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2. GLI STAKEHOLDER E LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA

2.1 La teoria degli stakeholder

La paternità del termine stakeholder è solitamente attribuita a Freeman, colui che per primo ha elaborato una teoria in merito a questa tematica. In realtà, di stakeholder si parlava già negli anni Quaranta, quando alcune aziende americane identificano per la pri- ma volte alcune categorie che hanno degli interessi all’interno dell’azienda1. Durante la depressione, infatti, la General Electric

identificò i quattro gruppi principali di stakeholder (azionisti, dipen- denti, clienti e società), seguita poi nel 1947 dal presidente della Johnson & Johnson che individuò quelle categorie strettamente le- gate agli affari (clienti, azionisti, manager e dipendenti).

Nonostante ciò, la prima vera definizione di stakeholder fu data proprio dal sopracitato Freeman all’interno del suo famoso libro dal titolo “Strategic management. A stakeholder approch”. La definizione di Freeman prende spunto da un lavoro dello Standford Research Institute, apparso nel 19632 e afferma che lo stakeholder di

1 Donaldson T., Preston L., The Stakeholder Theory of the Corporation: Concepts, Evidence, and

Implications, in «Academy of Management Review», Vol.20, n.1, 1995

2 Saulle R., La teoria degli stakeholder: approccio manageriale e fondamenti normativi, in «Diri-

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un’organizzazione è quel gruppo o individuo che può influenzare o può essere influenzato dal raggiungimento degli obiettivi dell’impresa. La SRI aveva coniato il termine stakeholder con un in- tenzionale gioco di parole per contrapporsi a un altro termine am- piamente usato in quel periodo, stockholders (detentori di capitale), e per mettere in luce il fatto che esistevano altri gruppi ad avere inte- ressi all’interno dell’impresa.

Nel corso degli anni sono state date numerose definizioni a que- sto termine, anche se quella di Freeman rimane sempre la più cono- sciuta. Di tutte le definizioni avute nel corso del tempo si possono in- dividuare due visioni diverse della figura dello stakeholder: la prima ampia, mentre la seconda ristretta. La visione ampia, sostenuta da Reed e Freeman3, afferma che sono esclusi dall’avere interessi

all’interno dell’azienda solo coloro che non possono influenzare l’impresa e che non sono influenzati da essa. Non dando, però, una definizione univoca del termine “interessi”, in questa definizione può essere compreso chiunque, poiché ogni individuo ha in maniera di- retta o indiretta interessi all’interno delle imprese. Facendo riferimen- to a questa definizione per i manager è pressoché impossibile defini- re in maniera completa tutte le categorie di stakeholder e rispondere efficacemente alle richieste di tutti, poiché anche chi non è in grado di influire sull’azienda può influenzare gli interessi di coloro che han- no aspettative legittime all’interno dell’impresa.

La visone ristretta, invece, definisce in maniera univoca cosa si in- tende per “posta in gioco”, affermando che è qualcosa che può an- dare perso. In questa maniera le categorie di stakeholder sono net-

3 Freeman R.E., Reed D.L., Stockholders and Stakeholders: a New Perspective on Corporate Go-

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tamente limitate rispetto alla visione precedente, poiché vengono considerate solo quelle con aspettative legittime, senza prendere in considerazione se hanno il potere di influire sull’azienda o meno. In questo caso i manager tendono a individuare solo quegli stakeholder che sono rilevanti per via degli interessi economici che detengono all’interno dell’impresa, anche a causa delle limitate risorse econo- miche e di tempo che caratterizzano la classe dirigente.

Per riuscire a comprendere appieno la teoria degli stakeholder, però, è necessario avere ben chiaro quali sono state le matrici scien- tifico-culturali che hanno portato alla nascita di questa nuova ideolo- gia. Si possono individuare quattro principali presupposti:

 la teoria dei sistemi, quale approccio sistemico che vede l’impresa come un sistema socio-tecnico;

 gli studi sui comportamenti organizzativi, che afferma che gli obiettivi dell’organizzazione variano in funzione del contributo che danno i diversi gruppi, che a loro volta contribuiscono ad esse in funzione dei ritorni che l’impresa offre loro;

 le ricerche su etica e responsabilità sociale;

 la resource-dependece theory, che afferma la dipendenza dell’impresa dagli attori che vi appartengono a causa dell’impossibilità di essere autosufficienti in termini di risorse. Attraverso la teoria degli stakeholder, inoltre, è andato definendosi un nuovo modello d’impresa, in contrasto con il classico modello in- put-output (vedi fig.2)

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Figura 2

Come si può vedere i vari rapporti che intrattiene l’impresa sono solo unidirezionali: investitori, fornitori e dipendenti danno input all’azienda, che la raccoglie e li trasforma in output per i clienti.

Figura 3

La caratteristica che crea la differenza sostanziale fra il modello input-output e il modello degli stakeholder sta proprio nel tipo di rela- zioni che si instaurano fra azienda e portatori d’interesse. Se nel modello raffigurato in figura 2 le relazioni sono unidirezionali, nel

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modello proposto da Freeman le relazioni sono bidirezionali e tutte paritarie (visto che nel modello appaiono equidistanti dall’impresa), poiché, nella teoria, gli stakeholder hanno tutti la stessa rilevanza per l’impresa. In questa maniera tutti i portatori d’interesse hanno un’influenza sull’azienda e sono a loro volta influenzati da essa.

2.1.1 Tipologie e classificazione degli stakeholder

La prima distinzione che solitamente si fa quando si parla di sta- keholder è quella fatta da Clarkson e che li divide in due gruppi: sta- keholder primari e stakeholder secondari4. I portatori d’interesse

primari sono coloro senza la cui partecipazione continua nell’impresa, quest’ultima non potrebbe sopravvivere. Nel caso che venga a mancare un gruppo di stakeholder primari, l’azienda ne ri- sulterebbe ampiamente danneggiata e non potrebbe più continuare la sua attività. Gli stakeholder secondari, invece, sono coloro che in- fluiscono sull’impresa e sono a loro volta influenzati da essa, ma che non hanno un ruolo necessario alla sua sopravvivenza. Nonostante ciò, possono provocare gravi danni all’azienda perché hanno la ca- pacità di movimentare l’opinione pubblica.

Agli stakeholder, inoltre, vengono riconosciuti due attributi che so- no la chiave del loro essere: hanno un’aspettativa rispetto all’impresa e hanno la capacità di influenzarla. Questi due attribuiti possono essere indipendenti, ma se combinati fra loro cambiano il

4 Castellani G., Responsabilità Sociale d’Impresa e Bilancio di Sostenibilità, Santarcangelo di

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comportamento della categoria. Se a queste due caratteristiche si aggiunge anche l’urgenza il mix diventa esplosivo.

Attraverso questi tre fattori, potere, legittimità e urgenza, è possi- bile definire le varie tipologie di stakeholder e prevedere anche il loro comportamento. In ogni caso questi attributi sono variabili e possono modificarsi nel tempo o alla presenza di particolari eventi.

Figura 4

Gli stakeholder caratterizzati da un solo attributo sono definiti la- tenti, poiché la loro rilevanza per il manager è bassa oppure nulla e potrebbero non prestare alcun riconoscimento all’impresa5.

Gli stakeholder dormienti posseggono il potere e potrebbero im- porre la loro volontà, ma non avendo una relazione legittima o un’aspettativa urgente non utilizzano il proprio potere.

Gli stakeholder discrezionali hanno come attributo la legittimità, ma manca loro il potere di influire sull’azienda e un’aspettativa ur-

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gente. Per questo motivo, da questa categoria non deriva alcuna pressione sui manager.

Gli stakeholder impegnativi sono la categoria che detiene solo l’urgenza, mancando di legittimità e potere. Questa categoria risulta essere scomoda per l’azienda e per i manager, poiché non sono né pericolosi né legittimi, ma vogliono comunque ottenere l’attenzione da parte della direzione.

La categorie con due soli attributi vengono definiti stakeholder con aspettative e hanno una moderata rilevanza all’interno dell’impresa. I manager, inoltre, prestano attenzione a queste categorie poiché le due variabili che posseggono li portano ad avere una posizione più attiva.

Gli stakeholder dominati sono coloro che posseggono potere e le- gittimità, hanno un’influenza certa sull’impresa e ricevono molta at- tenzione dai manager a causa della loro posizione dominante. Le imprese producono rapporti e documenti per questa tipologia di por- tatori d’interesse (es. bilancio d’esercizio) per non deludere le loro aspettative.

Gli stakeholder dipendenti hanno l’attributo della legittimità e quel- lo dell’urgenza, ma mancano di potere perché dipendono da altri stakeholder o dai manager stessi. La loro sopravvivenza dipende unicamente dal fatto che qualcuno li tuteli offrendogli il proprio pote- re.

Gli stakeholder caratterizzati da urgenza e potere vengono definiti pericolosi, perché potrebbero mettere in campo violenza e coercizio- ne per far rispettare i propri interessi.

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Quella categoria di stakeholder che possiede tutti e tre gli attributi sono gli stakeholder definitivi: avendo potere e legittimità fanno parte della colazione dominante dell’impresa e nel momento in cui alle loro richieste si aggiunge l’urgenza, i manager gli danno ogni priorità. Come è chiaro, qualsiasi stakeholder con aspettative, che quindi per natura possiede già due attributi, può trasformarsi in definitivo nel momento in cui riesce ad avere anche il terzo.