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Lo stress lavoro correlato è un costrutto studiato da prima della fine del XX secolo. I modelli più influenti di stress sono quello di Karasek e di Siegrist. Il primo sosteneva che lo stress lavoro correlato fosse il risul- tato di alte richieste di produzione accompagnate da un basso controllo del lavoro, mitigato dal supporto sociale (Karasek, 1979). Il secondo ve- de lo stress come derivante da uno squilibrio tra sforzo richiesto e ri- compensa (Siegrist, 1996). Le prove hanno evidenziato come queste con- dizioni possono essere considerate fattori di rischio psico-sociale legati al lavoro (Nieuwenhuijsen e altri, 2010). Il problema dello stress lavoro correlato è stato sempre più indagato negli studi degli ultimi anni (Be- navides e altri, 2002). Sono state offerte diverse interpretazioni e defini- zioni al costrutto. Alcune teorie focalizzano l’attenzione sulla relazione tra individuo e ambiente di lavoro che può essere fonte di stress (Cox e altri 2000), mentre altre ipotizzano che lo stress sia la percezione che le richieste fatte all’individuo dal contesto lavorativo possano superare le capacità e le risorse individuali, soprattutto in una situazione in cui la persona invece si aspetta un vantaggio in termini di costi-benefici (Fona- reva e altri, 2012; McGrath, 1976; Nadri e altri 2014).

La ricerca ha mostrato come questo problema non riguardasse emi- nentemente la salute dei lavoratori, ma anche l’efficienza produttiva stessa. Lo stress da lavoro porta infatti un aumento di assenza per malat- tia (Vahtera e altri, 2000) determinandosi così come problema significa- tivo a livello produttivo e costituendo una delle principali cause di ma- lattia cronica. A causa dello stress lavoro correlato si perdono infatti mi- lioni di ore lavorative (Edwards e altri, 2008). La salute e la sicurezza sul lavoro relativi alla problematica legata allo stress, non sono importanti solo per il benessere dei lavoratori, ma sono anche molto importanti dal punto di vista economico per le imprese e la società. Gli studi suggeri- scono che circa il 50% - 60% di tutti i giorni lavorativi persi hanno qual- che legame con lo stress lavoro correlato (Cox e altri, 2000). Ciò equivale a un costo enorme in termini di disagio umano e prestazioni economiche compromesse (Rondinone e altri, 2012). Nel Regno Unito tra il 2007 e il 2008 le stime sostengono che si sono persi circa 13 milioni di giorni lavo-

rativi a causa delle assenze per malattia dovute allo stress lavoro correla- to (Kerr e altri, 2009). Lo stress lavoro correlato, la sua valutazione, la sua gestione e gli strumenti per contrastarlo si mantengono, ad oggi, tra le sfide più urgenti per la sicurezza e la salute sul posto di lavoro (Leka e Jain, 2010).

Anche gli interventi per contrastare lo stress lavoro correlato sono di- versamente focalizzati. Per molto tempo, la maggior parte delle strategie si concentrava sul benessere individuale, con un approccio comporta- mentale sull’apprendimento da parte del singolo lavoratore a gestire il proprio stress, aumentando le sue capacità di coping. In seguito, invece, gli interventi sono stati incentrati sull’aspetto organizzativo del lavoro e sul clima, lavorando sulle relazioni sociali, sulle condizioni del posto del lavoro e sulle competenze relazionali dei lavoratori.

Con l’obiettivo di individuare i fattori da cui deriva lo stress lavoro correlato e aiutare le organizzazioni e le aziende a valutarlo e gestirlo, nel 2004 l’Health and Safety Executive (HSE) ha sviluppato in Gran Breta- gna il Management Standard Indictor Tool, un questionario di 35 item che misura sette scale, ognuna corrispondente ad un ambito lavorativo asso- ciato allo stress. Per ogni ambito, HSE ha indicato dei livelli ottimali per ridurre il livello di stress: tali livelli possono essere usati come obiettivi per interventi mirati a migliorare le condizioni dei lavoratori (Guidi e al- tri, 2012).

Le sette scale misurano: la domanda, intesa come percezione del la- voratore circa le richieste che gli vengono poste, il loro grado di fattibili- tà, la pressione che egli sente su di sé per la soddisfazione di tali do- mande, soprattutto in termini di tempi e scadenze; il controllo, che il la- vorare può esercitare sul proprio lavoro, se e come può organizzare il proprio tempo lavorativo; il supporto del manager, focalizzato sulla re- lazione che il lavoratore ha con i suoi superiori, sulla comunicazione con loro e sulla qualità di tale relazione; il supporto dei pari, la percezione che il lavoratore avverte circa la presenza dei colleghi, la loro disponibi- lità ad aiutarlo e il loro atteggiamento nei suoi confronti; le relazioni, scala che misura il clima lavorativo, la presenza o meno di conflitti o comportamenti di prepotenza; il ruolo, che riguarda la chiarezza del proprio ruolo all’interno dell’organizzazione, la chiarezza delle proprie mansioni e degli obiettivi del proprio lavoro; il cambiamento, che ri- guarda la consapevolezza e la partecipazione che il lavoratore mantiene rispetto ai cambiamenti organizzativi.

Diversi studi hanno dimostrato la fondatezza dello strumento e la sua funzionalità (Cousin e altri, 2004, Edwards e altri, 2008; Kerr e altri, 2009;

Bevan e altri, 2010; Edwards e Webster, 2012; Brooks e altri, 2013; Kazi e Haslam, 2013). Edwards ha dimostrato la validità dello strumento e le sue proprietà psicometriche (Edwards e altri, 2008). Cousin, nel suo stu- dio di convalidazione dello strumento, sottolinea come una delle qualità del MSIT sia quella di fornire alle organizzazioni, oltre ad uno strumen- to di valutazione dello stress lavoro correlato, anche uno strumento di contrasto concreto alla problematica (Cousin e altri 2004). Nel 2012 E- dwards e Webster hanno presentato un questionario breve di 25 item (Edwards e Webster, 2012) di cui Houdemont ha mostrato la validità di entrambi le versioni, comparandole anche con altre misure del benessere psicologico, come il GHQ-12 e il Maslach Burnout Inventory (Houde- mont e altri, 2013). Kazi e Haslam hanno utilizzato il MSIT per indicare la soddisfazione lavorativa degli impiegati, la motivazione del lavoro, la prestazione lavorativa e l’intenzione di dimettersi. Kerr ha ricercato la relazione tra i MSIT e i risultati inerenti soddisfazione lavorativa, ansia e depressione legate al lavoro, errori e/o mancanze dei dipendenti. Kom- pier (2004) ha proposto un’analisi dettagliata dei punti di forza dello strumento; egli riconosce che il MSIT si presenta come uno strumento saldamente inserito in un programma dell’HSE e, per questo, non ha un approccio incidentale; nota la portata innovativa dello strumento che si pone nell’orizzonte di senso del moderno concetto di sicurezza lavorati- va, che implica la negoziazione tra i tradizionali problemi di salute e di sicurezza e le moderne caratteristiche del lavoro psicosociale; sottolinea come il MSIT mantenga un’ottica di priorità, anteponendo il focus collet- tivo sul focus individuale; mostra come la vocazione diagnostica dello strumento sia un suo punto di forza («non esiste la prevenzione senza il controllo») e come, nonostante ciò, lo strumento sia fortemente orientato verso una soluzione poiché propone uno standard da raggiungere; da ultimo, evidenzia la dimensione partecipativa insita nel MSIT.

Infine, lo strumento è stato riadattato per il contesto italiano da parte dell’INAIL che lo ha tradotto come “questionario strumento indicatore” e lo ha validato nel 2012 (Rondinone e altri, 2012).

Da quando l’HSE ha proposto lo strumento, quest’ultimo è stato tro- vato valido non solo per misurare lo stress lavoro correlato all’interno delle organizzazioni, ma è anche stato utilizzato in maniera sempre cre- scente per trovare soluzioni di contrasto al problema.

Negli anni successivi la sua presentazione, sono stati ipotizzati e pre- sentati diversi limiti dello strumento: lo stesso Kompier analizza nel suo studio anche gli aspetti negativi del MSIT: i punti discutibili, a suo pare- re, si riferiscono alla chiarezza degli standard, agli strumenti indicatori

del rischio, alla relazione tra la valutazione del rischio e lo standard, alle percentuali "tagliate" utilizzate e alle pratiche associate alla gestione dei rischi. Van Laar (Van Laar e altri, 2007) ha suggerito di analizzare il con- testo lavorativo con un’idea di setting più estesa per meglio comprende- re il costrutto dello stress lavoro correlato, rispetto a quello analizzato dal MSIT. Bevan (Bevan e altri, 2010) ha suggerito di non considerare il MSIT come unico strumento per analizzare gli aspetti problematici di un ambiente lavorativo, ma la sua ipotesi può dimostrarsi infondata per il peculiare setting dov’è stato condotto il suo studio (una prigione).

Negli ultimi anni, lo studio del costrutto dello stress lavoro correlato ha portato a nuove e importanti considerazioni, che colgono bene anche il diversificato panorama lavorativo che si dimostra in continua trasfor- mazione. Recenti risultati di grandi indagini europee mostrano una ten- denza ad un aumento dei rischi di stress lavoro correlato: ciò potrebbe essere in gran parte dovuto ai rapidi cambiamenti negli ultimi anni in materia di tecnologia e organizzazione del lavoro, con l'uso crescente di contratti di lavoro non tradizionali e orari di lavoro non standard, ma anche di altri fattori socioeconomici e demografici che influenzano indi- rettamente il mondo del lavoro come la globalizzazione economica, l'in- vecchiamento della forza lavoro e il numero crescente di donne che en- trano nel mondo del lavoro (Marinaccio, 2013).

I continui cambiamenti nel mondo del lavoro stanno ponendo cre- scenti richieste ai lavoratori. Esternalizzazione, ridimensionamento, maggiore necessità di flessibilità in termini di funzioni e competenze, aumento dell'uso di contratti temporanei, maggiore insicurezza del po- sto di lavoro, maggiori carichi di lavoro e maggiore pressione e scarso equilibrio tra lavoro e vita privata, sono tutti fattori che contribuiscono allo stress lavoro-correlato (Rondinone e altri, 2012).

La stessa definizione di stress lavoro correlato viene anche criticata (Chirico, 2017) perché si preferisce quella di «rischi psico-sociali» che: include nuovi ed emergenti fattori di rischio, come la combinata esposizione ai rischi fisici e psicosociali, l’insicurezza lavorativa, l’intensificazione lavorativa, l’alto carico emotivo legato al Burn-out, i problemi del bilanciamento vita- lavoro. Occorre tener conto di questa differenza per elaborare strategie di inter- vento efficaci (Chirico, 2017).

È certo che il contesto lavorativo rappresenti una delle maggiori fonti potenziali di stress. Le ragioni di tale fenomeno sono date anche dai cambiamenti sociali che hanno trasformato il lavoro da un traguardo si-

curo e stabile a un ambiente dai confini labili e incerti. Così i lavoratori di oggi, o forse grazie alla visibilità che oggi viene loro fornita, risultano più facilmente vittime di disagio, stress e Burn-out. Nasce dunque l’esigenza concreta di tutelare il patrimonio di risorse umane all’interno delle organizzazioni attraverso interventi olistici e approcci globali che aiutino le persone a fronteggiare lo stress non solo dal punto di vista in- dividuale. Le conseguenze infatti investono sia la prestazione lavorativa che la qualità della vita.