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La sorte delle cessione in caso di fallimento del cedente ai sensi della l 21.2.1991 n 52.

5. Il fallimento del cedente.

5.3 La sorte del contratto di factoring.

5.3.2 La sorte delle cessione in caso di fallimento del cedente ai sensi della l 21.2.1991 n 52.

Le regole da applicare, ai crediti già sorti ed a quelli non ancora sorti alla data della dichiarazione di fallimento, sono disposte nei

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Trib. Genova 17.7.91 in I contratti in corso di esecuzione nelle procedure

commi 2 e 3 dell'art. 7 della l. 21.2.1991, n. 52.

Non è sempre facile stabilire con certezza il momento in cui un credito è sorto, ed a tal proposito è stato previsto che il diritto all'appaltatore per il corrispettivo, nasce nel momento in cui si ha l'esecuzione parziale dei lavori appaltati.

Inoltre la giurisprudenza distingue due eventualità:116

- Vi sono crediti futuri, ma probabili, ovvero quelli che nascono da un unico rapporto base. In questo caso il contratto di cessione è ad effetti reali differiti, ma viene comparato alla cessione del credito attuale; dunque prevale sul pignoramento o sul fallimento se è stato notificato al debitore, individuato attraverso il rapporto base, o da questi accettato prima del pignoramento, o fallimento stesso.

- Esistono, invece, crediti eventuali ed aleatori, caratterizzati da incertezza circa l'effetto traslativo della cessione e la mancata individuazione del debitore. In questi casi la cessione viene opposta al creditore pignorante o al fallimento solo e soltanto se, essi sono diventati esigibili e se c'è stata la notificazione o l'accettazione da parte del debitore, prima del pignoramento.

L'art. 7 della legge in esame, in effetti, dispone che il curatore del fallimento del cedente ha la facoltà di recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, ma solo in riferimento ai crediti non ancora sorti alla data della sentenza che dichiara il fallimento. Dunque la cessione per i crediti futuri o non ancora sorti, alla data della

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L. GUGLIELMUCCI, I contratti in corso di esecuzione nelle procedure

sentenza di fallimento, si può opporre alla procedura e la cessione obbligatoria non è inopponibile sempre ed in quanto tale.

L'art. 5, invece ,al 1° comma lettera c, prevede che se il cessionario ha pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento ha data certa, allora la cessione è opponibile al fallimento del cedente, che è stato dichiarato fallito dopo la data del pagamento; fatto salvo quanto disposto dall'art. 7, 1° comma.

In riferimento alle ipotesi contemplate, tale legge ha affiancato ai requisiti della notificazione ed accettazione ,anche, il pagamento in tutto o in parte della cessione, nel caso in cui sia stato erogato con data certa. Questa ulteriore formalità riguarda i crediti futuri che non devono né essere notificati né accettati.

Sempre in riferimento all'art. 7, il 2° e 3° comma stabiliscono che il curatore, in caso di recesso, ha l'obbligo di restituire al cessionario il corrispettivo pagato da quest' ultimo al cedente, per le concessioni previste nel 2° comma; questi commi sembrano esser stati formulati nella prospettiva di cui all'ultimo capoverso dell'art. 72 l. fall., che viene inteso come riferibile, anche agli atti di alienazioni di crediti.

Infatti il 2° comma, che distingue tra crediti sorti e crediti non ancora sorti, riprende le linee dell'art. 72 u.c., il quale contrappone la fattispecie negoziale che ha già prodotto l'effetto traslativo e quelle in cui tale effetto, non si è ancora verificato al momento dell'apertura del fallimento; in questo secondo caso concede, un potere al curatore di scelta tra la prosecuzione o lo scioglimento del rapporto. La singolarità, della legge che stiamo esaminando, è che il potere di recesso/scioglimento non riguarda l'intero contenuto della cessione, ma solo una parte della stessa ovvero i crediti non ancora sorti e quindi i crediti non ancora trasferiti.

In conclusione, la norma sulla cessione dei crediti non ancora sorti, risulta essere aderente con quella prevista dall'art. 72, 4° comma che concede al curatore la facoltà di sciogliersi dalla vendita se il compratore in bonis, anteriormente al fallimento, non ha ancora ottenuto la proprietà della cosa venduta.117

Se partiamo dal presupposto che le cessioni dei crediti, che erano già sorte al momento della dichiarazione di fallimento, sono intaccabili dal curatore, si deduce che il factor è in primis legittimato a riscuotere quei crediti e successivamente è obbligato a versare al fallimento le somme riscosse, ma scomputate del corrispettivo anticipato e di quanto gli spetta in base agli accordi contrattuali. Questo, perché la cessione del credito non è un contratto ineseguito da entrambe le parti e quindi non può essere risolta dal curatore.

Il cedente che ha eseguito la sua prestazione, ha di fatto trasferito il credito ed il fallimento è creditore, ma non contemporaneamente creditore e debitore del factor; pertanto non sussiste nessuna ragione per l'applicazione della disciplina dei rapporti in corso di esecuzione e neppure per quella relativa allo scioglimento per volontà del curatore.

Ci siamo chiesti quali cessioni possono essere oggetto di recesso da parte del curatore del cedente e la risposta non è univoca:

- Secondo l'interpretazione forte, il recesso può avere ad oggetto tutti i crediti non ancora sorti e non ancora trasferiti nel patrimonio del cessionario, alla data della sentenza che dichiara il fallimento, oltre a quei crediti che sono sorti in epoca anteriore alla dichiarazione di recesso.

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L. GUGLIELMUCCI, I contratti in corso di esecuzione nelle procedure

A tal proposito dall'art. 7 possiamo dedurre che il curatore, prima di esercitare il diritto di recesso, può aspettare sia il sorgere del credito che la data della sua scadenza; il tutto per verificare se il debitore ceduto adempie o meno a tale credito. Sicuramente ne derivano vantaggi per il curatore, il quale può scegliere di recedere dalle cessioni per i crediti che alla data della scadenza sono stati regolarmente pagati, o può optare per la continuazione del negozio se i crediti sono rimasti inadempiuti o sono di difficile interpretazione.

Questa interpretazione è stata considerata poco convincente, perché sembra che alteri l'equilibrio negoziale, ed in particolare dal momento che permette di decidere in maniera unilaterale ed ex post, ad una sola parte, la sorte del contratto; il subingresso, infatti, non deve essere considerato come uno strumento previsto dalla legge, con il quale il curatore può imporre alla controparte oneri diversi da quelli stabiliti in origine.

- La seconda opinione è restrittiva, in quanto consente il recesso limitatamente ai crediti futuri, sia al momento della dichiarazione di fallimento e sia al momento del recesso.

Questa interpretazione non trova una sua legittimazione nel testo normativo ed addirittura si preferisce una interpretazione ancora diversa:

- il recesso del curatore non ha ad oggetto tutti i crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa; ma bensì solo i crediti non ancora pagati e non ancora estinti al momento della delibera del recesso.

Inoltre, il curatore non può recedere dalla cessione di crediti che erano sì, futuri quando è stato dichiarato il fallimento, ma che si sono estinti perché erano già stati pagati al momento della delibera del recesso. In conclusione il curatore può sciogliere il negozio relativo alla cessione di crediti, che sono futuri al momento della dichiarazione di fallimento e sorti nel corso della proceduta, ma che non sono scaduti o non sono stati ancora pagati al momento del recesso.

Quanto disposto dalla norma rappresenta un recesso ad effetti parziali con scioglimento del rapporto rispetto ai crediti futuri e continuazione rispetto ai crediti già esistenti.

Questo sistema crea qualche difficoltà interpretativa rispetto ai crediti che derivano da contratti a prestazioni continuate o periodiche, delle quali dovrà farsi carico e tenerne di conto il curatore al momento di decidere.

Decisione che viene considerata unitaria, perché le singole cessioni sono concordate nell'ambito dell'accordo complessivo del quale la curatela può liberarsi, ma non ritagliare a sua discrezione, e questo perché rischierebbe di alterare il rapporto fra le cessioni pro solvendo e le cessioni pro soluto; difatti nei contratti ad esecuzione continuata o a prestazioni plurime, il curatore non ha la facoltà dello scioglimento parziale.

Infine, l'art. 7 non prevede un termine per esercitare il diritto del recesso da parte del curatore; questo ci fa pensare che si possa applicare, anche, in tale circostanza, il nuovo art. 72, 2° comma. Il factor potrebbe mettere in mora il curatore per fargli assegnare un termine non superiore a 60 giorni, decorso il quale il contratto si scioglie automaticamente.

Questa tesi è stata sottoposta a diverse critiche, perché la legge prevede il subingresso della massa nel factoring; ciò non avviene nella compravendita. L'ordinamento prevede, inoltre, i contratti per i quali è previsto il subentro automatico della massa ed in tali circostanze l'interesse del contraente in bonis non è sottoposto alla discrezionalità del curatore a tempo indeterminato e non può essere applicata, in via analogica, la regola dettata dall'art. 72 del silenzio-scioglimento; perché in assenza di una previsione contraria, che fa assumere al silenzio del curatore un valore di recesso, tale sistema risulta essere incompatibile con la continuazione del contratto disposta dalla legge.