Capitolo 3 – Accademia e professione a confronto
3.2 Tecnologia e traduttori
L’impiego consapevole e critico delle risorse del web per la traduzione, dai corpora ai dizionari, dai motori di ricerca agli strumenti di traduzione assistita, rappresenta un’area della didattica della traduzione di rilevanza strategica per la qualificazione professionale dei futuri traduttori (D’Angelo, 2012).
A riguardo, Bernardini afferma che (2003: 3):
it will be an advantage for any future language professional to be skilled in managing state- of-the-art reference tools and translation software, and in integrating different types of computational and managerial resources in the workflow.
Seguendo gli aspetti legati alla tecnologia investigati nelle indagini rivolte a docenti, traduttori e agenzie di traduzione, ci si concentrerà sul rapporto tra tali attori, strumenti di traduzione assistita e corpora in un’ottica didattico professionale.
3.2.1 Strumenti di traduzione assistita
Con l’indagine si è visto che per il 93% delle agenzie di traduzione e il 75% dei traduttori freelance i sistemi di traduzione assistita sono una condicio sine qua non dell’attività professionale che, però hanno generato, e continuano tutt’oggi a generare, grandi cambiamenti nella professione.
Se le agenzie di traduzione vi fanno affidamento per la gestione del progetto e, come emerso dall’analisi dei dati (cfr. 2.24), per formulare preventivi e ridurre i costi, creare memorie e database terminologici, garantire coerenza terminologica e qualità, centralizzare e condividere le risorse, analizzare i file, recuperare testi precedentemente tradotti e rispondere alle esigenze dei clienti che li richiedono espressamente, i traduttori li integrano al proprio lavoro al fine di rispondere alle esigenze di un mercato che impone di tradurre grandi quantità di testo in una grande varietà di formati il più velocemente e al minor costo possibile, e di produrre al tempo stesso traduzioni di alta qualità (Scarpa, 2012).
Per cui, è il modo di lavorare e di pensare dei traduttori ad aver subito le mutazioni maggiori. Per quanto riguarda il primo tipo di modifiche, basti pensare ai cambiamenti apportati al
workflow. Prima ancora di iniziare il lavoro di traduzione, il traduttore prepara l’ambiente di
lavoro, che non consiste più nella creazione di un semplice file Word, bensì si compone di più parti: crea la memoria di traduzione, procede con la fase di pre-translate (incidenza di full
matches, fuzzy matches, ripetizioni) e stabilisce le tempistiche necessarie per poter rispettare la deadline indicata dal committente. Solo allora, dopo aver affrontato e risolto le incombenze
tecniche, inizia a tradurre. E dopo aver tradotto, esegue il QA check e lo spellcheck, rilegge il testo ed effettua il cleanup (cfr. 2.20). In un simile scenario, oltre a questioni di ordine gestionale, sembra che gli strumenti di traduzione assistita, grazie a un loro uso più interattivo, abbiano portato a modalità di lavoro che prevedono una maggiore integrazione tra le varie fasi del processo e che si siano integrati essi stessi a tali fasi andando ad aumentare la qualità del prodotto finale (Benis, 2005: 29).
In merito al secondo tipo di modifiche, quelle collegate alla sfera cognitiva, si è osservato che l’uso degli strumenti di traduzione assistita impone il paradigmatico sul sintagmatico, ovvero fa sì che si perda la linearità del testo il quale è segmentato, “broken into units that sit one on top of the
other. That is, the text is broken into paradigmatic form; its linearity is repeatedly interrupted”
(Pym, 2010: 4). La mente del traduttore è perciò invitata a lavorare sui singoli segmenti, uno dopo l’altro, e se tali strumenti permettono di controllare la coesione terminologica e fraseologica da un lato, dall’altro, in un simile ambiente, rendono più difficile il controllo di quella sintagmatica. Un altro studioso a condividere il pensiero di Pym è Esselink (2005) il quale afferma che lavorare su un segmento per volta, al di fuori del contesto di riferimento, porta inoltre a produrre un testo di
arrivo che potrebbe non presentare le necessarie caratteristiche di testualità quali scorrevolezza, coesione, coerenza, logica.
Suddividendo il materiale linguistico in “phrases and chunks, at cohesive levels much lower than anything traditionally called a text” (Pym, 2008: 2), gli strumenti di traduzione assistita fanno sì che i traduttori non usino più i contenuti in modo lineare, partendo dall’inizio e leggendo il testo fino alla fine in una sorta di progressione narrativa. Bensì, vedranno solo “series of small unconnected parts, like foot-soldiers in a battle” (Pym, 2008: 2).
Inoltre, secondo Austermühl (2006), la tecnologia della memoria traduttiva, fondata sul confronto tra fasi generalmente avulse dal co-testo di occorrenza, favorirebbe l’impigrimento mentale del traduttore che, non incentivato a sforzarsi per trovare soluzioni migliori, tenderebbe ad appoggiarsi meccanicamente alla terminologia e fraseologia presenti nel database. In più, tale
modus operandi, aumenterebbe la probabilità del trasferimento pedissequo degli errori da una
traduzione all’altra, comportando ripercussioni non sempre positive sull’accuratezza stilistica del TA, a volte paragonabile a un insieme di frasi non coese tra di loro.
Alcune delle riflessioni appena proposte circa l’impatto degli strumenti di traduzione assistita sulla modalità di lavoro del traduttore sono condivise dai traduttori freelance. Ad esempio, nei commenti degli intervistati si legge che se da una parte tali strumenti sono adeguati per garantire coerenza terminologica e sono particolarmente indicati per tradurre testi ripetitivi, come manuali tecnici, dall’altra la suddivisione del testo in segmenti non garantirebbe la visione globale del testo durante la fase traduttiva. Infine, le memorie fornite sono spesso lacunose e dense di errori, causando al traduttore, che si rende conto degli errori, una perdita ulteriore di tempo dovendo controllare le soluzioni proposte dalla memoria.
Nonostante queste preoccupazioni, in un mercato in cui il traduttore deve sempre essere pronto ad adattarsi a nuove tendenze e a imparare a padroneggiare gli strumenti che permettono di soddisfarle, la tecnologia e, nello specifico, i sistemi di traduzione assistita, sono strumenti oramai indispensabili per l’attività del traduttore e lo saranno sempre di più nel futuro della professione. Ma allora, in una prospettiva didattica, è possibile trovare un equilibrio tra le “critiche” che gli stessi studiosi rivolgono ai CAT tool e la necessità di rimanere sempre aggiornati per far fronte alle esigenze di un mercato in continuo mutamento?
La risposta la offre Scarpa (2012) la quale afferma che:
Occorre insegnare ai futuri traduttori a utilizzare le nuove tecnologie in modo intelligente, considerandole per quello che sono, ossia “strumenti” che assistono il traduttore negli aspetti più noiosi e ripetitivi del suo lavoro aumentandone la produttività e – almeno in certi generi testuali – migliorandone la qualità, senza volersi tuttavia sostituire alla sua competenza traduttiva.
Tuttavia, rimane comunque una domanda: come possono i docenti insegnare ai propri studenti l’uso intelligente delle tecnologie?
3.2.2 La tecnologia e i docenti
Partendo dall’indagine che ha coinvolto i docenti di corsi di laurea magistrale o master in traduzione specializzata, in primo luogo emerge che l’85% dei corsi prevede un insegnamento di tecnologie della traduzione il quale può assumere la forma di corso specifico, di modulo opzionale o di seminario. Per cui, seppur con modalità e gradi di specificità differenti, gli studenti vengono avviati ai CAT tool. Successivamente quando si è domandato se in classe o durante il corso gli studenti utilizzassero gli strumenti di traduzione assistita, il 59% degli intervistati ha risposto negativamente mentre il restante 41% propone regolarmente ai propri studenti l’uso di CAT tool sia in classe sia nella preparazione individuale del testo assegnato per casa.
Coloro che non introducono gli strumenti di traduzione assistita a supporto della lezione commentano la propria scelta adducendo principalmente tre motivazioni. Nel primo caso, a livello professionale, i CAT tool non sono impiegati nel dominio di specializzazione del docente, ad esempio quello giuridico, e nel tentativo di ricreare una condizione simile a quella professionale, il docente fa svolgere la traduzione inerente al dominio in questione con un programma di videoscrittura. Nel secondo caso il testo di partenza viene fornito in versione cartacea, per cui non è compatibile con i CAT tool. Nel terzo caso, il docente non ricorre ai CAT tool nell’attività professionale e non li considera idonei per l’insegnamento della traduzione in quanto non aiuterebbero gli studenti ad apprendere a tradurre.
I docenti, che invece affermano di impiegare strumenti di traduzione assistita a supporto della lezione, introducono l’uso di software specifici sia per lo svolgimento di traduzioni in classe, sia incentivando gli studenti ad affidarsi ai CAT tool nella preparazione degli assignment o durante le prove.
Le modalità proposte dai docenti che hanno commentato le proprie risposte sono essenzialmente tre. La prima prevede la creazione di una memoria di traduzione relativa al dominio affrontato durante il corso che gli studenti useranno poi per i testi affidati nel corso del semestre e per svolgere la prova finale, ove prevista. La seconda vede la realizzazione di un progetto di traduzione nel quale, simulando l’attività di un traduttore freelance, gli studenti impiegano gli strumenti di traduzione assistita alla stregua di un professionista. Infine, la terza si sviluppa grazie al coordinamento e la collaborazione tra il corso di traduzione tecnico-scientifica nel quale insegna il docente che ha risposto all’indagine e quello di “Tecnologie”, nel quale si presuppone gli studenti si esercitino esclusivamente all’uso dei CAT tool. Grazie a tale approccio, gli studenti preparano una versione del testo di arrivo che tenga conto di tutte le correzioni fatte in classe. Sulla base di tale versione definitiva, preparano insieme al docente del modulo di “Tecnologie” una memoria di traduzione che potranno poi usare sia per le traduzioni future sia per le esercitazioni nel modulo dedicato ai CAT tool. In questo caso, se il tempo o le strumentazioni non permettono di integrare la lezione con gli strumenti di traduzione assistita, grazie a tale collaborazione gli studenti possono comunque esercitarsi con i CAT tool ma su un dominio conosciuto.
Tenendo in considerazione le effettive ore di lezione, la disponibilità di infrastrutture e licenze software, la formazione del docente in tema di CAT tool e il dominio affrontato, potrebbe essere
una buona pratica accompagnare lo studente, ormai prossimo all’inserimento nel mondo del lavoro, a un uso sempre più regolare e quotidiano di strumenti per la costruzione di memorie di traduzione. In questo caso, nel compiere i primi passi professionali, da una parte avrebbe già a disposizione alcune memorie di traduzione che potrebbe poi implementare col tempo e con l’esperienza, dall’altra, avrebbe una maggiore sicurezza e confidenza con gli strumenti informatici. Inoltre, si ritiene che tali approcci, dalla creazione di una memoria all’impiego degli strumenti di traduzione assistita simulando la realtà professionale, siano attuabili in moduli avanzati come quelli qui investigati. Gli studenti dovrebbero già essere in possesso di buone basi nell’uso dei CAT tool ma anche nella gestione della terminologia per evitare il rischio di portare il focus della lezione più sullo sviluppo delle competenze tecnologiche che di quelle traduttive in genere: “they
[CAT tool] should certainly be there, in the classroom, but not enjoying pride of place” (Pym,
2006).
A tale riguardo, condividendo la tesi di Pym (2006), secondo la quale i CAT tool possono condurre a una progressiva de-umanizzazione del processo traduttivo:
[…] the use of translation memories facilitates the unthinking repetition of previous TTs, such that what is lacking in such modes of work is the active production of hypotheses, which is clearly the side that our pedagogy should then emphasize. More important, the use of websites, memories and the rest imposes a massive mediation between the translator and the figure of the target reader. That technology invites us to forget that certain TTs are better than others because they are destined to achieve a certain purpose, in a certain time and place, for a certain end-user. They invite us to forget that our basic tasks involve communication between humans, and only then the manipulation of electronic mediation.
(Pym 2006: 494)
D’Angelo (2012) rileva la necessità di una formazione professionale che integri l’uso delle nuove tecnologie con un approccio traduttivo di matrice sociolinguistica e funzionalista, al fine di potenziare la capacità dei futuri traduttori di analizzare gli elementi linguistici del TP portatori di senso riguardo al rapporto enunciato/contesto/destinatari della circostanza comunicativa e di tenere conto delle suddette variabili nella selezione delle strategie traduttive da impiegare per la stesura del TA.
Proponendo delle riflessioni su individuazione del text type focus e sullo skopos perseguito dal testo nella lingua-cultura d’arrivo, nel primo caso seguendo la tassonomia tipologico-testuale proposta da Hatim e Mason (1990, 1997) e nel secondo le indagini di Hönig (1991, 1995) circa le fasi preparatorie del processo traduttivo, il futuro traduttore potrebbe sviluppare e fare proprie quelle strategie traduttive volte a evitare che un uso acritico della tecnologia possa allontanare il traduttore dall’esecuzione di traduzioni di qualità.