferimento diventa il riconoscimento di un freddo meccanismo di difesa:

138 N. GINZBURG, I rapporti umani in Id., Opere, cit. p. 878-879 139 N. GINZBURG, Paese di mare in Id., Tutto il teatro, cit. p. 314

Non sentiamo più paura. La paura è penetrata in noi, è una cosa sola con la nostra stanchezza: è lo sguardo inaridito e immemore che gettiamo alle cose.140

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