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Il tempo di Kant al nostro tempo

I. Il Tempo prima e dopo Kant

I.5. Il tempo di Kant al nostro tempo

Cassirer è anche al centro di un episodio che alcuni autori indicano come lo spartiacque storico nei rapporti tra le varie correnti filosofiche occidentali. L’evento in questione è la famosissima conferenza di Davos, in Svizzera, nel 1929, in cui si poté assistere ad un dibattito tra Cassirer, allora cinquantacinquenne ed esponente di quello che ormai era considerato un indirizzo di studio istituzionalizzato della filosofia tedesca, e Heidegger, di quindici anni più giovane, il quale era visto come il rappresentante di un modo nuovo di fare filosofia. Ad assistere tra il pubblico, inoltre, vi era un giovane Carnap, il quale poté addirittura parlare con Heidegger, cosa che dovette colpirlo molto, in quanto, successivamente, mostrò un particolare interesse per la sua filosofia93.

Tutta la vicenda è al centro, ad esempio, dell’analisi di Friedman. Egli è ben consapevole che le cause della rottura dei rapporti e del dialogo tra filosofi analitici e continentali non si limitano a quelle che emersero durante l’incontro94. Tuttavia, ai suoi occhi, sembra quasi che la conferenza assuma un valore simbolico, l’ultima occasione in cui tradizioni così diverse si sono potute confrontare tra di loro:

mentre negli anni precedenti l’incontro di Davos le differenti tendenze filosofiche dalle quali poi emersero le tradizioni analitica e continentale erano in grado di comunicare tra loro con profitto, sulla base di un comune vocabolario filosofico, gli anni che seguirono all’incontro videro un crescente isolamento – intellettuale, linguistico e geografico – e un’estraniazione delle due tradizioni, dovuti in gran parte alla presa del potere da parte dei nazisti nel 1933 e all’emigrazione intellettuale che ne risultò, a seguito della quale Heidegger rimase solo sul continente.95

Friedman assegna un peso importante a fattori extra-filosofici, quali la politica tedesca negli anni 30 del secolo scorso. Ciononostante, si può affermare che questi motivi vadano a rinforzare gli evidenti contrasti che erano già emersi tra filosofi analitici e continentali, basta leggere le prole con cui Ryle accoglieva Essere e tempo:

93 Friedman (2000/2004: 5). 94 Cfr. Friedman (2000/2004: 7). 95 Friedman (2000/2004: X-XI).

«[q]uesto è un lavoro molto difficile e importante che segna un avanzamento considerevole nell’applicazione del “Metodo Fenomenologico” – sebbene potrei esprimere subito il sospetto che tale avanzamento sia un’avanzata verso il disastro»96.

È tuttavia interessante osservare quale fosse per Friedman il terreno comune su cui avevano dibattuto in precedenza le varie tendenze filosofiche: esso era rappresentato da «un comune retaggio neokantiano»97. Un’area che permetteva il confronto tra le più importanti correnti di pensiero dell’epoca:

L’empirismo logico, la fenomenologia husserliana, il neokantismo e la nuova variante “ermeneutico-esistenziale” della fenomenologia, proposta da Heidegger, erano piuttosto impegnate un un’affascinante serie di scambi filosofici e di lotte intorno ai mutamenti rivoluzionari che allora stavano attraversando sia le Naturwissenschaften [scienze della natura] sia le

Geistewissenschaften [scienze dello spirito].98

Più nello specifico, durante il loro confronto Cassirer e Heidegger hanno dibattuto «sul destino del neokantismo agli inizi del XX secolo; sulla corretta interpretazione di Kant e, in particolare, sulla relazione tra facoltà logica dell’intelletto e facoltà sensibile dell’immaginazione all’interno del pensiero kantiano»99, temi ben noti alle

scuole neokantiane. Tuttavia, qui non si è in presenza di un semplice confronto tra due studiosi formatisi in indirizzi differenti. Infatti, l’intento di Heidegger, che proprio in quell’anno dà alle stampe Kant e il problema della metafisica, appariva molto più ambizioso: egli avrebbe tentato di «condurre finalmente a termine la tradizione neokantina»100.

Ciò che, però, in quegli stessi anni sembra terminare è, come abbiamo visto, il dialogo tra le correnti di pensiero occidentali, in particolare tra filosofi analitici e continentale. Cosa ancor più strana se, come suggerisce Friedman (2000/2004: 189), entrambe le scuole, analitica e continentale, si trovano a fronteggiare le conseguenze

96 Ryle (1929: 355). 97 Friedman (2000/2004: 6). 98 Friedman (2000/2004: 5). 99 Friedman (2000/2004: 7). 100 Friedman (2000/2004: 79).

della «distruzione dell’intricata architettura kantiana», la cui chiave di volta consisteva proprio nella distinzione tra facoltà sensibile e intellettuale: una tale distinzione presupponeva, al suo interno, che la struttura del pensiero fosse modellata in base alla la logica formale, costituendo anche il presupposto dell’attività intellettuale e culturale. Davanti a questa eventualità, dopo gli sforzi del neokantismo, secondo Friedman (2000/2004: 190):

Possiamo restare legati, come Carnap, alla logica formale in quanto ideale di validità universale e relegare noi stessi, di conseguenza, entro i confini delle scienze esatte matematiche; oppure possiamo separarci, con Heidegger, dalla logica e dal “pensiero esatto” in generale, con il risultato di rinunciare all’ideale stesso della validità veramente universale.

Proprio con Carnap la «“filosofia scientifica” in quanto tale aveva lasciato il mondo di lingua tedesca, e alla fine mise radici negli Stati Uniti. Qui si mescolò con altre tendenze importanti interne al pensiero filosofico di lingua inglese (in particolare della Gran Bretagna) per creare quella che ora chiamiamo tradizione analitica»101. Sebbene, forse, il termine “tradizione analitica” sia forviante – ragione

per cui qui si è preferito usare l’indicazione linguistica, facendo riferimento alla tradizione anglofona – i filosofi a cui sembra pensare Friedman costituiscono, implicitamente, il retroterra culturale di coloro che si sono impegnati nella scrittura di un commentario kantiano. Forse è proprio a causa di questi antenati comuni che, implicitamente, le problematiche esposte dai neokantiani si sono ripresentate anche tra i nuovi commentatori di Kant. Se Carnap viene considerato tra coloro che hanno innestato i temi delle tradizioni continentali, da cui proveniva, in ambiente anglofono, appare molto più netto il filo conduttore che va da alcuni commentatori tedeschi di Kant a quelli anglofoni: dopo Carnap e, soprattutto, la sua polemica con Quine102, i commentatori anglofoni, proprio per contestare alcune tesi quineiane, sembrano voler ritornare all’origine di questo percorso, cercando di restaurare

101 Friedman (2000/2004: 190).

102 Com’è noto, il confronto tra i due autori prende le mosse dalla distinzione di Carnap tra i problemi

riguardanti la scelta di un’intelaiatura linguistica e quelli che si presentano all’interno dell’intelaiatura scelta; il rifiuto dei due dogmi dell’empirismo ad opera di Quine (riguardanti l’analiticità e il riduzionismo) si scontra totalmente con l’impostazione carnapiana. Cfr. Parrini (2002: 173 e sgg.).

l’architrave di un’impostazione che non solo permetta una distinzione tra un livello epistemologico ed uno più prettamente empirico, ma che, così facendo, agevoli un confronto tra i soggetti conoscenti.

Appare quindi meno casuale che il processo di riscoperta di Kant da parte dei commentatori anglofoni segua, a grandi linee, le orme dei commentatori neokantiani, e, soprattutto, dei membri della scuola di Marburgo. Quanto detto in precedenza, in più, si unisce all’esigenza di coniugare gli sviluppi scientifici ad un quadro filosofico che potesse rendere loro piena giustizia. A tal proposito, non sono infatti passati inosservati i punti in comune tra Cohen e Peter Frederick Strawson, colui che sembra aver riacceso l’interesse per Kant tra gli anglofoni. Strawson con The Bounds of

Sense, commentario sulla prima Critica kantiana, analizza i contenuti dell’opera con

“lenti analitiche”. Le similitudini con quanto già fatto dai neokantiani, e soprattutto da Cohen – nonostante il testo appaia come un primo tentativo di avvicinare il pensiero critico alle tematiche e al linguaggio di un tipo di filosofia del tutto diverso – riguardano, ad esempio, l'atteggiamento positivo nei confronti delle discipline scientifiche e il rifiuto di interpretazioni soggettivistiche o psicologiche della Ragion

Pura. Quest'ultimo punto, in particolare, ha nella lettura di Strawson tre conseguenze

molto importanti: la prima è la perdita del significato originario del dualismo tra fenomeno e cosa in sé; in secondo luogo, si prospetta una rivalutazione del significato di a priori (riconsiderazione a cui non sembrano estranee le tesi di Reichenbach); e, infine, si pone un’attenzione maggiore sull'Analitica dei principi a discapito di altre parti dell’opera103.

L’importanza assegnata al testo di Strawson non vuole dimenticare le opere precedenti di autori (soprattutto inglesi) riguardanti in special modo la prima Critica – basti pensare al commentario di Norman Kemp Smith. Tuttavia è dopo il libro di Strawson, e soprattutto dopo il dibattito che ne è seguito, che nella seconda metà del Ventesimo secolo c'è un notevole sviluppo di interesse per il pensiero di Kant da parte degli autori angloamericani. Le numerose reazioni, iniziate su alcuni temi particolari, hanno contribuito a sviluppare un vero e proprio dibattito a tutto campo, quasi un genere letterario, che, gradualmente, si è esteso a tutto lo spettro delle tematiche della filosofia critica. Il pensiero di Kant è stato usato come terreno di

scontro, per esempio, tra autori prettamente analitici e autori che si rifacevano alla filosofia della scienza, così come si è sviluppata quale corrente di pensiero soprattutto in ambiti americani. Non solo: proprio negli anni Cinquanta questa sorta di “ritorno a Kant anglofono” è stato visto sia come un colpo di coda nei confronti delle tesi di Quine, sia come la riscoperta di un atteggiamento dialogante e proficuo nei confronti degli sviluppi scientifici104.

Tuttavia, a dispetto dell’elevata quantità di lavori e dell'importanza del concetto, il materiale disponibile sulla nozione “tempo” rimane, tutto sommato, relativamente modesto. Sia perché esso è vittima di determinate strategie interpretative, sia perché, proprio a livello esegetico, non riscuote il successo ricevuto da altre nozioni. È possibile che ciò sia il risultato di più fattori: da un lato c’è l’oscurità e l’indeterminatezza con cui, anche da parte di Kant, viene trattata l’intuizione temporale – basti pensare che le parti in cui il tempo è la nozione chiave sono quelle più rimaneggiate nella prima Critica; in secondo luogo, al posto dell’intuizione temporale, viene spesso analizzato e portato come esempio – anche per ciò che riguarda la sensibilità in generale – lo spazio: ciò potrebbe essere dovuto, da un lato, alla maggiore chiarezza espositiva con cui viene presentata tale nozione nelle opere di Kant, e, dall’altro, dalla linfa vitale che i dibattiti in merito all’intuizione spaziale hanno ricevuto dalle rivoluzioni geometriche sviluppatesi già dalla metà dell’Ottocento.

Quanto emerso finora dovrebbe rappresentare il quadro di riferimento in cui si muoveranno le analisi dei commentatori anglofoni. Un quadro in cui si è tentato di sottolineare, come affermato fin dall’inizio del capitolo, da una parte, i riferimenti storici che rappresentano le premesse delle diverse cornici interpretative degli autori che andremo a trattare, e, dall’altro, le linee guida su certe dispute su temi ricorrenti che già in passato hanno coinvolto i commentatori di Kant e che si ripresenteranno, in qualche modo, anche in Gran Bretagna o in America. Nei capitoli seguenti cercheremo, più di ogni altra cosa, di rendere giustizia alla concezione kantiana del tempo, facendo tesoro di quanto fin qui emerso. Al fine di rendere più agevole

104 Anche Bird (1998: 133), a questo proposito, sembra accettare che le «condizioni trascendentali

che, per Kant, rendono possibile l’esperienza umana non includono i principi fondamentali delle scienze esatte; piuttosto, quelle condizioni trascendentali rendono possibili quei principi scientifici». Alla base di questa distinzione c’è, com’è facile intuire, la volontà da parte di Bird di prendere le distanze dall’impostazione di Quine.

l’esposizione, dedicheremo ognuno dei due capitoli successivi ad una delle due funzioni che Kant assegna all’intuizione temporale: il tempo come senso interno e il tempo come senso esterno mediato. Inizieremo dall’analisi del tempo come senso interno.