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Gli standard sulla sicurezza delle acque destinate ad uso umano La Dir 98/83/CE e la sua attuazione in Italia.

RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PER OMESSA O

2. Gestione del servizio idrico e responsabilità civile della Pubblica Amministrazione tra precauzione, prevenzione

2.1. Gli standard sulla sicurezza delle acque destinate ad uso umano La Dir 98/83/CE e la sua attuazione in Italia.

Come anticipato, la questione che si intende esaminare riguarda il problema dell’adeguamento da parte dello Stato italiano ai requisiti di salubrità dell’acqua destinata ad uso umano individuati dal legislatore dell’Unione Europea e recepiti da quello nazionale 200.

200Nell’ambito dei contributi che si sono occupati delle questioni giuridiche

in materia di sicurezza delle acque ad uso umano si vedanoPlanchenstainer,

124 L’analitica comprensione della vicenda impone di soffermarsi,

anzitutto, sulla già richiamata disciplina europea armonizzata della sicurezza delle acque destinate ad uso umano delineata dalla Dir. 98/83/CE e recepita dal legislatore nazionale mediante il d. lgs. 2 febbraio 2001, n. 31. Tale disciplina, dichiaratamente informata al principio di precauzione (che è enunciato in termini generali dall’art. 191 TFUE e, in precedenza, dall’art. 174 TCE)201, individua soglie di concentrazione di elementi tossici

particolarmente basse e quindi funzionali alle esigenze di tutela della salute umana. Al tempo stesso, valorizzando opportunamente il profilo della realizzabilità economica degli interventi necessari al fine di adeguare la qualità delle acque a parametri così rigorosi, la stessa legislazione dell’Unione Europea, e di conseguenza quella nazionale, prevede la possibilità di conseguire deroghe temporanee, così da poter consentire ai singoli ordinamenti di disporre di un ragionevole lasso di tempo per conseguire il livello di sicurezza delle acque prescritto dalla Dir. 98/83/CE.

Valendosi di questa previsione, lo Stato italiano aveva conseguito ripetutamente l’autorizzazione a derogare ai parametri stabiliti dall’Unione Europea; ciò anche in

acqua potabile non a norma, in Danno e responsabilità, 2012, 1081;

Venturi, L’acqua potabile all’arsenico è un problema sanitario grave, non

solo italiano. Conoscerlo e debellarlo è un imperativo imminente, in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente, 2011, 519; Gratani, Diritto all’acqua potabile e alle misure igienico-sanitarie, in Rivista giuridica dell'ambiente, 2011, 339; Olmo, Costi di produzione ed erogazione di acqua potabile. Una proposta di analisi dell’efficienza, in Diritti umani e diritto internazionale, 2011, 178; Arzue Briant, Per un

bicchiere di acqua potabile…, in Rivista giuridica dell'ambiente, 1993, 965.

201 Con riferimento all’art. 191 TFUE – in precedenza art. 174 TCE – si veda

125 considerazione della particolare conformazione geologica che in

alcune zone della penisola determina un elevato livello di concentrazione di arsenico nelle acque ed una significativa onerosità delle misure idonee a conseguire livelli di concentrazione di inquinanti conformi alle previsioni legislative. Questa precisazione consente di concludere che per tutto il periodo nel quale la Dir. 98/83/CE e il d. lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 erano già in vigore e, al tempo stesso, limitati nella loro portata in ragione della deroga ottenuto dallo Stato italiano, gli utenti del servizio idrico utilizzavano acque che risultavano non conformi ai parametri legali, ma cionondimeno erogate lecitamente in ragione della deroga anzidetta. In altri termini, quindi, nel periodo indicato, la non conformità delle acque agli standard legali non costituiva un presupposto in ragione del quale fosse possibile configurare una responsabilità della pubblica amministrazione: la deroga, infatti, escludeva l’illiceità della condotta di quest’ultima202.

202 Sotto questo profilo viene in considerazione l’ampia tematica della

responsabilità da atto lecito dannoso che è stata oggetto di approfonditi studi sia per quanto concerne i rapporti che vedono coinvolta la pubblica amministrazione, sia per quanto riguarda rapporti di natura strettamente privatistica. In argomento si segnala un risalente contributo monografico (Torregrossa, Il problema della responsabilità da atto lecito, Milano, 1964, in part. 71 ss. per quanto riguarda l’attività della pubblica amministrazione e pag. 128 ss. per quanto concerne i rapporti tra privati) ed uno più recente [Buonauro, Responsabilità da atto lecito dannoso, cit., il quale indaga il tema nella prospettiva del diritto civile (pag. 185 ss.), del diritto costituzionale (pag. 351 ss.) e del diritto amministrativo (pag. 415 ss.)] testimoniando l’attualità della tematica nel sistema attuale. Il problema della risarcibilità dei danni scaturenti da attività lecite è stato affrontato di recente anche nella particolare prospettiva della responsabilità civile del produttore per i danni cagionati da prodotti conformi agli standard legislativi (Al Mureden, Il danno da «prodotto conforme». Le soluzioni europee e

126 Solo a partire dal momento in cui la Commissione Europea ha

assunto la decisione di non concedere ulteriori proroghe al rispetto da parte dell’Italia della Dir. 98/83/CE e ha paventato l’apertura di una procedura di infrazione, l’erogazione dell’acqua non conforme agli standard legislativi armonizzati ha assunto caratteri d’illiceità. Il mancato rinnovo della proroga può essere osservato come l’esito di una complessa procedura nella quale è possibile cogliere la portata del principio di precauzione. L’applicazione di tale principio risulta chiaramente percepibile laddove lo Scientific Committee on Health and Environmental Risks (SCHER) 203 aveva messo in dubbio la sussistenza di reali

rischi sanitari determinati da concentrazioni di arsenico nell’acqua destinata al consumo umano; esso, in altre parole, sosteneva che sulla base delle evidenze scientifiche presenti al momento in cui la valutazione fu effettuata non fosse possibile stabilire con certezza un nesso causale tra l’utilizzo di acque contenenti elevati livelli di arsenico e l’insorgere di determinate patologie. D’altro canto la Commissione Europea, attribuendo rilievo ad altri studi scientifici, riteneva che quegli stessi livelli

statunitensi nella prospettiva del «Translatlantic Trade and Investment

Partnership» (T.T.I.P.), cit., 388). Sulla responsabilità del produttore v. Ponzanelli, La responsabilità del produttore tra legge speciale e Codice

civile, in Il danno da prodotti in Italia, Austria, Repubblica federale di Germania, Svizzera, a cura di Patti, Padova, 1990, 28. Sull’ingiustizia del

danno come “qualificazione di rilevanza” del danno stesso si vedano le riflessioni di Castronovo, La nuova responsabilità civile, cit., 45 ss.

203 Lo Scientific Committee on Health and Environmental Risks (SCHER) è

stato istituito dall’Unione Europea al fine di monitorare i fattori di rischio per la salute umana e per l’ambiente. Per un’illustrazione analitica delle sue funzioni si rinvia al sito ufficiale della Commissione Europea (http://ec.europa.eu/health/scientific_committees/environmental_risks /index_en.htm).

127 di arsenico dovessero considerarsi fonte di un potenziale

pericolo per la salute e che, pertanto, in applicazione del principio di precauzione, non fosse possibile, in presenza di una situazione di non completa certezza scientifica, concedere deroghe ulteriori.

In definitiva, quindi, è possibile affermare che la mancata rinnovazione della deroga richiesta dallo Stato italiano alla Commissione Europea sia stata negata proprio in applicazione del principio di precauzione 204.

La decisione della Commissione Europea che – in virtù del principio di precauzione – ha escluso la configurabilità di ulteriori proroghe, ha segnato il momento a partire dal quale

204 La bibliografia in materia di principio di precauzione è assai estesa. Tra i

contributi di maggior rilievo si segnalano Busnelli, Il principio di

precauzione e l’impiego di biotecnologie in agricoltura, cit., 115 ss.; Arbour, A proposito della nebulosa. Principio di precauzione – responsabilità civile,

in Liber amicorum per Francesco D. Busnelli. Il diritto civile tra principi e

regole, Milano, 2008, I, 513; DelPrato, Il principio di precauzione nel diritto

privato: spunti, ivi, 545; De Leonardis, Il principio di precauzione

nell’amministrazione del rischio, Milano, 2005; Nanna, Principio di precauzione e lesione da radiazioni non ionizzanti, cit.; Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, Padova, 2004; Marini, Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitario: disciplina del commercio di organismi geneticamente modificati e profili di sicurezza alimentare,

Padova, 2004; Galasso, Il principio di precauzione nella disciplina degli

OGM, Torino, 2007; Sollini, Il principio di precauzione nella disciplina comunitaria della sicurezza alimentare, cit. Per un’applicazione concreta del

principio di precauzione nel contesto della sicurezza alimentare e, in particolare, dell’utilizzo delle nanotecnologie in agricoltura si veda, da ultimo, Marvin, Bouwmeester, Kleter, Frewer, Wentholt, Evolving Best

Practice in Governance Policy-Developing Consumer Confidence in Risk Analysis Applied to Emerging Technologies, cit., 286-287, nel quale

vengono illustrati i più recenti sviluppi in materia di risk analysis e risk

128 quella stessa acqua – che nel periodo di vigenza della deroga

poteva considerarsi erogata legalmente – ha assunto una non conformità ai parametri legali che non trovava più alcuna giustificazione. Le caratteristiche dell’acqua non conformi a quelle indicate dalla Direttiva europea e la mancata rinnovazione della deroga hanno così determinato il sorgere in capo alla pubblica amministrazione nazionale di un dovere di informazione dei cittadini funzionale a ridurre i rischi legati all’utilizzo dell’acqua e di un obbligo di predisposizione di piani di azione, idonei a riportare le condizioni microbiologiche della stessa a livelli coincidenti con quelli indicati dal legislatore. Su questa problematica è intervenuta una pronuncia del Tar del Lazio che involge rilevanti questioni civilistiche soprattutto con riferimento alla responsabilità della pubblica amministrazione per mancata adozione di tutte le misure necessarie al fine di tutelare la salute degli utenti del servizio idrico nel periodo successivo al mancato rinnovo della deroga205. In particolare si è

posto il problema del risarcimento dei danni causalmente riconducibili alla mancata attuazione di obblighi legali funzionali alla protezione degli utenti ed alla carente informazione riguardo a potenziali rischi per la salute connessi all’impiego di acque contenenti sostanze tossiche 206.

205 Tar Lazio 20 gennaio 2012, n. 668, in Danno e responsabilità, 2012,

1081, con nota di Planchenstainer, Arsenico e vecchi acquedotti: la responsabilità della P.A. per la fornitura di acqua potabile non a norma.

206 Sulle complesse questioni che si pongono con riferimento

all’inquinamento dell’acqua potabile ed alla elevata concentrazione di arsenico v. Gratani, L’acqua potabile all’arsenico è un problema sanitario

grave, non solo italiano. Conoscerlo e debellarlo è un imperativo imminente,

in Rivista giuridica dell’ambiente, 2011, 339, la quale fornisce un interessante quadro della legislazione europea e statunitense.

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2.2.

La

responsabilità

civile

della

Pubblica

Amministrazione per omessa adozione di misure di