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La società ad azionariato diffuso e la razionale apatia del socio investitore

ADESIONE ALLA SOCIETA', RILIEVO REALE DELL'ATTO COSTITUTIVO E CONSENSO ALLA CLAUSOLA

2. La società ad azionariato diffuso e la razionale apatia del socio investitore

Le società ad azionariato diffuso si caratterizzano principalmente per il fenomeno della separazione tra proprietà e controllo.241

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Il concetto fu per la prima volta identificato negli anni trenta da Berle e Means nel famoso studio condotto sulla nascita della società moderna negli Stati Uniti, nel tentativo di delineare una rappresentazione dell'organizzazione delle società per azioni dei mercati all'indomani del crollo del 1929: BERLE e MEANS,

Società per azioni e proprietà privata, Torino, 1966.

L'analisi socio-economica condotta da Berle e Means sulla separazione tra proprietà e controllo costituisce ormai di un dato acquisito nell'analisi della struttura e delle caratteristiche tipiche delle public companies ed ha rappresentato il punto di partenza per le teorie dell'impresa del mercato del controllo azionario elaborate negli Stati Uniti. Tali teorie - le quali possono essere ricondotte ai due gruppi principali del modello neoclassico e del modello normativista - hanno ad oggetto sostanzialmente i mezzi attraverso i quali ristabilire l'efficienza del mercato di fronte a quella divaricazione di interessi fra amministratori ed azionisti che costituisce la prima delle conseguenze della separazione tra proprietà e controllo: la dispersione della proprietà azionaria genera un potenziale conflitto fra

managers ed azionisti in quanto i primi non sono necessariamente portati a

perseguire e massimizzare l'interesse dei secondi con la conseguenza che i soci sono costretti a monitorare l’operato degli amministratori, sopportando dei costi (c.d. agency costs, sui quali anche infra in nota) idonei ad incidere sul valore delle proprie azioni.

Secondo il modello neoclassico o contrattualista, la riduzione degli agency

costs, ed in generale il miglioramento dell’efficienza del mercato, avviene

attraverso lo stesso mercato azionario e, in particolare, attraverso le offerte pubbliche d'acquisto, le quali, rendendo il controllo delle società contendibile, rappresentano lo strumento per conseguire una più efficiente allocazione delle risorse e la sostituzione del management inefficiente: in un mercato efficiente, ove il valore dell'azione riflette in ogni momento le prospettive di redditività dell'investimento, la mobilità del controllo, e quindi il rischio di acquisizione della società (con conseguente sostituzione del management) induce naturalmente quest’ultima a dotarsi di regole e procedure in grado di riavvicinare gli interessi di amministratori e azionisti e valorizzare l'investimento azionario, ottimizzando così lo share value.

La causa prima di questa separazione risiede nelle esigenze di finanziamento dello sviluppo delle imprese: la scelta dell'imprenditore di espandere la capacità produttiva dell'impresa di cui è proprietario oltre i mezzi di cui egli stesso, da solo, dispone, si traduce in una ricerca di finanziamenti esterni. Quando questi ultimi assumono la forma di sottoscrizione di capitale di rischio, la proprietà si "disperde" presso un ampio numero di azionisti e cessa di essere l'unico strumento che consente di governare la società.

Quando la società si apre al mercato, infatti, ciascuno dei soci, in quanto titolare di una percentuale minima di partecipazione al relativo capitale, non solo non detiene il controllo della società ma sa anche di non avere il potere di incidere con le sue scelte sulla gestione societaria.

Secondo il modello normativista, il mercato non è in grado, da solo, di incidere, accrescendone l'efficienza, sull'azione degli amministratori, in quanto l'operato di questi ultimi è caratterizzato da strategie a c.d. "razionalità limitata" tese, non tanto alla massimizzazione dei profitti, quanto all'espansione dimensionale dell'impresa e alla sola realizzazione di quel margine sufficiente a prevenire reazioni da parte degli azionisti e dei creditori insoddisfatti. Ne deriva la necessità di non affidarsi esclusivamente all'autonomia statutaria e di consentire un pervasivo intervento normativo dal carattere precettivo e vincolante che ristabilisca l'efficienza del mercato azionario.

La letteratura statunitense in argomento è amplissima. Al riguardo, si rinvia, per l'approccio neoclassico, aEASTERBROOK E FISCHEL, L'economia delle

società per azioni. Un'analisi strutturale, Milano, 1996, principali esponenti

dell'impostazione liberista della "Scuola di Chicago" che confidano nell'assoluta idoneità delle forze del mercato a condurre l'adozione di soluzioni efficienti; per la dottrina normativista, a BEBCHUCK, Toward undistorted choice and equal

treatment in corporate takeovers, in Harv. L. Rev. 1693 (1985), che, pur

condividendo un giudizio di meritevolezza sulle offerte pubbliche d'acquisto, dubita queste ultime siano di massimo beneficio per la società e per i soci; COOFFE, Regulating the market for corporate control: a critical assessment of the

tender offer's role in Corporate Governance, in 84 Col. Law Review, 1984, 1145

ss., 1170. Per una sintesi italiana nelle diverse correnti di pensiero diffusesi negli Stati Uniti, si rinvia WEIGMANN, Concorrenza e mercato azionario, Milano, 1978, 71 ss.

ADESIONE ALLA SOCIETA', RILIEVO REALE DELL'ATTO COSTITUTIVO E CONSENSO ALLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA

La "spersonalizzazione" della titolarità dell'impresa accentra così il potere di gestione in capo all'organo amministrativo e riduce l'azionista a mero detentore passivo di azioni, titolare, non più di prerogative diritti societari rilevanti nell'ambito della gestione della società, ma di sole aspettative economiche inerenti la redditività dell'investimento azionario: in sostanza, la dispersione della proprietà, lungi dal determinare un processo di "democratizzazione" della gestione dell'impresa, pone nelle mani del solo management il potere di amministrazione della società.

L'azionista diventa, dunque, "rationally ignorant" e "razionalmente apatico": rinuncia a monitorare l'attività degli amministratori, consapevole che tale monitoraggio importerebbe dei costi di informazione elevati e che la propria posizione di marginalità non gli consentirebbe comunque di incidere, da solo, sul loro operato,242 si disinteressa della gestione della società, assecondando le decisioni adottate dal management243 e rinunciando all'esercizio delle prerogative sociali connesse alla partecipazione azionaria, e, in ultima analisi, limita le proprie decisioni nell'ambito dell'alternativa di investimento o disinvestimento nella società (c.d. "Wall Street Rule").244

242

V. GORDON, The mandatory structure of Corporate Law, Col. Law Rev., 89, 1549 ss.: "Since acquiring information is costly, a shareholder with a

small stake will always find that the expected returns from becoming informed will never be negative, even if her vote (remarkably) turns out to be decisive. Rational apaty is the indicated course".

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La propensione dell'azionariato a votare in modo conforme, o comunque ad adeguarsi, alla volontà degli amministratori è in genere sintetizzata dalla dottrina americana con l'espressione "yes rule" e nella qualificazione dell'azionista come"yes man". V. ROMANO, Answering the wrong question: the

tenous case for mandatory Corporate Laws, in 89 Col. L. Rev., 1989, 1608 ss. 244

La regola, alla quale nella terminologia americana si fa riferimento con l'espressione "Wall Street Rule", è ispirata al principio secondo il quale la reazione nei confronti di un'attività di gestione non condivisa si traduce nella ricerca di mezzi più redditizi di impiego del patrimonio: l'azionista, cui risulterebbe economicamente irrazionale affrontare i costi per far valere le proprie istanze all'interno della società tramite un'azione positiva, manifesta l'insoddisfazione nei

Poiché la detenzione di diritti di proprietà, comunque in grado di assicurare determinati rendimenti, non è più idonea, di per sé, a garantire il potere di gestione e di indirizzo sull'attività dell'impresa, si produce, da un lato, la conseguenza che per esercitare il controllo si dovranno cercare mezzi alternativi diversi dalla titolarità dei diritti di voto (quali le strutture di gruppo piramidale, i sindacati di voto, il controllo della minoranza congiuntamente all'uso di deleghe, l'emissione di azioni senza diritto di voto o la distribuzione di azioni con maggiori poteri di voto), e, dall'altro lato, la necessità della garanzia dei diritti dei soggetti che detengono partecipazioni minime nel capitale della società.245 Ed è evidente che quanto più debole sarà questa garanzia, tanto minore sarà l'incentivo di terzi a finanziare la società.246

riguardi del proprio investimento attraverso il comportamento sul mercato, attraverso, quindi, la cessione delle azioni di cui è titolare. In argomento, vedi ANGELICI, Le minoranze nel decreto 58/98: "tutela" e "poteri", in AA.VV.

Assemblea degli azionisti e nuove regole del governo societario, Padova, 1999,

21 ss. 245

Il problema della tutela dei soci deve essere posto in relazione ai c.d. "costi di agenzia". Questi ultimi sorgono in riferimento agli incentivi che un soggetto, il quale amministri ad un tempo interessi propri ed altrui, abbia a perseguire il proprio personale interesse. Più in particolare, con l'espressione "costi di agenzia" si designano i costi degli azionisti devono sopportare per monitorare il comportamento degli amministratori, che sono tanto più alti quanto più sono diffuse le azioni fra il pubblico. Sul tema dei costi di agenzia: JENSEN - MECKLING, Theory of the firm: managerial behavior, agency costs and ownership

structure, 3 J. Fin. Econ. 305 (1976) e FAMA - JENSEN, Separation of ownership

and control, 26 J.L. & Econ. 301 (1983). 246

In questa prospettiva, si apprezza l'importanza del socio investitore istituzionale che rappresenta l'"unico soggetto in grado sia di attualizzare le

potenzialità deterrenti e sanzionatorie delle market force, sia di garantire l'effettività delle regole di corporate law", svolgendo un ruolo di "centro esponenziale degli interessi dell'azionariato diffuso" ed assolve ad una "funzione vicaria di un azionariato "distratto" e disperso, elaborando l'informativa divulgata, premiando con l'afflusso di capitali le società con il più elevato tasso di "democraticità statutaria", penalizzando le condotte manageriali inefficienti e abusive, … anticipando e orientando le scelte di investimento dei risparmiatori

ADESIONE ALLA SOCIETA', RILIEVO REALE DELL'ATTO COSTITUTIVO E CONSENSO ALLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA

Questa necessità di garanzia ha mosso parte della dottrina a giustificare l'esclusione delle società aperte dall'ambito di applicazione della disciplina introdotta dalla riforma sull'arbitrato societario.

3. Infondatezza della tesi che giustifica l’esclusione delle società

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