II. Il tempo come forma del senso interno
II.2. Il tempo tra facoltà e capacità
L'architettura della prima Critica per molti è già un indice dell'importanza e dei rapporti di forza interni all'opera. Nel corso della discussione l'attenzione sarà posta su quelle facoltà e su quelle sezioni che più direttamente hanno a che fare con il tempo come senso interno. Ciò vuol dire occuparsi principalmente del diverso trattamento che il tempo riceve nell'Estetica e nell'Analitica trascendentale. La mia analisi, tuttavia, parte da un presupposto che, se corretto, permette di spiegare la – per così dire – “fluidità” delle relazioni tra le varie facoltà e di conseguenza la varietà delle molteplici interpretazioni.
Prima però è bene sottolineare alcune cose. In primo luogo, come evidenzia anche Kitcher (1999: 364), Kant è un funzionalista: spesso non si sofferma a definire
A 835/B 863): «Noi ci limiteremo qui, per completare la nostra opera, a progettare soltanto l'architettonica dell'intera conoscenza ricavabile dalla ragion pura, prendendo le mosse dal punto in cui la radice universale della nostra facoltà conoscitiva si suddivide in due ceppi, di cui uno è la ragione. Per ragione intendo qui tutta la facoltà conoscitiva superiore, contrapponendo in tal modo il razionale all'empirico».
le facoltà; esse, il più delle volte, sono descritte attraverso l'esposizione dei loro processi. Ciò vale anche per le singole nozioni. In più, non è raro che queste descrizioni siano sparse lungo il corso di tutta l'opera, magari enunciando alcuni aspetti in un primo momento e completando l'elenco in seguito.
A queste difficoltà metodologiche si aggiungono quelle terminologiche. È molto difficile mantenere una distinzione costante tra quelle che Paton (1936/1976: V. I, 345) chiama “capacità” (Fähigkeit) e quelle che chiama “facoltà (power)” (Vermögen). Inizialmente, secondo l'autore, nel primo gruppo rientrerebbero le competenze passive del soggetto conoscente, mentre nel secondo quelle attive8. Tuttavia lo stesso Paton è subito costretto a ricalibrare il tiro, forse memore del famoso passo della prima edizione della Critica: «[e]sistono dunque tre fonti originarie (capacità o poteri dell'anima), che contengono le condizioni della possibilità di ogni esperienza, e che non possono trarre origine da alcun'altra facoltà dell'animo, cioè: senso, immaginazione e appercezione»9. Salta subito all'occhio che il senso, e quindi la sensibilità, sia considerata una capacità attiva, contrariamente ad altri luoghi della critica.
Crea ben più complicazioni lo stesso Paton (1936/1976: V. I, 397) quando sfuma il confine tra capacità e facoltà sostenendo che si possa usare “appercezione” per identificare l'intelletto (o il pensiero in generale), se si parla, in primo luogo, dell'autocoscienza. Viene da chiedersi: allora l'intelletto, quando non è considerato nell'accezione di appercezione, è una facoltà passiva? Non sembrerebbe essere possibile10, dato che, parlando soprattutto della formazione dei concetti, viene spesso contrapposto alla sensibilità, e le caratteristiche di quest'ultima, a loro volta, farebbero pensare ad una facoltà eminentemente passiva: «[l]a capacità di ricevere (recettività) rappresentazioni, mediante il modo in cui siamo affetti dagli oggetti, si chiama sensibilità»11. È vero, alcuni autori hanno sottolineato le caratteristiche di
8 Paton (1936/1976: V. I, 345 n5). 9 Kant (1781/2005: 159, A 94).
10 Si pensi ai passi, tratti dalla prima e dalla seconda edizione: «abbiamo dato dell'intelletto definizioni
diverse: la spontaneità della conoscenza (di contro alla ricettività del senso)» (A 126); «la congiunzione (conjunctio) di un molteplice in generale non può mai provenirci dai sensi, e neppure esser racchiusa nella forma pura dell'intuizione sensibile. Essa è infatti un atto della spontaneità della facoltà rappresentativa, la quale, per esser distinta dalla sensibilità, è detta intelletto» (Kant 1781/2005: 161, B 130).
creatività dell'intuizione pura: basti pensare al fatto che le forme a priori della sensibilità impongono i loro caratteri ad ogni possibile oggetto di conoscenza e ciò non può essere ritenuto frutto di proprietà meramente passive12. In più, si tende a distinguere tra sensibilità stessa, intuizione e percezione13, termini in cui si evidenzia il diverso grado di partecipazione al processo di acquisizione al materiale empirico da parte del soggetto conoscente. Tuttavia la sensibilità è vista, fin dalla sua definizione, come una facoltà passiva: «[l]a capacità di ricevere (recettività) rappresentazioni, mediante il modo in cui siamo affetti dagli oggetti»14.
L'idea è pertanto quella di mantenere la distinzione lessicale tra “facoltà” e “capacità” evidenziata da Paton, cercando di migliorarne i criteri: nel primo gruppo rientrerebbero funzioni, quali la sensibilità, l'intelletto e la ragione, a cui Kant ha dedicato una sezione nella sua opera. Nello stesso gruppo sarebbe inserita anche l'immaginazione, sia perché ritenuta spesso, dagli autori che hanno preceduto Kant e dai suoi coevi, una facoltà conoscitiva dell'animo umano, sia perché, almeno per tutta la prima edizione, viene considerata una funzione molto importante, quasi sullo stesso livello della sensibilità e dell'intelletto. Chiameremo invece “capacità”, per esclusione, quelle funzioni che non assurgono al ruolo di facoltà canoniche e che sembrano, in qualche modo, svolgere funzioni per conto o all'interno delle stesse facoltà.
L'immagine delle facoltà e delle capacità kantiane che se ne ricava è, pertanto, simile a quella della struttura geologica della Terra, in cui, a livello superficiale, abbiamo le tre facoltà, per così dire, canoniche: sensibilità, intelletto e ragione. Tra di esse, surrettiziamente, soprattutto nelle crepe tra sensibilità ed intelletto, risale dalle profondità, come un fiume lavico, l'immaginazione, con una violenza tale che a volte distacca, talvolta salda e, in rari casi, crea un nuovo
12 Sherover (1971: 53).
13 Com'è noto, l'intuizione è il modo della conoscenza che si riferisce immediatamente agli oggetti
(cfr. Kant 1781/2005: 97, A 19/B 33); mentre la percezione si ha quando il fenomeno «è legato alla coscienza» (cfr. Kant (1781/2005: 653, A 120) oppure è definita «la relativa coscienza empirica (come fenomeno)» (Kant (1781/2005: 180, B 160). È interessante notare come questo passaggio (e soprattutto la nota al suo interno) sia alla base dell’interpretazione di Waxman (1991: 80): «una volta che ci si approccia con la consapevolezza che nell’Estetica è stato lasciato libero un posto per l’attribuzione di una spontaneità pre-concettuale e non-discorsiva allo spazio e al tempo, [quel passo] comincia ad apparire per cosa, stando alla mia interpretazione è: la più chiara e la più inequivocabile affermazione dell’origine, dovuta all’immaginazione, dello spazio e del tempo nella Critica della Ragion pura».
territorio tra le altre facoltà. Ad un livello più profondo, come placche che slittano tra una zolla e l'altra, troviamo tutte quelle capacità che Kant cita nella sua Critica, quali l'appercezione o l'apprensione, e il cui compito sarebbe proprio quello di muoversi tra l'una e l'altra placca superiore. Fuor di metafora: Kant sembra mantenere la distinzione classica tra le facoltà, ma introduce capacità che servono da un lato a collegare tra di loro le facoltà superiori e, dall'altro, a spiegare il funzionamento dei punti oscuri dell'epistemologia kantiana.
La similitudine proposta aiuta anche a capire i rapporti di forza tra le facoltà kantiane e le “incoerenze” tra di esse, temi che hanno trovato spazio in quasi tutte le opere dei commentatori di Kant. Secondo alcuni, nell'Estetica trascendentale, che si occupa della sensibilità, si analizzerebbero quelli che sono gli elementi passivi dell'attività epistemologica, mentre nell'Analitica, in cui si parla anzitutto dell'intelletto, quelli attivi, facendo emergere, di conseguenza, questi due aspetti del tempo15. È facile infatti constatare le differenze nel modo di considerare tale nozione nelle due parti dell'opera. Differenti sono state però le spiegazioni a proposito, spesso dovute all'importanza che il commentatore assegna ad una facoltà specifica in vista di suoi scopi specifici. Un punto di vista che ha avuto molto seguito in alcune scuole neokantiane evidenziava il ruolo che l'intelletto avrebbe avuto sulla sensibilità, la quale fornisce il materiale empirico non svolgendo altro che una funzione, per così dire, di servizio. Ciò implicherebbe una diretta dipendenza del tempo dai principi dell'intelletto, in particolare dalle analogie dell'esperienza.
Sul continente c'era chi invece abbracciava la teoria completamente opposta. Famosa è infatti la posizione Heidegger16, il quale afferma che a fondamento di tutta la conoscenza c'è la sensibilità o meglio, l'intuizione, e che sia l'intelletto a basarsi su di essa:
l'intuizione finita (sensibilità) ha bisogno, come tale, di essere determinata mediante l'intelletto. Ma l'intelletto, già in se stesso finito, è a sua volta assegnato all'intuizione […]. [Kant] colloca il carattere fondamentale del
15 Sherover (1971: 53). Nell'Analitica, inoltre, sparirebbe quella sorta di parità tra spazio e tempo e
quest'ultimo mostrerebbe a pieno il suo ruolo di facoltà kantiana fondamentale.
16 Tra l'altro in aperta opposizione alla scuola di Marburgo e al suo tentativo «di concepire spazio e
tempo come “categorie” in senso logico e di risolvere nella logica l'estetica trascendentale», definito «insostenibile» (Heidegger 1929/2006: 129).
conoscere nell'intuizione. Ma la necessaria appartenenza della sensibilità e dell'intelletto all'unità essenziale della conoscenza finita non esclude, anzi implica che vi sia una gerarchia nel fondarsi strutturale del pensiero sull'intuizione, intesa come rappresentazione conduttrice.17
È già lì che si afferma la supremazia del tempo: «Heidegger ha interpretato l'Estetica come se volesse dirci che l'intuizione, la possibilità della sensibilità, fosse “riducibile” al tempo, la forma del senso interno»18.
Lo stesso Kant non è immune da colpe, dato che le varie posizioni sono alimentate dai cambiamenti da lui effettuati tra le due edizioni dell'opera. Per esempio, nella prima edizione della Critica, cercando di definire l'appercezione, si afferma che si hanno
tre sorgenti soggettive di conoscenza pura su sui poggia la possibilità di un'esperienza in generale e della conoscenza dei suoi oggetti: senso, immaginazione e appercezione. […] Il senso rappresenta in modo empirico i fenomeni nella percezione, l'immaginazione nella associazione (e nella riproduzione), l'appercezione nella coscienza empirica dell'identità intercorrente fra queste rappresentazioni riproduttive e i fenomeni mediante cui esse sono date, quindi nella ricognizione.19
Poco dopo Kant precisa ulteriormente tutto dichiarando che a fondamento della percezione (e quindi, presumibilmente, del senso) c'è l'intuizione pura, mentre la sintesi pura dell'immaginazione è la base a priori dell'associazione ed infine l'appercezione lo è della conoscenza empirica. Ora, trascurando la questione dei
17 Heidegger (1929/2006: 40). È interessante, a livello introduttivo, notare la differenza che Dreyfus
(1991: 343-4, n 13) sottolinea tra l’impostazione kantiana e quella heideggeriana: «[c]osì come le categorie di Kant ci parlano, in generale, delle caratteristiche di un oggetto, allo stesso modo gli esistenziali di Heidegger ci parlano delle caratteristiche generali dell’Esserci. Dobbiamo, comunque, essere cauti per evitare la tentazione di pensare gli esistenziali come la struttura generale dei soggetti, analogo al modo in cui le categorie sono la struttura generale degli oggetti. Piuttosto, poiché l’esserci è, essenzialmente un ente che si auto-interpreta, gli esistenziali ci danno la struttura generale dell’esistenza. […] Perciò Heidegger chiama la sua indagine esistenziale di contro all’analitica trascendentale. In accordo con l’analitica esistenziale di Heidegger, l’Esserci deve esistere fattualmente – cioè, diversamente dall’ego trascendentale) è necessariamente implicato nel (e dipendente dal) mondo che esso dischiude e non può mai gettare luce su che cosa il mondo è in sé».
18 Sherover (1971: 58).
rapporti gerarchici tra, per esempio, sintesi e intuizione pura – qui messe sullo stesso piano, a fondamento delle sorgenti conoscitive, ma altrove considerata una più fondamentale dell'altra – c'è, come vedremo meglio in seguito, il grosso problema che nella seconda edizione tutto questo non viene riportato, mentre dell'appercezione e dell'immaginazione si dà un'analisi molto diversa20.
A differenza delle scuole ottocentesche e novecentesche, oggi si sta sempre più affermando la tendenza a non considerare in contrasto le due parti della Critica, ma a ritenerle complementari. Secondo Allison (2004: 191-2), ad esempio, «la necessità di rappresentare tutti i fenomeni in un singolo tempo e in un singolo spazio non è una pretesa (demand) imposta alla sensibilità dall'intelletto ma è piuttosto una richiesta di quest'ultimo alla prima». Date queste difficoltà, cercheremo pertanto di seguire l'ordine di esposizione delle varie nozioni, partendo dalla principale, ossia dal senso interno.