Diagnostica di laboratorio nella valutazione delle patologie epatiche
TEST DI VALUTAZIONE DELLA FUNZIONALITÁ EPATICA
L’utilizzo dei livelli sierici enzimatici, benché altamente sensibili per l’identificazione delle malattie epatobiliari e solitamente proporzionali alla gravità del danno in atto, non consente di prevedere la capacità funzionale epatobiliare.
L’indagine funzionale sul parenchima epatico prende in considerazione tutti i parametri che sono direttamente o indirettamente coinvolti nelle attività svolte dal fegato e che, a fronte di un danno anatomico, possono risultare distintamente o complessivamente diminuite, insufficienti o assenti.
Albumina
L’albumina è una proteina plasmatica sintetizzata esclusivamente in sede epatica, la sua concentrazione pertanto può essere un indice importante sulla funzionalità del fegato. In particolare il riscontro di ipoalbuminemia può far pensare ad una manifestazione dell’incapacità epatica di sintetizzarla. Tuttavia, prima di arrivare a questa conclusione bisogna tenere in considerazione che il fegato impiega soltanto il 33% della sua capacità massima per la sintesi di albumina e che la sua eliminazione avviene in circa 8-9 giorni. Questo comporta che il rilevamento di ipoalbuminemia da ipofunzionalità epatica si riscontra con una perdita dell’80% circa degli epatociti funzionanti, che nella maggior parte dei casi si osserva nei disordini epatici cronici come la cirrosi e le PSVA.
Tra le diagnosi differenziali dell’ipoalbuminemia bisogna includere le enteropatie proteino- disperdenti, nefropatie proteino-disperdenti, lesioni cutanee essudative, vasculiti o emorragie acute. Anche una nutrizione inadeguata può limitare la sinesi epatica di albumina. ( Webster 2008)
L’albumina, per il suo particolare coinvolgimento nel meccanismo infiammatorio, è considerata una proteina negativa di fase acuta. Ciò rende possibile una riduzione della sintesi epatica di albumina in corso di malattie infiammatorie acute o acute su forme croniche; l’elettroforesi può essere un test utile per differenziare questa condizione da un’insufficienza epatica cronica.
(Watson Buch 2010) A conferma di ciò uno studio ha dimostrato come la presenza di una frazione albuminica ridotta
associata ad un basso livello di proteine di fase acuta nel tracciato elettroforetico, indichi una grave disfunzione epatica con prognosi sfavorevole, mentre ipoalbuminemia associata a livelli normali o elevati di proteine della fase acuta, indichi una prognosi migliore. (Sevelius 1995)
Globuline
Il fegato è responsabile della sintesi di una parte della frazione globulinica del siero, in particolare di molte delle proteine non imunoglobuliniche come le Alfa e Beta-globuline. L’insufficienza della sintesi epatica, pertanto, può essere accompagnata da un’ipoglubulinemia sierica. Tuttavia, poiché molte non immunoglobuline sono proteine positive di fase acuta, la cui produzione cioè aumenta in risposta ad una patologia infiammatoria sistemica, in caso di epatopatie infiammatorie in fase iniziale si puo’ riscontrare iperglobulinemia.
Le immunoglobuline, non sintetizzate dal fegato, possono essere comunque un indice di epatopatia infiammatoria cronica. Un incremento policlonale delle gamma-globuline è stato documentato nelle epatopatie croniche del cane e si osserva nel 50% dei casi di gatti con colangioepatite cronica. (webster 2008) Benché diversi studi abbiano riscontrato titoli anticorpali antinucleari in corso di epatiti croniche resta ancora da verificare se l’ipergammaglobulinemia possa essere secondaria alla produzione di autoanticorpi o essere associata all’incremento di immunoreattività sistemica da abnorme elaborazione degli antigeni portali da parte delle cellule del Kupffer. (Anderson 1992, Weiss 1995)
Proteine della coagulazione
Il ruolo del fegato nel processo coagulativo risulta di importanza rilevante in quanto è in sede epatica che avviene la sintesi di tutti i fattori della coagulazione, ad eccezione per il fattore VIII, nonché di alcuni inibitori della coagulazione e della fibrinolisi ( antitrombina III, antiplasmina) e proteine fibrinolitiche (plasminogeno). Il fegato è inoltre responsabile della clearance e del catabolismo dei fattori della coagulazione attivati, degli attivatori del plasminogeno e degli FDP. Sempre nel fegato avviene l’attivazione vitamina k-dipendente dei fattori II, VII, IX, X e della proteina C.
Gli indici comunemente utilizzati per valutare la coagulazione sono rappresentati dalla determinazione del tempo di protrombina (PT), del tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT), del fibrinogeno e degli FDP. Le alterazioni di questi test della coagulazione nelle malattie epatobiliari, possono essere indicative di un insufficiente sintesi epatica, di una carenza di vitamina K, oppure della presenza di una coagulopatia da consumo come in caso di CID. Questo tipo di alterazioni sono piuttosto frequenti in corso di epatopatia, tuttavia solo raramente si rendono clinicamente evidenti. L’alterazione dei parametri coagulativi, benché spesso non
comporti un immediato stato clinico, può essere un valore prognostico aggiuntivo, infatti si considera che in corso di malattia epatica infiammatoria cronica un aumento di PT e aPTT di 1,3- 1,4 volte peggiori notevolmente la prognosi. Inoltre le alterazioni dell’emostasi possono pregiudicare il percorso diagnostico o mettere a rischio pazienti sottoposti a procedure quali prelievi bioptici o interventi chirurgici.
La carenza di vitamina K si può sviluppare, in corso di patologia epatobiliare, per diverse ragioni tra cui l’ostruzione del dotto biliare, che interrompendo il circolo enteropatico degli acidi biliari, porta ad un malassorbimento della vitamina K liposolubile. In corso di lipidosi epatica del gatto, a cui spesso si associano periodi di anoressia, l’inadeguata assunzione tramite l’alimentazione può comportare ipovitaminosi, inoltre dismicrobismi dell’apparato enterico, possono portare alla carenza dei batteri produttori di vitamina K.
La vitamina K è un cofattore di attivazione di diversi fattori della coagulazione e della proteina C, per cui il prolungamento del PT è il primo riscontro rilevabile in caso di carenza di vitamina K. In uno studio recente si è valutato la sensibilità delle concentrazioni ematiche dei fattori inattivi vitamina K-dipendenti ( PIVKA) rispetto alle variazioni del PT in corso di ipovitaminosi K. Lo studio ha appurato che la presenza o l’aumento dei PIVKA, è molto più sensibile delle modificazioni del PT e che il 50-75% dei gatti con malattia epatobiliare ad insorgenza spontanea presentavano carenza di vitamina K. ( Center 2000)
Nel l'epatopatia iniziale le concentrazioni di fibrinogeno possono essere normali o aumentare in quanto il fibrinogeno è una proteina di fase acuta. Successivamente con il progressivo deterioramento della funzionalità epatica, le concentrazioni di fibrinogeno possono diminuire per una ridotta sintesi epatica.
Le epatopatie possono essere accompagnate da difetti sia qualitativi che quantitativi delle piastrine dove una lieve trombocitopenia sembra essere il riscontro più frequente. (Webster 2008)
Bilirubina
L’iperbilirubinemia è una condizione patologica associata all’incapacità dell’elaborazione ed escrezione della bilirubina. Essa può essere suddivisa in preepatica, epatica e postepatica. L’iperbilirubinemia preepatica spesso è dovuta ad un aumento della produzione di bilirubina
L’iperbilirubinemia epatica è associata ad una compromissione di captazione, coniugazione o escrezione della bilirubina e si osserva nelle epatopatie in cui si sviluppa una grave colestasi intraepatica. L’iperbilirubinemia postepatica è associata all’ostruzione dei dotti biliari extraepatici. La differenziazione tra iperbilirubinemia epatica e post epatica può non essere facile, tuttavia risulta importante per il successivo percorso terapeutico, sostanzialmente differente nelle due diverse forme.
Durante la colestasi prolungata, la bilirubina coniugata in eccesso può andare incontro ad un legame irreversibile con l’albumina. Le biliproteine così formate vengono misurate come bilirubina diretta, ma hanno un tempo di emivita pari a quello delle albumine. La loro presenza, dunque, può far si che livelli sierici di bilirubina risultino persistentemente elevati a distanza di tempo dalla risoluzione del sottostante disordine epatico. ( Webster 2008)
L’evidenza clinica dell’iperbilirubinemia è l’ittero, che benché meno sensibile dei livelli degli enzimi epatici per la rilevazione delle malattie epatobiliari, risulta più specifico.
Colesterolo
La concentrazione totale del colesterolo può fornire alcune informazioni in corso di epatopatia. Nel cane e nel gatto, con grave colestasi intraepatica che coinvolge i dotti biliari o l’EBDO, si riscontrano elevati valori di colestrolo totale a causa della compromissione dell’escrezione di quello libero con la bile e del suo conseguente riversamento in circolo. L’ipocolesterolemia è associata frequentemente a PSVA , ma è possibile riscontrarla anche in corso di epatopatia croniche in stadio terminale nel cane. (Watson Buch 2010)
Glucosio
La perdita della capacità di mantenere nella norma le concentrazioni di glucosio sierico, si riscontra in animali con affezione epatobiliare cronica progressiva acquisita o in caso di insufficienza epatica acuta fulminante. Questa incapacità è presumibilmente causata dalla perdita di epatociti con sistemi enzimatici gluconeogenetici e glicolitici funzionanti o con compromissione della degradazione epatica dell’insulina. L’ipoglicemia risulta invece frequente in caso di PSVA la quale può essere dovuta ad una compromissione della produzione epatica di glucosio, una riduzione delle riserve epatiche di glicogeno, un calo della risposta al glucagone o all’aumento della concentrazione dell’insulina circolante per riduzione dell’effetto di primo passaggio nel fegato, dove viene metabolizzata. Quest’ultimo meccanismo è stato provato nell’uomo mentre è
ancora ipotetico negli animali da compagnia. (Watson Buch 2010) L’ipoglicemia si può riscontrare come reperto comune in corso di sindrome paraneoplastica in
cani con voluminosi carcinomi epatocellulari e può essere dovuta alla produzioni di fattori di crescita insulino-simili da parte del tumore. ( Zini 2007)
Le malattie da accumulo metabolico di glicogeno possono causare ipoglicemia. Nel cane la carenza congenita di amilo-1,6-glucosidasi è stato associata a ipoglicemia a digiuno e allo sviluppo di epatomegalia da accumulo di glicogeno. ( Webster 2008)
Acidi biliari
Gli acidi biliari vengono sintetizzati esclusivamente dal fegato a partire dal colesterolo. Dopo essere stati coniugati, sono escreti con la bile e vengono stoccati nella cistifellea. Dopo l’ingestione di un pasto il rilascio di colecistochinina stimola la contrazione della cistifellea e il trasporto degli acidi biliari nell’intestino. Nel lume enterico gli acidi biliari contribuiscono alla solubilizzazione e all’assorbimento dei grassi. Nell’ilo vengono riassorbiti e reimmessi nella circolazione portale da dove vengono nuovamente estratti ad opera degli epatociti. L’alterazione del circolo enteropatico degli acidi biliari esita in un aumento della loro concentrazione totale sierica ( TSBA). Durante il digiuno i TSBA risultano bassi, mentre nella fase post-prandiale subiscono un aumento fisiologico.
Tipicamente il test di valutazione degli acidi biliari sierici viene effettuato con un primo prielievo dopo una fase di digiuno di circa 12 ore seguita da un secondo prelievo, successivo alla somministrazione del pasto, a distanza di due ore da esso. (Webster 2008)
Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia della determinazione dei livelli di TSBA a digiuno e post-prandiali, nella diagnosi delle patologie epatobiliari del cane e del gatto. In una casistica di 107 cani con epatopatie, istologicamente confermate, la specificità della determinazione degli TSBA a digiuno, utilizzando un valore soglia superiore a 5 um come anormale, è stata dell’83%. Utilizzando come limite di anormalità 15 UM, il valore di TSBA post-prandiale ha mostrato una specificità dell’89% e una sensibilità dell’82%. (Center 1996)
I cani Maltesi possono presentare valori di TSBA post-prandiali aumentati anche in assenza di epatopatie, lo dimostra uno studio condotto su 200 cani di questa razza in cui nel 79% dei casi erano presenti valori di TSBA post-prandiali superiori ai limiti di riferimento utilizzando il metodo
Numerosi fattori possono influire sul circolo enteropatico degli acidi biliari e condizionare i valori di TSBA tra cui il tempo di svuotamento gastrico, il tempo di transito intestinale, l’efficienza del raiassorbimento da parte dell’ilo degli acidi biliari e il tempo di svuotamento della cistifellea. Tutte queste condizioni posso variare a seconda del tipo di pasto ingerito e del suo contenuto lipidico o della presenza di malattie gastroenteriche concomitanti.
Il monitoraggio seriale degli TSBA per la progressione della malattia o per monitorare la risposta ad una terapia può essere utilizzato come indicatore affidabile di remissione clinica soltanto il ritorno alla normalità. ( Webster 2008)
Acidi biliari urinari
la misurazione degli acidi biliari urinari presenti nelle urine può essere utile per la valutazione della funzionalità epatica. L’espressione della loro quantità in rapporto alla creatinina urinaria elimina l'influenza che hanno sul risultato la concentrazione e il flusso urinario. Secondo uno studio la concentrazione urinaria degli acidi biliari risulta aumentata in cani e gatti con epatopatie e nelle anomalie portosistemiche, se comparata a quella di soggetti con disturbi non epatici, ad eccezione delle neoplasie epatiche del cane. ( Balkman 2003)
il rapporto tra acidi biliari urinari non solforati e creatinina e il rapporto tra acidi biliari solforati, sommati a quelli non solforati, e creatinina mostrano una correlazione positiva con i risultati degli acidi biliari sierici, con una validità diagnostica globalmente identica e una specificità sostanzialmente più elevata nel cane o simile nel gatto, se comparati ai test con gli acidi biliari sierici. (Watson Buch 2010)
Ammoniemia
Il fegato è il principale organo coinvolto nella detossificazione dell’ammoniaca . Quest’ultima viene prodotta nel tratto gastroenterico a partire dalla degradazione, ad opera di batteri, di ammine, aminoacidi e purine. I principali meccanismi che portano alla formazione di ammoniaca comprendono l’azione dell’ureasi batterica sull’urea e il catabolismo intestinale della glutammina. Una volta prodotta viene immessa nel circolo portale con il quale raggiunge il fegato dove viene captata dagli epatociti e detossificata sia mediante conversione enzimatica in urea sia mediante la sintesi di glutamina. L’insufficiente detossificazione dell’ammoniaca da parte del fegato o la
presenza di uno shunt, che devia il sangue portale verso la circolazione sistemica, esita in iperammoniemia.
Poiché il ciclo dell’urea opera soltanto al 60% della sua capacità, l’insufficienza epatica deve essere abbastanza avanzata perché vi sia un aumento delle concentrazioni di ammoniaca. Gli aumenti della concentrazione sierica di ammoniaca sono invece un test molto sensibile in caso di shunt sia intra che extraepatico. L’iperammoniemia si riscontra anche in animali con carenze enzimatiche nel ciclo dell’urea e in caso di patologie che determinano una riduzione della disponibilità di substrati utili al ciclo stesso, come è stato provato in caso di carenza di argininosuccinato sintetasi nel cane e arginina nel gatto. ( Webster 2008)
L’iperammoniemia è causa frequente ma non esclusiva di encefalopatia epatica ed è l’unica tossina implicata in questa condizione a poter essere misurata clinicamente. La presenza di iperammoniemia può essere quindi impiegata per verificare quella di encefalopatia epatica. Tuttavia non tutti gli animali con encefalopatia presentano concentrazioni ematiche di ammoniaca elevate. Nella malattia cronica parenchimale l’iperammonemia si riscontra nel 50% dei casi mentre è rara nei processi acuti a meno che si tratti di di un epatopatia acuta fulminante. ( Webster 2008)
Il valore diagnostico dell’ammoniemia può essere aumentato attraverso il test di tolleranza all’ammoniaca. Tale test prevede la misurazione del livello basale di ammoniaca dopo un digiuno di 12 ore seguito dalla somministrazione per via orale o rettale di ammoniaca con determinazione dei livelli di ammoniaca dopo 30 minuti. Sebbene la specificità e la sensibilità di questo test siano elevato il rischio di effetti collaterali come vomito o encefalopatia epatica è alto, per questo ad oggi vengono preferiti altri test come la misurazione post prandiale dell’ammoniemia. (Watson Buch 2010)
Diversi studi si sono susseguiti nei diversi anni per testare l’efficacia del test di misurazione dell’ammoniemia post prandiale, in uno di questi veniva somministrato ai cani un pasto che apportava 33 Kcal/Kg (25% del fabbisogno di energia metabolizzabile giornaliero) con una concentrazione di proteine del 30,3% sulla sostanza secca. Successivamente sono state effettuate le determinazione della concentrazione dell’ammoniemia al tempo 0 e dopo sei ore, questo test ha rilevato una sensibilità dell’91% e per l’identificazione degli PSVA ma una scarsa sensibilità per le epatopatie parenchimali 31%. (Walker MC 2002)
immediatamente inviati nel laboratorio sotto ghiaccio, per essere sottoposti a centrifugazione refrigerata ed essere esaminata entro un ora. I campioni ematici di gatto possono essere congelati a -20 per 48 ore senza compromettere il test. Questo è dovuto alla presenza di circa 2-3 volte la quantità di ammoniaca del plasma all’interno degli eritrociti e una loro emolisi può comportare una determinazione falsa dell’amoniemia.
Azotemia
Dal presupposto metabolico che la produzione di urea avviene, come strumento di detossificazione dell’ammoniaca, esclusivamente da parte del fegato si può ipotizzare che la determinazione dall’azotemia sia un valido strumento di misurazione della funzionalità epatica. In realtà questo risulta vero soltanto in caso di PSVA in cui il 65% dei casi è associato a riduzione dell’azotemia. Tuttavia la concentrazione sierica dell’urea viene influenzata da diversi fattori che rendono il test piuttosto aspecifico, come la prolungata restrizione di assunzione delle proteine con la dieta, una precedente fluidoterapia , emorragie gastroenteriche o la presenza di poliuria polidipsia renale. (Watson Buch 2010)
Proteina C
La proteina C plasmatica è stata recentemente proposta come marcatore di malattia epatobiliare nel cane. Bassi livelli di proteina C sono associati a patologie trombotiche sia nel cane che nell’uomo. La sua riduzione, tuttavia, è stata documentata anche in cani con patologie epatobiliare congenite o acquisite e i valori più bassi sono stati trovati nei soggetti con PSVA come documentato in un recente studio. (Toulza 2006) Sembra, inoltre, che la proteina C possa differenziare le anomalie vascolari portosistemiche dall’ipoplasia intraepatica della vena porta con valori di attività della proteina C rispettivamente <70% e >= 70%. (Watson Buch 2010)
Concentrazione sierica degli elettroliti
Nel cane e nel gatto con grave epatopatia cronica l’anomalia più comune è l’ipokaliemia, che viene attribuita ad una combinazione di eccessive perdite renali, e gastroenteriche, ridotto assorbimento e iperaldosteronismo secondario. In cani affetti da insufficienza epatica cronica e ascite l’alcalosi metabolica non è un dato infrequente. L’ipokaliemia e l’alcalosi si potenziano a
vicenda e possono andare a peggiorare eventuali sintomi di encefalopatia epatica, promuovendo la persistenza dell’iperammoniemia. (Watson Buch 2010)
Anomalie ematologiche
La maggior parte delle alterazioni delle cellule ematiche in corso di affezione epatobiliare riguardano gli eritrociti e possono essere così riassunte:
Microcitosi con normocromia o leggera ipocromia, è un risconto piuttosto frequenti in soggetti affetti da PSVA congenito e nei cani con shunt portosistemico acquisito secondario a cirrosi, meno frequente in cani con insufficienza epatica cronica e nei gatti con lipidosi epatica idiopatica. Gli studi condotti sui soggetti con PSVA e microcitosi hanno riscontrato una carenza di ferro, non dovuta ad una diminuita concentrazione assoluta ma piuttosto alla chelazione del ferro all’interno del fegato.
Microcitosi associata ad anemia può essere il risultato di una malattia infiammatoria cronica o a perdita ematica cronica associata a malattie del tratto gastroenterico.
Anemia fortemente rigenerativa con macrocitosi e concentrazione proteica sierica normale può essere associata a fenomeni emolitici, in tal caso potrà essere presente iperbilirubinemia, aumento delle concentrazioni sieriche degli enzimi e degli acidi biliari sierici, denotando la presenza di conseguenza epatiche secondarie all’emolisi come ipossia e tromboembolismo. Acantociti, leptociti e codociti, alterazioni morfologice eritrocitarie ritenute compatibili con affezioni epatobiliari gravi e correlate ad un alterazione del metabolismo delle lipoproteine e irregolarità nella struttura di membrana degli eritrociti stessi .
Gli schistociti possono essere un riscontro in caso di malattie epatobiliari con concomitanti alterazioni vasali o in animali con DIC.
(Watson Buch 2010)
Analisi delle urine
iperuricemia. In presenza di una concomitante iperammoniemia nell’urina compaiono aumenti delle concentrazioni di entrambi gli ioni che portano alla precipitazione di cristalli di biurato di ammonio.
La bilirubinuria nel cane può non essere un reperto patologico riferibile ad epatopatia, al contrario nel gatto la presenza di bilirubina coniugata nelle urine è sempre un rilievo anormale e suggerisce un disordine epatobiliare o emolitico. Questo è scaturito dal fatto che la soglia renale del gatto per la bilirubina è molto alta e, a differenza di ciò che accade nel cane, l’epitelio tubulare renale non ha attività produttiva di bilirubina. (Webster 2008)