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II. Il tempo come forma del senso interno

II.8. Sintesi

La sintesi è stata finora una sorta di ombra che si è aggirata lungo tutta la discussione. Se abbiamo deciso di affrontarla alla fine è proprio perché, ironicamente, al pari della sua funzione, essa è collegata e fa da collante tra tutte le nozioni fin qui incontrate: «tutto deve essere necessariamente conforme alle condizioni dell'unità totale dell'autocoscienza, cioè deve subordinarsi alle funzioni universali della sintesi in base a concetti, come l'unica in cui l'appercezione abbia la possibilità di dimostrare a priori la propria piena e necessaria identità»130.

Una nozione così essenziale avrebbe bisogno di essere chiara e

129 Kant (1781/2005: 174-5, B 152). 130 Kant (1781/2005: 648-9, A 111-2).

comprensibile: com'è possibile definire la sintesi in quanto capacità? Kant distingue in prima luogo tra una sintesi in generale e una sintesi pura:

Per sintesi, nel suo significato più generale, intendo l'operazione consistente nel riunire diverse rappresentazioni e nel comprendere la loro molteplicità in una conoscenza. Una tal sintesi è pura se il molteplice è dato in modo non empirico, cioè a priori. [...] la sintesi di un molteplice (sia esso dato empiricamente o a priori), comincia col produrre una conoscenza che dapprima può certamente risultare ancora grezza e confusa e bisognosa quindi dell'analisi. Comunque la sintesi è ciò che effettivamente raccoglie gli elementi per la conoscenza, unificandoli in un certo contenuto.131

Poco dopo Kant chiarisce che la sintesi definita pura «ci dà ora il concetto puro dell'intelletto. Ma per sintesi pura intendo quella che riposa sul fondamento dell'unità sintetica a priori. […] Sotto questo concetto l'unità della sintesi del molteplice diviene necessaria»132.

Nonostante le precisazioni, i commentatori hanno sottolineato la mancanza di chiarezza nelle definizioni kantiane. Per esempio, non viene indicato secondo quali canoni avviene la riunificazione dei dati empirici. Posto che per la sintesi pura a fare da linee guida siano le categorie, per la sintesi in generale non ci vengono forniti parametri. Problema già portato alla luce da Kitcher, secondo la quale Kant non è in grado di definire la relazione di sintesi, di darne, diremmo noi, una formulazione soddisfacente ed utilizzabile133. In un quadro storico in cui forti si fanno sentire i problemi filosofici del periodo – come, ad esempio, la risposta da dare a Hume – la formulazione fornita da Kant risulta talmente semplice da rischiare di indebolire l'identificazione del soggetto che effettua la sintesi stessa134. Tuttavia, secondo Kitcher, la sintesi, imponendo determinate caratteristiche ai dati empirici, ha un valore fortemente epistemologico: da un lato, la sintesi trascendentale può essere

131 Kant (1781/2005: 144, A 77-8/B 103). 132 Kant (1781/2005: 144-5, A 78/B 104). 133 Kitcher (1982: 59).

134 Kitcher (1982: 53). Per cercare di evitare spiacevoli conseguenze, Kitcher (1982: 56) distingue tra

due significati in cui Kant utilizza il termine “sintesi”: “Sintesi” – maiuscolo – sta per «la relazione puntuale di connessione di contenuto causale che si produce tra gli stati interni della mente di qualcuno», mentre “sintesi” – minuscolo – sta per «una relazione generica di contenuto causalmente interconnessa».

considerata l'argomento fondamentale per stabilire la parte soggettiva dell'appercezione, mentre dall'altro, proprio tramite l'appercezione, Kant cercherebbe di imporre la sintesi come una relazione epistemologica necessaria tra gli stati135.

Anche secondo Allison la nozione di sintesi in Kant è abbastanza problematica: egli ritiene che Kant utilizzi il termine “sintesi” in due modi: sia intendendo l'atto stesso sia ciò che produce. È il primo significato che può portare a dei problemi, dato che, come abbiamo visto, Kant esclude che si possa sempre essere consapevoli del nostro agire. Per allontanare questa eventualità Allison propone di considerare come atti coscienti della sintesi solo quelli che implicano l'intelletto e non l'immaginazione136.

Sherover invece parte dal presupposto diametralmente opposto a quello di Allison, prendendo in considerazione l'atto della sintesi pura dell'immaginazione: essa «costituisce l'abilità umana di scoprire, dentro se stessi, la capacità di trascendere i dati grezzi ricevuti»137. Capacità fondamentale, come accennato in precedenza, anche per quel che riguarda il tempo affinché esso sia riconoscibile nella successione delle impressioni, dato che, basandosi solo su di esse e occupando ognuna un istante diverso dalle altre, non sarebbe possibile distinguere altrimenti il tempo come successione. Se così non fosse, avremmo solo degli oggetti sparsi e ciò non implica che essi siano successivi. Tuttavia

affinché da questo molteplice possa nascere l'unità dell'intuizione […] occorre in primo luogo passare attraverso il molteplice, per poi raccoglierlo insieme; operazione, questa, che io chiamo sintesi dell'apprensione, perché essa si volge direttamente all'intuizione, la quale offre, sì, un molteplice, ma senza essere in grado di costituirlo come tale senza l'intervento di una sintesi, cioè come contenuto di un'unica rappresentazione.138

La sintesi permette tutte le rappresentazioni ed è a esse precedente. Ora, ed è questo il punto centrale delle letture ontologiche, la sintesi precede e permette anche la rappresentazione del tempo? Se sì, in che termini? I sostenitori di una prospettiva

135 Cfr. Kitcher (1982: 56-8). 136 Cfr. Allison (2004: 169-70). 137 Sherover (1971: 35).

ontologica rispondono affermativamente e ritengono che il supporto della sintesi alla rappresentazione del tempo avvenga ad un livello profondo, quasi come fosse il motore che permette la successione temporale stessa. Sebben la – per così dire – “spinta” sia unica, essa si articola su due fronti: quello della sintesi dell'apprensione, sempre successiva e che permetterebbe pertanto la sequenza temporale; e quello della sintesi immaginativa che ci fornirebbe l'immagine vera e propria del tempo. Inoltre, dal lato sensibile, come abbiamo visto, la sintesi dell'immaginazione è legata a quella dell'apprensione, permettendo le connessioni degli istanti percettivi e delle successioni dell'apprensione. D'altro canto, la sintesi immaginativa si rapporta, a livello concettuale, anche con l'autocoscienza, dato che opera, riportandole alla luce e rendendole utilizzabili, sulle rappresentazioni di oggetti passati impresse nella memoria139.

La sintesi e la memoria hanno un ruolo fondamentale nel fornirci un'immagine del tempo. Stando infatti a ciò che possiamo ricavare dall'Estetica, la rappresentazione del tempo, non essendo presente nell'intuizione, necessita proprio di una funzione che la renda presente. Come spiega Kant, non solo non è possibile percepire il tempo, ma quando ci rapportiamo ad esso in realtà ci confrontiamo solo con singole porzioni di tempo: «ogni misura determinata di tempo è intuita come una parte di un singolo tempo che comprende tutto, il quale sia esso stesso rappresentato come un'infinita grandezza data»140. Ed è grazie alla sintesi immaginativa che ci

possiamo rappresentare il tempo come una linea – le conseguenze di ciò verranno esposte in maniera più approfondita nel prossimo capitolo. Stando così le cose, l'intuizione pura non può essere vista in maniera statica ma deve essere considerata dinamica, come una “formazione di tempo”:

L'intuizione pura, come tale, presuppone una coscienza temporale che rende possibile afferrare immediatamente un qualunque oggetto con il campo visivo in cui appare; questo “afferrare” immediato è la Sintesi dell'Apprensione e costituisce la prima possibilità di qualsiasi consapevolezza. La precedente dottrina dell'Estetica sosteneva che tutte la rappresentazioni siano necessariamente apprese sotto la forma del tempo. L'analitica già dall'inizio va

139 Sherover (1971: 75). 140 Allison (2004: 189).

oltre: la coscienza temporale è necessaria anche per la forma del tempo stesso.141

L'elemento fondamentale per questo tipo di letture è proprio la “coscienza temporale” di cui parla Sherover con la quale è plausibile credere che si stia riferendo al soggetto conoscente al di fuori delle sue condizioni epistemiche. L'analisi si sposta su un soggetto immanente, artefice delle operazioni conoscitive: deve esserci, al di là del tempo, dell'appercezione e di tutte le altre facoltà e capacità kantiane, un soggetto conoscente che le mette in moto. Ma, paradossalmente, restando al di fuori di queste stesse capacità non è possibile conoscerlo in senso kantiano. Tuttavia possiamo vedere i suoi effetti (ricordiamoci che Kant è un funzionalista) e tra di essi i sostenitori di una lettura ontologica vedono quello che potremmo chiamare la “produzione di tempo”. Che il soggetto conoscente possa avere due rappresentazioni diverse A e B nel suo senso interno dipende anche dalla capacità di sintesi del soggetto stesso. Questa, oscura e indefinita quanto si vuole, deve però permette a livello più semplice possibile l'aggiunta di un elemento ad un altro. Detto altrimenti, le capacità temporali del soggetto conoscente prenderebbero avvio da questa capacità propulsiva di aggiungere una cosa all'altra; l'ontologia sarebbe antecedente all'epistemologia.

Come cercano di mostrare questi passi, il tema della sintesi trascendentale è un tema fondamentale soprattutto per coloro che offrono una lettura ontologica di Kant. È tuttavia famoso il caso di Heidegger, per il quale la sintesi è una delle pietre di paragone attorno a cui ruota tutta la sua analisi142. Che sia la capacità

fondamentale è data dal fatto che proprio grazie alla sintesi è possibile dimostrare l'accordo tra intuizione e pensiero o, detto forse in maniera più corretta, tra sensibilità e intelletto. Abbiamo tuttavia osservato che, soprattutto dopo la seconda edizione, le

141 Sherover (1971: 73) troverebbe sostegno in un passo di Kant (1781/2005: 193, A 142-3/B 182) del

quale egli cita solo la parte finale: «io produco il tempo stesso nell'apprensione dell'intuizione». Il brano nella sua interezza può avere una lettura leggermente diversa: «Ne segue che il numero altro non è che l'unità della sintesi del molteplice d'una intuizione omogenea in generale, per il fatto che io

produco il tempo stesso nell'apprensione dell'intuizione». Qualcuno potrebbe sottolineare che qui ci si

sta rivolgendo solo all'attività di enumerazione.

142 Heidegger (1929/2006: 42): «[l]a fondazione della metafisica è il progetto dell'intrinseca possibilità

della sintesi a priori». Heidegger (1929/2006: 43): «nel problema della sintesi a priori, intesa come sintesi ontologica, l'indagine relativa all'essenza dei “predicati ontologici” deve prendere il posto centrale». «In particolare Heidegger (1929/2006: 35) si riferisce alla sintesi veritativa, grazie alla quale, unendo pensiero e intuizione, l'oggetto diviene vero nell'unità di un'intuizione pensante.

possibilità del senso interno o del tempo come entità ontologicamente indipendenti sono fortemente ridimensionate.

Fin qui, infatti, abbiamo esaminato un senso forte di “rappresentazione del tempo”. Questo concetto può essere letto anche in maniera molto più debole. In tal caso, ciò che si richiede è solo un'immagine, un'esemplificazione del tempo. Ritorna subito alla mente la rappresentazione del tempo come una linea. Possiamo arrivare a questa immagine senza andare a smuovere le potenze profonde del soggetto conoscente? È possibile, a tal fine, utilizzare quelle che sono le abilità eminentemente epistemologiche del soggetto conoscente quali l'intelletto o l'appercezione? Una domanda simile se l'è posta Allison. Secondo lui

la rappresentazione del tempo attraverso il disegno di una linea deve conformarsi alle condizioni della sua unità sintetica. Non soltanto la rappresentazione intuitiva di una linea come tale ma anche “l'interpretazione” della sua sintesi successiva come immagine pura del tempo presuppone un singolo soggetto conscio della sua identità attraverso il processo generativo. In breve, anche se […] il tempo non è un'unità sintetica composta di parti preesistenti, la sua rappresentazione determinata richiede un'unità sintetica della coscienza che riconduce questa rappresentazione alle categorie. 143

Secondo Allison (2004: 189), è per questo che la sintesi deve essere sia a priori sia trascendentale affinché «funzioni nella determinazione del tempo come forma del senso interno». Tuttavia i molteplici riferimenti all'appercezione sembrano far intendere che la sintesi possa agire solo all'interno e in collaborazione con le altre facoltà epistemologiche del soggetto conoscente e non possa andare al di fuori di esse. Accorgimenti che presumibilmente tengono conto sia delle modifiche avvenute nella seconda edizione, sia della distinzione tra la sintesi intesa in senso generale e le sue articolazioni particolari, concepite come manifestazioni diverse della stessa sintesi e operanti all'interno delle facoltà o capacità specifiche, tra le quali l'intelletto.

Infatti, nella seconda edizione, come abbiamo già accennato, il ruolo della sintesi trascendentale – così chiamata in quanto permette l'unità dei contenuti fenomenici e l'applicabilità dei concetti alle cose – cambia appannaggio

dell'intelletto:«[l]a sintesi, o congiunzione del molteplice in essi [i concetti puri dell'intelletto], si riferisce semplicemente all'unità dell'appercezione ed è perciò il fondamento della possibilità della conoscenza a priori, in quanto si fonda sull'intelletto; essa è dunque non solo trascendentale, ma anche puramente intellettuale»144.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, l'obbiettivo è spostato sul modo in cui l'intelletto agisce sul senso interno. Un'estremizzazione di questo genere ridimensiona drammaticamente il ruolo del senso interno e del tempo. A farne le spesse è proprio l'immaginazione che, derubricata a funzione dell'intelletto, ha il compito di fare da tramite tra di esso e la sensibilità. Ciò è reso possibile proprio grazie alla sua sintesi che viene ridefinita “sintesi figurativa” (synthesis speciosa), anch'essa considerata una competenza dell'intelletto:

Questa sintesi del molteplice dell'intuizione sensibile che risulta possibile e necessaria a priori, può essere detta figurata (synthesis speciosa), per distinguerla da quella pensata nella semplice categoria rispetto al molteplice di un'intuizione in generale, che prende il nome di congiunzione intellettuale (synthesis intellectualis); l'una e l'altra sono trascendentali, non solo perché procedono a priori, ma anche perché fondano la possibilità di altra conoscenza a priori.145

La sintesi intellettuale, a differenza di quella figurata, è sempre eseguita dall'intelletto senza l'aiuto dell'immaginazione146. Ciò fa presumere che sintesi figurata, invece,

operi per mezzo di essa.

Nella seconda edizione Kant è quindi arrivato a sostenere la dipendenza del senso interno dall'intelletto? Malgrado una centralità maggiore data ad alcune funzioni, ci sono alcuni elementi che fanno pensare che, nella seconda edizione, la sensibilità rimanga comunque una facoltà indipendente e il tempo, in quanto senso interno, non dipenda in blocco dai principi intellettuali. In primo luogo, l'intelletto rielabora i dati provenienti dalla sensibilità, ma su quei dati e sull'ordine soggettivo

144 Kant (1781/2005: 173, B 150). 145 Kant (1781/2005: 174, B 151). 146 Cfr. Kant (1781/2005: 174, B 152).

che si trovano ad avere, la podestà è tutto del tempo. Ciò che spesso, secondo me, si perde di vista è che l'indagine di Kant è fortemente parziale e tende ad illuminare gli aspetti che più gli stanno a cuore per i suoi interessi. Ma anche al netto dell'avvicinamento delle basi dell'epistemologia alle discipline scientifiche effettuato da Kant nell'edizione del 1787, è come il soggetto conoscente sia alle prese in maniera prevalente con conoscenze che non definiremmo oggettive. C'è infatti un'area su cui i principi dell'intelletto non agiscono (almeno non tutti insieme). È questa l'area in cui agisce il senso interno, offrendo una dimensione in cui tutti i fenomeni si presentano e in cui poi, solo in alcuni casi, vengono sottoposti alle categorie. Ritorniamo all'eventualità in cui un lampione si spenge quando ci passo sotto; siamo di fronte ad un caso di causa-effetto? Non credo. Siamo di fronte ad una successione temporale? Sì. Non è detto che in tutti i casi in cui B segua A si sia in presenza di una seconda analogia, tuttavia siamo sempre in presenza di una successione temporale147.

Una posizione simile può essere ritrovata in Bird, il quale ha cercato di limitare il ruolo della sintesi dell'intelletto, mostrando come essa possa funzionare solo se la si ritiene una sorta di astrazione dell'esperienza reale. Sotto un certo punto di vista, anzi, il senso interno è proprio ciò che ci fa comprendere l'azione dell'intelletto: «se voglio isolare il contributo distintivo dell'intelletto e astrarre così, dal modo in cui noi lo conosciamo attraverso il senso interno, allora io posso rappresentarmi l'intelletto come una facoltà pura distinta dall'intuizione sensibile»148. Tanto più che anche l'azione dell'intelletto sulla sensibilità è rappresentabile solo nel senso interno.

Se è vero che uno degli obiettivi principali di Kant è l'unità della conoscenza, unità cioè principalmente del lato sensibile con quello concettuale, si capisce come la funzione di passaggio offerta dall'immaginazione tramite la sintesi del tempo si riveli fondamentale. I distinguo emersi in queste pagine possono aiutare anche in merito ai domini che una lettura ontologica o epistemologica si arrogano di avere. Come

147 È in questa ottica che si pone la distinzione tra le percezioni successive e la successione delle

percezioni: quest’ultimo tipo di successione è soggettiva e si basa solo sulla sequenzialità dei dati

empirici con cui entra in contatto il senso interno; invece, affinché si possa stabilire che due diverse percezioni siano successive, si ha bisogno di qualcosa di “esterno” al semplice flusso empirico che funzioni come metro di paragone, e questo compito sembra essere assolto dalla seconda analogia.

abbiamo detto in precedenza, le letture epistemologiche hanno conseguenze ontologiche e viceversa; e, come è emerso nel corso della discussione entrambe hanno dei brani su cui supportarsi. Il nostro scopo non è infatti quello di propendere per l'una o per l'altra; ritengo che sia molto più importante capire dove sia possibile utilizzare gli spunti e gli strumenti d'indagine dell'una e dove quelli dell'altra.

A questo proposito, non sembra possibile accostare le discipline con cui si indaga la natura, e la realtà esterna in generale, per indagare più a fondo il tempo come senso interno. Ciò sembra escluso da Kant quando nega categoricamente la possibilità di una psicologia empirica perché non sarebbe possibile considerarla una disciplina scientifica. Ciò che è interessante è il motivo per cui esclude questa possibilità:

deve restar lontana dal rango di una scienza della natura propriamente degna di questo nome la dottrina empirica dell’anima, in primo luogo perché la matematica non è applicabile ai fenomeni del senso interno e alle loro leggi: si dovrebbe infatti prendere in considerazione la sola legge della continuità nel trascorrere dei suoi mutamenti interiori, il che costituirebbe un’estensione della conoscenza la quale, rispetto a quella che la matematica produce nella dottrina dei corpi, equivarrebbe alla dottrina delle proprietà della linea retta rispetto all’intera geometria.149

Eppure i rapporti tra tempo e discipline matematiche o scientifiche in generale sono ricorrenti soprattutto nella seconda edizione della prima Critica. Tuttavia, per poterli analizzare nel migliore dei modi dobbiamo abbandonare il tempo come forma del senso interno e volgerci nel suo uso mediato, tra i fenomeni esterni.