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Una realtà distorta: simbologia animale e grottesco

3. LO STILE TEATRALE

3.3 L’IRONIA

3.3.2 Una realtà distorta: simbologia animale e grottesco

Ancora più incisivo risulta l’accostamento tra alcuni tratti dei personaggi e il mondo animale188. Tale assimilazione sembra prendere le mosse dalla ripresa, a partire dagli anni Sessanta, di alcuni caratteri peculiari del teatro grottesco. La caratteristica fondamentale di tale drammaturgia è il ricorso alla maschera con la funzione di deridere e rendere manifeste le falsità del mondo borghese. Tra queste l’attitudine, frequente nei personaggi, di scambiare con gli altri rapporti di convenienza da cui trarre profitto. È il caso di Marco e Debora in Paese di mare: la coppia di coniugi si trasferisce in un paese di mare allo scopo di cercare una sistemazione lavorativa grazie ad Alvise, compagno di gioventù di Marco, che ha la fama di essere ricco e influente. Le aspettative non corrispondono, però, alla realtà: Alvise, pieno di debiti e imprenditore fallito, non mantiene fede alle promesse perché troppo occupato a correre dietro a Bianca, compagna depressa che, alla fine, si toglie la vita. Marco, noncurante dell’insofferenza di Debora, insiste nel voler rimanere in nome dell’antica amicizia che lo lega ad Alvise. L’insofferenza di Debora nasce dal ribrezzo che prova nel notare come la realtà meschina di Marco sia mascherata da un affetto di facciata. L’unico ricordo di quell’amicizia è concentrato in un ritornello di una canzone:

MARCO (canta)

Tutti i cinghiali hanno detto di sì…

A Roma, in via Panisperna, Alvise cantava questa canzone. Io mi ricordo solo un verso. Non so più il resto. In fondo, sono venuto qui solo per chiedergli com’era il seguito. Tutti i cinghiali accettavano di diventare maiali. Tutti salvo uno.189

[...]

187 N. GINZBURG, L’inserzione in Id., Tutto il teatro, cit. p. 99

188 Cfr. J. WIENSTEIN, La simbologia animale nelle opere di Natalia Ginzburg, in «Quaderni di italianistica», vol VIII, n.2, autunno 1987, pp. 263-276, in part. pp. 265-270

MARCO: Tutti salvo uno. Uno sceglieva di restare cinghiale. Sceglieva lo stato libero e selvaggio.

Il cinghiale diventa il simbolo di una libertà che, però, assume connotazioni diverse: se per Marco si traduce in cambiare continuamente città e lavoro, per Debora si tratta di una condizione più profonda e sofferente. Debora possiede un’intelligenza lucida e acuta che le permette di comprendere il sistema nel quale è rinchiusa. Nonostante i continui rimproveri da parte di Marco, lei sembra rifiutare la prospettiva di abituarsi ad un mondo dominato dall’angoscia. Il titolo della commedia conduce fuori strada: il “paese di mare” in cui è capitata la coppia di coniugi, seppure possa dare una prima impressione di serenità, si rivela un abisso in cui è facile cadere e, soprattutto, adattarsi. Fa spavento come, al dolore, ci si abitui così in fretta; ed è crudele, per Debora, sapere che Betta, la cugina diciassettenne di Alvise, viva da vicino la terribile storia di Alvise e Bianca, e riesca a mantenere la giusta distanza, seppur giovanissima:

GIANNI: Non è più tanto piccola, Betta. Ha i suoi diciassette anni. Oggi non si cresce, si resta bambini. I bambini guardano il mondo con occhi freddi. anch’io guardo il mondo così. Non è che non si sente angoscia. Si sente anzi un’angoscia spaventosa. Ma gli occhi restano freddi. Freddi come il sasso. Senza lagrime.190

Ciò che Debora non accetta non è tanto il dolore, quanto l’abitudine al dolore: il cinghiale, che per Marco rappresenta la libertà dai vincoli e nel suo immaginario si rispecchia nella figura di Alvise, per Debora non è altro che la tempra disumana di chi riesce a sfuggire alla terribile abitudine dell’angoscia:

DEBORA: Marco, ti prego, andiamo via. Partiamo. Io soffro a stare qui. Mi sembra d’essere caduta in un punto del mondo dove non c’è che delle storie angosciose. Io non sono molto forte. Non sono mica un cinghiale. Mi sembra che se resto ancora qui, finisce che divento anch’io come Bianca.191

Tuttavia, nonostante la situazione si presenti alquanto drammatica, il paragone messo in atto da Debora riesce a ristabilire il tono medio della conversazione. «Non sono mica un cinghiale», dalla bocca di Debora, suona come una sferzata quasi comica che ridimensiona il livello tragico a cui la commedia stava

190 N. GINZBURG, Paese di mare in Id., Tutto il teatro, cit. p. 309 191 Ibidem

approdando e ristabilisce l’equilibrio tra i personaggi. Debora, paragonando se stessa ad un cinghiale, ammette infatti la propria vulnerabilità e l’incapacità di distinguersi dai suoi compagni. Il riferimento ironico al cinghiale rimpicciolisce la figura di Debora che, al contrario, sembrava emergere per la sua intelligenza. L’insistenza della donna nel voler andar via non è, quindi, una ribellione contro il sistema, ma rappresenta la paura di essere smascherata. Il paragone con il cinghiale introduce, quindi, la propria ammissione di colpa: «Mi sembra che se resto ancora qui, finisce che divento come Bianca». Tradendo se stessa, Debora ammette di essere, allo stesso modo dei compagni, cinica e arrendevole. È evidente come, in questo caso, la Ginzburg si serva della simbologia legata al cinghiale per rappresentare, in maniera equivoca, alcuni difetti ricorrenti nell’indole dei personaggi.

Dunque, il riferimento al mondo animale, mirato a marcare in modo caricaturale i personaggi, fa luce sulla loro vulnerabilità. Primo fra tutti è il caso di Fiorella de

Il cormorano in cui il paragone con l’animale avvoltolato nel petrolio è l’emblema

della donna vittima dei condizionamenti di tutta una società che inibisce la volontà e la libertà personali. In Ti ho sposato per allegria si assiste ad una ricerca dell’animale che maggiormente corrisponda alla persona descritta: Giuliana, che secondo Pietro non è una “vespa”, si definisce una “farfalla” ma agli occhi della madre di Pietro è una “tigre”; La madre di Pietro è una “maiala” secondo Giuliana, e “sana come un pesce” secondo Pietro; e la madre eccentrica di Giuliana ha “gli occhi di una lepre inseguita”; Vittoria, la donna di servizio, è definita “salamandra inutile” e la sorella di Pietro “un’oca”192. Ne La porta

sbagliata Giorgio e Stefano vengono qualificati come degli uccelli dalle ali

tarpate. Giorgio, per difendersi, si trasforma da uccello senza ali in cane da salotto. Cencio, agli occhi di Angelica, si qualifica come “un immenso pesce iridato e fosforescente, si insinua negli abissi marini, respirando ingoia pesci piccoli”; ne La poltrona Ginevra, per il fatto di essersi intromessa nel matrimonio di Matteo e Ada, è definita “un gatto” o “un piccione”193.

192 N. GINZBURG, Ti ho sposato per allegria in Id.,Tutto il teatro, cit. pp. 32, 33, 39, 43, 49, 74 193 N. GINZBURG, La poltrona in Id., Tutto il teatro, cit. p. 249

In alcuni casi, tuttavia, i paragoni assumono la forza di un attacco mirato nei confronti di chi non riesce a difendersi come nel caso di Silvana (La segretaria):

SOFIA: […] Poco fa arriva qui questa ragazza, in calzamaglia nera, con un berrettone di pelo, un vestitino tutto spiegazzato, i capelli sparsi. Un topo ripescato dall’acqua.

[…]

NINO: […] È soltanto una ragazzina. Una povera lucertolina inseguita, un povero topo.194

e della fidanzata di Cencio (La porta sbagliata):

STEFANO: […] È un cagnetto, un barboncino nero. Una faccia tutta nascosta in una selva di capelli. Tra i capelli, due occhi chiari spaventati. È piccola, magra, lentigginosa, con un cappottino di cuoio.

[…]

STEFANO: […] È un passerotto, un povero passerotto che ha preso la pioggia.195

Entrambe sono designate con animali di piccola taglia. In tutti e due i casi la trasfigurazione diventa totale e le ragazze assumono fisicamente i tratti degli animali finendo per somigliare loro. Silvana, definita “randagia”, viene associata più volte ad un cane:

SOFIA: Perché, non ha la stanza degli ospiti , la signora Coltellacci? Non è una riccona?

NINO: È una riccona, ma non ha la stanza degli ospiti. Ha un appartamento minuscolo, tutto a piastrelle veneziane, bello, ma pieno come un uovo, stipato di mobili fino al soffitto. E poi ha un mucchio di cagnolini.

TITINA: Io me ne vado. Io torno da mia madre. Io là da mia madre, a casa mia, ho sempre la mia cameretta così tranquilla, piena di sole, coi gerani sulla finestra. Sono stanca. Ho bisogno di pace.

ENRICO: Forse questa ragazza davvero ti aiuterà coi bambini.

TITINA: No. Ha detto che detesta i bambini. È scappata di casa sua. È una vagabonda. Magari è anche una puttana e una ladra. Io sono stanca. Questa casa è un porto di mare. La gente entra, esce, mangia, dorme.

[…]

SILVANA: Posso dormire qui, Sofia? Ho paura a dormire sola, stanotte. SOFIA: Qui? in questa stanza? Ma non c’è un altro letto, qui.

SILVANA: Non ho bisogno del letto. Ho il mio sacco a pelo. Mi stendo in terra, dentro il sacco a pelo. Anche dalla signora Coltellacci, dormivo così.196

L’indicazione del cibo che mangiano completa la metamorfosi:

SOFIA: Oggi credo che ci siano patate. Il nostro menù del mezzogiorno è di solito coniglio con le patate. Il nostro menù, la sera, è caffelatte e broccoletti in padella. Le piace il caffelatte?

SILVANA: Mica tanto. Ma non mi importa. Mi basta un pezzetto di formaggio. 194 N. GINZBURG, La segretaria in Id., Tutto il teatro, cit. pp. 153, 176

195 N. GINZBURG, La porta sbagliata in Id., Tutto il teatro, cit. pp. 340, 354 196N. GINZBURG, La segretaria in Id., Tutto il teatro, cit. pp. 165, 184

SOFIA: Proprio un topo197 [...]

GIORGIO: La ragazzina era seduta nel bar. Appollaiata su uno sgabello. Mangiava pop-corn198.

Quest’ultima immagine, che ritrae la fidanzata di Cencio, ricorda quella di Totò che, nell’episodio finale del film di Pasolini Uccellacci e uccellini (1966), nel tentativo di domare un’aquila viene soggiogato dall’uccello e si trasforma egli stesso in un volatile. Tale suggestione fa capo a quella che per Franca Angelini199 è la peculiarità del teatro comico del Novecento. In un filo diretto con la commedia dell’arte, l’attore comico del ventesimo secolo, nelle personalità di punta di Ettore Petrolini, Eduardo De Filippo, Totó, incarna il ruolo della macchietta che si realizza nella sua “capacità di fare metamorfosi del corpo”200. Tale è, infatti, il risultato che vuole raggiungere la Ginzburg. Wienstein, a questo proposito, afferma che «nell'assumere tratti di animali, i personaggi acquistano un qualcosa di vulnerabile, di assurdo. Nella loro metamorfosi, sono comici e pietosi insieme, ci fanno prima sorridere e poi riflettere»201. In questa osservazione si racchiude il senso della comicità per Natalia Ginzburg che, in un saggio del 1977 in cui esprime il suo disappunto nei confronti dell’ironia di Dario Fo, afferma:

I comici sono tragici, e sono ingenui. Dànno allegria perché nella loro ingenuità e tragicità si riflette in maniera strana e lieta ogni condizione umana. I comici si offrono alla gente fragili, sprovveduti, disarmati. Offrono la loro intimità solitaria. Essa può essere o ironica, o astuta, o allucinata. Sono pieni del più nero silenzio anche quando sono ciarlieri. Sono tanto più luminosi di comicità quanto più appaiono immersi nella loro tristezza. Offrono alle intemperie della sorte la propria miseria.202

In questo passo si condensa la poetica di Natalia Ginzburg: l’intera umanità misera, fragile, sprovveduta, disarmata, è comica perché ingenua; ingenua perché barcolla nella convinzione che la vita sia una tragedia. Con fine eleganza la Ginzburg sdrammatizza. Le ragazze prese di mira nelle commedie si ritrovano

197 Ivi, p. 162

198 N. GINZBURG, La porta sbagliata in Id., Tutto il teatro, cit. p. 353

199 Cfr. F. ANGELINI, Linee di una tradizione comica italiana in E. MARINAI, S. POETA, I. VAZZAZ (a cura di), Comicità negli anni Settanta…, cit. pp. 21-34

200 Ivi, p. 21

201 J. WIENSTEIN, La simbologia animale…, cit. p. 270

sempre in contesti di alta tensione ma il ricorso a metafore tratte dal mondo animale produce un abbassamento di tono ironico. Tuttavia, l’accanimento nei confronti di questi personaggi minori, potrebbe significare altro. Più volte, nelle sue interviste, la Ginzburg si è schierata a favore dei giovani e, al contrario, gli adulti delle sue commedie inveiscono contro di essi. L’esempio lampante si legge ne La segretaria quando Titina cerca di dissuadere la cognata Sofia dal correre dietro ad Edoardo, innamorato della giovane Silvana:

TITINA: Come sei ingenua, Sofia. Non ha dimenticato Edoardo semplicemente perché Edoardo non è mai esistito per lei. Sono queste ragazzette di oggi, strampalate, assurde, senza cuore, senza sentimenti, senza memoria. Piccoli topi. Dove si trovano, fanno il nido. Mangiano quelle briciole che trovano. Dimenticato Edoardo! Mi fai ridere. Ragioni come se quella fosse una della tua specie. Sei tu che devi dimenticare Edoardo, e non lei. Sicuro, tu, Sofia. Sei innamorata di Edoardo. Lo sanno tutti.203

La descrizione che fornisce Titina è discriminatoria nei confronti di Silvana ed è chiara l’intenzione di voler considerare i ragazzi un’altra “specie”. L’allusione ai roditori che mangiano le briciole è fortemente esplicativa: i giovani sono considerati parassiti della società e, incapaci di costruire da sé il proprio futuro, vivono di ciò che i loro padri hanno realizzato prima. Titina si fa portavoce di un sentimento generale di sfiducia nei confronti dei giovani condiviso anche dagli altri:

NINO: La ragazza? Sí, dice di sí. Però l’avete vista com’è. Una lucertolina. Una di queste ragazzette che girano adesso. Non hanno dei sentimenti veri. Non hanno futuro.

SOFIA: Un topo.

NINO: Esatto. I topi, le lucertole, non hanno futuro. Hanno quei piccoli occhi fissi, tristi. Scappano sempre di qua e di là. Si rimpiattano sotto ai sassi. Non chiedono niente e non hanno da dare niente a nessuno.204

Ma la Ginzburg mostra simpatia per i giovani contemporanei; rispetto agli adulti delle commedie, ritiene che la reticenza dei genitori nel parlare del proprio passato e la mancanza di autorità abbiano prodotto una generazione inconsapevole che, però, riconosce il dolore attraverso chi lo ha vissuto e si prepara ad affrontarlo al

203 N. GINZBURG, La segretaria in Id., Tutto il teatro, cit. p. 176 204 Ivi, p. 165

meglio delle proprie possibilità, «senza quei languori, quelle esitazioni, quelle incertezze della mia adolescenza»205.

In questo mondo, costellato di tipi dai tratti deformati, la comicità si misura con il rovesciamento. Non esiste il bene e il male: in questo relativismo ogni personaggio assume, agli occhi dell’altro, la fisionomia che gli viene attribuita. L’effetto è quello di un’ilarità grottesca. Ne è un caso la descrizione che Giuliana fa di Elena e di Manolo:

GIULIANA: […] Si chiamava Manolo. E la Elena mi diceva: No, no, non innamorarti di quello lì! Non mi piace! è così nero, così nero, sembra il Cavaliere Nero! E io dicevo: E chi è il Cavaliere Nero? E lei diceva: Non so.

[…]

GIULIANA: […] La Elena ha un naso lungo lungo e grande, e quando c’è qualcosa che non le va, questo naso diventa ancora più lungo, e più grande, e si accartoccia tutto. Accartocciandosi non diventa più corto, diventa ancora più grande e più lungo, una cosa strana.206

Inoltre, è singolare come i personaggi maschili secondari assumano quasi le stesse sembianze come a simboleggiare un prototipo di uomo chiamato, di volta in volta, con un nome diverso: Lorenzo (L’inserzione)«con la sua valigetta, il basco, l’impermeabile tutto sgualcito, la barba lunga. È rimasto un momento sulla porta, piccolo, pallido, con un viso senza espressione, un viso così smorto, freddo...»207; Paolo (Fragola e panna) «lo vedo scendere dal treno, piccolo, con l’impermeabile tutto sgualcito, la barba lunga»208; Edoardo (La segretaria) «piccolo, con quei capelli lunghi sulla nuca, il cappotto consumato, i calzoni sfilacciati»209.

Le personalità maschili meritano, a questo proposito, un’ulteriore riflessione. È già stata discussa l’incapacità, da parte degli uomini, a realizzare pienamente le proprie aspirazioni e a mantenere l’equilibrio familiare. Il fallimento, che accomuna quasi tutti i personaggi maschili, sotto la lente distorta dell’ironia diventa una condizione accettabile. Al contrario sono i professionisti, realizzati nel lavoro, ad essere presi di mira. Si legga, ad esempio, l’assurdo paragone che

205 O. FALLACI, Gli antipatici, cit. p. 352

206 N. GINZBURG, Ti ho sposato per allegria in Id., Tutto il teatro, cit. pp. 16,17 207 N. GINZBURG, L’inserzione in Id., Tutto il teatro, cit. p. 83

208 N. GINZBURG, Fragola e panna in Id., Tutto il teatro, cit. p. 119 209 N. GINZBURG, La segretaria in Id., Tutto il teatro, cit. p. 144

Giorgio (La porta sbagliata), vantandosi di essere il successore di Proust, instaura tra sé e il cane, entrambi soprannominati “dottori” dalla mamma:

GIORGIO: […] Il cane è nero, triste, con le orecchie lunghe. Si chiama Dottore. Siccome mia madre vuole che il cameriere mi chiami dottore, io sento dire dottore e non so mai se parlano al cane o se parlano a me. Anche il cameriere è nero e triste. Mi porta il caffelatte. Bevo il caffelatte, sento un gran caldo perché nel nostro salotto fa un caldo incredibile. E la voglia di lavorare mi è passata. Mia madre continua a tagliare le fagioline e ogni tanto mi dà un’occhiata. È contenta di me. Le vado bene. Le sembro un intellettuale. Crede che io sia Proust. Ha letto non so dove che Proust ha scritto il suo libro sui quarant’anni. Siccome io ho solo ventitré anni, mia madre è tranquilla per me. […] È contenta. Crede di essere la madre di Proust.210

Proprio contro la categoria dei dottori sembra scagliarsi l’insofferenza dei personaggi che, troppo premurosi verso se stessi, pretendono la soluzione ai problemi ma secondo le modalità che più li aggrada. Così lo psicanalista, il dottor “Vlad”, «è troppo frivolo e chiacchierone»211. Il caso più eclatante è, però, Enrico (La segretaria): chiamato in causa per sbrogliare anche situazioni che non gli competono, i suoi rimedi vengono puntualmente smentiti. Questi repentini botta e risposta che mostrano il disappunto del dottore contro la pretenziosa ostentazione del “sapere” degli incompetenti, crea degli sketch alquanto comici che, tuttavia, la dicono lunga sui personaggi:

PERFETTA: C’è il dottore. Avevo sentito dire che portava una macchinetta da caffè. Ma lui dice che se n’è dimenticato. […]

[…]

TITINA: Com’è antipatica questa Perfetta. Io non ho più latte, Enrico. Ieri sera sessanta grammi. Stamattina ottanta. Piange sempre il bambino. Ti decidi a dirmi se posso dargli la giunta?

ENRICO: Dagli la giunta.

TITINA: Finalmente! cosa gli do? Nestogen mezza crema? ENRICO: No. Dagli il Pelargon.

TITINA: Mi hanno detto che il Nestogen mezza crema è meglio di tutto. Me l’ha detto la signora qua vicino.

ENRICO: Allora se lo sai perché me lo chiedi?212 […]

SOFIA: Mi fa male la schiena. Qui. Ogni volta che tiro su il fiato. […]

ENRICO: Non è niente. È uno strappo muscolare.

SOFIA: Uno strappo muscolare, dici? Sei sicuro che non ho la pleurite?

ENRICO: No, non hai la pleurite. […] Prendi una pastiglia d’aspirina. Ti passerà. 210 N. GINZBURG, La porta sbagliata in Id., Tutto il teatro, cit. p. 326

211 N. GINZBURG, La porta sbagliata in Id., Tutto il teatro, cit. p. 361 212 N. GINZBURG, La segretaria in Id., Tutto il teatro, cit. p. 154

SOFIA: Cosa c’entra con gli strappi muscolari, l’aspirina? Io non ci credo all’aspirina. È un rimedio vecchio come il cucco. Nessuno la prende più. Senti Enrico. Voglio andarmene da questa casa. Cercami una sistemazione.213

CONCLUSIONI

Al termine di questo percorso è doveroso focalizzare l’attenzione sull’impatto che il teatro di Natalia Ginzburg ha avuto sulla scena letteraria contemporanea e successiva alla sua morte. Nonostante la produzione teatrale sia considerata marginale, il successo delle sue commedie ha avuto un’eco che si è propagata fino ai giorni nostri. La sua fortuna è tale da essere considerata una delle grandi drammaturghe italiane del Novecento accanto a nomi quali Franca Valeri e Franca Rame, nonostante l’approdo tardivo al teatro rispetto alle altre. I lavori teatrali, infatti, eseguiti anche all’estero, continuano ad essere rappresentati. In occasione del centenario della nascita (14 luglio 2016), il Teatro Stabile di Torino ha dedicato un intero progetto alla figura poliedrica e ancora attuale di Natalia Ginzburg portando in scena tre commedie: Ti ho sposato per allegria,

Dialogo e La segretaria. Il progetto, intitolato Qualcuno che tace, centra il

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