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5.1 - Lo sviluppo della Potenza cinopopolare e l’evoluzione della sua politica estera ed energetica verso l’Asia centrale

Come le Potenze occidentali la Cina Popolare ha per lungo tempo riconosciuto la primazia russa in Asia centrale come un fatto storico e geografico. Infatti, sebbene nel corso del XVIII secolo i Manchù avessero esteso la propria influenza nell‟area, il declino della dinastia Qing, nel XIX secolo, condusse il «Celeste Impero» a non opporsi all‟espansione russa mentre, successivamente alla caduta del Governo imperiale, le risorse e le capacità politico-militari di Pechino furono focalizzate su questioni e problemi più pressanti come l‟instabilità e la conflittualità interna e l‟espansionismo giapponese. Successivamente al Secondo Conflitto Mondiale, al sostegno russo offerto da Stalin alla causa comunista di Mao e all‟affermazione della Repubblica Popolare, le strette relazioni sino-russe associate all‟equilibrio di Potenza Relativa impedirono il sorgere di frizioni connesse con tali «aree periferiche». Anche successivamente alla condanna di Mao dell‟imperialismo e del revisionismo russo ed alla fine dell‟alleanza strategica sino-russa (specie nel corso degli anni „60), Pechino si dimostrò sostanzialmente consapevole dei limiti della propria potenza e dei vantaggi offerti da una relativa stabilità dell‟assetto geopolitico in Asia centrale. Negli anni ‟90, anche in seguito alla disgregazione dell‟URSS e al marcato declino della Potenza russa sulla scena internazionale, Pechino risultò orientata a valutare la primazia del Cremlino nell‟area quale una favorevole costante e una garanzia di stabilità entro un contesto segnato da forti incertezze. Infatti, l‟avversione del Cremlino a tendenze separatiste nello spazio ex-sovietico venne considerata dalla leadership di Pechino quale il presupposto di una nuova fase delle proprie relazioni con Mosca, in considerazione della propria determinazione a reprimere similari spinte separatiste (movimenti Uighuri nello Xinjiang,350 fermenti indipendentisti tibetani) nonché ad

350 Storicamente, la Cina ha avuto difficoltà ad integrare politicamente e culturalmente le popolazioni musulmane dello Xinjiang e questa questione interna ha condizionato le sue relazioni con Paesi dell‟Asia centrale. La provincia, ufficialmente denominata Regione Autonoma Xinjiang Uighur, confina con il Kirghizistan, il Kazakistan e con il Tagikistan. Gli Uighuri sono gruppi turcofoni che hanno sempre resistito al dominio cinese, sin dalla prima occupazione dell‟area da parte di Pechino nel 1759. Nonostante le promesse di autodeterminazione fatte dal Partito Comunista Cinese nel corso della rivoluzione, lo Xinjiang, come le altre regioni autonome, furono integrate nella Repubblica Popolare con la forza. Negli anni „50, il Governo cinese diede avvio ad un programma di immigrazione di massa nella regione di popolazioni Han incrementando il risentimento locale. Sebbene gli Uighuri siano stati storicamente il gruppo etnico-culturale localmente maggioritario, gli Han attualmente rappresentano oltre la metà della popolazione dello Xinjiang ed esprimono la maggioranza delle posizioni amministrative e di Governo. Successivamente alla sconfitta dell‟Armata Rossa in Afghanistan (1989) ed alla proclamazione dell‟indipendenza da parte delle Repubbliche sovietiche dell‟Asia centrale (1991), il movimento indipendentista uighuro ha acquisito vigore e determinazione tanto che:

- è stata costituita una formazione separatista, il Movimento Islamico del Turkestan Orientale (ETIM), e molti dei suoi militanti sono stati addestrati in campi in Afghanistan unitamente ad altri islamisti arabo-islamici;

- i separatisti uighuri sono stati accusati di condurre azioni armate nello Xinjiang, lungo i confini con l‟Asia centrale, nelle Repubbliche ex-sovietiche ed in Cina (nel 1990, una sollevazione uighura nello Xinjiang ha condotto a scontri con le forze armate cinese ed alla morte di cinquanta persone; nel 1997, il Governo di

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-affermare, a livello internazionale, il principio dell‟unicità della Cina e la prospettiva della riunificazione con Taiwan. Nell‟ambito di relazioni bilaterali focalizzate sul comune impegno a contrastare il terrorismo, il separatismo e l‟estremismo, Pechino poté, pertanto, concludere con Mosca un accordo di tacito «scambio strategico» ove:

- la Cina riconosceva lo status quo in Asia centrale e la primazia russa nell‟area e in tal modo, si assicurava una sufficiente «copertura ad Occidente» da potersi concentrare sul proprio processo di modernizzazione/sviluppo economico351 e sulla questione di Taiwan;

Pechino ha attribuito ai separatisti uighuri una serie di attacchi dinamitardi ed omicidi occorsi a Pechino e nello Xinjiang).

Di fronte alla suddetta evoluzione, le autorità cinopopolari hanno rispostoo con una dura repressione che ha finito per alimentare reazioni ancora più radicali e violente da parte uighura.

L‟interesse cinese di sopprimere il movimento separatista nello Xinjiang ha condizionato le relazioni fra Pechino e i Paesi dell‟Asia centrale che presentano al proprio interno minoranze etniche uighure visto che:

- alcune formazioni separatiste uighure (l‟Organizzazione per la Liberazione dell‟Uighurstan e il Fronte Rivoluzionario Unito del Turkistan Orientale) si ritiene che agiscano utilizzando quale base il Kazakistan; - il confinante Kirghizistan, che presenta una minoranza uighura di circa 50.000 persone, è stato oggetto di

pressioni politico-diplomatiche cinesi tendenti ad assicurarsi l‟impegno del Governo kirghiso ad impedire l‟operatività di basi di supporto del separatismo uighuro;

- conseguentemente, il Governo di Bishkek ha effettivamente proceduto a reprimere i gruppi separatisti uighuri presenti nel Paese provocando tuttavia un innalzamento del livello dello scontro (nel giugno 2002, separatisti uighuri avrebbero ucciso un console cinese a Bishkek; nel marzo 2003, un autobus sarebbe stato attaccato e 21 passegeri cinesi sarebbero stati uccisi; alcuni attacchi terroristici occorsi a Bishkek ed a Osh sarebbero stati attribuiti a formazioni uighure; nel novembre 2003, le Autorità kirghise hanno bandito una pluralità di formazioni politiche a matrice separatista e/o islamista come l‟Organizzazione Islamica del Turkistan – precedentemente denominata Movimento Islamico dell‟Uzbekistan/IMU – il Partito Islamico del Turkistan Orientale e l‟Organizzazione per la Liberazione del Turkistan Orientale);

- le suddette pressioni sulle autorità kirghise sono aumentate in seguito alla «rivoluzione colorata» occorsa nel Paese a causa dell‟accentuazione dei timori cinesi circa l‟effettiva capacità del Governo di Bishkek di reprimere le formazioni secessioniste uighure nonché a causa dell‟incremento delle preoccupazioni di Pechino circa un‟espansione della presenza ed influenza statunitense dell‟area conseguente al protrarsi di una situazione di instabilità politica;

- in seguito all‟11 settembre 2001 ed all‟avvio della «guerra globale al terrorismo», le autorità del Kirghizistan e del Kazakistan hanno instaurato un sistema di controllo all‟accesso nel proprio territorio di popolazioni uighure. A margine dei suesposti elementi, appare possibile rilevare che l‟attuale interesse cinopopolare per lo Xinjiang sia riconducibile anche al fatto che detta regione presenta un notevole significato strategico visto che:

- in essa sono situate molte basi delle forze missilistiche nucleari, nonché il sito per test nucleari di Lop Nor; - essa, a prescindere dalla presenza o meno di presunti giacimenti di idrocarburi, dovrebbe essere attraversata da

oleodotti e gasdotti in via di realizzazione e tendenti a incrementare la sicurezza energetica del Paese attraverso il collegamento delle aree di consumo lungo la costa con le fonti presenti nei Paesi dell‟Asia centrale ex-sovietica (in primis, Kazakistan e Turkmenistan).

LAL R., Central Asia and its Asian neighbors. Security and commerce at the crossroads, Santa Monica (USA), RAND Corporation, 2006, pp. 3-10.

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DORIAN J.P., WIGDOTZ B.H., GLADNEY D.C., China and Central Asia’s volatile mix: energy, trade and ethnic relations, Washington DC, East-West Center, n. 31 maggio 1997.

351 A partire dall‟introduzione di riforme economiche, l‟economia della Cina Popolare è cresciuta in modo sostanzialmente più rapido rispetto al periodo precedente. Dal 1960 al 1978, la crescita del PIL reale era stimata a circa il 5,3% annuo mentre nel corso del periodo delle riforme, ovvero a partire dal 1979, il tasso di crescita medio annuo del PIL è salito al 9,8% la dimensione dell‟economia reale è cresciuta di 14 volte e il PIL pro-capite è crescito di 10 volte. La dimensione attuale dell‟economia cinopopolare è stata oggetto di dibattito in ambito accademico visto che, a seconda del criterio di misurazione utilizzato, risulta o sensibilmente più piccola rispetto a quella statunitense o a quella giapponese oppure significativamente più grande di quella giapponese.

MORRISON W.M., China’s economic conditions, Congressional Reserach Service (CRS), aggiornato al 20 novembre 2008, pp. 3-5.

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-- la Russia, riconosciuta dalla contermine Potenza cinese come la sfera dei propri interessi vitali, si faceva carico di mantenere la stabilità nell‟area, assicurava il proprio sostegno, diretto ed indiretto, alla repressione del movimento secessionista uighuro nonché del Movimento Islamico del Turkestan orientale.352

Tuttavia, specie in seguito all‟adozione, fra il 2001 ed il 2002, da parte del Cremlino, di una politica volta all‟autonoma ricerca di una partneship privilegiata con gli USA, al conseguente momentaneo e relativo spiazzamento cinopopolare a livello globale e regionale ed, infine, all‟affermazione di Pechino quale primario attore del cd. Nuovo Grande Gioco delineatosi a partire dal 2002-03 contestualmente con il riemergere di tensioni e distanze fra Russia ed Occidente, attualmente sussistono seri dubbi che:

- la Cina, sempre più consapevole dell‟ascesa della propria Potenza Relativa, sia disposta ad essere utilizzata quale uno strumento della grande strategia russa;

- gli interessi e gli obiettivi cinesi e russi in Asia centrale coincidano perfettamente;

- la Russia, come nel corso del decennio precedente e sulla scorta di un accordo di tacito scambio politico-strategico, sia ancora in grado di farsi carico e di garantire gli interessi cinesi nell‟area in considerazione della metamorfosi occorsa nell‟assetto regionale, della contrazione della propria influenza e dello sviluppo della presenza e del ruolo degli USA;

- il vertice politico-decisionale di Pechino consideri la Russia quale un partner strategico effettivamente affidabile e credibile, specie in ambiti di non perfetta coincidenza di interessi. Più nello specifico:

- la risposta di Putin all‟11 settembre 2001 sembra aver evidenziato agli occhi di Pechino una serie di realtà e situazioni, peraltro già precedentemente oggetto di probabile attenzione e valutazione:

 prima realtà: per la Russia le relazioni con gli USA e l‟Europa continuano e continueranno ad avere la precedenza rispetto a quelle con la Cina visto che, nonostante l‟ascesa della propria Potenza, il Cremlino continua a riconoscere nell‟Occidente la principale fonte del potere globale (potere politico-militare, potere economico, superiorità tecnologica, autorità morale e culturale);

 seconda realtà: come nel corso degli anni ‟90, le attitudini russe verso la Cina risultano e risulteranno strettamente condizionate dallo stato dei rapporti con l‟Occidente visto che:  nelle fasi e nei momenti di difficoltà nelle relazioni russo-occidentali, il Cremlino

cerca e cercherà di giocare la «carta cinese» così da dimostrare di non essere privo di amici e di opzioni alternative;

 nelle fasi e nei momenti favorevoli, invece, la partnership strategica sino-russa risulta e risulterà subordinata e di secondaria importanza rispetto ai rapporti con Washington e con le altre capitali dell‟Europa occidentale;

 terza realtà: la Cina, specie una volta riemersa la competizione fra la Russia e gli USA, deve perseguire una politica più autonoma, flessibile ed attiva nei confronti dell‟Asia centrale, mentre, differentemente dal decennio passato, non deve subordinare o necessariamente contemperare i propri interessi regionali con la Russia, dimostratasi un alleato inaffidabile e non più in grado di affermare un‟influenza ed un controllo egemonico;353

- gli obiettivi cinopopolari in Asia centrale attualmente risultano differire da quelli russi in alcuni ambiti fondamentali mentre Pechino, come d‟altra parte Washington, non sembra

352 LO B., Axis of convenience. Moscow, Beijing, and the new geopolitics, Londra e Washington DC, Brookings Institution Press, 2008, pp. 91-93.

353 LO B., Axis of convenience. Moscow, Beijing, and the new geopolitics, Londra e Washington DC, Brookings Institution Press, 2008, pp. 95-97.

DWIVEDI R., China’s Central Asia policy in recent times, in: China and Eurasia Forum Quarterly, Central Asia-Caucasus Institute, Vol. 4, n. 4, 2006, pp. 139-159.

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-disposta, almeno nel medio-lungo termine, a concedere alla Russia una posizione di leadership regionale visto che:

 con la rottura di quel tacito scambio sino-russo che aveva caratterizzato il periodo antecedente all‟11 settembre 2001, essa risulta impegnata in una politica di espansione del proprio ruolo in Asia centrale, dispone delle capacità e delle risorse per sostenerla, presenta significative esigenze e necessità da soddisfare e appare pronta a far uso di tutti i mezzi (politici, strategici, economici e culturali) a sua disposizione;

 sebbene presenti un ancora limitato interesse a divenire l‟egemone regionale, la Cina pare aspirare al riconoscimento del suo ruolo di primario attore strategico in Asia centrale, non tanto in ragione di pregressi legami storico-culturali, quanto, invece, a causa della consapevolezza che una propria forte presenza nell‟area risulta funzionale a propri rilevanti interessi ed imperativi.

A quest‟ultimo riguardo, infatti, appare possibile notare che:

- in analogia con il periodo intercorrente fra il 1991 (ovvero la disgregazione dell‟URSS) ed l‟11 settembre 2001, il più importante imperativo cinese sembra continuare ad essere la sicurezza (specie della Provincia dello Xinjiang attraversata da spinte centrifughe e separatiste turco-uighure a matrice etnico-religiosa);

- il secondo imperativo di Pechino è rappresentato dall‟accesso e lo sfruttamento delle risorse energetiche presenti in Asia centrale;

- il terzo obiettivo cinese in Asia centrale è rappresentato dall‟assicurare un quadro geopolitico stabile caratterizzato da un sistema di pesi e contrappesi in grado di prevenire l’assunzione di un ruolo di piena ed incontrastata egemonia da parte degli USA o della Russia e funzionale ai propri interessi regionali.354

Per quanto attiene al primo imperativo politico-strategico cinopolare in Asia centrale possono essere considerati quali aspetti di maggiore significato e rilievo geopolitico e geoeconomico: - il fatto che sussista un interessante parallelo fra le sensibilità russe per il futuro delle

proprie province dell’Estremo Oriente visto che:

 come lo Xinjiang, esse sono dei vasti territori di frontiera debolmente popolati e soggetti a preoccupanti spinte centrifughe;

 come Mosca vede nella partnership con Pechino uno strumento attraverso cui assicurare la propria posizione nell‟Estremo Oriente, così Pechino vede nello sviluppo delle proprie relazioni con la Russia e con le Repubbliche ex-sovietiche dell‟Asia centrale un modo di contenere spinte centrifughe e di garantirsi la stabilità delle proprie province occidentali; - il fatto che il vertice politico-decisionale di Pechino valuti che un’Asia centrale soggetta a

regimi autoritari o semi-autoritari rappresenti il contesto locale a sé più favorevole per contrastare e reprimere il separatismo uighuro nello Xinjiang visto che:

 detti regimi hanno sostenuto l‟agenda anti-separatista cinese, reprimendo ed estradando gli attivisti e i militanti turco-uighuri presenti nei loro territori;

 onde evitare che simpatie ed affinità a matrice etnico-religiosa possano mutare l‟atteggiamento dei predetti regimi, la diplomazia cinese si è da tempo impegnata a sviluppare ed intensificare i propri legami con i gruppi e le élites al potere in Asia centrale (specie in Kazakistan e Kirghizistan).355

354 LO B., Axis of convenience. Moscow, Beijing, and the new geopolitics, Londra e Washington DC, Brookings Institution Press, 2008, pp. 101-104.

DWIVEDI R., China’s Central Asia policy in recent times, in: China and Eurasia Forum Quarterly, Central Asia-Caucasus Institute, Vol. 4, n. 4, 2006, pp. 139-159.

355 LO B., Axis of convenience. Moscow, Beijing, and the new geopolitics, Londra e Washington DC, Brookings Institution Press, 2008, pp. 101-104.

DWIVEDI R., China’s Central Asia policy in recent times, in: China and Eurasia Forum Quarterly, Central Asia-Caucasus Institute, Vol. 4, n. 4, 2006, pp. 139-159.

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-Dati relativi alla situazione energetica della Repubblica Popolare di Cina.356

1981 1990 2000 2005 2008

PETROLIO

(in migliaia di barili al giorno) Produzione totale 2012.00.00 2768.04.00 3377.53.00 3791.57.00 3973.13.00 Consumi 1705 2296 4796 6695 7850 Riserve provate (in miliardi di barili) 20.500 24.000 24.000 18.250 16.000 GAS NATURALE

(in miliardi di piedi cubi)

Produzione 450.00.00 508.00.00 962.03.00 1762.09.00 Non disponibile Consumo 450.00.00 494.04.00 902.04.00 1654.05.00 Non disponibile Esportazioni

nette Non disponibile 13.06 95.03.00 108.04.00 Non disponibile Riserve provate 24500.0 35300.0 48300.0 53325.0 80000.0

CARBONE Esportazioni

nette (in trilioni di BTU)

99.07.00 358.02.00 1506.09.00 1288.02.00 Non disponibile

ENERGIA PRIMARIA TOTALE

(in quadrilioni di BTU)

Produzione 17.09 29.04.00 35.00.00 63.00.00 Non disponibile Consumo 17.02 27.00.00 37.02.00 66.08.00 Non disponibile

Intensità energetica (BTU per USD di PIL)

35241.0 23956.3 12238.1 13919.1 Non disponibile

Relativamente al secondo imperativo della politica di Pechino verso l‟Asia centrale, appare rilevante notare che:

- la rapida ascesa dell‟economia cinese nel corso degli ultimi vent‟anni ha portato ad un significativo incremento del fabbisogno e dei consumi energetici, trasformando il Paese in un grande importatore netto di idrocarburi e, quindi, rendendo il tema della sicurezza energetica un aspetto di primario rilievo nell’ambito della grande strategia di Pechino; - il vertice politico-decisionale cinese non sembra essere solo motivato dal desiderio di diversificare le fonti estere di approvvigionamento, ma anche dalla necessità di espandere le proprie opzioni in Eurasia.

Per quanto attiene al primo punto, appare possibile notare che:

- come ha rilevato l‟International Energy Agency‟s (IEA) nel «World Energy Outlook: China and India Insights, 2007»:

 in meno di una generazione la Cina si è trasformata, da Paese essenzialmente autosufficiente sotto il profilo energetico, nel Paese del mondo con la più rapida crescita di consumi ed in uno dei maggiori attori del mercato energetico globale;

 sebbene fra il 1980 ed il 2000 la Cina abbia quadruplicato il suo Prodotto Interno Lordo, raddoppiando il suo fabbisogno energetico, fra il 2002 ed il 2005, l‟adozione di una politica economica volta all‟innalzamento del tenore di vita generale ed allo sviluppo di

356 US DEPARTMENT OF ENERGY, ENERGY INFORMATION ADMINISTRATION, China energy profile, aggiornato al 13 ottobre 2009, tratto in data 28.10.2009 dal sito internet

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-settori particolarmente energivori (circa il 60% dei consumi di energia sono infatti attribuibili all‟industria manifatturiera e, in primo luogo, alla produzione di ferro, acciaio, alluminio, carta, prodotti chimici e cemento) ha determinato un forte incremento dei consumi energetici; 357

- come ha rilevato il «World Energy Outlook 2007» della IEA:

 l‟incremento dei consumi energetici cinesi rappresenta sia una spinta che una conseguenza della significativa crescita economica, specie per quanto attiene all‟industria pesante; 358

 una parte crescente della domanda energetica cinese deriva e deriverà dalla forte espansione del settore dei trasporti;359

 se la crescita economica continuerà a seguire la traiettoria dell‟ultimo decennio entro il 2010, la Cina Popolare raggiungerà il fabbisogno statunitense ed entro il 2030 lo supererà del 20%, rendendo la crescita della sua domanda di energia, assommata a quella dell‟India, pari al 45% dell‟incremento della domanda mondiale;

- come ha rilevato il Rapporto 2008 della US-China Economic and Security Review Commission:

 «(…) Al fine di assicurarsi le proprie forniture energetiche – una priorità per raggiungere la sicurezza energetica – Pechino deve bilanciare svariati fattori contrastanti ed incidenti sia sull‟affidabilità sia sulla disponibilità delle forniture energetiche. Edward Steinfeld, un esperto di energia e di Cina, del Massachusetts Institute of Technology, scrive, la natura della sfida alla “sicurezza energetica” della Cina va oltre il fatto che la crescita e la modernizzazione da sole non siano soluzioni al gap fra domanda ed offerta. Nel suo significato più ampio, la sicurezza energetica implica un contemperamento di obiettivi difficili da conciliare: energia adeguata per la crescita economica nel lungo periodo, energia che può essere garantita senza esposizione a rischio geopolitico eccessivo, offerta ed utilizzo di energia coerente con la salute pubblica di lungo periodo e offerta di energia abbastanza flessibile da soddisfare le crescenti aspettative popolari di beni pubblici e privati.” Al fine di far fronte a queste sfide, la Cina ricerca un‟offerta di energia derivante da un insieme di fonti»;

357 La rapida crescita dell‟economia della Cina Popolare ha alimentato una crescente domanda di energia (in primis di petrolio) e detta domanda è divenuta un fattore sempre più importante in sede di determinazione del prezzo internazionale dei prodotti energetici. La Cina, infatti, risulta attualmente il secondo più grande consumatore del mondo di prodotti petroliferi (dopo gli USA) con consumi giornaliri di circa 7,8 milioni di barili nel 2007 che dovrebbero salire, se non cambiasse la politica energetica del Paese, a 13,6 milioni nel 2030. La Cina è divenuta un importatore netto di petrolio nel 1993 e le sue importazioni nette sono salite, da circa 632.000 barili al giorno nel 1997, a circa 3,7 milioni nel 2007. In tal modo, il Paese è, quindi, divenuto il terzo più grande importatore netto di petrolio del mondo dopo gli USA ed il Giappone. Stando alle proiezioni realizzate dai maggiori centri studi internazionali, le importazioni nette cinesi cresceranno a 13,1 milioni di barili al giono nel 2030 (ovvero ad un livello comparabile con quelle dell‟UE) mentre anche la dipendenza del Paese dalle importazioni di petrolio dovrebbe salire nel 2030 dall‟attuale 50% a circa l‟80%.

MORRISON W.M., China’s economic conditions, Congressional Reserach Service (CRS), aggiornato al 20 novembre