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Nei post-rural studies l’interesse per il territorio47, indicato metaforicamente con il termine “terroir” - per denotare non solo lo spazio fisico o l’ambiente naturale ma anche le

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La teoria della democrazia deliberativa origina nelle riflessioni attorno al fallimento del mandato rappresentativo delle democrazie liberali e nelle esplorazioni attorno a possibili meccanismi per superare le profonde disconnessioni tra i cittadini, i loro rappresentanti e il processo di policy making (Crowley, 2009).

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La democrazia partecipativa si configura come un’interazione, entro procedure pubbliche fra società e istituzioni, che mira a, produrre un risultato unitario imputabile a entrambi questi soggetti, per cui non si tratta ne di autogoverno ne di democrazia diretta (Allegretti, 2010).

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L’empowerment attiene alla capacità di riconsiderare la vita sociale dei singoli e dei gruppi attraverso la formazione e l’informazione, al fine di favorire, anche da parte dei gruppi oppressi, l’accesso alle risorse, aumentando la loro partecipazione attiva alla vita politica e la capacità di dominare gli eventi permettendo l’assunzione di responsabilità e ampliando la possibilità di incidere sul dibattito decisionale (Burgio, 2003).

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In termini generali, la varietà delle esperienze raggruppabili sotto questa definizione è riconducibile alla comune convinzione che la democrazia si alimenti attraverso una attiva partecipazione collettiva alla elaborazione ed al trattamento dei problemi che in essa si generano (Crouch, 2003: 6).

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Per approfondimenti sull’argomento, la cui trattazione esula dagli obiettivi del presente lavoro, si vedano: Bifulco R. (2010): Democrazia deliberativa, partecipativa e rappresentativa. Tre diverse forme di democrazia?, in Allegretti U. (a cura di) (2010), Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze University Press, Firenze; Allegretti U. (2009): Democrazia partecipativa e processi di democratizzazione, Relazione generale al Convegno “La democrazia partecipativa in Italia e in Europa: esperienze e prospettive”, Firenze, 2-3- Aprile 2009 e Pellizzoni L. (2005):

Cosa significa deliberare, in Pellizzoni L. (a cura di) (2005): La Deliberazione Pubblica, Meltemi, Roma

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Seguendo Camagni (2007), con il termine territorio ci si deve riferire ad: a) un sistema di esternalità localizzate, sia pecuniarie (allorché dei loro vantaggi ci si appropria attraverso transazioni di mercato) che tecnologiche (quando questi vantaggi sono sfruttati attraverso la semplice prossimità alla fonte); b) un sistema localizzato di attività di produzione, di conoscenze, di competenze, di tradizioni; c) un sistema di relazioni localizzate di prossimità, che costituiscono un capitale – di carattere sociale, psicologico e politico – in quanto aumentano la produttività statica e dinamica dei fattori produttivi locali; d) un sistema di elementi culturali e di valori; essi acquisiscono un valore economico allorché possono essere

componenti umane e, quindi, la sedimentazione storica della co-evoluzione tra uomo e natura (Barham, 2003) - e che, Bagnasco e Le Galès (2000) definiscono come “costruzione sociale e

politica”, si sviluppa, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso grazie all’approccio endogeno

allo sviluppo rurale (van der Ploeg e van Dijk, 1995) e con il progressivo affermarsi del paradigma del sustainable rural livelhoods (Chambers and Conway, 1991; Haan, 2000; Jonhson, 1997; Scoones, 1998; Knuttson, 2006).

Gli elementi teorici che sostanziano il nuovo approccio metodologico, seguendo Camagni (2007), si possono trovare:

a) nella teoria della razionalità limitata e delle decisioni in condizioni d’incertezza, (Malmgren, 1961; Simon, 1972) e nella teoria dell’innovazione (Nelson, Winter, 1982; Dosi, 1982);

b) nell’approccio istituzionale alla teoria economica basato su una teoria dei contratti che enfatizza l’importanza delle regole e dei codici comportamentali nonché delle istituzioni che hanno il ruolo di “embed transactions in more protective governance

structures” (Williamson, 2002: 439), di ridurre i conflitti e di consentire la piena

fruizione di mutui vantaggi dallo scambio;

c) nell’approccio cognitivo alle economie e alle sinergie di distretto produttivo, che comprende la scuola italiana (Becattini, 1990), l’approccio del milieux innovateurs48 (Camagni, 1991b; Camagni e Maillat, 2006), il concetto di untraded interdependencies di Storper (1995) ed infine, l’approccio francese della prossimità (Gilly e Torre, 2000). Quanto ciò premesso può essere sintetizzato dal concetto di “capitale territoriale”, ossia l’insieme delle risorse endogene (“di base” e “avanzate), che possono essere mobilizzate per creare (usare e scambiare) valore, scomponibile in diverse forme, ciascuna delle quali è impiegata nel processo di produzione per incrementare l’ammontare di capitale stesso.

Il termine viene utilizzato per la prima volta nell’ambito dell’iniziativa comunitaria LEADER II (Osservatorio Europeo LEADER, 1999) - nonostante taluni autori (De Matteis e Governa, 2006; Governa, 2006; Camagni, 2007) sostengano che ad introdurlo sia stato l’OECD (2001) nel Territorial Outlook- per poi essere ripreso dalla DG-REGIO della Commissione Europea: “Ogni regione possiede uno specifico capitale territoriale, distinto da

trasformati o incorporati in prodotti vendibili su un mercato – beni, servizi e fattori – o allorché rafforzano la capacità endogena di sfruttare il potenziale di sviluppo locale; e) un sistema di regole e di pratiche che definiscono un modello locale di governance

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Seguendo tale approccio, Camagni e il suo gruppo di ricerca teorizzano lo spazio della prossimità o il milieu locale come un operatore territoriale che svolge le seguenti funzioni: di riduzione di incertezza, attraverso la trascodifica socializzata dell’informazione; di rafforzamento dell’attitudine alla cooperazione e all’azione collettiva; di predisposizione del supporto cognitivo – rappresentato precipuamente dal mercato del lavoro locale – in cui si incorporano i processi di apprendimento collettivo (Camagni, 1991a; Capello, 2001).

quello delle altre aree, che genera un più elevato ritorno per specifiche tipologie di investimento […]. Le politiche di sviluppo territoriale devono innanzitutto e soprattutto aiutare le singole regioni a costruire il loro capitale territoriale” (European Commission,

2005).

Comunque sia, con il concetto di capitale territoriale, il territorio non è più assunto come individuabile e delimitabile, ma è da intendersi come una costruzione sociale, che deriva dall’interazione fra i soggetti e le componenti (materiali e immateriali) del luogo e che fonda l’identità locale in funzione dell’azione collettiva dei soggetti (De Matteis e Governa, 2006).

Il capitale territoriale, quindi, è il complesso degli elementi disponibili che chiama in causa tutti gli elementi che formano la ricchezza di un territorio (attività, paesaggio, patrimonio, know-how, ecc.), non per stilarne un inventario contabile, ma per ricercarne ed individuarne specificità che possono essere valorizzate.

Secondo l’OECD gli assets, materiali e immateriali, che costituiscono il capitale territoriale di un’area includono: a) la localizzazione geografica dell’area; b) la sua dimensione; c) la disponibilità di fattori produttivi; d) il clima; e) la tradizione; f) le risorse naturali; g) la qualità della vita; h) le economie di agglomerazione prodotte, ma possono anche includere i suoi incubatori, i suoi distretti industriali o altre reti d’impresa che permettono di ridurre i costi di transazione. Altri fattori possono essere le “interdipendenze non di mercato” come le convenzioni, i costumi e le regole informali che permettono agli attori locali di lavorare insieme, o le reti di solidarietà, di mutua assistenza e di collaborazione nello sviluppo di nuove idee che spesso evolvono in cluster di piccole e medie imprese che operano nello stesso settore (capitale sociale).

Dal punto di vista analitico, il capitale territoriale è scomponibile in sette componenti (Ventura e Milone, 2005; Ferrario e Coulson, 2007; Sassi, 2008):

1) Il capitale economico è riferito alla struttura economica di un dato territorio e quindi ricomprende attività, imprese, infrastrutture, reti d’erogazione dei servizi a cui si aggiunge l’insieme delle risorse finanziarie di cui dispongono gli attori economici del territorio;

2) Il capitale umano, ossia l’insieme delle conoscenze accumulate (contestuali e codificate), competenze, abilità valori e tecniche che sono alla base dell’organizzazione territoriale della produzione;

3) Il capitale sociale, che, come già anticipato, riguarda l’insieme delle relazioni sociali consolidate che facilitano il coordinamento e la cooperazione tra soggetti e quindi la capacità di agire collettivamente;

4) Il capitale istituzionale, ossia il livello di interazione, negoziazione e coalizione tra istituzioni e organizzazioni locali;

5) Il capitale ambientale è costituito da tutti gli elementi naturali che non sono creati dall’azione umana ma che rappresentano piuttosto un dono non illimitato della natura oltreché la risultante dell’interazione tra uomo e natura, rappresentata ad esempio dalla superficie agricola o dal paesaggio;

6) Il capitale culturale, che rappresenta l’eredità storica, la presenza di un patrimonio artistico e di tradizioni storiche e popolari;

7) Il capitale simbolico, ossia quel tipo di capitale che in un primo momento Bourdieu (1979 e 1986) definisce come un modo per distinguere l’accumulazione di certi beni non strettamente economici (quali onore, prestigio, salvezza, relazioni e conoscenze), e come: “forma che riveste le differenti specie di capitale quando sono percepite e

riconosciute come legittime”; in altri termini, qualsiasi forma di capitale per come

viene rappresentata, cioè annoverata simbolicamente in una relazione di conoscenza, o, alternativamente, l’insieme di simboli il cui possesso e utilizzo consente di influenzare l’azione di altri soggetti (Brunori, 2003 e 2006)49.

Il ruolo economico del capitale territoriale è quello di amplificare l’efficienza e la produttività delle attività locali.

Il concetto di capitale territoriale, inserito nel contesto più ampio del territorialismo, impone la sovrapposizione di prospettive analitiche di natura differente (economica, sociale, demografica, ambientale, tecnologica, culturale, storica, ecc.), peraltro già messa in evidenza, che fornisce importanti contributi, anche nella definizione del concetto di qualità della vita, e, conseguentemente di competitività territoriale, e dei suoi rapporti con i meccanismi e le azioni proprie dello sviluppo rurale nonché, per converso, alle problematiche relative alla marginalità.